Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 agosto 2021| n. 30228.
Navi estere adibite a traffici illeciti di stupefacenti .
In materia di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, non sono richieste particolari formalità per l’autorizzazione dello Stato di bandiera necessaria, ai sensi dell’art. 17 Convenzione di Vienna contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope del 20 dicembre 1988, ai fini dell’esercizio di poteri di polizia da parte delle autorità italiane su nave battente bandiera di Stato estero in acque non territoriali, essendo sufficiente la riconducibilità del consenso all’autorità designata dallo Stato di bandiera.
Sentenza|3 agosto 2021| n. 30228. Navi estere adibite a traffici illeciti di stupefacenti
Data udienza 20 aprile 2021
Integrale
Tag – parola: Sostanze stupefacenti – Detenzione e spaccio – Navi estere adibite a traffici illeciti di stupefacenti – Esercizio dei poteri di polizia – Art. 99, co. 2, Dpr 309/1990 – Art. 17 Convenzione di Vienna, ratificata con l. 328/1990 – Potere di polizia – Richiesta allo Stato di bandiera della conferma dell’immatricolazione della nave sospetta
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente
Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere
Dott. NARDIN Maura – rel. Consigliere
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza dei 24/07/2020 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. NARDIN MAURA;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Sostituto Procuratore Dr. MARINELLI FELICETTA, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 luglio 2020 la Corte di appello di Catania ha parzialmente riformato, riducendo le pene inflitte, la sentenza del Tribunale di Catania con la quale (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili del reato di cui agli articoli 110 e 61 bis c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 4 e 6 ed articolo 80, comma 2, per avere in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), per i quali si e’ proceduto separatamente, nonche’ con (OMISSIS), illecitamente trasportato per mare e detenuto, ai fini di spaccio, kg. 10.366 di sostanza stupefacente del tipo hashish, contenuta in n. 299 sacchi di iuta, trasportati a bordo della motonave “(OMISSIS)”, battente bandiera olandese, con l’aggravante dell’avere contribuito alla commissione del reato un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali commesse in diversi Stati, fra i quali Malta, Algeria ed Egitto.
2. Propongono impugnazione avverso la sentenza (OMISSIS), (OMISSIS), che affidano il ricorso ad un unico atto, (OMISSIS) e (OMISSIS).
3. (OMISSIS), (OMISSIS) formulano quattro motivi di ricorso, in parte comuni.
4. Con il primo fanno valere la violazione della legge processuale e delle altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale con riferimento all’affermazione della giurisdizione italiana. Eccepiscono il difetto di giurisdizione ex articolo 20 c.p., rilevando che ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 99, comma 2 le modalita’ di esercizio dei poteri di polizia sulle navi estere che si sospetti essere adibite a traffici illeciti di stupefacenti sono disciplinate dalle norme internazionali.
Sottolineano che a mente dell’articolo 87 della Convenzione sul diritto del mare di (OMISSIS) del 1982, recepita dall’Italia con la L. n. 689 del 1995 lo Stato di bandiera dell’imbarcazione e’ il solo soggetto normalmente legittimato ad esercitare poteri coercitivi nei confronti delle navi iscritte nei proprii registri; mentre l’articolo 17 della Convenzione di Vienna, ratificata con la L. n. 328 del 1990, dispone che se uno Stato sospetta che una nave estera pratichi un traffico illecito, puo’ chiedere conferma dell’immatricolazione allo Stato estero ed eventualmente domandare l’autorizzazione ad intervenire. Sostengono che la sentenza della Corte di appello di Catania individua la prevista autorizzazione nel documento allegato sub 9) alla C.N. R., costituito da una e-mail datata 31 maggio 2018, inviata da un referente del Procuratore (sig. (OMISSIS)), nella quale si afferma che il magistrato olandese (successivamente individuato nella Dott.ssa E.M.A.F (OMISSIS)) avrebbe