Nel regime introdotto dall’articolo 6 del Dlgs n. 150 del 2011

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2145.

Nel regime introdotto dall’articolo 6 del Dlgs n. 150 del 2011, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione a ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma dell’articolo 3 della legge n. 742 del 1969, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli articoli 409 e 442 del Cpc. Ne consegue che, ai fini della tempestività dell’impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione (principio di diritto enunciato ai sensi dell’articolo 384, comma 1, del codice di procedura civile).

Sentenza|29 gennaio 2021| n. 2145

Data udienza 15 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Processo del lavoro – Sanzioni amministrative in materia di lavoro – Opposizione ad ordinanza ingiunzione – Rito lavoro – Sospensione dei termini processuali, nel periodo feriale (art. 3, L. n. 742/1969) – Applicabilità – Sussiste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f.

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sezione

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sezione

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10321-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI CUNEO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 979/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/01/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2020 dal Consigliere DORONZO ADRIANA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza n. 979/2017 R. Sent. della Corte d’Appello di Torino, pubblicata l’8.01/2018;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per l’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata in data 8 gennaio 2018 la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale di Asti che aveva rigettato l’opposizione proposta dall’appellante contro l’ordinanza-ingiunzione, emessa dalla Direzione territoriale del lavoro di Cuneo, per il pagamento di Euro 9.054,00e a titolo di sanzione per violazioni amministrative concernenti l’impiego non regolarizzato di alcune lavoratrici presso una vigna di sua proprieta’.
2. L’inammissibilita’ e’ stata dichiarata sul rilievo che il ricorso in appello era tardivo ai sensi dell’articolo 327 c.p.c., perche’ depositato in data 21/12/2016, ossia oltre sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza (20/5/2016).
2.1. La Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la sospensione feriale dei termini processuali dal 1 al 31 agosto del 2016, secondo quanto dispone L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 1, come novellato dal Decreto Legge 12 settembre 2914, n. 132, articolo 16, comma 2, convertito dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, e cio’ sul presupposto che la controversia in esame, oltre che essere pacificamente assoggettata al rito del lavoro (ai sensi del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 6), rientra nella nozione di causa di lavoro, ai sensi degli articoli 409 e 442 c.p.c., espressamente esclusa dall’ambito applicativo dell’articolo 1 (articolo 3 L. cit.).
2.2. La decisione e’ assunta in consapevole dissenso dall’orientamento espresso dalla sentenza di queste Sezioni unite 30/3/2000, n. 63, seguita da altre pronunce (Cass. 26/7/2001, n. 10258; Cass. 9/8/2004, n. 15376; Cass. 16/7/2007, n. 15778) e fatto proprio dalla circolare n. 56 del 24/9/2008 dell’Agenzia delle entrate, secondo cui il rito del lavoro era stato previsto dal legislatore unicamente per le controversie di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 35, comma 4, ossia per quelle controversie aventi ad oggetto violazioni consistenti nella – o da cui deriva la – omissione totale o parziale del versamento dei contributi (commi 2 e 3); per le altre violazioni, non eziologicamente legate ad omissioni contributive (comma 7), alle quali si applicava lo speciale rito di cui alla L. n. 689 del 1981, articoli 22 e 23, il relativo giudizio di opposizione – non costituendo causa di lavoro – non soggiaceva alla disciplina della L. n. 742 del 1969, articolo 3.
2.3. Secondo la Corte torinese, questo orientamento deve essere rivisto in seguito all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150 (avvenuta il 6/10/2011), il quale, dopo aver modificato la disciplina dettata dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articoli 22, 22 bis e 23, ha disposto che tutte le controversie di cui all’articolo 22 della legge citata, e tra queste le opposizione ad ordinanza – ingiunzione, siano regolate dal rito del lavoro.
2.4. Ne ha tratto la conseguenza che “il criterio per cosi’ dire “formale” dell’assoggettamento della controversia al rito del lavoro non puo’ piu’ (…) essere determinante per stabilire se la controversia rientri o meno fra quelle a cui, L. n. 742 del 1969, ex articolo 3, non si applica la sospensione dei termini nel periodo feriale”.
2.5. Deve invece recuperarsi l’orientamento precedente, meglio espresso dalla sentenza della Cass. 7/1/1998, n. 71, secondo cui il richiamo operato dall’articolo 3 cit. agli articoli 409 e 442 c.p.c. e’ alla natura della controversia, con la conseguenza che la sospensione dei termini non e’ operante tutte le volte in cui la lite, avente ad oggetto immediato l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, implichi a monte, come nel caso in esame, l’accertamento dell’esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato.
3. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con un solo motivo; il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Ispettorato territoriale del lavoro di Cuneo hanno resistito con controricorso.
3.2.- La Corte ha ritenuto che la questione oggetto del presente giudizio – e riassunta nella domanda, cosi’ prospettata nell’ordinanza, “se le cause di opposizione avverso le ordinanze ingiunzioni in materia di sanzioni per il lavoro, cui si applica oggi il rito del lavoro ai sensi del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, vadano considerate, nel nuovo contesto normativo, controversie di lavoro ex articolo 409 c.p.c., alle quali si applica la L. n. 742 del 1969, articolo 3, che esclude la sospensione feriale dei termini per “per le controversie previste dagli atti 429 e 459 (oggi 409 e 442) del c.p.c.”” meriti un ripensamento.
3.3. Secondo l’ordinanza di rimessione, la nuova disciplina ha inciso sulla stessa base normativa delineata in questa materia dalla L. n. 689 del 1981, articolo 35, commi 2, 3, 4 e 7, eliminando la distinzione tra rito speciale del lavoro, previsto per le opposizioni alle ordinanze ingiunzioni aventi ad oggetto l’omissione di contributi e premi o da cui deriva l’omissione di contributi e premi (comma 4), e rito speciale in materia (piu’ genericamente) di opposizioni a sanzioni amministrative lavoristiche e previdenziali (comma 7).
