Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 16 maggio 2019, n. 3156.
La massima estrapolata:
Il fatto che nel processo amministrativo il principio generale sull’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. opera in modo attenuato, secondo le regole del principio dispositivo con metodo acquisitivo, non solleva la parte dall’onere minimo di diligenza rappresentato dalla attivazione dei rimedi necessari ad acquisire la documentazione idonea a comprovare le condizioni dell’azione.
Sentenza 16 maggio 2019, n. 3156
Data udienza 13 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 234 del 2010, proposto da Ca. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Ci., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Va. in Roma, via (…);
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Al. Ni. e altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.a.r. per il Lazio, sezione I quater, n. 00128/2009, resa tra le parti, concernente domanda di annullamento della graduatoria relativa al concorso a 200 posti per il profilo professionale di operatore amministrativo e domanda di risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati Sa. di Cu. su delega dichiarata dell’avvocato Sa. Ci. e l’Avvocato dello Stato Fr. De Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Signor Ca. Ca. ha impugnato la sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 128 del 2009 che ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione della nuova graduatoria approvata dal Ministero Giustizia con D.M. del 1 giugno 2007 relativa al concorso per 200 posti indetto per il profilo professionale di operatore amministrativo con P.D.G. del 12.12.1997 cui egli aveva partecipato.
La sentenza seguiva un precedente giudizio da lui proposto, sempre avverso gli atti del medesimo concorso, accolto con sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 2871/2007 la quale aveva evidenziato il giudizio erroneo espresso dalla commissione sulla risposta ad una delle domande (la n. 16) della batteria di quiz somministrati nel corso delle prove che ne aveva comportato la illegittima esclusione stante il mancato raggiungimento del punteggio minimo di 51 previsto dal bando a causa del mancato computo della risposta esatta.
Con il nuovo ricorso proposto in primo grado l’esponente lamentava che la risposta errata avrebbe dovuto comportare una rimodulazione della graduatoria anche rispetto a tutti i candidati che avevano illegittimamente beneficiato della risposta, poi rivelatasi non corretta all’esito dell’accertamento giudiziale; rappresentava inoltre che l’amministrazione non aveva proceduto in tal senso neppure a seguito della richiesta avanzata con raccomandata a.r. del 20.9.2007, riscontrata negativamente con la nota 26.10.2007, prot. n. GDAP 0329533, del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – Direzione generale del Personale e della Formazione – Ufficio III Concorsi Personale e Comparti Ministero, avente ad oggetto “esecuzione sentenza del TAR Lazio n. 2871/2007 – Concorso per esami a duecento posti per il profilo professionale di operatore amministrativo” parimenti impugnata in primo grado.
Il T.a.r. per il Lazio con sentenza n. 128 del 2009, riteneva di dover preliminarmente verificare la sussistenza dell’interesse a ricorrere, in capo al Sig. Ca., prima di disporre l’eventuale integrazione del contraddittorio nei confronti di eventuali controinteressati, e chiedeva all’Amministrazione di verificare quanti concorrenti, in esito all’accertata corretta risposta alla domanda n. 16, sarebbero stati esclusi ed inoltre quanti, pur non essendo esclusi, avrebbero conseguito un punteggio inferiore al ricorrente o pari, ma senza titolo di precedenza o preferenza.
All’esito della predetta verificazione accertava che:
– l’Amministrazione penitenziaria, in esito alla sentenza n. 2871/2007, aveva riapprovato la graduatoria, con Decreto Ministeriale dell’1/06/2007, inserendo il ricorrente al 265° posto;
– la graduatoria, ormai scaduta, era stata utilizzata sino alla 255^ posizione;
– anche defalcando la risposta errata a quanti ne avevano beneficiato illegittimamente, il ricorrente pur guadagnando posizioni rispetto a quella precedentemente ricoperta, non avrebbe potuto comunque conseguire una posizione utile entro il 255° posto;
– conseguentemente dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di interesse, stante il mancato superamento della prova di resistenza.
