Corte di Cassazione, civile, Sentenza|24 ottobre 2022| n. 31345.

Nel giudizio di legittimità non operano gli istituti dell’interruzione e della prosecuzione

Nel giudizio di legittimità, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non operano gli istituti dell’interruzione e della prosecuzione, con la conseguenza che il fallimento della parte ricorrente, dichiarato dopo la notifica del ricorso, non legittima il curatore del fallimento a stare in giudizio in luogo del fallito. Tuttavia è consentito al successore della parte che abbia perduto la capacità di stare in giudizio dopo il deposito del ricorso di intervenire nel giudizio, con un atto avente natura sostanziale di atto di intervento, a condizione che sia notificato alle controparti, al fine di garantire il contraddittorio sulla nuova legittimazione- (Premesso quanto sopra la Suprema Corte ha evidenziato che nei detti termini va qualificata la memoria depositata dal fallimento, fermo restando che la presente sentenza produrrà ovviamente i suoi effetti nei confronti della curatela ai sensi dell’articolo 110 del Cpc.

Sentenza|24 ottobre 2022| n. 31345. Nel giudizio di legittimità non operano gli istituti dell’interruzione e della prosecuzione

Data udienza 25 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Assicurazione contro i danni – Coassicurazione – Danno da scoppio – Interpretazione del contratto relativamente ai danni da scoppio – Patto di deroga pattizia all’art. 1906 cc – Forma scritta – Non richiesta – Procedimento di rinvio – Conservazione della stessa posizione processuale del precedente giudizio – Domande ed eccezioni fatte nel giudizio di rinvio – Onere di riproposizione – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. AMBROGI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso n. 20302/19 proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati a (OMISSIS), difese dall’avvocato (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
nonche’
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonche’
Curatela del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore, elettivamente domiciliato a (OMISSIS), difeso dall’avvocato (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale apposta in calce all’atto di intervento;
– interventore –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 28 maggio 2018 n. 3599;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25 maggio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FICHERA Giuseppe, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale proposto dalla (OMISSIS), nonche’ per il rigetto del ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per la Italgasbeton; l’Avvocato Giuseppe Alessi per la (OMISSIS); l’Avvocato (OMISSIS) per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. L’esposizione dei fatti di causa sara’ limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.
2. La (OMISSIS) s.p.a. (d’ora innanzi, per brevita’, “la (OMISSIS)”), concesse alla societa’ (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.r.l.) un mutuo per la costruzione d’uno stabilimento industriale per la produzione di calcestruzzo.
La (OMISSIS) stipulo’ un’assicurazione contro i danni agli impianti derivanti dall’esercizio dell’opificio.
Il contratto venne concluso in coassicurazione con tre diverse societa’ assicuratrici: (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a., e come tale sara’ d’ora innanzi indicata), (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a..
Il contratto prevedeva che l’eventuale indennizzo dovuto dai coassicuratori in caso di sinistro fosse vincolato a beneficio della (OMISSIS).
3. Il (OMISSIS) nello stabilimento della (OMISSIS) scoppio’ un’autoclave per la produzione del calcestruzzo, che provoco’ gravi danni e la morte di una persona.
– La (OMISSIS) chiese stragiudizialmente ai tre coassicuratori il pagamento dell’indennizzo dovuto, a copertura dei suddetti danni.
4. Dopo lo svolgimento di una perizia contrattuale, nel 2008 i tre coassicuratori convennero dinanzi al Tribunale di Roma la (OMISSIS) e la (OMISSIS), chiedendo al Tribunale di accertare e dichiarare che i danni causati dallo scoppio non erano indennizzabili, perche’ provocati da un evento non compreso tra quelli previsti dalla polizza.
A fondamento della domanda di accertamento negativo del proprio obbligo indennitario le societa’ attrici dedussero che il contratto di assicurazione copriva i danni derivati da scoppio causato da “eccesso di pressione” dell’autoclave, mentre nel caso concreto lo scoppio fu causato non da eccesso di pressione, ma da un difetto del meccanismo di chiusura dell’autoclave, a sua volta causato da un vizio progettuale e costruttivo.
4. La societa’ (OMISSIS) si costitui’ e, oltre a contestare l’indennizzabilita’ del sinistro, formulo’ domanda riconvenzionale di condanna delle tre societa’ attrici al pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto.
5. Anche la (OMISSIS) si costitui’, chiedendo al Tribunale di “condannare le societa’ attrici, qualora venisse accertata l’indennizzabilita’ del sinistro verificatosi il (OMISSIS), a versare alla (OMISSIS) la somma di Euro 7.400.000 oltre interessi”.
6. Con sentenza 3.8.2010 n. 18840 il Tribunale di Roma dichiaro’ che il sinistro era indennizzabile a termini di polizza e condanno’ gli assicuratori al pagamento dell’indennizzo, quantificato in 6,4 milioni di Euro.
Il Tribunale, a fondamento della propria decisione, osservo’ che:
(a) il contratto di coassicurazione copriva i danni causati “da scoppio” di macchinari, quale che ne fosse la causa: e quindi tanto nel caso di scoppi dovuti a pressione eccedente quella normale di esercizio; quanto nel caso di scoppi dovuti a difetto dei materiali;
(b) una diversa interpretazione del contratto di assicurazione non era possibile, perche’:
(b’) sarebbe stata incoerente con lo scopo delle parti, che era quello di proteggere l’impianto contro tutti i rischi di scoppio, come si desumeva dal contratto di finanziamento stipulato tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel quale la prima aveva assunto verso il finanziatore l’obbligo di assicurare l’impianto contro il rischio di scoppi di qualsiasi tipo;
(b”) avrebbe privato di ogni efficacia il contratto, dal momento che se per “scoppio” si fosse inteso solo quello causato da una pressione eccedente quella normale di esercizio, mai nessuno scoppio sarebbe stato indennizzabile: l’anomala pressione di esercizio, infatti, avrebbe costituito un vizio intrinseco della cosa assicurata, del quale gia’ l’articolo 1906 c.c., escludeva l’indennizzabilita’.