3.4. Nel mutato contesto normativo, secondo l’ordinanza di rimessione, la previsione contenuta nel Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, – a norma del quale “Le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 22, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo” -, elimina ogni distinzione tra i due riti perche’ tutte le opposizioni sono oggi soggette al rito del lavoro. Pertanto, l’unico criterio idoneo a stabilire se vi siano e quali siano le controversie, nella materia in esame, assoggettate o meno alla disciplina della sospensione feriale non puo’ che essere un criterio di ordine sostanziale, il quale va necessariamente ricavato dagli articoli 409 e 442 c.p.c.. E poiche’ l’articolo 409 c.p.c., ha per oggetto le controversie “relative a rapporti di lavoro subordinato”, sono controversie di lavoro non soltanto quelle che nel rapporto di lavoro trovano la loro causa petendi o il petitum, ma anche quelle in cui il rapporto di lavoro si presenta come antecedente e presupposto necessario, non meramente occasionale.
3.5. – La causa e’ stata assegnata alle Sezioni Unite di questa Corte. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
In prossimita’ dell’udienza il Ministero del lavoro ha depositato
memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 409, 434 e 442 c.p.c., L. n. 742 del 1969, articoli 1 e 3 e Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6 e assume l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui la Corte d’appello di Torino ha escluso l’applicabilita’ della sospensione feriale dei termini alla fattispecie in esame (opposizione ad ordinanza-ingiunzione) in considerazione del rito applicabile (ossia del lavoro) e della materia del contendere (sanzioni amministrative irrogate dall’Ispettorato territoriale del lavoro per irregolarita’ nell’assunzione di due lavoratori): secondo il ricorrente, tale affermazione si pone in contrasto con i principi espressi dalle Sez. Un. nella sentenza n. 63/2000 e dalla successiva consolidata giurisprudenza, secondo cui lo “spartiacque” tra le opposizioni per le quali e’ applicabile la sospensione feriale e quelle alle quali non e’ applicabile e’ dato non dalla materia cui inerisce la controversia ne’ dal tipo di rito, bensi’ dalla L. n. 689 del 1981, articolo 35, il quale aveva ed ha per oggetto solo “l’opposizione ad ordinanze ingiunzioni emesse per violazioni consistenti nella – o da cui deriva la omissione totale o parziale del versamento dei contributi”.
Solo per queste controversie, dunque, deve essere esclusa la sospensione feriale. Il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, incidendo unicamente sul rito, nulla ha disposto sotto il profilo sostanziale e, in particolare, sull’applicabilita’ della L. n. 742 del 1969, articolo 1.
2. Il motivo e’ fondato.
E’ opportuno riepilogare il quadro normativo e giurisprudenziale prima del Decreto Legislativo n. 150 del 2011.
2.1. La L. n. 742 del 1969, articolo 3, esclude dalla sospensione dei termini, tra le altre, le “controversie previste dagli articoli 429 e 459 (ora 409 e 442) c.p.c.”.
L. n. 689 del 1981, articolo 35, prevede, al comma 4, che l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione emessa dagli enti previdenziali per violazioni consistenti in omissioni contributive (comma 2) o eziologicamente connesse a tali omissioni (comma 3) si propone al pretore (poi soppresso a decorrere dal 1 giugno 1999 e sostituito dal tribunale) in funzione di giudice del lavoro con il rito di cui agli articoli 442 e seg. c.p.c..
Lo stesso articolo 35, al comma 7, prevede per le violazioni alle leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie che non consistono nell’omesso o parziale versamento di contributi e premi, o che non sono allo stesso connesse a norma del comma 3, l’applicazione delle disposizioni previste dalla L. n. 689 del 1981.
2.2. Nell’ambito della materia del lavoro e della previdenza, la disciplina delineata dalla L. n. 689 del 1981 (articolo 35) imponeva di distinguere tre differenti tipologie di ordinanze-ingiunzioni assoggettate a due riti differenti: 1) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie consistenti nell’omissione di contributi e premi o da cui deriva l’omissione di contributi e premi (comma 4), assoggettate al rito del lavoro; 2) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie non consistenti nell’omissione di contributi e premi ne’ connesse ad omissioni contributive, assoggettate allo speciale rito disciplinato dalle sezioni I e II del Capo I della L. n. 689 del 1981 (comma 7); 3) l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a violazioni in materia di lavoro, anch’essa soggetta al rito speciale di cui alla L. n. 689 del 1981.
2.3. Per il vero, quest’ultima residuale categoria di opposizioni non e’ espressamente contemplata nell’articolo 35: si e’ pero’ affermato che “una piana applicazione del canone ermeneutico inclusio unius est esclusio alterius, unitamente al rilievo dell’identita’ del rito che caratterizza i giudizi in tale materia ed in quella previdenziale, implica come conseguenza necessaria che, in ogni ulteriore ipotesi di violazione amministrativa afferente all’area delle situazioni giuridiche passive correlate a rapporti di lavoro in atto, pregressi o costituendi, non possa non valere lo stesso criterio, enunciato dal detto comma 7 dell’articolo 35, di riconducibilita’ del giudizio di opposizione alla disciplina processuale dettata dalla legge speciale. Il principio generale e’, dunque, quello della prevalenza di tale disciplina e della previsione di ipotesi eccezionali di prevalenza del rito del lavoro” (Cass. Sez.Un. 30/3/2000, n. 63).
2.4. Con la sentenza n. 63/2000, le Sezione Unite non si sono limitate ad individuare nell’articolo 35 L. cit. una norma meramente ricognitiva del rito; ma gli hanno attribuito anche “la funzione di valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione”.
Affermano, infatti, le Sezione unite che “l’espressa eccezione di limitata prevalenza del rito del lavoro non e’ sancita prescindendo dalla rilevanza della materia controversa, ma, giusta le disposizioni riferite, soltanto per effetto della specifica considerazione di essa e del suo estendersi al tema dell’adempimento dell’obbligazione contributiva, come oggetto diretto ed immediato del giudizio o come conseguenza della violazione di cui trattasi… In sintesi, sussiste una valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione come non rientrante, con esclusione dei soli casi sopra indicanti, nel novero delle controversie di cui agli articoli 409 e 442 c.p.c.: cio’ che preclude qualsiasi possibilita’ di ricorso a criteri “ontologici” diversi.”. In sostanza, secondo la sentenza n. 63/2000, l’attribuzione alle controversie di opposizione riguardanti omissioni contributive della qualifica di controversie di lavoro costituisce un’eccezione, frutto di una scelta discrezionale del legislatore che non consente una sua estensione a ipotesi diverse.
