Nel caso della regolazione economica ed il controllo giurisdizionale

Consiglio di Stato, Sentenza|30 marzo 2021| n. 2672.

Nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale: quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l’attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso all’Autorità di delineare l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare, senza alcuno spazio all’interno del quale il giudicante possa sostituirsi all’Autorità.

Sentenza|30 marzo 2021| n. 2672

Data udienza 18 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico – Art. 1, comma 1, L. n. 481/95 – Promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità – Art. 21, commi 13 e 19, D.L. 201/11 – Autorità di Regolazione per Energie, Reti e Ambiente (ARERA) – Funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici – Art. 3, comma 1, D.P.C.M. 20 luglio 2012 – Livelli minimi ed obiettivi di qualità tecnica nel servizio idrico integrato – regolatori delle Autorità indipendenti – Giudizio di ragionevolezza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10306 del 2019, proposto da
Arera – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Pu. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Eu. Br. Li. ed Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Eu. Br. Li. in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 10722 del 2019, proposto da
Pu. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Eu. Br. Li. ed Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Eu. Br. Li. in Milano, via (…);
contro
Arera – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Autorità Idrica Toscana – Ait – “Conferenza Territoriale n. 3 Medio Valdarno”, Pa. Ch. non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia n. 1995/2019, avente ad oggetto l’impugnazione della delibera dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico n. 917/2017/R/IDR del 27 dicembre 2017.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 marzo 2021 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che l’udienza si svolge ai sensi degli artt. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa. L’udienza si svolge ai sensi degli artt. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – La società Pu. S.p.A. ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Lombardia la deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico 917/2017/R/idr del 27 dicembre 2017, recante “Regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (RQTI)” e relativo allegato, deducendo cinque motivi di censura: a) il primo era volto a contestare il macro-indicatore M4 – “Adeguatezza del sistema fognario”; b) il secondo era focalizzato sull’indicatore M3a, relativo all’incidenza delle ordinanze di non potabilità della risorsa idrica; c) il terzo era diretto a censurare gli indicatori M3b ed M3c, rispettivamente relativi al tasso di campioni e al tasso di parametri che, da controlli interni, risultino non conformi ai parametri di riferimento; d) il quarto era volto a contestare il macro-indicatore di qualità M5, relativo allo smaltimento dei fanghi in discarica; e) il quinto era volto a contestare il macro-indicatore M1, avente ad oggetto le perdite idriche (lineari e percentuali).
2 – Il T.A.R. adito, con la sentenza 1995/2019, ha accolto il quinto motivo, ha parzialmente accolto il terzo motivo e, per il resto, ha respinto il ricorso.
3 – Avverso tale sentenza hanno proposto separato appello entrambe le parti del giudizio di primo grado.
L’appello della società è volto ad ottenere la riforma della sentenza in relazione alle doglianze proposte attraverso il primo, il terzo e il quarto motivo del ricorso di primo grado.
L’appello dell’Arera è invece rivolto ai i capi 6 e 7 della medesima sentenza, con cui il T.A.R. ha accolto il quinto motivo di ricorso volto a censurare l’indicatore M1a (perdite idriche lineari), in particolare laddove nel rapporto tra volume delle perdite idriche e lunghezza complessiva della rete, esclude, al denominatore (lunghezza rete), “le derivazioni d’utenza (o condotte di allaccio), gestite alla data del 31 dicembre dell’anno a”.
All’udienza del 18 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – In via preliminare, deve disporsi la riunione dei ricorsi in appello ai sensi dell’art. 96 c.p.a., siccome proposti avverso la medesime sentenza.
Prima di scrutinare i singoli motivi di censura giova inoltre richiamare il quadro normativo rilevante all’interno del quale collocare la vicenda in esame.
1.1 – L’articolo 1, comma 1, della legge 481/95 prevede che l’Autorità debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, “la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, (…) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e di redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale”.
L’articolo 21, commi 13 e 19, del D.L. 201/11 ha trasferito all’Autorità di Regolazione per Energie, Reti e Ambiente (ARERA) “le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici”, precisando che tali funzioni “vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481”.
Il D.P.C.M. 20 luglio 2012 all’articolo 3, comma 1, descrive puntualmente le funzioni attinenti alla regolazione del servizio idrico trasferite ex lege all’Autorità, stabilendo fra l’altro che la medesima “definisce i livelli minimi e gli obiettivi di qualità del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (…) per ogni singolo gestore e vigila sulle modalità di erogazione del servizio stesso”, e che a tal fine “prevede premialità e penalità ; (…) determina altresì obblighi di indennizzo automatico in favore degli utenti in caso di violazione dei medesimi provvedimenti”.
I livelli minimi e gli obiettivi di qualità tecnica nel servizio idrico integrato sono stati definiti, in esito ad un processo di consultazione, con deliberazione n. 917/2017/R/IDR del 27 dicembre 2017, recante “Regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (RQTI)”, ed impugnata nel presente giudizio, che hanno previsto l’introduzione di: a) standard specifici da garantire nelle prestazioni erogate al singolo utente; b) standard generali che descrivono le condizioni tecniche di erogazione del servizio; c) prerequisiti, che rappresentano le condizioni necessarie all’ammissione al meccanismo incentivante associato agli standard generali.