La sentenza del Tribunale venne appellata da tutte le parti.
7. La Corte d’appello di Roma con sentenza 12.5.2014 n. 3064 accolse il gravame delle tre societa’ coassicuratrici, e rigetto’ di conseguenza tanto la domanda dell’assicurata (OMISSIS), quanto quella della vincolataria (OMISSIS). La Corte d’appello ritenne che il lemma “scoppio” usato dal contratto per descrivere il rischio assicurato dovesse intendersi secondo il senso comune come “rottura fragorosa dovuta ad un eccesso di pressione dall’interno”; e che il contratto andasse interpretato nel senso che per pressione “eccessiva” del macchinario dovesse intendersi soltanto quella superiore alle capacita’ di resistenza del macchinario sottoposto a pressione, secondo quanto previsto dal progetto.
Accerto’, poi, che nel caso di specie al momento dello scoppio la pressione all’interno dell’autoclave era inferiore a quella massima consentita, e che la causa dello scoppio fu verosimilmente un vizio del meccanismo di chiusura dell’autoclave, non una pressione superiore a quella massima tollerata dal macchinario.
Concluse che non si era verificato alcun “eccesso di pressione”, come richiesto dal contratto, e che di conseguenza il sinistro non fosse indennizzabile.
8. La sentenza d’appello fu impugnata per cassazione da tutte le parti: dalla societa’ assicurata e dalla (OMISSIS), le quali si dolsero del giudizio di inoperativita’ della polizza; e dai tre coassicuratori, i quali denunciarono un vizio di ultrapetizione.
9. Questa Corte, con sentenza n. 668 del 18.1.2016, accolse in parte il ricorso della (OMISSIS); dichiaro’ inammissibile quello della (OMISSIS) e rigetto’ quello proposto dai tre coassicuratori.
Con la suddetta sentenza questa Corte ritenne che il giudice di merito avesse violato le regole sull’interpretazione dei contratti, ed in particolare:
-) l’articolo 1362 c.c., per essersi limitata ad interpretare alla lettera il lemma “scoppio”, nonostante nel contesto scrittorio in cui era stato utilizzato quel termine riuscisse ambiguo;
-) gli articoli 1363 e 1367 c.c., per avere adottato una interpretazione che rendeva prive di senso altre clausole contrattuali;
-) l’articolo 1370 c.c., per avere interpretato a favore del predisponente una clausola oggettivamente ambigua, ed unilateralmente predisposta.
10. La causa venne riassunta con separati ricorsi dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS).
La Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, con sentenza 28 maggio 2018 n. 3599 cosi’ provvide:
-) ritenne operante la garanzia assicurativa;
-) ritenne derogato per patto contrattuale l’articolo 1905 c.c.;
-) stimo’ il danno in Euro 6,92 milioni di Euro, sul presupposto che tale valore era stato stabilito dai periti nominati dalle parti, con determinazione efficace e vincolante per esse;
-) condanno’ i coassicuratori al pagamento della rivalutazione monetaria sul credito indennitario per il periodo compreso fra il sinistro e la liquidazione del danno da parte dei periti; e quindi al pagamento degli interessi legali ex articolo 1224 c.c., da tale ultimo momento in poi;
-) rigetto’ la domanda di risarcimento del maggior danno da mora ex articolo 1224 c.c., comma 2;
-) condanno’ i coassicuratori al pagamento dell’indennizzo parte in favore della (OMISSIS), e parte in favore della (OMISSIS); in particolare, ritenne che sulla base dell’appendice di vincolo alla banca spettasse l’indennizzo dovuto solo per le partite “fabbricato” e “attrezzature/macchinario”, mentre la parte restante dell’indennizzo spettasse alla societa’ assicurata.
11. La sentenza pronunciata all’esito del giudizio di rinvio e’ stata impugnata per cassazione:
-) in via principale dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su tre motivi;
-) in via incidentale dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su un motivo;
-) in via incidentale dai tre coassicuratori, con ricorso fondato su cinque motivi.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale proposto dai coassicuratori; (OMISSIS) ha altresi’ proposto (“per tuziorismo”) un secondo ricorso incidentale sostanzialmente ripetitivo del primo.
I tre coassicuratori hanno resistito con controricorso ai ricorsi incidentali proposti da (OMISSIS).
Dopo la notifica ed il deposito del ricorso, il 14.4.2021 ha depositato una “memoria di costituzione” il Fallimento della (OMISSIS) dichiarando che la societa’ ricorrente e’ stata dichiarata fallita dal Tribunale di Frosinone il (OMISSIS).
Tutte le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.
La curatela del Fallimento della societa’ (OMISSIS) s.r.l. ha depositato (e notificato alle controparti) un atto intitolato “memoria di costituzione L. Fall., ex articolo 43”, dichiarando di volersi “surrogare nella posizione” processuale della (OMISSIS).
Nel giudizio di legittimita’, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non operano gli istituti dell’interruzione e della prosecuzione, con la conseguenza che il fallimento della parte ricorrente, dichiarato dopo la notifica del ricorso, non legittima il curatore del fallimento a stare in giudizio in luogo del fallito (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3630 del 12/02/2021, Rv. 660567 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 27143 del 15/11/2017, Rv. 646008 – 01; Sez. U, Sentenza n. 2756 del 08/03/1993, Rv. 481303 – 01; Sez. U., Sentenza n. 6311 del 22/06/1990, Rv. 467927 – 01).