Si aderisce cosi’ all’indirizzo gia’ tracciato da Cass. 28/3/1997, n. 2830 e da Cass. 13/7/1998, n. 6865, e, prima ancora da Cass. 22/10/1991, n. 11196; Cass. 12/5/1995, n. 5231; Cass. 5/8/1996, n. 7146.
2.5. Tale valutazione e’ in linea con l’anteriore e coeva giurisprudenza delle Sezioni Unite che, con riguardo alle cause di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, ne hanno individuato e fissato l’oggetto nell’accertamento negativo della legittimita’ dell’atto opposto e della pretesa sanzionatoria dell’amministrazione: l’esatto richiamo e’ alla sentenza di Cass. Sez.Un. 12/6/1982, n, 3542, meglio precisata con la successiva Cass. Sez.Un. 19/4/1990, n. 3271, secondo cui “Il giudizio concerne (…) innanzitutto, la legittimita’ formale e sostanziale del provvedimento (con la conseguenza che all’esame del merito delle questioni relative all’infrazione non e’ dato pervenire quando ricorrono determinati vizi in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi all’invalidazione di esso); ed eventualmente (in difetto, cioe’, di impedimenti dirimenti del tipo ora indicato), dal suddetto accertamento negativo, che diviene cosi’ esclusiva materia della lite, secondo la specifica causa petendi che sostiene l’atto introduttivo”.
2.6. In questa prospettiva, la tesi dell’inapplicabilita’ della sospensione dei termini processuali, nei casi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione collegata alla materia del lavoro o della previdenza, non puo’ utilmente fondarsi sul richiamo alla giurisprudenza che identifica, come cause rientranti nel novero di quelle elencate dagli articoli 409 e 442 c.p.c., non solo le controversie relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro (o previdenziale), ma anche altre, nelle quali la pretesa fatta valere in giudizio si ricollega direttamente a tale rapporto, come ad un antecedente o presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale. “E’, invero, palese, nell’esposto ordine di idee, che, nel caso in esame, viene in rilievo un collegamento col rapporto di lavoro, non di questa natura, ma meramente occasionale, poiche’, rispetto all’accertamento negativo della legittimita’ della pretesa punitiva dell’amministrazione pubblica, il rilevante presupposto, diretto e necessario, si esaurisce tutto nella titolarita’ della funzione di vigilanza e di repressione affidata all’amministrazione pubblica, mentre e’ indifferente il settore dell’ordinamento nei cui confronti il comportamento integrativo della violazione produce il suo vulnus” (cosi’ ancora Cass. Sez. Un. 63/2000).
2.7. Il principio dell’applicabilita’ della sospensione dei termini al procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione concernente l’applicazione di sanzioni in materia lavoristica e’ stato seguito, senza significativi scostamenti, da Cass. 17/6/2000, n. 8280, Cass. 26/07/2000, n. 9830, Cass. 26/7/2001, n. 10258, nelle quali si e’ rimarcata la vis actrattiva del rito previsto dalla L. n. 689 del 1981, articolo 35, sulla qualificazione della natura delle controversie: si e’ cioe’ ribadito che la scelta del procedimento e’ espressione (anche) di una volonta’ classificatoria del legislatore, volta a negare alle opposizioni in esame (fatta eccezione per le ipotesi espressamente previste nell’articolo 35, comma 4 L. cit.) natura di controversie ex articoli 409 e 442 c.p.c. (vedi pure Cass. 21/12/2001, n. 16154; Cass. 10/01/2003, n. 240; Cass. 27/08/2003, n. 12576; Cass. 8/5/2006, n. 10452; Cass. 22/7/2008, n. 20189; Cass. 26/2/2009, n. 4651).
2.8. Piu’ di recente si e’ poi espressa Cass. 9/04/2018, n. 8673, la quale, tuttavia, dovendosi confrontare con il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6 (su cui v. oltre), ha abbandonato il dato “formale” del rito e abbracciato il diverso criterio “ontologico”, pure espresso dalle Sezioni unite, fondato sulla natura della controversia: si e’ cosi’ ribadito l’assunto secondo cui “nei giudizi di opposizione all’ordinanza di irrogazione di una sanzione amministrativa l’oggetto del contendere e’ costituito dalla esistenza o meno dei presupposti per l’esercizio della potesta’ sanzionatoria pubblica; il collegamento con il rapporto di lavoro subordinato e’, invece, soltanto indiretto poiche’ cio’ che rileva – e che costituisce il tratto comune dell’esercizio della potesta’ sanzionatoria – e’ la reazione all’illecito amministrativo e non il settore dell’ordinamento in cui siffatta violazione si consuma”.
3. Come si e’ anticipato, il quadro normativo descritto e’ stato modificato dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, attuativo della delega conferita al Governo dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 54, per la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.
Il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, da una parte, ha ribadito la devoluzione al tribunale (senza aggettivi) piuttosto che al giudice di pace, tra le altre, di tutte le cause in materia di “a) di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro; b) di previdenza e assistenza obbligatoria”, cosi’ confermando quanto gia’ disposto dal legislatore nel Decreto Legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, che, con l’articolo 98, ha introdotto nella L. n. 689 del 1981, l’articolo 22 bis (poi abrogato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34); dall’altra, ha disposto che “Le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 22, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo” (comma 1).
3.1. Il decreto legislativo ha poi sostituito la L. n. 689 del 1981, articolo 22, il quale e’ ora cosi’ formulato: “Salvo quanto previsto dal Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, articolo 133, e da altre disposizioni di legge, contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all’autorita’ giudiziaria ordinaria. L’opposizione e’ regolata dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 6” (Decreto Legislativo cit. articolo 34); ha abrogato i commi dal secondo al settimo della L. cit., articolo 22, nonche’ la L. cit., articoli 22 bis e 23, i quali disciplinavano, rispettivamente, l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, la competenza per il giudizio di opposizione e lo stesso giudizio di opposizione.
3.2. Con tali interventi il legislatore, ispirato da un’evidente finalita’ di semplificazione, ha ricondotto a una disciplina unitaria, quanto al rito, le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alle ordinanze-ingiunzioni, privilegiando il modello del processo del lavoro: attualmente, pertanto, non e’ piu’ consentito distinguere, come ancora previsto dalla L. n. 689 del 1981, articolo 35, tra rito del lavoro, applicabile alle opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni emesse per violazioni legate ad omissioni contributive o di premi, e rito speciale previsto dalle disposizioni delle sezioni I e II del capo I, della L. n. 689 del 1981, applicabile a tutte le altre violazioni in materia previdenziale e lavoristica.