A tal fine, l’ARERA ha introdotto alcuni macro-indicatori per la valutazione dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione. Fra essi, ad assumere rilievo in questa sede sono: a) il macro-indicatore M3 – “Qualità dell’acqua erogata” (cui è associato l’obiettivo di una adeguata qualità della risorsa destinata al consumo umano), definito tenendo conto, fra l’altro: i) del tasso di campioni da controlli interni non conformi; ii) del tasso di parametri da controlli interni non conformi; b) il macro-indicatore M4 – “Adeguatezza del sistema fognario” (cui è associato l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale derivante dal convogliamento delle acque reflue), definito considerando: i) la frequenza degli allagamenti e/o sversamenti da fognatura, attenuando l’obiettivo di assoluta assenza dei medesimi; ii) l’adeguatezza normativa degli scaricatori di piena; iii) il controllo degli scaricatori di piena.
L’art. 4 della Delibera fissa obiettivi annuali per ciascuno di tali macro indicatori, divisi in due categorie – mantenimento e miglioramento – e ripartiti in classi, con valori differenziati in base alle condizioni di partenza riscontrate.
Il successivo art. 7 prevede poi l’attribuzione di premi, in caso di conseguimento degli obiettivi di cui al comma 4, e di penalità in caso di mancato raggiungimento degli stessi, attribuiti a partire dall’anno 2020.
Le risorse per l’erogazione dei fattori premiali sono reperite attraverso la tariffa del servizio, con le modalità previste dall’art. 32-bis della delibera n. 664/2015/R/IDR (recante il c.d. MTI-2).
L’applicazione dei fattori di penalizzazione avviene invece attraverso la decurtazione dei costi riconosciuti, nel caso di mancato rispetto degli obiettivi di mantenimento (Stadi I e III) e mediante un obbligo di accantonamento, nel caso di mancato rispetto degli obiettivi di miglioramento (Stadi II e IV).
1.2 – E’ utile ancora premettere che, in tema di sindacato del giudice amministrativo sull’attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore. L’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo che si avvale delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate (sul piano tecnico), che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto.
Nel caso della regolazione economica, il controllo giurisdizionale “non sostitutivo” trova giustificazione in ragione di una specifica scelta di diritto sostanziale: quella per cui il legislatore, non essendo in grado di governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto, si limita a predisporre soltanto i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato. In tali casi, l’attività integrativa del precetto corrisponde ad una tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso all’Autorità di delineare l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare, senza alcuno spazio all’interno del quale il giudicante possa sostituirsi all’Autorità .
Tenuto conto delle precisazioni che precedono si può passare all’esame delle singole censure proposte dalle parti.
2 – Appare prioritario l’esame dell’appello proposto da ARERA, che ripropone l’eccezione di inammissibilità del quinto motivo del ricorso di primo grado con il quale la società ha censurato l’articolo 6 (rubricato “Macro-indicatore M1 – Perdite idriche”) comma 1 della RQTI – secondo cui “l’Ente di governo dell’ambito, per ciascun gestore in relazione all’anno a, al fine di definire la classe di appartenenza e l’obiettivo di miglioramento/mantenimento per il macro-indicatore M1 relativo alla conservazione della risorsa idrica nel servizio di acquedotto, determina i seguenti indicatori: a) M1a: perdite idriche lineari, definite al successivo Articolo 7; b) M1b: perdite idriche percentuali, definite al successivo Articolo 8” – ed il successivo art. 7 che disciplina il calcolo del parametro M1a (perdite idriche lineari)
Più precisamente, la società ha censurato le previsioni richiamate laddove escludono dalla lunghezza della rete le condotte di allaccio, che costituirebbero il 22% del totale della lunghezza della rete gestita (allacci inclusi).
L’Autorità prospetta che la variazione del solo indicatore M1a può non essere sufficiente a determinare il passaggio di classe da parte del gestore. Più nel dettaglio, l’Autorità prospetta che se si esaminano i valori di M1a ed M1b comunicati per la società Pu., si osserva che i dati dichiarati per il 2016 – consuntivo – (M1a=32,73 mc/km/gg, M1b=48,1%) e per il 2017 – pre-consuntivo – (M1a=32,61 mc/km/gg, M1b= 48,0%) pongono il gestore per entrambi gli anni all’interno della classe D. Se si raffrontano tali dati con i valori della Tavola 2 risulta evidente che il fattore limitante per il passaggio di classe del gestore è rappresentato dall’indicatore M1b (che si trova nell’intervallo tra il 45% ed il 55%, corrispondente per il caso di Pu., alla classe D) e non certo da M1a (che si trova nell’intervallo tra 25 e 40, corrispondente, alla classe C, purché M1b stia tra 35 e 45). Ne deriva che il valore di M1a pari a 21 mc/km/gg indicato dalla società (considerando gli allacci) si dimostra ininfluente ai fini dell’attribuzione della classe, atteso il valore alto di M1b (situato tra 45 e 55), da cui l’inammissibilità della censura, atteso che nessuna utilità deriverebbe all’impresa appellata dall’annullamento delle RQTI limitatamente alla formulazione dell’indicatore M1a.
2.1 – La censura non può essere accolta.
Non può essere valorizzato ai fini del presente giudizio il richiamo alla situazione contingente e ai valori riportati dalla società in un determinato anno (2016) – che dimostrerebbero la ininfluenza in concreto dell’indicatore M1a sulla attribuzione della “classe” – atteso che quella impugnata è una disposizione regolatoria, in quanto tale destinata a conformare anche per il futuro la azione dei gestori, a prescindere dalla situazione temporanea in cui versa la società .