consentito alle operazioni, riservandosi tuttavia di inviare in seguito il provvedimento e specificando che l’Autorita’ Olandese intendeva essere informata sugli sviluppi dell’abbordaggio e delle indagini). La Corte, nel ritenere legittima la mera comunicazione proveniente da un soggetto diverso dal magistrato, ha violato il disposto dell’articolo 17 della Convenzione di Vienna, posto che l’autorizzazione alle operazioni deve provenire formalmente e sostanzialmente dal magistrato, non essendo sufficiente che giunga da altro soggetto che riferisce di avere ricevuto l’assenso orale del primo. D’altro canto, la stessa polizia giudiziaria locale dimostrava di nutrire dubbi sulla validita’ dell’autorizzazione ricevuta tanto che nel comunicarla il redattore dell’informazione chiariva che “gli olandesi hanno inviato per ora la sottostante mail autorizzativa poiche’ il magistrato e’ impegnato in altra urgente ed indifferibile attivita’”, penso che questo basti per effettuare l’attivita’. Su questa base in data 2 giugno 2018 la polizia giudiziaria italiana, nonostante l’assenza di una formale e legittima autorizzazione, ha disposto una serie di attivita’ che hanno condotto al radicamento della giurisdizione presso un Tribunale italiano, cosi’ travalicando i limiti oggettivi della e-mail del 31 maggio 2018, con la quale si preannunciava il futuro invio del provvedimento autorizzativo, laddove avrebbe dovuto limitarsi al costante monitoraggio della nave localizzata ed oggetto di osservazione, sino alla comunicazione della formale autorizzazione. Peraltro, con la e-mail, proveniente da soggetto diverso dal magistrato, si prestava l’assenso al solo abbordaggio della nave in questione, chiedendosi espressamente di ricevere informazioni sullo sviluppo delle indagini, senza alcuna rinuncia alla giurisdizione in favore dello Stato interveniente.
Richiamano la sentenza della Corte di cassazione n. 13596/2019, con la quale e’ stato affermato il principio per il quale i controlli sulle navi private in acque internazionali sono inderogabilmente vincolati al consenso discrezionale dello Stato di bandiera e vanno modulati sulla falsariga dello specifico contenuto dell’autorizzazione preventiva.
5. Con il secondo motivo1 fanno valere la violazione della legge penale con riferimento agli articoli 43 e 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nonche’ il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Contestano gli argomenti posti dalla Corte territoriale a sostegno dell’accertamento del dolo configurato dai giudici come “quantomeno eventuale”, sulla base di una serie di elementi privi di qualsiasi valenza probatoria, quali: l’assenza di un contratto di lavoro, considerato indice rivelatore del proposito criminale, anziche’ una diffusa pratica rivolta all’evasione fiscale e contributiva; la scelta di altri marinai, che pure avevano condotto la nave presso l’Isola di Malta, di lasciare l’imbarcazione, circostanza del tutto neutra, anche rispetto alla decisione di (OMISSIS), (OMISSIS) di rimanere imbarcati, posto che siffatta decisione non e’ significativa della volonta’ di partecipare alla commissione di un reato, ma solo della necessita’ di lavorare; la presenza di quello che la Corte definisce “un generale contesto illegale”, riguardante non solo l’ingaggio irregolare, ma la modalita’, ritenuta “inusuale” del governo della barca, con la presenza di un solo telefono cellulare funzionante, in possesso del coimputato olandese (OMISSIS), e non di (OMISSIS) ed (OMISSIS). Simili fatti, non afferenti al trasporto di sostanze stupefacenti non costituiscono certamente indici della sussistenza di un proposito criminale in capo al ricorrente, cosi’ come non lo e’ l’avere partecipato al trasporto a bordo di sacchi di iuta, il cui contenuto e’ stata rivelato ai due imputati solo dopo l’intervento della polizia giudiziaria. Si tratta, infatti, infatti, di circostanze inidonee a decretare certezza la sussistenza del dolo, anche nella forma eventuale, mentre a fronte delle medesime la Corte omette di verificare, quantomeno per escluderla, la configurabilita’ della colpa cosciente, anche tenendo in considerazione che i due marinai prestavano servizio sulla