Nel regime transitorio di cui all’art. 159 del D.lgs. 42/2004

Consiglio di Stato, Sentenza|19 marzo 2021| n. 2390.

Nel regime transitorio di cui all’art. 159 del D.lgs. 42/2004, entro la scadenza del termine stesso, la competente Soprintendenza era per legge tenuta solo all’adozione, non anche alla comunicazione, dell’atto d’annullamento ai soggetti interessati, ciò in considerazione della natura non recettizia dell’annullamento, che è espressione di cogestione attiva del vincolo paesaggistico e della conseguente ininfluenza, ai fini della sua validità, della comunicazione ai diretti interessati nell’arco temporale fissato dalla legge per l’adozione del provvedimento.

Sentenza|19 marzo 2021| n. 2390

Data udienza 4 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Titolare di concessione demaniale marittima regionale – Area rivierasca – Diniego di autorizzazione paesaggistica – Obbligo dell’avviso d’avvio del procedimento – Art. 159, D.lgs. 42/2004 – Esercizio del potere d’annullamento – Atto di natura non recettizia

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 6352/2014, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Pi. Ni., con domicilio eletto in Roma, via (…) presso lo studio Ga.,
contro
il Ministero per i beni e le attività culturali-MIBAC, la Soprintendenza BAP e al Patrimonio storico artistico ed Etnoantropologico per le province di Lecce, Brindisi e Taranto e l’Ufficio regionale BAC per la Puglia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia – Lecce, sez. I, n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti e concernente il diniego di autorizzazione paesaggistica;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 4 febbraio 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, solo l’avv. Nicolardi in collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 4, co. 1 del DL 30 aprile 2020 n. 28 e 25 del DL del 28 ottobre 2020 n. 137,
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

I1. – Il sig. -OMISSIS-, titolare di concessione demaniale marittima regionale per un’area rivierasca sita nel territorio comunale di (omissis), loc. (omissis) (in CT, fg. (omissis), part. (omissis)) e soggetta a vincolo paesaggistico, il 19 febbraio 2007 chiese a tal Comune il rilascio d’un PDC “… per il mantenimento, fino alla realizzazione del lungomare, o fino a che l’amministrazione lo ritenga opportuno, dell’immobile commerciale (bar-ristorante)…”, ossia una “… struttura precaria avente carattere temporaneo, ricadente in zona omogenea F5 (Attrezzature balneari) per il tempo necessario alla rivisitazione del lungomare…”.
Iniziato il procedimento, con nota prot. n. 3095 del 2 aprile 2007, il relativo responsabile comunicò al sig. -OMISSIS- il parere paesaggistico favorevole sull’intervento perché “… trattasi di struttura rimovibile temporanea che consente comunque la fruibilità delta vista mare e non altera in maniera permanente il paesaggio urbano e costiero…”. Fu rilasciato (16 novembre 2007) il provvedimento ex art. 146 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, precisando che l’intervento “… non contrasta con l’armonia dei luoghi, e ben si inserisce nel contesto ambientale, così come si evince dalla RELAZIONE PAESAGGISTICA allegata…”.
Senonché, col decreto prot. n. 12701 del 16 gennaio 2008, la Soprintendenza BAAP per le Province di LE-BR-TA annullò tal autorizzazione, in quanto “… l’intervento proposto per le dimensioni eccessive, le opere di sistemazione esterna, le caratteristiche costruttive e formali non può ritenersi struttura temporanea ed il suo mantenimento per un periodo non precisato altera la percezione visiva del lungomare e costituisce di fatto un manufatto stabile…”.