Tuttavia e’ consentito al successore della parte che abbia perduto la capacita’ di stare in giudizio dopo il deposito del ricorso di intervenire nel giudizio, con un atto avente natura sostanziale di atto di intervento, a condizione che sia notificato alle controparti, al fine di garantire il contraddittorio sulla nuova legittimazione: adempimento puntualmente adempiuto dalla curatela (Sez. 3, Sentenza n. 7441 del 31/03/2011, Rv. 617518 – 01).
In tali termini va dunque qualificata la “memoria” depositata dal fallimento, fermo restando che la presente sentenza produrra’ ovviamente i suoi effetti nei confronti della curatela ai sensi dell’articolo 110 c.p.c..
1.1. Ancora in via preliminare, deve escludersi che la partecipazione all’odierno collegio giudicante di magistrati che composero il collegio giudicante che pronuncio’ la sentenza 668/16, con cui venne cassata con rinvio la prima sentenza d’appello, costituisca motivo di astensione – come ventilato dal difensore delle societa’ (OMISSIS), Generali e (OMISSIS) nella discussione orale.
Questa Corte, infatti, ha gia’ ripetutamente affermato che il collegio giudicante sul ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio puo’ essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex articolo 51 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialita’ e terzieta’ del giudice (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021, Rv. 660462 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 14655 del 18/07/2016, Rv. 640587 – 01; e soprattutto Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627789 – 01).
2. Il primo motivo del ricorso incidentale dei coassicuratori (pp. 4164).
Va esaminato per primo, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2, il ricorso incidentale proposto dai tre coassicuratori. Tale ricorso, infatti, investe in larga parte l’an debeatur, ed e’ dunque pregiudiziale rispetto all’esame del quantum, oggetto del ricorso principale.
2.1 La (OMISSIS) a p. 3 del proprio “Controricorso a ricorso incidentale tardivo. Ulteriore ricorso incidentale”, datato 10 ottobre 2019, ha dedotto che i tre coassicuratori avevano prestato acquiescenza alla sentenza d’appello, e che il loro ricorso incidentale sarebbe dunque tardivo.
Si e’ usato il condizionale in quanto non e’ chiaro se, con tali generiche deduzioni, la (OMISSIS) abbia inteso eccepire l’inammissibilita’ del ricorso incidentale proposto da (OMISSIS), Generali ed (OMISSIS) per tardivita’. La (OMISSIS), infatti, non ha concluso il proprio controricorso chiedendo che fosse dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso incidentale dei coassicuratori, ma ribadendo la richiesta di “rigetto”.
In ogni caso, anche a supporre che la (OMISSIS) abbia inteso eccepire l’inammissibilita’ del ricorso incidentale degli assicuratori per tardivita’, l’eccezione sarebbe infondata: infatti il ricorso incidentale degli assicuratori e’ si’ tardivo, ma essendo rivolto contro l’impugnante principale e contro la (OMISSIS) che e’ litisconsorte processuale necessario, esso era consentito dall’articolo 334 c.p.c..
2.2. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto dai coassicuratori censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto il sinistro compreso nella garanzia assicurativa.
Deducono gli assicuratori che l’esplosione della caldaia non rientrava nella nozione di “scoppio” come definita dal contratto, e che ritenendo il contrario la Corte d’appello avrebbe:
a) erroneamente ritenuto di essere astretta ad un principio di diritto in realta’ mai formulato dalla Corte di cassazione;
b) qualificato come “principi di diritto” semplici obiter dicta contenuti nella sentenza di questa Corte 668/16, i quali costituivano in realta’ “meri esercizi di stile” (cosi’ il ricorso incidentale, p. 51),; “non avevano nessun senso” (ibidem); “costituivano valutazioni opinabili e soggettive” (ivi, p. 52);
c) violato il principio di interpretazione letterale del contratto, in quanto per patto contrattuale erano indennizzabili solo i sinistri causati da un “aumento di pressione interna” dell’autoclave, nella fattispecie mai avvenuto;
d) violato il principio di interpretazione complessiva del contratto di cui all’articolo 1363 c.c., per non aver considerato che altre clausole del contratto escludevano dalla copertura le ipotesi di scoppio causato dagli effetti del gelo e da colpo d’ariete, e cioe’ da imperizia umana;
e) erroneamente ravvisato un collegamento fra il contratto di assicurazione e quello di finanziamento, ed altrettanto erroneamente interpretato il primo alla luce del secondo;
f) erroneamente ritenuto che la tesi sostenuta dalle societa’ assicuratrici avrebbe privato di senso una delle clausole contrattuali (scilicet, l’articolo 12, lettera (g)), sicche’ quella tesi non poteva essere condivisa perche’ contrastante col principio dell’interpretazione utile;
g) erroneamente applicato il principio dell’interpretazione contro il predisponente (articolo 1370 c.c.), senza prima aver verificato se gli altri criteri legali di interpretazione dei contratti potessero condurre a soluzioni diverse.
2.1. Tutte le suddette censure sono in parte infondate, ed in parte inammissibili.
Infondata, in primo luogo, e’ la deduzione secondo cui la sentenza impugnata avrebbe commesso l’errore di ritenersi astretta a principi di diritto mai formulati nella sentenza 668/16 di questa Corte.
Vanamente, infatti, si cercherebbe nella sentenza impugnata una affermazione di questo tipo.