motonave Quest da diversi mesi, nel corso dei quali mai nulla era accaduto di illecito. Del tutto illogico, inoltre, e’ il riferimento all’assenza di armi sull’imbarcazione quale sintomo della consapevolezza dello scopo del viaggio, valutazione che sembra sottintendere che solo per mezzo delle armi possa esercitarsi costrizione nei confronti dei componenti dell’equipaggio, senza tenere in considerazione la sudditanza psicologica dei suoi membri rispetto all’armatore. Parimenti privo di intrinseca coerenza e’ il ragionamento del giudice del merito che rinviene nel ritiro dei telefoni cellulari ai due marinai ucraini, da parte di (OMISSIS), longa manus dell’armatore (OMISSIS), ulteriore argomento da cui ricavare la partecipazione dei primi al reato, posto che (OMISSIS) ed (OMISSIS) nel sottrarre i cellulari intendevano evitare il loro incauto utilizzo, ed il rischio di localizzazione dell’imbarcazione. Osservano, che, invero, mal si comprende per quale ragione gli imputati, se effettivamente correi, avrebbero dovuto “tradire” i loro capi, una volta ottenuto l’obiettivo di recuperare lo stupefacente, utilizzando impropriamente il telefono. O perche’ l’assenza di scambi di informazioni fra i componenti dell’equipaggio in relazione ai rispettivi ingaggi, dovrebbe considerarsi indizio del pactum sceleris, posto che se l’accordo vi fosse stato, l’argomento non sarebbe stato âEuroËœtabu”. Assumono che la sentenza e’ fondata su un tessuto motivazionale debole, che neppure chiarisce se i ricorrenti avessero accettato il rischio di contribuire all’attivita’ illecita, se l’intenzione fosse pregressa e condivisa rispetto all’azione o se la loro condotta sia connotata da “dolo sopravvenuto” al momento del trasbordo dei sacchi e che proprio la carenza del quadro probatorio ha consentito l’assoluzione di (OMISSIS), anch’egli marinaio, che opero’ in condizioni identiche a quelle di (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali tuttavia sono stati condannati. Mentre in nessuna considerazione e’ stata tenuta l’assoluzione, in altro procedimenti del Comandante della nave (OMISSIS).
6. Con il terzo motivo si dolgono della falsa applicazione dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4 e del vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale utilizzato le dichiarazioni dei coimputati e le chiamate in correita’ in maniera circolare ed incrociata. Sostengono che a carico di (OMISSIS) ed (OMISSIS) vengono utilizzate le dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS), ritenuto credibile solo quando si riferisce a loro, mentre le dichiarazioni di (OMISSIS) ed (OMISSIS) sono ritenute attendibili solo nella parte in cui si riferiscono a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), ma non in quella in cui riguardano i ricorrenti stessi. Tutto cio’ in assenza di riscontri intrinseci ed estrinseci.
7. Con il quarto motivo, si dolgono dell’inosservanza dell’articolo 61 bis c.p.. Rilevano che la sentenza non identifica il gruppo organizzato transnazionale di riferimento, neppure indicando le sue figure apicali, incorrendo nell’errore di sovrapporre il reato transnazionale con l’aggravante della transnazionalita’. Osservano che le Sezioni unite con la sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Adami e altro, hanno indicato con chiarezza i criteri distintivi delle due figure, e che i medesimi sono stati ripresi dalla giurisprudenza successiva, che ha ulteriormente chiarito che per applicarsi l’aggravante della transnazionalita’ e’ necessario che un qualsiasi reato sia commesso in Italia, con il contributo o quantomeno l’agevolazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ illecite in piu’ di uno Stato. La sentenza impugnata, invece, applica l’articolo 61 bis c.p., ad un reato commesso in acque internazionali, solo perche’ i membri dell’equipaggio appartengono a nazionalita’ differenti, affermando fra l’altro che l’apporto di piu’ soggetti necessariamente organizzati e’ stato imprescindibile per procurare il quantitativo di sostanza stupefacente, cosi’ chiaramente sovrapponendo l’autonoma e non contestata fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 all’aggravante di cui all’articolo 61 bis c.p..