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che: “la lesione della situazione giuridica soggettiva del titolare di una pretesa viene incisa non solamente dal provvedimento che ne nega direttamente l’utilizzazione giuridica ma anche dagli atti che precludano, anche in futuro, il suo godimento. Di conseguenza l’attualità del danno sussiste anche quando le conseguenze lesive saranno concretamente visibili in un momento futuro e ciò non impedisce, anzi legittima pienamente, la tutela al momento del fatto eziologicamente rilevante” (Cons. St. sez. IV, n. 4870/2011).
3 – Con il secondo motivo di appello (“Error in iudicando circa la ragionevolezza tecnica della previsione regolatoria annullata; travisamento dei presupposti di fatto e delle disposizioni censurate con riferimento alla disciplina complessiva dell’indicatore M1”) l’Autorità lamenta che il T.A.R. si sia spinto a sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dall’Autorità, facendo un cattivo uso del proprio sindacato sulle scelte regolatorie dell’Autorità di settore.
In particolare, vengono sottoposte a critica le considerazione svolte dal giudice di primo grado in riferimento al macro indicatore M1 – Perdite idriche (l’indicatore M1a, relativo alle perdite idriche lineari, risultante dal “rapporto tra il volume delle perdite idriche totali nell’anno considerato e la lunghezza complessiva della rete di acquedotto”).
La formula di calcolo contempla la divisione fra due grandezze: al numeratore è posto il volume complessivo di acqua disperso nel corso dell’anno di riferimento (differenza tra i volumi in ingresso nel sistema acquedottistico del gestore e i volumi in uscita); al denominatore è posto il prodotto fra 365 (giorni del periodo annuale di “osservazione”) e la grandezza Lp(a), che rappresenta lo sviluppo lineare totale delle condotte di adduzione e distribuzione, con esclusione tuttavia delle “derivazioni d’utenza (o condotte di allaccio)”.
In altri termini: al numeratore viene considerato il volume complessivo delle perdite, su tutto il sistema d’acquedotto, e quindi anche quelle verificatesi sugli allacci, mentre al denominatore tali allacci non vengono contemplati.
Secondo il T.A.R. si sarebbe al cospetto di una “irragionevole, in quanto ingiustificata, sperequazione esistente tra gli elementi rispettivamente posti a base del numeratore (ove la dispersione viene calcolata sulla intera infrastruttura, compresi gli allacci) e quelli fondanti il denominatore (ove la “misura” e la “dimensione” di detti allacci viene totalmente obnubilata). 6.2.1. Una tale ingiustificata sperequazione: – depriva di significatività l’indicatore in esame, in quanto non tiene effettivamente conto della reale incidenza delle perdite in relazione alla dimensione effettiva della infrastruttura gestita; in tal guisa irremissibilmente frustrando i principi di selettività ed effettività che informano il modello di regolazione della qualità tecnica in esame, in definitiva impedendo di equamente “misurare” le performance degli operatori e di premiare, indi, le reali eccellenze e gli sforzi effettivamente profusi per diminuire le perdite idriche; – è idonea a determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra gli operatori, basata sul mero “accidente” -di per sé tutt’affatto privo di significatività ai fini della valutazione della qualità del servizio- delle dimensioni più o meno grandi degli allacci, finendo per favorire in modo del tutto casuale, e dunque arbitrario, il gestore con allacci meno estesi, a detrimento degli operatori che, per contro, gestiscono infrastrutture in parte qua più estese”.
3.1 – Le considerazioni svolte dal T.A.R., innanzi trascritte, contrariamente alla prospettazione dell’Autorità, non travalicano i confini del giudizio di ragionevolezza demandato al giudice amministrativo sugli atti regolatori delle Autorità indipendenti, nel senso innanzi precisato.
Devono infatti trovare integrale conferma i principi espressi dalla giurisprudenza in base ai quali gli atti dell’Autorità “sono normalmente espressione di valutazioni tecniche e conseguentemente suscettibili di sindacato giurisdizionale, in applicazione di criteri intrinseci al settore che viene in rilievo, esclusivamente nel caso in cui l’Autorità abbia effettuato scelte che si pongono in contrasto con quello che può essere definito principio di ragionevolezza tecnica. Non è sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile. Non è consentito, infatti, al giudice amministrativo – in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri – sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dall’Autorità ” (Cons. Stato, sez. VI, n. 2521 del 2012).
3.2 – Il T.A.R. non ha imposto una possibile diversa scelta tra le diverse scelte possibili in riferimento al caso in esame; ma ha invece chiaramente messo in luce la irragionevolezza delle modalità di calcolo del parametro in questione.
Tale valutazione di irragionevolezza, oltre a non travalicare i confini del sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità, deve essere confermata.
Invero, non appare opinabile come le modalità di calcolo del parametro relativo alle perdite idriche, non permettano di ottenere un risultato significativo rispetto a tale parametro, nel momento in cui si pongono a confronto le perdite complessive registrate, incluse quelle che si verificano negli allacci, con una dimensione della rete che non considera gli allacci.