3.3. L’ordinanza interlocutoria valorizza questa modifica normativa e assume che essa rende non piu’ vera la premessa logica del ragionamento delle Sezioni Unite n. 63/2000, ossia il postulato secondo cui il legislatore, attraverso la scelta dei riti, avrebbe operato “una valutazione legale tipica della natura della causa di opposizione”.
3.4. In particolare si sottolinea come l’argomento formale desunto dalla previsione di due riti diversi (L. n. 689 del 1981, articolo 35) non sia piu’ attualmente sostenibile, “salvo voler affermare che, per effetto del trascinamento dello stesso rito del lavoro, a tutte le controversie in materia di opposizione alle ingiunzioni (per le piu’ eterogenee materie) si applichi la medesima disciplina della sospensione dei termini prevista soltanto per le controversie del lavoro, della previdenza ed assistenza. Oppure, per converso, sostenere che non si applichi piu’ a nessuna delle predette controversie la sospensione dei termini per effetto dell’estensione a tutte del medesimo rito lavoristico. O, ancora, voler ipotizzare un’illegittima ultrattivita’ della normativa processuale precedente e continuare a distinguere ai fini della sospensione feriale dei termini tra ordinanze ingiunzioni in materia di previdenza (consistenti in omissioni di premi o connesse o non consistenti) ed ordinanze ingiunzioni in materia di lavoro (ed in generale in materie differenti dall’uno e dall’altro settore)”.
3.5. La riconduzione di tutte le opposizioni a un unico rito fa dunque riemergere la necessita’ di individuare un criterio di distinzione tra i vari tipi di opposizione. E il criterio non puo’ che essere, sempre secondo l’ordinanza interlocutoria, di ordine sostanziale, necessariamente ricavato dagli articoli 409 e 442 c.p.c..
E al riguardo, si sostiene che il legislatore ha previsto nessi via via piu’ intensi tra apparato sanzionatorio nella materia del lavoro e diritti individuali del lavoratore, attraverso una serie di misure che hanno valenza non solo afflittivi ma anche riparatoria e ripristinatoria della situazione di illiceita’, e, pertanto, con ricadute dirette sui diritti dei lavoratori. Continuare a reputare le controversie sulle sanzioni lavoristiche come estranee all’ambito degli articoli 409 e ss. c.p.c., sarebbe contraddittorio a fronte delle rilevanti trasformazioni del diritto del lavoro apportate dalle recenti riforme (si citano come esempi Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, articolo 2 e il Decreto Legge 3 settembre 2019, n. 101, conv. in L. 2 novembre 2019, n. 128, in materia di collaborazioni etero-organizzate, nonche’ il Decreto Legislativo 23 aprile 2004, n. 124, articoli 12, 13 e 14 e il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 14).
4. La tesi, seppur motivata con ampiezza e ricchezza di argomenti, non puo’ essere seguita, ritenendo il collegio di dover dare continuita’ all’orientamento segnato dalle Sezioni Unite n. 63/2000.
4.1. Va da subito segnalato che il rinvio al rito del lavoro compiuto dal legislatore della riforma del 2011 (articolo 6) non e’ integrale, ma vede la rilevante esclusione di una serie di norme, a significare la volonta’ del legislatore di considerarlo come semplice modello di riferimento e non anche come strumento di tutela differenziata di una parte del processo ritenuta ontologicamente piu’ debole.
In tal senso, e’ chiara la L. 18 giugno 2009, n. 69, di delega al Governo per la riduzione e semplificazione dei riti, che, nel dettare i principi e i criteri direttivi, ha disposto che siano ricondotti al procedimento disciplinato dal libro II, titolo IV, capo I, sezione seconda del codice di procedura civile, i procedimenti in cui sono “prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita’ dell’istruzione” (articolo 54, comma 4, lettera b), n. 1), senza alcun riferimento alla natura delle posizioni giuridiche sostanziali.
4.2. Il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, nell’ambito della delega ricevuta, dopo aver specificato cosa si intende per rito del lavoro, con riferimento a quello regolato dagli articoli 413 e ss., – con esclusione quindi delle disposizioni di cui agli articoli da 409 a 412 c.p.c. (articolo 1, lettera b) -, ha espressamente ritenuto non applicabili alle controversie disciplinate dal capo II (quindi anche dall’articolo 6), “salvo che siano espressamente richiamati, l’articolo 413, articolo 415 c.p.c., comma 7, articoli 417, 417-bis e 420-bis c.p.c., articolo 421 c.p.c., comma 3, articoli 425, 426 e 427 c.p.c., articolo 429 c.p.c., comma 3, articolo 431, dal comma 1 al comma 4 e comma 6, articolo 433 c.p.c., articolo 438 c.p.c., comma 2, e articolo 439 c.p.c.”.
Ha poi disposto che l’ordinanza prevista dall’articolo 423 c.p.c., comma 2, puo’ essere concessa su istanza di ciascuna parte (e non piu’ del solo lavoratore); che l’articolo 431, comma 5, sulla provvisoria esecutivita’ della sentenza, si applica alle sentenze di condanna a favore di ciascuna delle parti; che, infine, salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’articolo 421 c.p.c., comma 2, non possono essere esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile (articolo 2).
4.3. Si tratta di disposizioni che, per la gran parte, presuppongono che la causa sia di lavoro, volte come sono ad offrire una tutela in una certa misura privilegiata al lavoratore.
4.4. In tal senso si esprime la relazione di accompagnamento al decreto legislativo, in cui, con riguardo alle norme del processo del lavoro escluse, si legge che si tratta di disposizioni “oggettivamente incompatibili con le materie diverse da quelle indicate dall’articolo 409 c.p.c.”, che si giustificano solo “in virtu’ dell’esigenza di garantire un particolare favore nei confronti del lavoratore, anche in considerazione della peculiare connessione, nel rapporto di lavoro, dei diritti del lavoratore con i diritti della personalita’, quale il diritto a una esistenza libera e dignitosa sancito dall’articolo 36 Cost.”.