8. Con il quinto motivo, fanno valere la falsa applicazione dell’articolo 62 bis c.p. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorieta’. Assumono la sentenza, nel negare l’applicazione della diminuente, sottolinea l’assenza di elementi positivi, salvo poi sostenere, nel determinare la pena da applicare, la ridotta capacita’ a delinquere degli imputati ed il loro corretto comportamento processuale. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che il medesimo elemento puo’ essere positivamente valutato sia ai fini del riconoscimento delle circostanze che ai fini della quantificazione della pena inflitta. La decisione non offre alcuna valutazione sul punto. Concludono per l’annullamento della sentenza impugnata.
9. (OMISSIS) formula tre motivi di ricorso.
10. Con il primo lamenta il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza e manifesta illogicita’, nella parte in cui afferma la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente desumendolo dalle dichiarazioni eteroaccusatorie dei coimputati Tanas, (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche’ su elementi di natura meramente indiziaria. Osserva che i giudici di merito assegnano a (OMISSIS) un ruolo di primo piano, ritenendolo il braccio destro del sottoufficiale (OMISSIS), comandante in seconda, in quanto consegnatario del telefono satellitare con cui comunicava con terzi soggetti e dal quale non si separava mai, giungendo ad infliggere al medesimo una pena piu’ severa di quella riservata agli altri. E cio’, senza confrontarsi con la versione offerta da (OMISSIS), che ha chiarito di essersi recato a Malta per trovare lavoro e di essere al corrente solo della destinazione della missione al traffico illegale di sigarette, che’ altrimenti non si sarebbe mai imbarcato sulla motonave Quest, non potendo, in ogni caso/sottrarsi una volta in navigazione, se non buttandosi in mare. Afferma di essere stato a conoscenza del fatto che (OMISSIS), armatore, era un trafficante di sigarette, essendo il fatto noto a chiunque nell’isola, e che proprio questa circostanza e’ rivelatrice dell’assenza di consapevolezza sul contenuto del carico, non essendo pensabile che per un traffico cosi’ importante come quello realizzato gli organizzatori affidassero ad un giovane di diciannove anni un’informazione tanto riservata ed un compito cosi’ delicato, essendo, al contrario, necessario che egli nulla sapesse per non far naufragare il piano criminoso. In ogni caso mancano le prove del previo accordo e quindi della consapevolezza dell’imputato in ordine al trasporto di stupefacenti. La Corte territoriale fonda la sussistenza di dolo, quantomeno eventuale, sull’utilizzo da parte di (OMISSIS) del telefono satellitare, benche’ non vi sia prova del contenuto delle comunicazioni ne’ dei loro destinatarii e non possa, pertanto, desumersi da siffatta circostanza alcun elemento sulla coscienza e volonta’ di partecipare al reato ascritto. D’altro canto, i coimputati non sono stati ritenuti credibili quando protestavano la loro innocenza e pertanto non lo sono nemmeno quando indicano il ruolo svolto da (OMISSIS). Il medesimo, infatti, ha dichiarato di avere maturato dei dubbi sul reale contenuto dell’operazione solo al momento del trasbordo dei sacchi di juta, non avendo, tuttavia, a quel punto alcuna possibilita’ di sottrarsi, se non buttandosi in mare, scelta del tutto incompatibile con la salvaguardia della propria incolumita’.
11. Con il secondo motivo fa valere la falsa applicazione dell’articolo 62 bis c.p., avendo la Corte di appello negato la diminuente sulla base delle “scarne” dichiarazioni dell’imputato, ritenute frutto della mera strategia difensiva. Deduce l’assenza di confronto con le doglianze formulate, e l’intrinseca contraddittorieta’ della motivazione nella parte in cui facendo riferimento al dolo eventuale e ad un’intesa istantanea non tiene in considerazione detti fattori nella determinazione complessiva della pena.
12. Con il terzo motivo si duole dell’erronea applicazione dell’articolo 61 bis c.p., rilevando che l’aggravante e’ stata ritenuta solo perche’ il trasbordo di stupefacente si e’ svolto in mare, senza approfondire alcunche’ ne’ sulla sua provenienza, ne’ sulla sua destinazione. Richiama la sentenza delle Sezioni unite n. 18374/2013, Adami ed altro, che stabilisce i criteri applicativi della disposizione. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
13. (OMISSIS) formula tre motivi di impugnazione.