E’ palese che il valore che può assumere il parametro in questione, oltre che dal dato che ci si propone di rappresentare (cioè le perdite) poste al numeratore della formula, risente delle dimensioni della rete, posta al denominatore, la cui misurazione non risulta però coerente con il dato posto al numeratore (le perdite globali registrate, compresi gli allacci), escludendo dalla lunghezza della rete gli allacci, nonostante il fatto che le perdite, che in ipotesi si verifichino lungo le condutture costituenti gli allacci, rilevino comunque nel computo delle perdite totali considerate dalla formula.
Come anticipato, tale distonia tra i termini posti a confronto è suscettibile di produrre risultati non significativi e, in ipotesi, anche fuorvianti, come ad esempio nel caso in cui un ipotetico acquedotto si caratterizzi per una notevole dimensione degli allacciamenti rispetto al resto delle condutture; in tal caso un mero dato strutturale (la dimensione degli allacci), che non viene incluso nella formula di calcolo, viene ad incidere sul valore che assume il parametro, senza avere alcuna attinenza con l’aspetto che si propone di misurare.
3.3 – Le spiegazioni dell’Autorità alla formula di calcolo utilizzata non colgono nel segno.
Invero, il rischio che il parametro in discorso possa assumere valori scarsamente significativi non può trovare giustificazione nel fatto che la lunghezza degli allacci è caratterizzata da un elevato grado di incertezza, frutto di stime, per le quali non è immediatamente individuabile un criterio uniforme da applicare a tutte le realtà .
Si tratta infatti di un mero impedimento pratico legato alla misurabilità degli allacci, al quale l’Autorità, nell’ambito della discrezionalità che gli è propria, può ovviare, a mero titolo esemplificativo, attraverso una rideterminazione dei termini di calcolo del parametro in questione, oppure attraverso la misura o la predisposizione, con il contributo degli operatori del settore, di un adeguato criterio di misurazione o stima degli allacci.
3.4 – Quanto alla critica ai passaggi della sentenza impugnata nella parte in cui questa ipotizza che l’Autorità avrebbe potuto utilizzare i dati stimati: “- al numeratore, “scorporando” e non computando nel volume complessivo delle perdite, un valore percentualmente commisurato alla lunghezza “stimata” degli allacci; – ovvero, in alternativa, valorizzando direttamente al denominatore le dimensioni degli allacci, ancorché stimate”, deve ribadirsi come tali indicazioni del T.A.R. (e quelle espresse dalla Sezione al punto che precede) valgano solo ed evidenziare l’eventualità di soluzione alternative a dimostrazione dell’irragionevolezza del metodo di calcolo utilizzato.
Le stesse non hanno, e non possono avere, alcuna cogenza rispetto alla disciplina regolatoria che l’Autorità è chiamata a compiere nell’ambito della discrezionalità che le è propria ed alla quale non può certo sostituirsi la valutazione del giudicante.
3.5 – Anche la dedotta incidenza relativamente bassa della dimensione degli allacci sulla lunghezza totale delle reti non appare idonea a giustificare il metodo di calcolo in discorso. Invero, i dati a tal fine forniti dall’Autorità sono dati statistici, i quali non escludono la sussistenza di situazioni reali in cui il rapporto tra la dimensione degli allacci e la rete complessiva sia profondamente divergente dal valore medio rappresentato dall’Autorità ; in tali situazioni, l’irragionevolezza del metodo di calcolo è suscettibile di concretizzarsi in parametri distorti a pregiudizio del singolo operatore, che non può essere sacrificato in nome di una più agevole modalità di calcolo.
3.6 – La soluzione che precede risulta infine in sintonia con quanto rappresentata dalla società in riferimento alle indicazioni di cui al documento della missione Europea “EU Reference Document – Good Practices on Leakage Management – WFD WG PoM – Main Report (2015)”, da cui emerge che l’indicatore M1a (“perdite idriche lineari”) non possiede caratteristiche di equità tali da renderlo adatto al confronto delle performance tra sistemi diversi, in quanto non prende in considerazione alcuni elementi fondamentali a questo scopo, come la quantità e la lunghezza degli allacci.
4 – Devono ora esaminarsi i motivi di appello proposti dalla società .
Con il primo motivo (“Sul primo motivo del ricorso di primo grado. In relazione agli art. 14 e 15 dell’Allegato A alla delibera 917/2017/R/IDR. Violazione e falsa applicazione degli artt. 74, comma 1, lett. i) e 141, comma 2 del D. Lgs. 152/2006. Eccesso di potere per irragionevolezza e perplessità . Violazione dei principi in materia tariffaria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 154 del D. Lgs. 152/2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 14, lett. d) del D.L. 13 maggio 2011, n. 70”), l’appellante ricorda che la delibera n. 917/2017/R/IDR introduce, fra gli altri, il macro-indicatore M4 – “Adeguatezza del sistema fognario”, cui è associato l’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale derivante dal convogliamento delle acque reflue.
L’art. 14 dell’allegato A prevede che tale indicatore operi secondo una logica multi-stadio, attraverso tre sotto-indicatori più specifici: a) M4a, che tiene conto della frequenza degli allagamenti e/o sversamenti da fognatura, definita al successivo art. 15; b) M4b, riferito all’adeguatezza normativa degli scaricatori di piena, definita al successivo art. 16; c) M4c, che si occupa del controllo degli scaricatori di piena, definito al successivo art. 17.