4.5. Deve aggiungersi che l’articolo 6 del Decreto Legislativo cit. prevede anche una serie di disposizioni processuali che richiamano nella sostanza la vecchia disciplina contenuta nella L. n. 689 del 1981, articoli 22, 22-bis e 23, e abrogata: ne viene fuori un processo in cui il modello disegnato dagli articoli 409 e ss. c.p.c., funge solo da sfondo, “corretto” e “aggiustato” allo scopo di adattarlo alle peculiarita’ delle controversie contemplate dai successivi articoli da 6 a 13.
4.6. Il rinvio al processo del lavoro e’ dunque una scelta meramente processuale, che accorpa controversie assai eterogenee e che prescinde dalla natura e dal contenuto delle situazioni giuridiche sostanziali. In altri termini e per quanto qui rileva, il processo che nasce dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011 non e’ pensato perche’ sono in gioco controversie individuali di lavoro secondo il disposto dell’articolo 409 c.p.c..
4.7. In questo quadro, in cui ben si apprezza la distinzione, gia’ illustrata da autorevole dottrina, tra “rito del lavoro” e “rito delle controversie di lavoro”, si comprende il perche’ il legislatore del 2011 non abbia ritenuto di richiamare la L. n. 742 del 1969, articolo 3, che esclude la sospensione feriale dei termini processuali dal 1 agosto al 15 settembre in materia di cause di lavoro.
4.8. Sotto questo aspetto, deve convenirsi con l’ordinanza interlocutoria, secondo cui la scelta del modello processuale e’ in un certo senso “neutra” rispetto alla qualificazione della natura della controversia, che pertanto diventa passaggio logico ineludibile per stabilire se essa abbia sostanziale natura di “controversia individuale di lavoro”, ai fini dell’applicazione della L. n. 742 del 1969, articolo 3.
E si puo’ pure concordare con il rilievo che le ragioni espresse nella sentenza delle Sezioni unite n. 63/2000, sulla incidenza del rito a fini qualificatori della natura della controversia, abbiano perso di attualita’. 5. Tuttavia, l’opzione delle Sezioni Unite sulla natura non di lavoro delle controversie per violazioni diverse da quelle contributive non e’ meramente consequenziale alla scelta del rito “speciale” adottata dal legislatore, ne’ e’ vero che essa sia stata espressa solo a scopo rafforzativo, quasi un obiter dictum, della tesi fondata sul dato positivo della L. n. 689 del 1981, articolo 35, dal quale poteva evincersi la natura meramente residuale del rito del lavoro.
Essa e’ fondata su argomenti dotati di piena autonomia.
Anzi, a ben guardare, i termini del ragionamento sono esattamente inversi, nel senso che, per le Sezioni Unite, proprio il fatto che il legislatore abbia attribuito limitata prevalenza al rito del lavoro dimostra che, per lo stesso legislatore, quelle controversie e solo quelle controversie, in quanto connesse all’adempimento dell’obbligazione contributiva, sono cause di lavoro; in mancanza di questa connessione, viene meno la rilevanza del legame tra illecito amministrativo e materia lavoristica o previdenziale, e assume invece “esclusiva rilevanza individuatrice della natura della lite” il “tema della verifica della legittimita’ della pretesa espressa dal provvedimento sanzionatorio, quale minimo denominatore comune di ogni azione giudiziaria finalizzata all’accertamento negativo della responsabilita’ a tale provvedimento sottesa”.
La scelta del rito e’ dunque la conseguenza, non gia’ la causa, di una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore.
5.1. Come gia’ detto, le Sezioni Unite n. 63/2000 (e da ultimo, Cass. n. 8673/2018 cit.), in linea con i propri precedenti (v. supra sub 2.5.), definiscono l’oggetto del giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione come “accertamento negativo della pretesa sanzionatoria della amministrazione”: l’oggetto non muta con riguardo alle opposizioni ad ingiunzioni per il pagamento di sanzioni lavoristiche. Cio’ che invero rileva in questi giudizi e’ “la reazione all’illecito, che, in quanto tale, si propone con uguale strumentalita’ al ripristino dell’ordine violato ed alla connessa tutela dell’interesse generale all’effettivita’ della regola dettata dalla norma giuridica della cui osservanza, di volta in volta, si tratta” (Cass. n. 63/2000), restando invece indifferente il settore dell’ordinamento inciso dal comportamento integrativo della violazione.
5.2. Tali principi non appaiono superati ne’ contraddetti dalla giurisprudenza successiva, in cui si e’ affermato che “in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice” (Cass. Sez.Un., 28/1/2010, n. 1786; Cass. 16/2/2016, n. 2959; Cass. 21/05/2018, n. 12503; Cass. 10/10/2018, n. 25124).
Si tratta di pronunce nelle quali, nel valutare l’ambito di ammissibilita’ dei vizi di motivazione del provvedimento sanzionatorio, si e’ specificato che il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto della P.A., che pur resta il “veicolo di accesso” al giudizio, ma il rapporto sottostante, con conseguente cognizione piena del giudice – che potra’ (e dovra’) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri (Cass. 10/5/2010, n. 11280; Cass. 16/2/2016, n. 2959).
5.3. Ma per rapporto sottostante, si e’ precisato, deve intendersi il rapporto sanzionatorio, ossia quello vertente sull’accertamento della conformita’ della sanzione ai casi, alle forme e all’entita’ previsti dalla legge, atteso che si fa valere il diritto a non essere sottoposto a una prestazione patrimoniale se non nei casi espressamente previsti dalla legge (cosi’ Cass. Sez. Un. 1786/2010, cit.).
5.4. L’affermazione e’ in linea anche con gli approdi della dottrina secondo cui, benche’ i procedimenti in esame siano strutturati come giudizi tipicamente impugnatori, l’oggetto del giudizio va individuato nel rapporto, di diritto sostanziale, tra cittadino e amministrazione.
E non si manca di sottolineare, sia in dottrina che in giurisprudenza, che i giudizi di opposizioni contro le sanzioni amministrative costituiscono un corpus omogeneo a se’ stante, retto da norme sostanziali e processuali proprie, in ragione della peculiarita’ dell’oggetto.