14. Con il primo, lamenta il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, essendo la condotta dell’imputato al piu’ connotata da mera connivenza non punibile. Sottolinea che la responsabilita’ di (OMISSIS) e’ stata essenzialmente ricavata dalle dichiarazioni dei coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), travisate dai giudici del merito. Invero, (OMISSIS) ha dichiarato che, mentre si trovava in turno nella’ sala controlli’, sentendo rumori, si era recato fuori, sul lato della nave, ivi trovandovi (OMISSIS) che stava “prendendo delle scatole”, mentre dall’altra parte c’era (OMISSIS), e di esserti quindi spostato nella “sala cargo” ove aveva visto un egiziano, al quale aveva chiesto cosa stavano caricando, senza ricevere da quest’ultimo alcuna risposta, ma solo l’invito a dargli una mano. Da questa dichiarazione di (OMISSIS) la Corte ha indebitamente tratto che (OMISSIS) venne visto prelevare i sacchi di juta, contenenti lo stupefacente, contraddicendo quanto dalla stessa riportato in motivazione. Invero, l’hashish e’ stato ritrovato nei sacchi, e non in delle scatole, sicche’ l’attivita’ svolta da (OMISSIS) non ha nulla aveva che vedere con il trasbordo della droga ed anzi dimostra che egli non nulla a che fare con il traffico illecito, non avendovi materialmente partecipato. (OMISSIS), invece, ha raccontato di essersi trovato, in quel frangente, nella sua cabina e di essere stato chiamato da (OMISSIS), il quale lo aveva invitato a “scendere di sotto” dove si trovavano gia’ “Emin” e l’egiziano (OMISSIS), per spostare il carico in una stanza a fianco, ricordando che quest’ultimo aveva fretta e sollecitava aiuto in continuazione, tanto che dopo circa mezz’ora erano sopraggiunti tutti gli altri marinai: l’egiziano, l’olandese e l’italiano. Non solo, dunque, la Corte trasforma le scatole in sacchi di juta, ma non valuta che dalla narrazione di (OMISSIS) emerge che l’italiano giunse solo dopo mezz’ora quando il lavoro era praticamente finito, chiamato evidentemente quale membro dell’equipaggio per mettere in sicurezza quanto preso a bordo. Sotto il profilo logico manca, quindi, ogni elemento per affermare la consapevolezza di (OMISSIS) sulla natura del viaggio. Osserva che parimenti privi di consistenza dimostrativa sono gli altri elementi indiziari posti a carico di (OMISSIS).
L’assenza del contratto di ingaggio, infatti, e’ chiaramente sintomo della volonta’ di elusione fiscale. Mentre, la mancanza di esperienze lavorative nel settore marittimo non e’ significativa della volonta’ di partecipare al progetto criminoso, quanto piuttosto dell’incapacita’ dell’imputato di rendersi conto delle âEuroËœanomalie’ del viaggio e dell’inadeguatezza del mezzo al trasporto di passeggeri, motivazione per la quale (OMISSIS) riteneva di essere stato imbarcato. Anche il ritiro dei telefoni cellulari non puo’ essere considerato elemento di natura probatoria ed anzi dimostra che (OMISSIS) non era consapevole partecipe al progetto, posto che i suoi dubbi sulle ragioni del sequestro dei telefoni da parte del comandante non dimostrano alcunche’, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, essendo ovvio che a tutti, a quel punto, era diventato chiaro che il carico fosse di natura illecita.
15. Con il secondo motivo si duole della falsa applicazione dell’articolo 62 bis c.p.. La sentenza, infatti, omette il confronto con i motivi di gravame, con i quali si era sottolineato che la condotta di (OMISSIS) era inquadrabile solo quale “connivenza non punibile”. A fronte di cio’, nondimeno, nel negare la diminuente, la Corte non tiene in effettiva considerazione ne’ l’intensita’ del dolo, definito dagli stessi giudici “eventuale”, ne’ “l’intesa istantanea”, cui pure fa cenno, ne’ le circostanze di tempo e di luogo, ne’ la marginalita’ della condotta, ricorrendo ad una motivazione stereotipata con la quale si limita a valutare negativamente le dichiarazioni rese dall’imputato, rivolte solo a corroborare la propria strategia difensiva.