Il giudice di rinvio non ha affatto affermato di avere interpretato il contratto in un certo modo perche’ cosi’ gli sarebbe stato imposto da questa Corte; ha soltanto provveduto – cosi’ come indicato dalla sentenza cassatoria – ad una nuova interpretazione del contratto, emendata dagli errori commessi dalla prima decisione d’appello.
A tale nuove interpretazione la Corte d’appello ha provveduto in modo autonoma, indipendente ed ampiamente motivato, senza mai affermare che l’interpretazione adottata le fosse stata imposta dalla sentenza 668/16 di questa Corte (pagine 16-27 della sentenza impugnata).
2.2. In secondo luogo, nella parte in cui censura il giudizio sull’esistenza di un collegamento negoziale tra polizza e finanziamento il ricorso e’ inammissibile, in quanto censura un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimita’.
2.3. In terzo luogo, e’ infondata la censura di violazione dell’ordine gerarchico tra i criteri di interpretazione del contratto.
La Corte d’appello, infatti, dopo aver richiamato e applicato le regole di interpretazione soggettiva (articoli 1362, 1363 c.c.), e dopo avere ritenuto tali criteri gia’ di per se’ sufficienti a rigettare le tesi sostenute dai tre coassicuratori, ad abundantiam ha aggiunto che il testo contrattuale era comunque ambiguo, si’ da consentire il ricorso all’interpretazione delle clausole contro il predisponente, ai sensi dell’articolo 1370 c.c..
Da una motivazione cosi’ strutturata discende che:
-) nessuna violazione dell’ordine gerarchico tra i criteri interpretativi dei contratti e’ stata commessa;
-) lo stabilire se un testo contrattuale sia o non sia “ambiguo” per i fini di cui all’articolo 1370 c.c., e’ valutazione di fatto riservata al giudice di merito, e non sindacabile in sede di legittimita’;
-) in ogni caso qualsiasi violazione dell’articolo 1370 c.c., sarebbe comunque irrilevante, giacche’ la decisione impugnata e’ pervenuta all’interpretazione del contratto sfavorevole ai coassicuratori sulla base non solo del richiamo all’articolo 1370 c.c., ma anche sulla base di ulteriori e distinte rationes decidendi.
2.4. Nella parte restante questo primo motivo del ricorso incidentale proposto dai tre coassicuratori e’ inammissibile, in quanto nella sostanza censura il modo in cui il giudice ha interpretato il contratto: ma l’interpretazione del contratto adottata dal giudice di merito e’ sindacabile in sede di legittimita’ quando siano state violate le regole legali di ermeneutica di cui agli articoli 1362 c.c. e segg.; e tale violazione non puo’ dirsi sussistente sol perche’ il testo contrattuale consenta in teoria altre e diverse interpretazioni, rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata.
L’interpretazione del contratto prescelta dal giudice di merito puo’ essere censurata in sede di legittimita’ quando sia grammaticalmente, sistematicamente o logicamente scorretta (come infatti fu la prima sentenza d’appello), ma non quando consista in una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni (ex multis, in tal senso, Sez. 3 -, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; SeZ. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 16254 del 25/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10131 del 02/05/2006, Rv. 589465 – 01).
Nel caso di specie, pero’, col primo motivo di ricorso incidentale le societa’ coassicuratrici prospettano solo formalmente la violazione di vari canoni legali di ermeneutica, ma nella sostanza intendono contrapporre la propria interpretazione del contratto a quella adottata dalla Corte d’appello. Ma poiche’, per quanto detto, quest’ultima e’ ampiamente motivata e non implausibile, il ricorso su questo punto va dichiarato inammissibile.
3. Il secondo motivo di ricorso incidentale.
Col secondo motivo le tre societa’ ricorrenti incidentali lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 1363, 1367, 1370 e 1906 c.c..
La censura investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che le parti del contratto di assicurazione avevano convenzionalmente derogato alla norma (articolo 1906 c.c.) che esclude l’indennizzabilita’ dei danni derivanti da vizio intrinseco della cosa assicurata.
Deducono che tale interpretazione e’ scorretta perche’:
a) la deroga convenzionale all’articolo 1906 c.c. deve essere espressa;
b) la Corte d’appello ha fondato il giudizio sull’esistenza di un patto in deroga dell’articolo 1906 c.c., sulla clausola 12 delle condizioni generali di polizza; tale clausola, tuttavia, era dedicata ad elencare le ipotesi di esclusione della garanzia, e dunque si sarebbe dovuto interpretarla come clausola che ribadiva il principio di cui all’articolo 1906 c.c.;
c) erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che, diversamente opinando, la suddetta clausola 12 non avrebbe avuto alcun effetto concreto;
d) infine, i ricorrenti deducono che a fronte della previsione di cui all’articolo 1906 c.c., sarebbe stato onere della societa’ assicurata dimostrare l’esistenza di un patto derogatorio di tale previsione, con la conseguenza che, “poiche’ si tratta di provare un patto espresso, non puo’ valere il principio dell’interpretazione contra stipulatorem di cui all’articolo 1370 c.c.”.
Il motivo prosegue illustrando il principio della irrilevanza dell’ignoranza incolpevole dell’assicurato ai fini dell’applicabilita’ dell’articolo 1906 c.c., e si conclude ribadendo che una deroga all’articolo 1906 c.c., deve essere espressa, invocando a sostegno una opinione espressa dal giudice di primo grado nel decidere un reclamo avverso un provvedimento cautelare richiesto in corso di causa.
3.1. Tutte le censure appena riassunte sono inammissibili od infondate. Procedendo nell’ordine di cui all’articolo 276 c.p.c., comma 2, va innanzitutto rilevata l’infondatezza del principio secondo cui il patto di deroga all’articolo 1906 c.c., dovrebbe essere “espresso”.