Con il presente gravame il signor Ca. ha chiesto la riforma della predetta sentenza lamentando che il T.a.r. avrebbe preso per buone le affermazioni della amministrazione resistente anziché disporre una verificazione demandandola ad un organo terzo ed imparziale, per acquisire tutte le prove d’esame e verificare se la risposta poi rivelatasi errata fosse stata effettivamente corretta a tutti i vincitori.
Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio con memoria formale.
Alla udienza pubblica del 13 dicembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato.
La prova circa la sussistenza delle condizioni dell’azione incombe sul ricorrente secondo il principio generale enunciato dall’art. 2697 c.c. e ribadito oggi dall’art. 63, comma 1, c.p.a..
Poiché per agire in giudizio occorre avervi interesse, secondo quanto previsto dall’art. 100 c.p.c., spetta al ricorrente provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Questo Consiglio anche di recente ha precisato che “Il candidato, che impugna i risultati di una procedura concorsuale, ha l’onere di dimostrare il suo interesse, attuale e concreto, a contestare la graduatoria, non potendo egli far valere, quale defensor legitimitatis, un astratto interesse dell’ordinamento ad una corretta formulazione della graduatoria, se tale corretta formulazione non comporti per lui alcun apprezzabile risultato concreto” (Consiglio di Stato, sez. III, 27/04/2018, n. 2569).
Era dunque onere del ricorrente acquisire preventivamente la documentazione necessaria a dimostrare l’interesse alla contestazione esercitando il diritto di accesso, eventualmente anche in sede processuale, e attivando gli appositi rimedi in caso di inerzia.
Acquisite le batterie dei quiz, avrebbe potuto agevolmente dimostrare se vi erano le condizioni per comprovare il superamento della prova di resistenza, evitando di presentare un ricorso avente carattere esplorativo.
In atti v’è la prova di una richiesta in tal senso al Ministero (cfr. nota del 20 settembre 2007) cui però non è seguito un ricorso per porre rimedio all’inerzia neppure nella speciale forma semplificata prevista, in pendenza del ricorso giurisdizionale, dall’art. 25, comma 5 della legge n. 241 del 1990 (ora art. 116, comma 2, c.p.a.) all’epoca vigente.
Non può pertanto la parte dolersi per avere il T.a.r. omesso di disporre una verificazione per acquisire mediante un organo terzo la documentazione relativa al concorso, necessaria a dimostrare il superamento della prova di resistenza, in quanto la finalità della verificazione è quella di agevolare la conoscenza di fatti complessi su cui si fonda la decisione amministrativa che richiedono particolari competenze tecniche, non quella di acquisire i documenti necessari a dimostrare le condizioni dell’azione.
L’art. 44, primo comma, del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 all’epoca vigente (oggi art. 63, comma 1, c.p.a.) faceva invece salvo il potere del giudice di chiedere all’amministrazione anche d’ufficio chiarimenti e documenti e tanto ha fatto, nel caso di specie, il T.a.r. chiedendo al Ministero la verifica dell’eventuale superamento della prova di resistenza (così ordinanza n. 694/2008) e, con successiva ordinanza, l’acquisizione di tutta la documentazione “che dia contezza della verifica eseguita” (così ordinanza n. 1176/2008), mentre non è censurabile la scelta di non disporre una verificazione ricorrendo ad un organo terzo ed imparziale, come contestato dall’appellante, poiché nel caso di specie ciò si risolverebbe in un utilizzo improprio dello strumento istruttorio per ovviare ad un difetto di prova incombente sul ricorrente, in violazione peraltro del principio di imparzialità .
Non vale opporre in senso contrario che nel processo amministrativo il principio generale sull’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. opera in modo attenuato, secondo le regole del principio dispositivo con metodo acquisitivo, poiché ciò non solleva la parte dall’onere minimo di diligenza rappresentato dalla attivazione dei rimedi necessari ad acquisire la documentazione idonea a comprovare le condizioni dell’azione e, per quanto possibile, la fondatezza dei motivi di ricorso.
Il ricorrente avrebbe dovuto proporre ricorso per l’accesso ai documenti ritenuti rilevanti, eventualmente anche in pendenza del ricorso di primo grado.
Le conseguenze di tale omissione non possono che ricadere sulla parte medesima.