2. – Avverso tal provvedimento e la nota di trasmissione il sig. -OMISSIS- insorse avanti al TAR Lecce, col ricorso NRG 608/2008, deducendo: 1) l’omesso avviso d’avvio del procedimento di controllo e annullamento e la violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241 da parte della Soprintendenza, al di là degli adempimenti del Comune ex art. 159 del D.lgs. 42/2004 verso di essa ed al fine di garantire l’effettiva partecipazione, che non avvenne, in un procedimento di 2° grado di spettanza dell’Autorità preposta al vincolo; 2) l’omesso preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. 241/1990, circa i motivi ostativi alla conferma dell’autorizzazione paesaggistica comunale, impedendo così al ricorrente di rappresentare alla P.A. le proprie ragioni e, se del caso, evitare un contenzioso; 3) la violazione del termine decadenziale di 60 gg. (decorrente dalla ricezione della relativa, completa documentazione: 22 novembre 2007) ex art. 159, co. 3, I per. del D.lgs. 42/2004 (nel testo vigente ratione temporis) per l’annullamento di detta autorizzazione, il cui provvedimento, emanato il 16 dicembre 2007, fu notificato al ricorrente solo il 15 febbraio 2008, pur trattandosi d’atto recettizio; 4) l’esercizio, da parte della Soprintendenza nella specie, d’una valutazione non sulla legittimità, ma nel merito tecnico dell’autorizzazione comunale e per manufatti precari e facilmente amovibili, sovrapponendosi a questa e trattando l’area come se fosse soggetta ad inedificabilità assoluta; 5) il difetto di puntuale, specifica motivazione che inficiò l’impugnato annullamento, nonché lo sviamento e l’omessa istruttoria; 6) l’illogicità e l’ingiustizia gravi e manifeste, poiché esistevano in loco altri, ben più impattanti e distonici impianti balneari di quello attoreo, che invece ben s’integrò col panorama.
L’adito TAR, con sentenza n. -OMISSIS- del 29 aprile 2014, rigettò interamente la pretesa attorea.
3. – Appellò quindi il sig. -OMISSIS-, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per non aver considerato: A) l’omessa dimostrazione della ricezione, da parte dell’odierno appellante ed asserita dal TAR, delle comunicazioni del 16 novembre 2007 e del 2 settembre 2008 e, ove questa fosse riferita alla nota dell’8 maggio 2008 (di richiesta d’integrazione documentale), il richiamo ad essa sarebbe stato comunque inutile perché successivo al decreto impugnato e certo non congruente con le esigenze di partecipazione procedimentale, al di là dei limiti posti dall’art. 159 del D.lgs. 42/2004; B) l’evidente tardività di siffatto annullamento, rispetto alla comunicazione all’interessato, stante l’indiscutibile natura recettizia di quell’atto (pure alla luce delle stesse norme organizzative del MIBAC e dell’art. 21-bis della l. 241/1990), anche per non ingenerare inutili affidamenti nel privato; C) la manifesta erroneità e parzialità, anche in fatto, della motivazione del disposto annullamento rispetto alla chiara ed esaustiva relazione dell’autorizzazione comunale e dei pertinenti richiami colà svolti (al PUTT, alla natura e consistenza dell’impianto, alla relazione tecnica attorea) e sovrapponendo la Soprintendenza il proprio giudizio di merito (basato su formule stereotipe ed incongruenti con lo stato di fatto) a quello del Comune.
Resistono in giudizio le Amministrazioni statali intimate, concludendo sì per il rigetto dell’appello, ma con memoria di stile.
4. – Non uno degli argomenti dell’appello in esame, che per molti versi ripetono tal quali i motivi di primo grado, riesce a scalfire l’esatta ricostruzione in fatto e in diritto svolta dalla sentenza.
Andando per ordine, quanto all’obbligo dell’avviso d’avvio del procedimento, la giurisprudenza coeva ai fatti di causa (regolati dalla norma transitoria ex art. 159, co. 3 del D.lgs. 42/2004), ebbe modo di precisare che detto art. 159 aveva introdotto una forma partecipativa che si discostava dal quadro delle formalità contemplate dalla l. 241/1990 (cfr. Cons. St., VI, 13 febbraio 2009 n. 771; id., 18 agosto 2010 n. 5874; id., 24 novembre 2015 n. 5314). Tanto perché l’art. 159 pose l’obbligo della comunicazione a carico d’una P.A. differente da quella tenuta a provvedere e, inoltre, non recò alcun richiamo ai contenuti degli artt. 8 e ss. della stessa legge n. 241, così sancendo espressamente l’equipollenza di tal avviso alla comunicazione dell’avvenuta trasmissione comunale del n. o. alla competente Soprintendenza.