16. Con il terzo motivo, censura l’erronea applicazione dell’articolo 61 bis c.p. ed il vizio di motivazione nella parte in cui la decisione impugnata omette di rispondere sull’esistenza di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato, in violazione dei principii stabiliti dalle Sezioni unite Adami ed altro. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
17. Con requisitoria scritta ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto il rigetto di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono fondati, mentre quello di (OMISSIS) deve essere rigettato.
2. Va affrontato, preliminarmente, il primo motivo introdotto da (OMISSIS), (OMISSIS) con cui si formula, ai sensi dell’articolo 20 c.p.p., l’eccezione di difetto di giurisdizione dell’autorita’ giudiziaria italiana, per violazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 99, comma 2.
3. Per dare risposta al quesito, e’ necessario muovere dal testo della disposizione di cui al cit. D.P.R., articolo 99, comma 2, con cui si stabilisce che modalita’ di esercizio dei poteri di polizia sulle navi estere in acque non territoriali, di cui si sospetti il coinvolgimento in attivita’ di traffico illecito di sostanze stupefacenti -fermi restando gli ampi poteri (controllo, visita, ispezione, fermo e dirottamento), ovunque esercitati (acque interne, mare territoriale ed acque internazionali), nei confronti delle navi nazionali – sono regolate dalle norme dell’ordinamento internazionale.
4. Occorre, dunque, ricostruire il quadro giuridico di riferimento ricavabile dalle fonti normative e pattizie.
5. Va, in primo luogo, richiamato l’articolo 87 della Convenzione sul Diritto del Mare firmata a Montego Bay nel 1982 -recepita in Italia con la L. 2 dicembre 1994, n. 689, che introduce il principio generale della liberta’ di navigazione in acque internazionali- nonche’ l’articolo 92, che specifica che lo Stato della bandiera e’ il solo soggetto legittimato ad esercitare poteri coercitivi nei confronti delle navi iscritte nei propri registri. Questa regola intrinseca della liberta’ di navigazione e’ accompagnata dalla previsione del generico obbligo di cooperazione fra gli Stati (all States shall cooperate) sfornito di valenza precettiva, che costituisce, in realta’, una sorta di auspicio rivolto alla piena collaborazione per la fruizione dello spazio marittimo internazionale. Vengono tuttavia, regolamentatP, con gli articoli 110 e 111 della Convezione, il diritto di visita in acque internazionali e quello di abbordaggio, consentiti nelle limitate ipotesi espressamente richiamate dalle norme.
6. La Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988 avente ad oggetto la promozione della cooperazione fra gli Stati in materia di repressione del traffico illecito di stupefacenti, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 328 del 5 novembre 1990, stabilisce all’articolo 17, paragrafo 1 che Le Parti cooperano, in tutta la misura del possibile, in vista di porre fine al traffico illecito via mare, in conformita’ con il diritto internazionale del mare. Le modalita’ di collaborazione rivolte a reprimere l’attivita’ illecita, sono disciplinate dai successivi commi 2 e 3, che distinguono l’ipotesi in cui la nave sospettata batta la bandiera dello Stato che intende intervenire o non batta alcuna bandiera o non sia immatricolata, da quella in cui la nave sospettata batta bandiera di uno Stato diverso, essendo disposto per il primo caso il diritto di âEuroËœdomandare alle altre Parti di aiutarla’ a porre fine all’utilizzazione dell’imbarcazione per traffico illecito, mentre per il secondo un sistema di intervento che impone la conferma dell’immatricolazione dell’imbarcazione da parte dello Stato di cui essa batte bandiera e la richiesta di consenso all’intervento nei limiti di cui al comma 4 della medesima disposizione. In particolare, testualmente il terzo paragrafo dell’articolo 17 prevede che “Una Parte che ha motivi ragionevoli di sospettare che una nave che esercita la liberta’ di navigazione conformemente al diritto internazionale e che inalbera la bandiera o porta l’immatricolazione di un’altra Parte, pratichi un traffico illecito puo’ notificarlo allo Stato di bandiera, domandare conferma dell’immatricolazione e, se questa e’ confermata, chiedere a questo Stato l’autorizzazione di prendere misure appropriate nei confronti di questa nave”. Il quarto paragrafo, invece, dispone che: “Conformemente con le disposizioni del paragrafo 3, con i trattati in vigore tra di loro o con ogni altro accordo o intesa stipulati tra queste Parti, lo Stato di bandiera puo’ in particolare autorizzare lo Stato richiedente a: a) fermare la nave in alto mare per ispezionarla; b) visitare la nave; c) se sono scoperte prove attestanti la partecipazione ad un traffico illecito, prendere adeguati provvedimenti nei confronti della nave, delle persone che si trovano a bordo e del carico”.