Il motivo di appello deve pertanto essere respinto.
Con un secondo motivo l’appellante lamenta che avrebbe comunque interesse ad un migliore posizionamento in graduatoria dato che dalle verifiche istruttorie del T.a.r. è emerso lo scavalcamento di quattro candidati idonei utilmente collocati in graduatoria.
A suo dire infatti la graduatoria, essendo stata riapprovata in data 1 giugno 2007, dopo il primo annullamento disposto dal T.a.r., non poteva ritenersi decaduta in relazione al termine di validità previsto dall’art. 15 del d.P.R. n. 487 del 1994, come invece erroneamente affermato dalla amministrazione resistente, sicchè il T.a.r. non poteva ritenere il ricorso improcedibile stante il perdurante interesse ad una migliore collocazione nella graduatoria, ancora efficace, in vista di un possibile ulteriore scorrimento.
Il motivo è improcedibile in quanto allo stato non residua alcun interesse al miglior posizionamento in una graduatoria che ha da tempo esaurito i propri effetti.
Né l’appellante ha allegato che, contrariamente a quanto eccepito dalla amministrazione in primo grado, vi siano effettivamente stati scorrimenti dopo la posizione n. 255, tali da poter fondare una quale pretesa risarcitoria in termini di perdita di chance, ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, comma 3, c.p.a..
Con un terzo motivo, l’appellante, dopo aver lamentato che il Ministero avrebbe omesso di rideterminare i punteggi nei confronti di tutti i concorrenti, scomputando la risposta erronea a quanti se ne sarebbero illegittimamente avvantaggiati, lamenta, contraddittoriamente, che la risposta corretta sarebbe invece stata illegittimamente computata a vantaggio degli idonei collocati dalla posizione n. 255 alla n. 264 i quali, non avendo proposto ricorso, non potrebbero giovarsi del riconoscimento della risposta corretta.
Premesso che non v’è prova alcuna che l’amministrazione abbia rettificato la graduatoria solo in danno del ricorrente (attribuendo cioè la sola risposta corretta senza defalcare quella rivelatasi errata a quanti se ne sarebbero illegittimamente avvantaggiati), la doglianza è infondata in quanto, in sede di nuova approvazione della graduatoria, ben poteva l’amministrazione, nell’esercizio del potere di autotutela, correggere l’errore commesso, anche in relazione agli altri candidati che ne erano risultati penalizzati.
Sebbene il giudicato formatosi sulla sentenza n. n. 2871/2007 non la vincolasse in alcun modo a rideterminarsi nei loro confronti, per il principio dei limiti soggettivi del giudicato, era comunque nel potere dell’amministrazione rivalutare le posizioni degli altri candidati, in applicazione peraltro della par condicio, per correggere anche nei loro confronti l’errore commesso dalla commissione.
Con un ultimo motivo l’appellante lamenta che il T.a.r. avrebbe errato nel disporre la compensazione delle spese di lite che dovevano essere poste a carico del Ministero.
Il motivo è infondato in quanto la parte ricorrente è risultata comunque soccombente, sebbene per un profilo in rito, sicchè il T.a.r. non poteva porre le spese a carico della parte resistente, potendo al più, come poi fatto, disporne la compensazione.
Infine l’appellante reitera la domanda risarcitoria per il danno economico e professionale discendente dalla mancata nomina.
La censura è infondata in quanto la carenza di interesse ad agire non consente di accertare se la nuova graduatoria sia stata approvata in modo illegittimo causando pertanto un danno ingiusto all’appellante, consistente nella perdita di occasioni di guadagno e di crescita professionale.
Quanto poi al possesso di titoli di preferenza o al diritto di fruire di eventuali riserve che gli avrebbero potuto garantire il superamento del concorso, si tratta di doglianze inammissibili in quanto proposte per la prima volta solo con la memoria conclusiva del 12.11.2018.
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello dev’essere respinto in quanto infondato mentre le spese del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna l’appellante alla rifusione in favore del Ministero della Giustizia delle spese del grado che si liquidano complessivamente in euro 2000,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Luca Monteferrante – Consigliere, Estensore
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