Né sussiste l’obbligo del preavviso di rigetto nella specie, poiché l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, pur se disposta ai sensi dell’art. 159 del D.lgs. 42/2004, non è soggetto all’obbligo di comunicazione di tal preavviso di rigetto, costituendo esercizio, entro un termine decadenziale, di un potere che intercorre tra autorità pubbliche. Ciò integra piuttosto una fase ulteriore, di secondo grado, la quale può determinare la caducazione del precedente titolo abilitativo (cfr. così Cons. St., VI, 27 novembre 2012 n. 5977; id., 4 giugno 2015 n. 2740).
Inoltre, l’annullamento del n. o. paesaggistico comunale è ammesso per ogni vizio di legittimità che si riscontri nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, ecc., giammai di merito amministrativo: cfr., per tutti, Cons. St., VI, 23 febbraio 2009 n. 1051; id., 27 agosto 2010 n. 5980; id., 14 ottobre 2015 n. 4746). Immune da vizi di competenza e di ragionevolezza fu quindi il riscontro della Soprintendenza, laddove fece constare, al Comune ed al sig. -OMISSIS- (arroccato al mero dato del PUTT), che il n. o. paesaggistico comunale del 16 novembre 2007 si fosse limitato ad asserire che, richiamato il PUTT (art. 1.03, § 5.2; art. 5.02), l’impianto, ricadente nei c.d. Territori costruiti, “… non contrasta con l’armonia dei luoghi, e ben si inserisce nel contesto ambientale…”. La Soprintendenza precisò invece come l’opera fosse ben altro che una “… struttura rimovibile temporanea (che) non altera in maniera permanente il paesaggio urbano e costiero…”, poiché “… l’intervento proposto per le dimensioni eccessive, le opere di sistemazione esterna, le caratteristiche costruttive e formali non può ritenersi struttura temporanea ed il suo mantenimento per un periodo non precisato altera la percezione visiva del lungomare e costituisce di fatto un manufatto stabile…”. Essa così applicò quel principio, fermo già al tempo dell’abuso attoreo, per cui è viziato da difetto di motivazione e d’istruttoria il n. o. paesaggistico che si limitò a riaffermare, con formule di stile, il dato della compatibilità dell’intervento col vincolo insistente sull’area, senza esplicitare le effettive ragioni che inducessero a ritenere la conformità fra l’opera progettata e il vincolo di protezione (cfr. Cons. St., VI, n. 5980 del 2010, cit.).
Non sfugge al Collegio il richiamo ai Territori costruiti del PUTT, che però è fuorviante, trattandosi di opere ricadenti non già nei tessuti urbani consolidati e costruiti di cui all’art. 1.03, § 5.2 del citato PUTT (p.es., zone C o zone turistiche di PRG), bensì sull’arenile demaniale marittimo, L’intervento fu e resta tuttora soggetto al vincolo ex lege ai sensi dell’art. 142, co. 1, lett. a) del D.lgs. 42/2004 e, quindi, sempre sottoposto ad autorizzazione paesaggistica. Precedente ai fatti di causa fu il noto e fondamentale arresto della Sezione, nei confronti proprio del PUTT Puglia (cfr. Cons. St., VI, 27 aprile 2006 n. 2381, in virtù del quale la mancata indicazione, all’interno del Piano medesimo e con riferimento ai “Territori costruiti”, del vincolo relativo a dette aree ex art. 142, può configurare una lacuna o una dimenticanza che non condiziona la vigenza della qualificazione e del regime che tale norma richiama, dal che la necessità dell’autorizzazione e ciò non tanto per il principio di gerarchia delle fonti, quanto per quello “di competenza” delle fonti medesime, in base al quale la Regione non può legiferare o normare in contrarietà alle disposizioni della legislazione statale, essendo tale area di interessi riservati appunto allo Stato e preclusi alla sua competenza).