Bastera’ ricordare a tal riguardo che nel nostro ordinamento giuridico la volonta’ negoziale puo’ essere espressa in ogni modo, ivi compreso il silenzio circostanziato; che il principio generale in materia di obbligazioni contratti e’ quello della liberta’ delle forme; che il contratto di assicurazione richiede la forma scritta solo ad probationem, e che di conseguenza e’ ben possibile che una deroga pattizia all’articolo 1906 c.c., sia ricavata in via di interpretazione delle restanti clausole contrattuali.
3.2. In secondo luogo va rilevata l’infondatezza dell’allegazione secondo cui erroneamente la Corte d’appello ha fatto applicazione, anche con riferimento al problema in esame, del principio dell’interpretazione contro il predisponente di cui all’articolo 1370 c.c..
Secondo le tre societa’ coassicuratrici, la Corte d’appello non avrebbe potuto procedere ad alcuna interpretazione del contratto, se prima non ne avesse accertato il contenuto: ed era onere dell’assicurata dimostrare che il contratto contenesse una deroga pattizia all’articolo 1906 c.c..
Va tuttavia in contrario osservato che lo stabilire se un contratto – di cui sia certa l’esistenza – deroghi o non deroghi ad una norma dispositiva non e’ questione di onere della prova, ma e’ questione di interpretazione.
La (OMISSIS) e la (OMISSIS), documentando l’esistenza del contratto, assolsero l’onere di provare il fatto generatore del diritto di credito da esse invocato; lo stabilire poi se quel contratto derogasse o non derogasse all’articolo 1906 c.c., era questione di interpretazione del negozio, sicche’ correttamente la Corte d’appello, per risolverla, ha fatto applicazione (anche) della regola di cui all’articolo 1370 c.c..
3.3. In terzo luogo va rilevata l’inammissibilita’ per mancanza di decisivita’ delle deduzioni inerenti lo stato soggettivo dell’assicurato (e cioe’ l’ignoranza incolpevole del vizio della cosa assicurata), dal momento che la decisione d’appello ha accolto la domanda di condanna degli assicuratori al pagamento dell’indennizzo sul presupposto che il contratto derogasse all’articolo 1906 c.c., e non sul presupposto che l’assicurato ignorasse incolpevolmente il vizio della cosa assicurata.
3.4. Nella parte restante, anche questo motivo censura un’interpretazione del contratto, adottata dal giudice di merito, ampiamente e non implausibilmente motivata, con la conseguenza che varranno a rigettarlo le considerazioni gia’ svolte al p. 2.4 con riferimento al primo motivo di ricorso incidentale.
4. Il terzo motivo di ricorso incidentale.
Anche il terzo motivo di ricorso incidentale censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto esistente un patto in deroga all’articolo 1906 c.c.. Con tale motivo le tre ricorrenti incidentali sostengono che la Corte d’appello avrebbe raggiunto la conclusione (“il contratto deroga all’articolo 1906 c.c.”) ritenendosi vincolata ad un “principio di diritto”, che essa credette di ravvisare nella sentenza di questa Corte 668/16, ma che in realta’ non fu da questa Corte mai formulato nei termini ritenuti dalla Corte d’appello.
4.1. Il motivo e’ infondato.
La sentenza impugnata, alle pagine 24-25, non ha affatto affermato quel che i ricorrenti vorrebbero farle dire.
La Corte d’appello non ha in alcun punto della propria motivazione dichiarato di essere “obbligata” a ritenere esistente, nel caso di specie, una deroga pattizia all’articolo 1906 c.c..
Ha, invece, dapprima richiamato il principio di diritto – questo si’ stabilito dalla sentenza 668/16 di questa Corte – secondo cui le clausole di un contratto devono essere interpretate in modo che abbiano un effetto utile (p. 23, terzultimo capoverso); e poi proceduto ad uria autonoma interpretazione del contratto, sorretta da ampia e non implausibile motivazione (pp. 24-25). Errores in procedendo, dunque, non vi furono, ne’ l’interpretazione adottata dalla Corte d’appello, come gia’ detto, appare irrispettosa dei criteri legali di interpretazione dei contratti.
5. Il quarto motivo di ricorso incidentale.
Col quarto motivo le tre ricorrenti incidentali lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione di cinque diverse norme del codice civile (articoli 1904, 1905, 1908, 1909 e 1910 c.c.).
Nella illustrazione del motivo espongono una tesi giuridica che puo’ cosi’ riassumersi:
-) il contratto di assicurazione contro i danni si fonda sul principio indennitario, in virtu’ del quale l’indennizzo assicurativo non puo’ mai eccedere l’effettiva entita’ del danno sofferto dall’assicurato;
-) nel caso di specie la Corte d’appello ha stimato in Euro 6,9 milioni il danno causato dallo scoppio;
-) tuttavia dall’istruttoria compiuta e’ emerso che la (OMISSIS) aveva ripristinato i guasti causati dallo scoppio spendendo la minor cifra di 1,69 milioni di Euro.
L’illustrazione del motivo prosegue con una lunga disquisizione teorica sul fondamento e sulle conseguenze del principio indennitario, per concludersi con la censura della sentenza d’appello, nella parte in cui ha ritenuto di liquidare il danno nella misura stabilita dai periti, nonostante esso fosse stato eliminato con una spesa minore.
5.1. Il motivo e’ infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’entita’ del danno fosse stata accertata dei periti nominati dalle parti, e che queste ultime si erano obbligate per patto contrattuale ad attenersi alla stima compiuta dai periti.
Pertanto, poiche’ nessuna delle parti aveva impugnato il negozio di accertamento compiuto dai periti, esso per volonta’ stessa delle parti costituiva la prova dell’entita’ del danno.