Ad assumere rilievo nel presente giudizio è il primo di tali parametri (M4a), il quale tiene conto della frequenza degli allagamenti e/o sversamenti verificatisi sulla rete fognaria. Al riguardo, l’art. 15 chiarisce che “la frequenza degli allagamenti e/o sversamenti da fognatura (indicatore M4a) è determinata dal numero degli episodi di allagamento da fognatura mista, bianca – laddove ricompresa nel SII ai fini della determinazione dei corrispettivi come previsto dal comma 1.1 dell’Allegato A alla deliberazione 664/2015/R/IDR (MTI-2) – e di sversamento da fognatura nera, verificatisi ogni 100 km di rete fognaria totale gestita”.
4.1 – Secondo la società, la previsione secondo cui l’indicatore dovrebbe tener conto anche degli episodi di allagamento da fognatura mista e bianca sembrerebbe sottendere la volontà di riconoscere in capo ai gestori del SII un obbligo generalizzato di gestione delle acque meteoriche. Tale conclusione sarebbe illegittima per le seguenti ragioni:
a) una siffatta estensione del Servizio Idrico Integrato si porrebbe in netto contrasto con la perimetrazione del medesimo definita dall’art. 141 del Codice dell’Ambiente, che esclude da tale novero la gestione delle acque meteoriche;
b) una simile inclusione sarebbe irragionevole, giacché l’imposizione delle attività afferenti la gestione delle acque meteoriche, tra cui i lavori di pulizia e manutenzione stradale connessi alla conservazione e all’eventuale ripristino della funzionalità delle caditoie, graverebbe gli operatori di un’attività che palesemente esula dai servizi che sono abitualmente chiamati a compiere e per la quale non sono dotati delle necessarie risorse e competenze; la responsabilità in materia verrebbe illegittimamente sottratta ai soggetti (Comuni, Regioni, Consorzi di Bonifica, Autorità di Bacino) dotati di competenza in tema di governo del territorio e di predisposizione degli strumenti di pianificazione e programmazione, che sono gli unici a poter concretamente influire sulla regimentazione ed il governo delle acque bianche e a poter pianificare i necessari interventi sulle reti;
c) la gestione delle acque meteoriche comporterebbe una significativa estensione del profilo di rischio dell’attività, con l’assunzione di rilevantissime responsabilità legate, in particolare, al possibile verificarsi di incidenti in seguito ad allagamenti di strade e sottopassi;
d) se trasferire gli obblighi di manutenzione straordinaria delle reti bianche e miste ai gestori deve ritenersi illegittimo, parimenti illegittimo sarebbe disgiungere fra loro la gestione delle acque bianche e la competenza in tema di manutenzione straordinaria delle relative reti (ponendo la prima in capo al gestore del SII e la seconda in capo ai Comuni). In tal modo, infatti, il gestore si troverebbe del tutto irragionevolmente a subire le conseguenze – in termini di responsabilità e, ora, anche di valutazione della performance – di eventuali negligenze dei Comuni nella realizzazione degli interventi volti ad impedire gli allagamenti e ad adeguare le infrastrutture di rete.
4.2 – Sotto un altro profilo, la società rileva che anche laddove l’inclusione dell’attività di gestione delle acque meteoriche nel SII fosse da intendersi come valevole unicamente ai fini tariffari, la stessa risulterebbe comunque illegittima. A tale stregua, infatti, si graverebbero degli oneri connessi alla gestione delle acque meteoriche tutti gli utenti della rete idrica in proporzione ai rispettivi consumi e non – come invece dovrebbe essere – in proporzione all’effettiva fruizione dei vantaggi offerti da quell’attività, che, da un lato, interessa una platea potenzialmente più ampia di soggetti e, dall’altro, incide su ciascun utente sulla base di parametri completamente diversi rispetto al consumo di acqua. Un simile approccio, oltre a porsi in aperto contrasto con i principi generali vigenti in materia tariffaria, viola l’esplicito disposto dell’art. 154, comma 1, del Codice dell’Ambiente, in materia di tariffazione del SII, in forza del quale la tariffa dovrebbe avere natura di corrispettivo.
Il provvedimento impugnato si porrebbe altresì in contrasto con la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 14, lett. d) del D.L. 70/11, a mente della quale l’Autorità ha facoltà di determinare la tariffa “del (solo) servizio idrico integrato” e non di attività diverse ed ulteriori, che non possono ritenersi fisiologicamente incluse nella gestione del medesimo.
5 – La censura è infondata.
Come già rimarcato dal giudice di primo grado, l’Autorità, nello specificare, all’articolo 15, comma 1, RQTI, che si considerano gli episodi di allagamento da fognatura bianca “laddove ricompresa nel SII ai fini della determinazione dei corrispettivi come previsto dal comma 1.1 dell’Allegato A alla deliberazione 664/2015/R/idr (MTI-2)”, riconduce tale fattispecie ai soli gestori che, in forza di specifiche convenzioni, gestiscono anche la fognatura bianca alla data di pubblicazione del MTI-2, escludendo tutti i casi in cui l’eventuale presenza di fognatura bianca non è stata ricompresa nel perimetro del SII da specifiche convenzioni.
Deve dunque escludersi che la disposizione in questione imponga alla società la responsabilità della gestione di un ambito, quello della acque meteoriche, non ricompreso nella specifica convenzione, da cui la manifesta irrilevanza dei rilievi a tal fine dedotti dalla società ; né, a maggior ragione, la disposizione impugnata implica un’assunzione di responsabilità della società per eventi riconducibili ad aspetti relativi al governo del territorio di competenza dell’ente locale (come meglio di seguito precisato).