7. Vige, dunque, un vincolo non derogabile al consenso discrezionale dello Stato di bandiera sull’esercizio di controlli e di poteri di interferenza da parte dello Stato interveniente. Siffatto consenso deve esprimersi, come gia’ sottolineato da questa Sezione “sulla falsariga dello specifico contenuto della autorizzazione preventiva da esso rilasciata”, sicche’ “allo stato attuale ogni forma di intervento unilaterale finalizzato alla repressione del narcotraffico in alto mare non puo’ prescindere da un rapportoQcollaborazione con lo Stato di bandiera della nave sospetta se questa e’ di nazionalita’ diversa da quella della nave inquirente” (Sez. 4, Sentenza n. 13596 del 20/02/2019, in motivazione)
8. Cosi’ delineata la complessiva disciplina regolante i rapporti fra gli Stati sottoscrittori delle convenzioni, deve valutarsi se, nel caso concreto, dall’interlocuzione dello Stato italiano-interveniente con lo Stato di bandiera sia derivata, come sostenuto dalla Corte territoriale e contestato dai ricorrenti, la rinuncia del Regno dei Paesi Bassi alla giurisdizione preferenziale sull’imbarcazione battente bandiera olandese, legittimante l’operato delle Forze dell’ordine italiane che provvedettero all’abbordaggio dell’imbarcazione (OMISSIS), cui seguirono il controllo, la perquisizione, il sequestro dello stupefacente e l’arresto di tutti i nove membri dell’equipaggio.
9. Ora, il giudice di seconda cura individua l’autorizzazione prevista dai paragrafi 3 e 4 dell’articolo 17 della Convenzione di Vienna in due atti fra loro integrantisi, ovverosia l’autorizzazione anticipata in via d’urgenza del 31 maggio 2018- contenuta in una e-mail datata 31 maggio 2018, inviata da un referente del Procuratore (sig. (OMISSIS)) – e nel successivo documento autorizzativo formale datato 4 giugno 2018. Spiega la Corte, in una nota del provvedimento (pag. 8), che fra i due momenti che si pone un’ulteriore momento di interlocuzione fra le due autorita’ giudiziarie, costituito da un’altra e-mail, inviata il 2 giugno 2018, dal Procuratore Generale presso l’Ufficio nazionale dei Procuratori dei Paesi Bassi ed il Procuratore investito dell’affare presso la D.D.A. della Procura di Catania, in cui il primo rassicura il secondo di avere ricevuto la sua richiesta in data 31 maggio 2018 e di avere provveduto a concedere l’autorizzazione alle operazioni sulla nave Quest, precisando che l’autorizzazione formale sarebbe pervenuta all’autorita’ richiedente il lunedi’ successivo, 4 giugno 2018.