Violazione del principio indennitario dunque non vi fu, in quanto l’indennizzo e’ stato determinato dal giudice di merito in base alla stima del danno che le parti concordemente si erano obbligate a recepire, per effetto della delega ai periti delle operazioni di stima.
6. Il quinto motivo di ricorso incidentale.
Col quinto motivo le tre societa’ ricorrenti incidentali impugnano la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che, nella stima del danno, dovesse detrarsi dal valore complessivo di esso il solo valore dell’autoclave scoppiata, e non il valore dell’intero stabilimento andato distrutto.
A sostegno di questa censura le ricorrenti incidentali sviluppano una tesi giuridica cosi’ riassumibile:
-) l’articolo 12, lettera (g), delle condizioni generali di contratto, stabiliva che nel caso di danni causati da vizio intrinseco della cosa assicurata, era esclusa l’indennizzabilita’ dei danni “alla macchina e all’impianto nel quale si sia verificato” lo scoppio;
-) per “impianto nel quale si era verificato lo scoppio” doveva intendersi l’intero stabilimento della (OMISSIS), e non la sola autoclave esplosa;
-) di conseguenza, dal complessivo importo del danno andava detratto l’importo di 4,38 milioni, pari al valore dello stabilimento.
L’illustrazione del motivo prosegue affermando che la Corte d’appello, ritenendo il contrario, avrebbe:
a) ritenuto di essere vincolata ad un principio di diritto, in realta’ mai affermato dalla sentenza di questa Corte 668/16;
b) falsamente applicato l’articolo 1370 c.c., sia perche’ il testo contrattuale non era ambiguo, sia perche’ il criterio dell’interpretatio contra proferendo non si sarebbe potuto applicare solo dopo aver applicato gli altri criteri di interpretazione dei contratti;
c) violato l’articolo 1366 c.c., in quanto l’interpretazione adottata dalla Corte d’appello “non rappresentava un punto di ragionevole equilibrio” tra i contrapposti interessi dell’assicurato dell’assicuratore;
d) violato l’articolo 1369 c.c., per avere interpretato il contratto in modo “sconveniente” rispetto alla sua natura ed al suo oggetto.
6.1. Il motivo e’ infondato nella parte in cui ascrive alla sentenza d’appello di avere ritenuto di doversi attenere ad un principio di diritto mai formulato da questa Corte nella sentenza 668/16.
Ed infatti la sentenza d’appello, dopo un fugace richiamo alla sentenza di questa Corte 668/16 contenuto nell’ultimo capoverso di pagina 31, alla pagina successiva dichiara di ritenere opportuno “aggiungere” ulteriori considerazioni, all’esito delle quali perviene alla conclusione che il contratto andasse interpretato nel senso dell’esclusione dalla indennizzabilita’ del solo valore dell’autoclave (Euro 480.000), e non anche dell’intero opificio (Euro 4,38 milioni).
La sentenza d’appello, dunque, sul punto qui in esame non ha affatto ritenuto di essere vincolata da un principio di diritto mai affermato da questa Corte, ma ha sviluppato una autonoma ratio decidendi.
6.2. Il motivo e’ altresi’ infondato nella parte in cui lamenta la falsa applicazione dell’articolo 1370 c.c..
La Corte d’appello, infatti, muove correttamente dall’esegesi letterale del testo, osservando che il termine “impianto” usato nel contratto e generico e’ suscettibile di interpretazioni piu’ o meno ampie (cosi’ la sentenza impugnata, pagina 32, secondo capoverso).
Quindi, sperimentata l’inutilizzabilita’ del criterio letterale, correttamente la Corte d’appello ha fatto applicazione del criterio dell’interpretatio contra proferentem.
6.3. Nella parte restante il motivo e’ inammissibile perche’ contrappone una propria interpretazione dei patti contrattuali a quella adottata dal giudice di merito, censura inammissibile nella presente sede, come gia’ esposto in precedenza, al p. 2.4.
7. Il primo motivo del ricorso principale (OMISSIS).
Col primo motivo del proprio ricorso la (OMISSIS) censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il credito indennitario vantato dalla societa’ assicurata fosse soggetto a rivalutazione solo per il periodo di tempo compreso fra il sinistro e la stima compiuta dai periti; e che dopo tale momento si fosse convertito in un’obbligazione di valuta, e di conseguenza restasse soggetto al principio nominalistico di cui all’articolo 1276 c.c..
Sostiene la ricorrente che il credito dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore e’ un’obbligazione di valore; che di conseguenza e’ soggetto a rivalutazione monetaria; che “la perizia non costituisce atto di liquidazione del danno”; che per patto contrattuale i periti avevano il compito di stabilire il valore delle cose assicurate al momento del sinistro, ma non quello di procedere alla liquidazione dell’indennizzo; che se davvero la perizia contrattuale avesse avuto la funzione di determinare l’indennizzo dovuto, allora i periti avrebbero dovuto calcolare anche la svalutazione e gli interessi.
7.1. Il motivo e’ infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto (pagina 34, p. 10.2.3.1) che nel caso di specie le parti avessero contrattualmente concordato la previsione di una “perizia contrattuale per la liquidazione convenzionale dell’indennizzo”.
Qualificato in questi termini il mandato conferito ai periti, correttamente la Corte d’appello ne ha tratto il corollario che dal momento del deposito della perizia contrattuale il credito indennitario dell’assicurato si fosse trasformato da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, in quanto convenzionalmente liquidato, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 25099 del 24.10.2017; Sez. 3, Sentenza n. 15868 del 28/07/2015 (in motivazione); Sez. 3, Sentenza n. 3268 del 12/02/2008).