5.5. Che il thema decidendum sia da individuarsi nell’accertamento della fattispecie produttiva dell'”effetto giuridico tra P.A. e cittadino, consistente nell’obbligo del secondo di pagare una somma di denaro alla prima”, e’ confermato da una serie di norme di carattere generale, contenute nella L. n. 689 del 1981, articoli da 1 a 12, le quali valgono per l’interpretazione del regime sostanziale dell’illecito e della sanzione amministrativa.
5.6. Inoltre, la natura lato sensu impugnatoria del giudizio incide direttamente sull’ambito della cognizione del giudice, che e’ segnato dalle ragioni poste a base della domanda di annullamento e che costituiscono la causa petendi del giudizio: esse devono risultare dal ricorso introduttivo, mentre, per converso, l’amministrazione opposta non puo’ dedurre, a sostegno della sua pretesa, motivi e circostanze diversi da quelli cristallizzati nel provvedimento; ne’ il giudice puo’, d’ufficio, rilevare ragioni di nullita’ del provvedimento opposto o del procedimento amministrativo diverse da quelle dedotte dall’opponente, salve le ipotesi di inesistenza o violazione del principio di legalita’ ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 1 (v. Cass. 16/4/2010, n. 9178; Cass. 16/07/2010, n. 16764; Cass. 14/03/2017, n. 6505; cfr. anche Corte Cost. n. 171/2017; Cass. 18/04/2018, n. 9538).
5.7. La peculiarita’ del giudizio di opposizione e’ ravvisabile anche nella regola di riparto degli oneri probatori, che vede l’amministrazione gravata della prova del fatto costitutivo del suo diritto, ossia dei presupposti fattuali dell’illecito amministrativo e della corretta applicazione della sanzione, mentre l’opponente e’ tenuto solo a dimostrare i fatti impediti, modificativi ed estintivi dell’effetto giuridico dedotto in giudizio, come si evince dalla L. cit., articolo 6, comma 11, e articolo 7, comma 10, secondo cui “il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilita’ dell’opponente” (v. Cass. ord. 24/1/2019, n. 1921).
6. La struttura tendenzialmente unitaria del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative altro non e’ che il riflesso dell’autonomia, nel nostro ordinamento, dell’istituto della sanzione amministrativa che, superata la logica che la voleva ricondotta ora alla disciplina dell’illecito penale ora a quella dell’illecito civile, ha trovato nella L. 24 novembre 1981, n. 689 una sua definitiva e organica sistemazione ed una configurazione giuridica sua propria.
6.1. Non vi e’ dubbio che la sanzione sia collegata alla violazione di un precetto e che tale precetto si innesti, nella gran parte dei casi, su un rapporto giuridico sottostante che puo’ trarre origine da realta’ giuridiche assai diverse: cio’ che tuttavia rileva nei giudizi in esame e’ l’infrazione, laddove la situazione non conforme al diritto cui l’amministrazione e’ tenuta a porre rimedio costituisce un mero antecedente di fatto.
6.2. L’autonomia concettuale della sanzione amministrativa non e’ esclusa dalla presenza nel nostro ordinamento di diverse categorie di sanzioni, le quali, tuttavia, costituiscono pur sempre un blocco a se’ stante, a prescindere dalla vicenda fattuale da cui l’illecito deriva:
significativo e’ il riferimento al Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, articolo 133, che alla lettera f) ed I), devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle sanzioni in materia di “edilizia ed urbanistica”, le quali rimangono cosi’ estranee alla disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011 (v. L. n. 689 del 1981, articolo 22, come modificata dal Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, articolo 34), e cio’ indipendentemente dalla consistenza della posizione giuridica sostanziale – sia essa di diritto soggettivo o di interesse legittimo – ad esse sottesa.
6.3. Pur nelle peculiarita’ proprie, rimane una omogeneita’ di fondo, riassumibile nella nozione, elaborata dalla dottrina tradizionale, di sanzione come reazione della pubblica amministrazione alla violazione di un precetto, finalisticamente orientata alla prevenzione generale e speciale.
7. Cio’ non esclude che, nell’ipotesi in cui ritenga che sussistano, per violazioni commesse in un determinato settore, ragioni che giustifichino una diversa disciplina, di maggiore o minore rigore, il legislatore possa prevederla senza per cio’ solo incorrere nella violazione del precetto costituzionale (cfr. in tal senso, Corte Cost. 171/2017, cit., sulla questione di legittimita’ costituzionale, con riferimento all’articolo 3 Cost., comma 1, della L. n. 689 del 1981, articolo 8, comma 2, – inserito dal Decreto Legge 2 dicembre 1985, n. 688, articolo 1-sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 gennaio 1986, n. 11, – nella parte in cui limita la continuazione, ed il conseguente cumulo giuridico delle sanzioni, alle sole violazioni di leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie; v. anche Corte Cost. 193/2016, in cui si sottolinea che, nell’ambito del sistema sanzionatorio amministrativo, complessivamente considerato, il legislatore gode di una certa discrezionalita’ nel prevedere una disciplina specifica, in base alla peculiarita’ degli interessi tutelati, la quale proprio per tale peculiarita’ non si presta a diventare da eccezione a regola).
7.1. In questa prospettiva, appare giustificata e non irrazionale la scelta del legislatore di mantenere ferma la distinzione tra violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, consistenti nell’omissione totale o parziale del versamento dei contributi e premi o eziologicamente legate agli obblighi contributivi, da un lato, e violazioni, pure nella stessa materia del lavoro e della previdenza, che non riguardano omissioni contributive.
La L. n. 689 del 1981, articolo 35, non e’ stato espressamente abrogato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 34 e, pur non sottacendosi le difficolta’ di coordinamento di tale disposizione con il Decreto Legislativo n. 150 del 2011, deve ritenersi attualmente in vigore la norma nella parte in cui mantiene la detta distinzione.
7.2. La ragione della sua sopravvivenza puo’ rintracciarsi nel fatto che, in questo tipo di liti, come opportunamente evidenziato dal Sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, vi e’ una duplicita’ di oggetto: da un lato, la sanzione e, dall’altro, il pagamento dei contributi non versati.
Si fa cosi’ piu’ evidente il legame con il rapporto di lavoro e piu’ avvertita l’esigenza di tutela differenziata rispetto alle altre opposizioni in materia lavoristica, ove si consideri che l’inadempimento degli obblighi contributivi incide sul diritto del lavoratore alla integrita’ della sua posizione previdenziale.