5.1 – Anche per quanto concerne il caso delle “fognature miste”, il parametro contestato può rilevare solo nel caso in cui tale attività sia ricompresa nella convenzione di affidamento del servizio, come si desume inequivocabilmente dal testo della disposizione (“numero degli episodi di allagamento da fognatura mista, bianca – laddove ricompresa nel SII ai fini della determinazione dei corrispettivi”).
La prospettata sovrapposizione con altri enti in riferimento a determinati aspetti che incidono su quest’ultima attività e le connesse implicazioni in termini di responsabilità ed oneri (pulizia strade, manutenzione straordinaria e connesse implicazioni di rischio e di equilibrio finanziario) può ipotizzarsi in riferimento alle disposizioni che regolano l’affidamento del servizio nella parte in cui include anche gli scarichi delle acque meteoriche, e dunque in un momento a monte della delibera impugnata, la cui disposizione come detto, non amplia in alcun modo le competenze dei gestori, riconducendo il parametro in questioni ai soli soggetti che, in base alla specifica convenzione, sono titolari della specifica funzione.
5.2 – Alla luce di tale precisazione anche gli ulteriori rilievi dell’appellante risultano infondati.
Invero, il criterio censurato appare del tutto ragionevole in relazione a quei soggetti che, tramite convenzione, risultano competenti anche in relazione alla acque reflue. Inoltre, come meglio di seguito precisato, anche in riferimento a questi ultimi, il parametro in quesitone, non potrà evidentemente trovare applicazione per quegli eventi totalmente al di fuori della sfera di controllo del gestore, in quanto estranei rispetto alla propria attività e connessa responsabilità così come assunta tramite la convenzione.
Già sul piano generale, deve infatti affermarsi come non possa rappresentare un ragionevole indice di performance un evento la cui origine non è in alcun modo riconducibile all’attività oggetto di misurazione. In questo senso, l’applicazione concreta di un determinato parametro volto a misurare la qualità del servizio non può che riconnettersi ad una attività che rientra nella sfera di controllo del gestore e, dunque, in questo caso, legittimamente assunta ad indice di valutazione della qualità della condotta tenuta e del servizio reso.
In coerenza con tali assunti, nel caso in esame, la clausola contenuta all’art. 5, comma 4, della deliberazione n. 917/17, consente all’Ente di governo dell’ambito la facoltà di formulare, ex post, motivata istanza di deroga dalle disposizioni concernenti gli indennizzi automatici e il meccanismo incentivante, nel caso in cui il mancato rispetto dei medesimi standard sia dovuto al verificarsi di eventi imprevisti e imprevedibili e comunque al di fuori della sfera di responsabilità del gestore.
Tale clausola deve ritenersi espressiva del più generale principio in base al quale la posizione del gestore non può essere incisa in senso deteriore dalle manchevolezze e dagli inadempimenti riconducibili ad altri soggetti, dovendosi escludere l’operatività del parametro laddove lo sversamento non sia riconducibile allo specifico segmento di attività che il gestore è chiamato a svolgere in base alla specifica convenzione dallo stesso stipulata anche in riferimento alle acque reflue e meteoriche.
In termini più espliciti, tenuto conto del tenore delle doglianze della società, il parametro in questione non potrà venire in considerazione a fronte di eventi che attengono ad esempio alla regimentazione delle acque piovane e al loro corretto incanalamento nella rete fognaria, laddove rientranti nella diretta responsabilità degli enti locali.
5.3 – La soluzione che precede risulta in sintonia con la giurisprudenza della Sezione (Cons. St., sez. VI, n. 768 del 2021) espressasi sulle modalità di calcolo della tariffa di cui di seguito si ripercorrono i passaggi più significativi relativi all’interpretazioni delle disposizioni normative rilevanti.
Più precisamente: a) l’articolo 141, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, include nel servizio idrico integrato, come si è visto sopra, anche i servizi “di fognatura e depurazione delle acque reflue”, senza circoscrivere la natura delle acque reflue; b) l’articolo 74, comma 1, lettera i), del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, definisce le “acque reflue urbane”, come le “acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato”.
La Sezione, nel precedente citato, ha condivisibilmente rilevato che “dal combinato disposto (che trovano conferma anche negli articoli 100 e 110 del d.lgs. n. 152 del 2006), si ricava che gli impianti di fognatura e depurazione del servizio idrico integrato riguardano anche le acque reflue di origine meteorica”, precisando tuttavia che: “il regolatore con la delibera impugnata non ha inteso introdurre alcun obbligo per il gestore del servizio idrico integrato di svolgere le attività di gestione delle fognature bianche e di pulizia e manutenzione delle caditoie, né di farsi carico di alcuna altra attività che non sia prevista nelle attuali convenzioni e nei Piani d’ambito. Tali attività ? in definitiva ? sono state considerate a fini tariffari soltanto ove già svolti dal gestore” e concluso nel senso che “la disposizione in esame non incide in senso ampliativo sulle convenzioni di gestione in corso (quelle che abbiano espressamente escluso la gestione delle “fognature bianche” dall’oggetto dell’affidamento). È chiaro infatti che il problema dell’adeguatezza del sistema tariffario – sempre da leggersi dinamicamente ? è un posterius rispetto all’obbligo di integrazione ed al superamento delle convenzioni in essere”.