Lo stabilire, poi, se nel caso di specie il mandato conferito ai periti costituisse effettivamente una perizia contrattuale – come tale vincolante -, oppure altro tipo di negozio, e’ anch’essa questione di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimita’.
8. Il secondo motivo del ricorso principale (OMISSIS).
Col secondo motivo la (OMISSIS) censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha condannato gli assicuratori al pagamento dei soli interessi di mora di cui dell’articolo 1224 c.c., comma 1, e non anche al risarcimento del maggior danno di cui al comma 2, della norma suddetta.
Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene tre distinte censure.
8.1. Con una prima censura la (OMISSIS) deduce che nel giudizio di merito aveva ampiamente dimostrato che in conseguenza del sinistro, e del ritardato pagamento dell’indennizzo da parte dei coassicuratori, aveva dovuto:
-) sostenere di tasca propria i costi di ripristino dello stabilimento;
-) ricorrere al credito bancario, accollandosi relativi interessi;
-) perso le commesse precedentemente affidatele dai propri clienti;
-) sospendere il pagamento dei contributi previdenziali e delle imposte, esponendosi alle sanzioni dell’Inps e dell’agenzia delle entrate;
-) differire il pagamento dei propri fornitori, accollandosi i relativi interessi di mora.
Conclude la ricorrente osservando che la Corte d’appello non aveva tenuto in alcun conto le fonti di prova dimostrative dei suddetti danni.
8.2. Con una seconda censura la (OMISSIS) deduce che nel caso di specie il danno da mora, essendo impossibile a provarsi nel suo esatto ammontare, si sarebbe dovuto liquidare in via equitativa ai sensi dell’articolo 1226 c.c..
8.3. Con una terza censura, infine, la (OMISSIS) deduce che, in applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 19499/08, le si sarebbero dovuti accordare almeno gli interessi di mora al saggio pari al rendimento dei titoli di Stato di durata annuale.
8.4. La prima censura e’ fondata, con conseguente assorbimento delle altre due.
La Corte d’appello ha ritenuto (pagina 37, primo capoverso) che “nella presente fase di rinvio” la (OMISSIS) aveva l’onere di indicare “quali sarebbero le risultanze istruttorie dalle quali il collegio dovrebbe desumere l’esistenza di un danno superiore al saggio degli interessi legali”, e che il mancato assolvimento di tale onere impediva l’accoglimento della domanda di condanna ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2.
Tuttavia la stessa Corte d’appello da’ atto, a pagina 5, che nel primo giudizio di appello (quello concluso dalla sentenza cassata da questa Corte nel 2016) la (OMISSIS) aveva formulato un appello incidentale chiedendo la condanna degli assicuratori al “risarcimento del danno da ritardato pagamento”.
Ebbene, secondo il consolidato orientamento di questa Corte nel giudizio di rinvio le parti “conservano la stessa posizione processuale assunta nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza annullata, ed ogni riferimento a domande ed eccezioni pregresse, nonche’, in genere, alle difese svolte, ha l’effetto di richiamare univocamente ed integralmente domande, eccezioni e difese gia’ spiegate nel giudizio originario, sicche’, per la validita’ dell’atto riassuntivo, non e’ indispensabile che in esso siano riprodotte tutte le domande della parte in modo specifico, ma e’ sufficiente che sia richiamato senza necessita’ di integrale e testuale riproduzione – l’atto introduttivo in base al quale sia determinabile “per relationem” il contenuto dell’atto di riassunzione, nonche’ il provvedimento in forza del quale e’ avvenuta la riassunzione medesima”.
Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia stato riassunto il processo deve pronunciare su tutta la domanda proposta nel giudizio in cui fu emessa la sentenza annullata, e non sulle sole diverse conclusioni formulate con l’atto di riassunzione, atteso che, a seguito della riassunzione, prosegue il processo originario (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 30529 del 19/12/2017; Sez. 1, Sentenza n. 23073 del 30/10/2014).
Nel caso di specie, pertanto, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare le deduzioni svolte dalla (OMISSIS) nell’atto di appello incidentale proposto nel giudizio concluso dalla sentenza poi annullata, senza limitarsi a considerare le deduzioni contenute nell’atto di riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio.
9. Il terzo motivo del ricorso principale (OMISSIS).
Col terzo motivo la (OMISSIS) censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che, per patto contrattuale, l’indennizzo spettasse alla vincolataria (OMISSIS).
Nella illustrazione del motivo la (OMISSIS) sviluppa vari argomenti cosi’ riassumibili:
a) le appendici di vincolo allegate al contratto di assicurazione avevano lo scopo di “tenere indenne la (OMISSIS) dall’eventuale perdita dei beni soggetti all’ipoteca”, con la conseguenza che, una volta ripristinati quei beni, veniva meno la causa stessa dell’attribuzione patrimoniale in favore della (OMISSIS);
b) diversamente argomentando, si perverrebbe al paradosso che la societa’ assicurata, pur avendo ripristinato a proprie spese i beni danneggiati, non potrebbe ottenere alcun indennizzo da parte dell’assicuratore;
c) le appendici di vincolo allegate al contratto di assicurazione erano “riproduttive della previsione di cui all’articolo 2742 c.c.”, con la conseguenza della loro inoperativita’ nell’ipotesi di ripristino dei beni danneggiati;
d) le appendici di vincolo non avevano lo scopo di garantire il credito della banca, ma solo l’interesse di questa all’integrita’ dei beni ipotecati a suo favore.
9.1. Il motivo e’ infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto che l’indennizzo assicurativo spettasse (nella maggior parte) alla (OMISSIS) in virtu’ delle appendici di vincolo allegate alla polizza, ed ha ritenuto che il diritto della banca vincolataria non fosse venuto meno sol perche’ la debitrice-assicurata aveva ricostruito i beni distrutti.