7.3. Non e’ in discussione l’autonomia del rapporto oggetto del giudizio di opposizione, che vede come uniche parti l’amministrazione previdenziale e il datore di lavoro, rispetto al rapporto contrattuale che intercorre tra datore e lavoratore: puo’ darsi ormai come acquisito il concetto che il rapporto giuridico previdenziale non e’ un rapporto unico, cosiddetto trilatero tra i diversi soggetti coinvolti – soggetto assicuratore, soggetto assicurato, soggetto assicurante -, bensi’ una pluralita’ di rapporti bilaterali (v. Cass. Sez. Un. 17/1/2003, n. 683; Cass. 14/2/2014, n. 3491), e tra questi vi e’ quello che vede per soggetto attivo l’istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi nella loro interezza e delle sanzioni connesse alle violazioni addebitate.
Cio’ altro non e’ che il riflesso della necessaria distinzione del rapporto assicurativo, che ha esclusiva fonte nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo (Cass. Sez. Un. 683/2003, cit., ed ivi ulteriori richiami).
7.4. Anche in tali controversie, quindi, l’oggetto rimane il corretto esercizio della potesta’ sanzionatoria dell’ente previdenziale assicuratore, ne’ si attenua la finalita’ generai preventiva e comminatoria della sanzione, ma accanto ad essa si pone anche una finalita’ piu’ propriamente recuperatoria, che non puo’ non riverberarsi anche sulla posizione giuridica del lavoratore. E cio’ quand’anche la contribuzione omessa o controversa sia irrilevante ai fini dell’ottenimento della prestazione previdenziale, o quest’ultima non sia ancora esigibile.
8. Le peculiarita’ di queste controversie sorreggono dunque la scelta del legislatore di includerle nel novero delle controversie di lavoro alle quali non si applica il regime della sospensione feriale dei termini prevista dalla L. n. 742 del 1969, articolo 1.
Si tratta di una opzione che ha superato anche il vaglio di legittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost.: la Corte costituzionale, con le ordinanze n. 61 del 1985 e n. 61 del 1992 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 742 del 1969, articolo 3, nella parte in cui esclude la sospensione dei termini feriali anche per i procedimenti di opposizione a decreti ingiuntivi emessi per mancato versamento di contributi previdenziali, sul rilievo dell’identita’ di ratio sottesa alla disciplina unitaria della L. n. 742 del 1969, articolo 3, in quanto la sollecita definizione di queste ultime risponde all’esigenza di procurare agli enti stessi la disponibilita’ dei mezzi finanziari occorrenti per fornire le prestazioni dovute.
8.1. Analoghe esigenze non sono invece ravvisabili nelle controversie aventi ad oggetto l’esercizio della pretesa punitiva dello Stato per violazioni amministrative di tipo diverso, rispetto alle quali, come e’ stato evidenziato dal Pubblico Ministero, l’inapplicabilita’ della sospensione non trova adeguata giustificazione e finirebbe cosi’ per introdurre una irrazionale disparita’ di trattamento tra presunti trasgressori.
9. I principi espressi dalle Sezioni Unite n. 63/2000, qui condivisi, non sono in contrasto con il sistema, ne’ incorrono nelle contraddizioni segnalate nell’ordinanza interlocutoria.
9.1. Certamente, non e’ messo in discussione il cosiddetto criterio “sostanziale”, secondo cui sono cause di lavoro, non soggette alla sospensione feriale, quelle in cui e’ controverso un credito di lavoro o previdenziale, mentre e’ irrilevante il rito (fallimentare, monitorio) attraverso cui esso viene fatto valere (Cass. 24/8/2018, n. 21163; Cass. Sez. Un. 24/11/2009, 24665; Cass. Cass. Sez. Un. 5/5/2017, n. 10944).
Si tratta di principi consolidati che, benche’ per lo piu’ espressi in tema di fallimento, mostrano un respiro piu’ ampio, atteso che si conferma che la sospensione dei termini, pur applicandosi in via generale ai giudizi per l’accertamento dei crediti concorsuali (Regio Decreto n. 12 del 1941, ex articolo 92 e della L. n. 742 del 1969, articoli 1 e 3), non opera in quelli in cui si controverta dell’ammissione allo stato passivo dei crediti di lavoro, benche’ da trattarsi con il rito fallimentare, in ragione della materia che ne forma l’oggetto.
9.2. Con la stessa coerenza e con specifico riferimento alle opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni per sanzioni non afferenti a materia di lavoro, si e’ affermato che l’esclusione della sospensione feriale dei termini prevista dalla L. n. 742 del 1969, articolo 3, per le controversie di lavoro non dipende dal rito da cui la causa e’ disciplinata, ma si riferisce alla sua natura e che, pertanto, le controversie in materia di opposizione a ordinanza-ingiunzione emesse in diversa materia, sebbene regolate dal rito del lavoro ex Decreto Legislativo n. 150 del 2011, restano soggette alla sospensione feriale dei termini (Cass. n. 8673/2018, cit. in materia di assunzione e disciplina del lavoro subordinato; Cass. 10/05/2017, n. 11478, e Cass. 22/02/2017, n. 4652, in tema di violazioni al codice della strada; Cass., 2/11/2015, n. 22389, in tema di protezione dei dati personali). 10. Neppure e’ in dubbio che la qualificazione della controversie in esame non attenga solo al profilo della sospensione feriale, ma incida su aspetti processuali non meno cruciali, quali quelli del regime fiscale (Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 9 e 13), delle spese processuali (articolo 152 bis disp. att. c.p.c.), della ripartizione degli affari interna all’ufficio giudiziario: sotto quest’ultimo profilo, si e’ sottolineato che, a seconda che si ritengano tali controversie rientranti o non nel novero di quelle di lavoro e di previdenza, mutano i criteri di assegnazione, investendo ora il giudice del lavoro ora il giudice civile, con evidenti riflessi sulla specializzazione funzionale dell’organo decidente, sui possibili contrasti di giudicato, sulla maggiore celerita’ del processo. Ma anche l’esame di queste “ricadute” non conduce ad una soluzione difforme rispetto alla sentenza delle Sezioni Unite n. 63/2000.