6 – Con il secondo motivo di appello (“Sul terzo motivo del ricorso di primo grado. Illegittimità degli artt. 10, 12 e 13 dell’Allegato A alla Delibera 917/2017/R/IDR, in relazione agli indicatori M3b e M3c. Violazione e falsa applicazione dell’Allegato I del D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, ingiustizia manifesta. Violazione del principio di proporzionalità . Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca”), la società lamenta che l’ARERA, ai fini della verifica della regolazione della qualità del servizio, pretenderebbe di penalizzare gli operatori anche in relazione al mancato rispetto di parametri per i quali non vi è alcun vincolo normativo, ponendoli sul medesimo piano dei parametri la cui ottemperanza è, invece, imposta dalla disciplina di riferimento.
Al riguardo, giova ricordate che tra gli indicatori ricompresi nel Macro indicatore M3 di cui all’art. 10 dell’Allegato A alla Delibera 917/2017/R/IDR, figurano l’indicatore M3b, relativo al tasso di campioni che, da controlli interni, risultino non conformi ai parametri dettati dalla disciplina di riferimento, e l’indicatore M3c, relativo alla numerosità di parametri che, nel caso di non conformità dell’acqua rilevata da controlli interni, risultino violati.
La disciplina puntuale dei due indicatori in esame è contenuta rispettivamente nell’art. 12 dell’Allegato A, recante “M3b -Tasso di campioni da controlli interni non conformi”, e nell’art. 13, recante “M3c – Tasso di parametri da controlli interni non conformi”.
La formula contenuta nell’art. 13 pone in relazione il numero dei parametri di cui all’Allegato I del D. Lgs. 31/2001, analizzati nell’anno a dal singolo gestore in tutti i campioni di acqua prelevati nell’ambito dei controlli interni effettuati sulla rete di distribuzione, e non risultati conformi rispetto a quelli di riferimento, con il numero complessivo di parametri analizzati nel medesimo anno dal gestore in tutti i campioni di acqua prelevati. Con riguardo al calcolo dell’indicatore relativo al tasso di parametri non conformi, l’art. 13.2 dell’Allegato A precisa che “devono essere conteggiati tutti i parametri presenti nel D. Lgs. 31/2001 e s.m.i., inclusi quelli ai quali è associato un limite qualitativo o consigliato”.
6.1 – Secondo l’appellante tale impostazione non sarebbe coerente con la legislazione nazionale e comunitaria, che ha previsto di consigliare soltanto e non di imporre il rispetto di un determinato intervallo di valori o di dare indicazioni non cogenti, ad esempio con riguardo a durezza, torbidità e conteggio colonie a 22 ° C, presenza di cloro residuo.
7 – La censura è infondata.
La disciplina regolatoria in esame non è volta ad imporre coercitivamente il rispetto di determinati parametri, bensì ad individuare specifici indici al fine di valutare la qualità del servizio erogato dal gestore del servizio idrico.
Avuto riguardo allo scopo perseguito dall’Autorità con l’atto in esame, non appare assumere il connotato dirimente che vorrebbe farle assumere la società appellante il fatto che determinati valori siano imposti per legge, oppure solo consigliati.
Ciò che rileva è invece la significatività dei valori considerati al fine di addivenire ad un giudizio sulla performance della società, la quale, nella sua autonomia imprenditoriale, resta libera di non adeguarsi ai parametri che sono solo consigliati.
Contrariamente alla prospettazione di parte appellante, risulta del tutto condivisibile l’assunto del T.A.R., che ha sottolineato come “l’individuazione di c.d. “best practices” a cui l’azione degli operatori dovrebbe tendere “si inscrive giustappunto nella logica che permea l’intervento regolatorio de quo, teleologicamente preordinato ad un progressivo e graduale miglioramento della qualità tecnica del servizio”.
Il fatto che per determinati indici, tra quelli consigliati, non sussista un criterio di misura oggettivo, non comporta di per sé l’irragionevolezza della scelta di considerare anche le best practices, oltre ai vincoli tassativamente imposti dalla legge.
Se del caso, le difficoltà prospettate dall’appellante in riferimento a taluni specifici indicatori saranno valutate in sede applicativa, non risultando idonee ad inficiare il criterio generale previsto in sede regolatoria dall’Autorità .
8 – Con il terzo motivo di appello (“Sul quarto motivo del ricorso di primo grado. Illegittimità dell’art. 18 dell’Allegato A alla Delibera 917/2017/R/IDR, in relazione all’indicatore M5. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, ingiustizia manifesta. Violazione del principio di proporzionalità . Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca”) la società contesta l’introduzione di un indicatore che ha la finalità di orientare i comportamenti del gestore, dal momento che le modalità di smaltimento dei fanghi rappresenterebbero una variabile del tutto indipendente dalle scelte imprenditoriali e dalla volontà dei gestori, ma determinata in misura decisiva dal contesto di riferimento.