Questa conclusione e’ stata fondata dalla Corte d’appello sue due considerazioni:
a) le appendici di vincolo a favore della (OMISSIS) allegate alla polizza non erano meramente riproduttive dell’articolo 2742 c.c.;
b) le appendici di vincolo non avevano lo scopo di surrogare la perdita del bene ipotecato, ma quello di garantire la restituzione del mutuo.
Ambedue tali rationes decidendi sono corrette.
9.1.1. Corretta fu la prima affermazione, in quanto l’articolo 2742 c.c., prevede la “sostituzione” dell’indennizzo alla cosa perita, a garanzia dei crediti ipotecari vantati dai creditori dell’assicurato, ma non la diretta e immediata attribuzione dell’indennita’ stessa a favore dei titolari dei predetti crediti, come da tempo stabilito da questa Corte (cosi’ gia’ Sez. 1, Sentenza n. 97 del 16/01/1968, Rv. 330936 – 01).
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha escluso che le appendici di vincolo fossero “riproduttive” dell’articolo 2742 c.c., e che di conseguenza l’avvenuta ricostruzione dell’opificio distrutto privasse la banca vincolataria del diritto all’indennizzo.
9.1.2. Corretta, altresi’, fu la seconda ratio decidendi.
Il patto comunemente denominato “appendice di vincolo”, cosi’ come normalmente si presenta nella prassi commerciale, consiste in un accordo trilatero in virtu’ del quale l’assicuratore si obbliga, in caso di sinistro, a versare l’indennizzo nelle mani del terzo vincolatario; ovvero a non versarlo all’assicurato se non previa autorizzazione del vincolatario stesso.
Tale patto ha in comune con l’articolo 2742 c.c., la funzione di garantire un creditore dell’assicurato. Differisce, pero’, dalla previsione codicistica sotto due aspetti:
-) l’articolo 2742 c.c., presuppone l’esistenza d’un diritto reale di garanzia sul bene assicurato, mentre il patto di vincolo ne prescinde;
-) l’articolo 2742 c.c., demanda all’assicurato la scelta se impiegare l’indennizzo assicurativo per ripristinare i beni distrutti o lasciare che sia versato ai creditori; il patto di vincolo, per contro, attribuisce il diritto all’indennizzo direttamente al creditore dell’assicurato (cosi’ gia’ Sez. 3, Sentenza n. 4791 del 02/04/2001).
Se dunque l’appendice di vincolo, per come diffusa nella prassi commerciale, e’ fattispecie diversa da quella prevista dall’articolo 2742 c.c., correttamente la Corte d’appello ha ritenuto inapplicabile alla prima le previsioni del secondo, ed in particolare quella secondo cui il creditore dell’assicurato non puo’ vantare alcun credito nei confronti dell’assicuratore, se l’assicurato destina l’indennizzo alla ricostruzione dei beni (ipotecati) distrutti dal sinistro.
Fuori luogo, infine, e’ il richiamo all’articolo 1370 c.c., dal momento che nessuna ambiguita’ puo’ ravvisarsi nel patto in virtu’ del quale l’assicuratore si obbliga a versare l’indennizzo ad un terzo.
10. Il ricorso incidentale della (OMISSIS).
Con l’unico motivo di ricorso incidentale la (OMISSIS) censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha negato la rivalutazione monetaria del credito indennitario. Sostiene la societa’ ricorrente che il principio per cui la stima del danno ad opera dei periti trasforma il debito indennitario dell’assicuratore da obbligazioni di valore in obbligazione di valuta puo’ trovare applicazione solo quando non sia contestato l’an debeatur; che l’applicazione dell’articolo 1224 c.c., presuppone la mora del debitore, ma la mora a sua volta “richiede che il credito da soddisfare sia certo, liquido ed esigibile”, con la conseguenza che – questo parrebbe l’unico senso attribuibile alle non del tutto perspicue deduzioni svolte alle pagine 42-44 del controricorso della (OMISSIS) – poiche’ le societa’ assicuratrici non erano in mora, esse erano tenute al pagamento della rivalutazione monetaria.
10.1. Tutte le suddette deduzioni sono inammissibili od infondate.
10.2. Inammissibile per difetto di interesse, in primo luogo, e’ l’allegazione secondo cui la Corte d’appello non avrebbe potuto applicare l’articolo 1224 c.c., per mancanza del presupposto della mora.
Infatti, anche a prescindere dalla erroneita’ del principio “in illiquidis non fit mora” (principio inesistente nel nostro ordinamento, come si desume tra gli altri dall’articolo 1219 c.c., comma 2, n. (1)), quel che rileva e’ che se davvero le tre societa’ coassicuratrici non dovessero ritenersi in mora se non per effetto della liquidazione giudiziale del danno, nulla potrebbe pretendere la (OMISSIS) ne’ a titolo di interessi moratori (se si qualificasse il credito come obbligazione di valuta), ne’ a titolo di interessi compensativi e rivalutazione (se si qualificasse il credito come obbligazione di valore), in quanto la mora debendi costituisce presupposto degli uni e degli altri.
10.3. Nella parte restante il motivo e’ infondato, per le medesime ragioni gia’ esposte al precedente p. 7.1.
11. Le spese del presente giudizio di legittimita’ saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) accoglie il secondo motivo del ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.r.l.; rigetta i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’;
(-) rigetta il ricorso incidentale proposto dalla (OMISSIS) s.p.a.;
(-) rigetta il ricorso incidentale proposto da (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.;
(-) ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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