Né può dirsi destituita in fatto o eccessiva rispetto alle regole della tutela paesaggistica l’avviso di detta Soprintendenza, in quanto l’intervento attoreo, al di là della tecnica di costruzione (recessiva rispetto all’uso ed alla funzione per cui dovesse esser costruito): a) sarebbe stato mantenuto di fatto sine die, essendo la sua rimozione rimessa alla volizione incerta an, incerta quando del Comune, in relazione ad un’ipotetica ristrutturazione del lungomare, ancor oggi, ben lo si vede dal raffronto tra cartografia e documentazione fotografica, di là da venire; b) ebbe e ha tuttora un impatto rilevante sull’arenile, tale da impedire ogni libera fruizione del mare dalla via litoranea; c) nulla ebbe a che vedere, qualunque fosse il significato che l’appellante credette di rinvenirvi, con la definizione del PUTT – Territori costruiti, con la tutela dell’arenile (già in sé vincolato per legge, donde l’inutile dissertazione sul DM 14 aprile 1967, che peraltro assoggettò a tutela tutto il foglio censuario 26 del Comune di Castrignano del Capo), né con la libera fruizione visiva di esso, perlomeno dalle aree edificate viciniori; d) fu descritto dalla relazione allegata all’istanza di n. o. come privo d’impatto sul paesaggio, ma ciò fu un errore di fatto ed un grave difetto di motivazione del n. o. paesaggistico comunale giustamente stigmatizzati dalla Soprintendenza. Come si vede, il decreto d’annullamento, col quale l’Autorità preposta al vincolo ben può indicare le ragioni pure di merito per le quali ritiene l’intervento non sia compatibile (cfr. Cons. St., VI, 25 agosto 2017 n. 4076: id., 18 ottobre 2017 n. 4819; id., 6 settembre 2018 n. 5247), colpì il n. o. perché, in base alla serena lettura di quest’ultimo (“… l’intervento dal punto di vista paesaggistico… non contrasta con l’armonia dei luoghi, e ben s’inserisce nel contesto ambientale…”), vi fu una mera apparenza di motivazione ed il Comune, richiamando la relazione di parte, abdicò ad ogni sua capacità di valutazione, foss’anche ai meri fini descrittivi di siffatto buon inserimento.
5. – Neppure convince la violazione del termine di 60 gg. per l’esercizio del potere d’annullamento, in quanto esso è sì pacificamente inteso come limite temporale decadenziale che decorre, però, dalla ricezione, da parte della Soprintendenza, del n. o. rilasciato e della completa documentazione tecnica ed amministrativa (cfr. Cons. St., VI, 3 settembre 2013 n. 4387; id., 3 luglio 2014 n. 3368; id., 15 novembre 2017 n. 5275).
In ogni caso, nel regime transitorio di cui al ripetuto art. 159, entro la scadenza del termine stesso la competente Soprintendenza era per legge tenuta solo all’adozione, non anche alla comunicazione, dell’atto d’annullamento ai soggetti interessati. Ciò in considerazione della natura non recettizia di questo tutorio annullamento, che è espressione di cogestione attiva del vincolo paesaggistico e della conseguente ininfluenza, ai fini della sua validità, della comunicazione ai diretti interessati nell’arco temporale fissato dalla legge per l’adozione del provvedimento (cfr. Cons. St., VI, 6 maggio 2013 n. 2411; id., 30 giugno 2016 n. 2958)
Del pari, siffatto termine, benché decadenziale, può esser interrotto in caso di manifestate esigenze istruttorie o per incompletezza della documentazione trasmessa, con nuova decorrenza di esso dall’acquisizione completa dei chiarimenti richiesti e fermo restando che l’interruzione deve aver luogo prima della scadenza dell’eventuale annullamento (cfr. Cons. St., VI, 3 settembre 2013 n. 4387; id., 15 novembre 2017 n. 5275; id., 3 luglio 2014 n. 3368). Sicché non dura fatica il Collegio a dar atto all’appellante che la comunicazione d’avvio del procedimento non potesse esser riferita alla nota dell’8 maggio 2008, recante una richiesta d’integrazione documentale peraltro tardiva. Ma non è possibile seguirne l’argomentazione, allorquando lamenta la mancata ricezione della nota del 16 settembre 2007, che era onere del Comune e non della Soprintendenza, onde al primo e non alla seconda avrebbe dovuto imputare l’omissione. Il Comune di Castrignano non risulta intimato nel presente giudizio, sicché sfugge al Collegio di che si dolga l’appellante.
6. – In definitiva, l’appello va integralmente rigettato. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
Le spese del presente grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 6352/2014 in epigrafe), lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, a favore delle Amministrazioni statali resistenti e costituite, delle spese del presente grado, che sono nel complesso liquidate in Euro 4.000,00 (Euro quattromila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 4 febbraio 2021, con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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