A tal fine la società ha rilevato che:
a) quanto alla possibilità di impiego dei fanghi in agricoltura, la disciplina di settore è in continua evoluzione e recentemente le Regioni, alle quali il legislatore nazionale ha demandato la facoltà di stabilire “ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento” (art. 6, comma 1, n. 2, D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99), hanno mostrato, anche sulla scorta di interventi della magistratura penale, una crescente propensione ad introdurre limiti più stringenti rispetto a quelli contenuti nel D. Lgs. 29 99/1992, che di fatto sono idonei ad inibire pressoché integralmente tale utilizzo dei fanghi. Inoltre, dalle ultime esternazioni dei Ministeri competenti (Ambiente, Salute, Agricoltura, Sviluppo Economico), sembra emergere la volontà di introdurre un Decreto Ministeriale che, modificando gli Allegati al D. Lgs. 99/92, indichi limiti più severi sui parametri chimici (idrocarburi) e su quelli batteriologici (salmonella, escherichia coli) per lo smaltimento dei fanghi in agricoltura;
b) quanto ad altri impieghi di fanghi, alternativi allo smaltimento in discarica, e in particolare alla termovalorizzazione, anche in questo caso il relativo impiego prescinde in larga misura dalla volontà del gestore, perché è condizionato dalle condizioni di mercato, dall’assenza/presenza di infrastrutture di valorizzazione energetica nel territorio di riferimento, dai possibili differenti approcci in termini di iter autorizzativi delle varie Regioni e comunque della scarsa accettabilità sociale e dalla difficoltà di localizzazione di tali impianti.
9 – La censura è infondata.
L’art. 18 dell’allegato A alla Delibera 917/2017/R/IDR disciplina il macro indicatore di qualità M5, relativo allo smaltimento dei fanghi in discarica.
Più precisamente, tale macro indicatore è costituito dal rapporto percentuale tra la quota di fanghi di depurazione, misurata in sostanza secca, complessivamente smaltita in discarica nell’anno di riferimento e la quantità di fanghi di depurazione, sempre misurati in sostanza secca, complessivamente prodotta negli impianti di depurazione presenti nel territorio di competenza del gestore nel medesimo anno. Il miglior livello qualitativo corrisponde alle più basse percentuali di fanghi smaltiti in discarica. Il parametro in questione, infatti, è volto a premiare gli impieghi alternativi dei fanghi di depurazione, quali l’utilizzo in agricoltura o per la generazione di energia tramite la combustione in impianti di termovalorizzazione.
9.1 – La prospettazione di parte appellante, secondo cui le modalità di smaltimento dei fanghi rappresenterebbe una variabile del tutto indipendente dalla volontà dei gestori determinata in misura decisiva dal contesto di riferimento, seppur non priva di una sua logica astratta, ai fini del presente giudizio non risulta decisiva per le ragioni di seguito esposte.
Al riguardo, deve evidenziarsi che l’impiego dei fanghi in agricoltura non è l’unica alternativa alla discarica. In ogni caso, in riferimento a tale modalità, l’appellante si limita a riferire di una supposta tendenza in atto del legislatore, regionale e nazionale, volta a rendere più rigorosi i limiti di utilizzo dei fanghi, senza però indicare in modo specifico alcun provvedimento che abbia effettivamente inciso su tale ambito.
Sul punto il T.A.R. ha rilevato (e la società non ha contestato) che gli stringenti limiti per l’impiego dei fanghi in agricoltura sono stati superati per effetto della l. 13/18, volta a “superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore” (per cui continuano a valere, con talune modifiche ed integrazioni, i limiti stabiliti dal d.lgs. 99 del 1992 per i siti di bonifica).
9.2 – Analogamente non può essere valorizzato il riferimento agli interventi della giustizia penale, di cui non si specificano gli estremi e l’incidenza, i quali, in ogni caso, dal momento che impattano su una specifica situazione patologica con un efficacia transeunte, non possono costituire un elemento dal quale formulare un giudizio di irragionevolezza del parametro in discorso.
Più in generale, come già rilevato dal giudice di primo grado, rientra nella sfera di signoria del gestore la possibilità di ridurre la quantità di fanghi residui di depurazione anche attraverso la implementazione di apposite tecniche di disidratazione; di guisa che il conferimento in termovalorizzatori o in cementifici (infrastrutture la cui disomogenea localizzazione sul territorio nazionale precluderebbe una situazione di pari opportunità tra i vari gestori nel raggiungimento del benchmark in questione) non esaurisce il novero degli impieghi alternativi alla discarica.
Infine, anche in riferimento al parametro in questione, vale a scongiurare ogni risultato arbitrario, che in ipotesi porti a pregiudicare un soggetto per fatti allo stesso non attribuibili, la già richiamata clausola di cui all’art. 5, comma 4, della delibera 917/17.
9.3 – Per le ragioni esposte, la censura non deve trovare accoglimento, indipendentemente dalle critiche dell’appellante ai dati storici citati dal T.A.R. (la società ha dedotto l’erroneità del dato percentuale del 13,4% dei fanghi smaltiti in discarica a cui il T.A.R. ha fatto riferimento, prospettando che tenendo conto dei fanghi rientranti in tutte le categorie, il dato complessivo risulta essere pari al 50,06% per l’anno 2015, al 53,11% per il 2016 ed al 50,62% per il 2017).
Invero, lo scopo del parametro in questione è proprio quella di disincentivare la pratica dello smaltimento in discarica, in conformità dei costanti indirizzi dettati anche in sede sovranazionale (cfr. direttive 849-850-851-852/2018/UE), al fine di limitare il più possibile l’impatto ambientale, tenuto conto che i fanghi in questione sono classificati come rifiuti speciali ex art. 184, comma 3, lett. g), d.lgs. 152/06.
10 – In definitiva, la sentenza impugnata deve essere confermata, non dovendo trovare accoglimento gli appelli proposti della parti.
La soccombenza reciproca comporta la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, previa la loro riunione, respinge l’appello dell’Autorità e respinge l’appello della Società, compensando le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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