10.1. Partendo dalla terza, che sembra aver maggiormente orientato la scelta dell’ordinanza di rimessione, ossia dalla opportunita’ che tutte le opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni lavoristiche, in quanto (asseritamente) controversie di lavoro, siano attribuite al giudice specializzato del lavoro, e’ sufficiente rilevare che la questione incide non gia’ sulla sfera di competenza del giudice ma su semplici modalita’ organizzative del lavoro all’interno degli uffici giudiziari.
10.2. I precedenti giurisprudenziali citati nell’ordinanza a sostegno della sua tesi (Cass. 18/1/2008, n. 1062; Cass.5/3/2004, n. 4564), entrambe’, aventi ad oggetto controversie non collegate ad omissioni contributive, non affrontano la questione ex professo, ma sono limitate, la prima, ad individuare la competenza per materia del giudice di pace-tribunale, gia’ segnata dalla L. n. 507 del 1999, laddove il riferimento al “giudice del lavoro” e’ piuttosto asserita e non gia’ frutto di un meditato dissenso rispetto alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2000; la seconda, invece, prende solo atto che il giudizio di primo grado si e’ svolto secondo il rito del lavoro e ne predica comunque la legittimita’, non risultando violate norme specifiche previste dalla L. n. 689 del 1981, articoli 22 e 23.
10.3. Gli inconvenienti denunciati, lungi dall’esser dirimenti ai fini della soluzione della questione all’esame, si risolvono in ragioni di mera opportunita’, che ben possono essere soddisfatte con provvedimenti organizzativi interni che dispongano l’assegnazione tabellare di tali controversie ai giudici del lavoro, salvaguardandone e rafforzandone cosi’ la specializzazione.
10.4. Quanto alle possibili connessioni tra violazioni concernenti le omissioni contributive e le altre violazioni attinenti al rapporto di lavoro o di previdenza, spesso rilevate da verbali di accertamento congiunti o scaturenti da medesimi fatti sostanziali, il rimedio che l’ordinamento prevede e’ dato dall’articolo 40 c.p.c. o dall’articolo 273 c.p.c., allorche’ essi pendono dinanzi allo stesso giudice (inteso come ufficio giudiziario), con possibilita’ di trattazione congiunta delle due controversie.
10.5. La seconda “ricaduta”, costituita dal diverso regime fiscale, offre una sia pur indiretta conferma della bonta’ della tesi qui sostenuta.
A voler seguire la tesi opposta, invero, l’attribuzione della natura di cause di lavoro alle opposizione in materia di lavoro e previdenza condurrebbe ad estendere a tutte il regime agevolativo previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 3.
La Corte costituzionale, con la sentenza 19/4/2018, n. 77, sia pur con riferimento a questione diversa, ha avuto modo di affermare che “La considerazione che sovente il contenzioso di lavoro possa presentarsi in termini sostanzialmente diseguali, nel senso che il lavoratore ricorrente, che agisca nei confronti del datore di lavoro, sia parte “debole” del rapporto controverso, giustifica norme di favore su un piano diverso da quello della regolamentazione delle spese di lite”. Tra queste ha incluso, oltre a quelle contenute nella L. n. 533 del 1973, articoli 10 e 11 (peraltro successivamente abrogati), anche il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 3, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, a norma del quale il contributo unificato per le spese di giustizia e’ ridotto alla meta’ per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego.
La Corte costituzionale ha anche precisato che “e’ rimesso alla discrezionalita’ del legislatore ampliare questo favor praestatoris, ad esempio rimodulando, in termini di minor rigore o finanche di esonero, il previsto raddoppio di tale contributo in caso di rigetto integrale, o di inammissibilita’, o di improcedibilita’ dell’impugnazione (Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater).” (punto 19). Tuttavia, una differente disciplina e’ ammissibile ove sia volta a contemperare le ragioni erariali con la tutela di diritti fondamentali dell’individuo.
Essa, cioe’, si giustifica in ragione della “sostanziale diseguaglianza” delle parti, mirando ad agevolare il ricorso alla tutela giurisdizionale da parte del soggetto piu’ debole: ratio e finalita’ che non si ravvisano nelle controversie in questione, in cui le parti sono il datore di lavoro e la pubblica amministrazione.
10.5. Quanto alla terza “ricaduta”, relativa al regime delle spese di lite, essa ha perso gran parte della sua attualita’, ove si consideri che il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149, articolo 9, “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attivita’ ispettiva in materia di lavoro legislazione sociale, in attuazione della L. 10 dicembre 2014, n. 183”, ha previsto la possibilita’ per l’Ispettorato Nazionale del lavoro di farsi rappresentare e difendere, nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione nonche’ negli altri giudizi indicati, da propri funzionari ai quali, in esito favorevole della lite, sono riconosciuti dal giudice le spese, i diritti e gli onorari di lite con la riduzione del 20% dell’importo complessivo ivi previsto.
Si tratta di disposizione sovrapponibile a quanto gia’ prevede l’articolo 152 bis disp. att. c.p.c., come interpretato dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16/07/2019, n. 19034; Cass. 9/4/2019, n. 9878), che ha esteso la norma, nella parte in cui prevede la liquidazione delle spese processuali a favore delle pubbliche amministrazioni assistite in giudizio da propri dipendenti, non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex articolo 417 bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l’INPS si avvalga della difesa diretta il Decreto Legge n. 203 del 2005, ex articolo 10, comma 6, conv., con modif., dalla L. n. 248 del 2005. Nessuna aporia e’ dunque riscontrabile anche sotto questo profilo.
11. La questione posta a queste Sezioni unite deve dunque essere risolta nei seguenti termini: “Nel regime introdotto dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6, alle controversie, regolate dal processo del lavoro, di opposizione ad ordinanza-ingiunzione che abbiano oggetto violazioni concernenti le disposizioni in materia di tutela del lavoro, di igiene sui luoghi di lavoro e di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, diverse da quelle consistenti nella omissione totale o parziale di contributi o da cui deriva un’omissione contributiva, in si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, a norma della L. n. 742 del 1969, articolo 3, trattandosi di controversie che non rientrano tra quelle indicate dagli articoli 409 e 442 c.p.c.. Ne consegue che, ai fini della tempestivita’ dell’impugnazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa per violazioni inerenti al rapporto di lavoro o al rapporto previdenziale, deve tenersi conto della detta sospensione”.
12. Alla stregua di questi principi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che provvedera’ anche a regolare le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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