L’atto di consenso pervenuto il 4 giugno 2018, assente a che le autorita’ di controllo italiane possano fermare, salire a bordo e perquisire la nave olandese (OMISSIS) mentre la nave rimane in alto mare precisando che se viene trovata prova del coinvolgimento del traffico illecito’ le autorita’ italiane potranno adottare le misure appropriate in relazione alla nave, persone e merci a bordo. La validita’ temporale dell’atto autorizzativo e’ stabilita in otto giorni decorrenti dal 31 maggio 2018. A cio’ il medesimo atti aggiunge che il Regno dei Paesi Bassi avrebbe eventualmente esercitato la propria giurisdizione preferenziale al piu’ tardi entro il quattordicesimo giorno dal ricevimento della sintesi delle prove e che l’assenza di comunicazione da parte dell’autorita’ olandese a quella italiana, entro quel termine, avrebbe dovuto intendersi come rinuncia alla giurisdizione preferenziale.
10. A questa ricostruzione i ricorrenti oppongono, innanzitutto, che non puo’ ritenersi atto autorizzativo la e-mail proveniente da persona diversa dal magistrato olandese, ai sensi dell’articolo 17 della Convenzione di Vienna, tanto che la stessa polizia giudiziaria dimostrava dubbi sull’efficacia dell’atto, in secondo luogo, che in quella e-mail si prestava unicamente il consenso all’abbordaggio e non alle ulteriori ed eventuali altre attivita’. Sicche’ le operazioni compiute in data 2 giugno 2018, risulterebbero effettuate in assenza dell’autorizzazione prevista, in quanto comunque travalicanti il contenuto dell’assenso datato 31 maggio. Invero, in attesa del formale provvedimento autorizzativo la polizia giudiziaria avrebbe dovuto limitarsi al monitoraggio costante dell’imbarcazione, potendo intervenire solo dopo la trasmissione del consenso formalizzato rilasciato dal magistrato dello Stato di bandiera, il che e’ avvenuto solo il 4 giugno.
11. Ora, nonostante la suggestiva ricostruzione prospettata con il motivo in esame, va rilevato che essa e’ smentita dalla successione degli atti provenienti dall’autorita’ giudiziaria olandese, cui la richiesta ex articolo 17 cit. e’ stata rivolta il 31 maggio 2018. Invero, proprio in questa data viene trasmesso all’autorita’ italiana, non un mero assenso a salire a bordo (“to board”), come sostenuto dai ricorrenti, ma la piena autorizzazione di cui all’articolo 17 della Convenzione, tanto che con se’ e-mail del 2 giugno 2018, inviata dal Procuratore Generale dell’Ufficio Nazionale dei Procuratori del Regno dei Paesi Bassi si da’ conto che la richiesta ex articolo 17 era pervenuta ed era stata consentita dell’autoritàgiudiziaria olandese in data 31 maggio 2018, e si richiede di essere informati dei “risultati e dei nomi dei sospettati”. E’ proprio questo chiarimento ad illuminare in modo inequivoco l’oggetto dell’atto dell’autorita’ olandese in data 31 maggio, in cui il riferimento al contenuto dell’atto di consenso di cui all’articolo 17 non e’ affatto limitato, tanto che la stessa autorita’ concedente, chiede di essere informata dei “risultati e dei nomi dei sospettati”, il che, ovviamente implica l’esecuzione di un’attivita’ d’indagine.
Ne’ puo’ ritenersi che la mera trasmissione da parte dell’Ufficio del magistrato competente dello Stato battente bandiera della sua autorizzazione orale, impedisca di ricondurre il consenso espresso nell’alveo dei provvedimenti validi ex articolo 17 della Convenzione di Vienna. Deve, infatti rammentarsi che il paragrafo 7 della disposizione espressamente recita “Ai fini dei paragrafi 3 e 4 del presente articolo, ciascuna Parte risponde senza indugio ad ogni domanda rivoltale da un’altra Parte allo scopo di determinare se una nave che batte la sua bandiera sia a cio’ autorizzata, ed alle domande di autorizzazione in applicazione del paragrafo 3. Nel momento in cui diviene Parte alla presente Convenzione ciascuno Stato designa l’autorita’ o se del caso le autorita’ abilitate a ricevere tali domande ed a rispondervi. Nel mese successivo a tale designazione, il Segretario Generale notifica a tutte le altre Parti l’autorita’ designata da ciascuna di esse”.
Nessuna specifica formalita’, dunque, e’ prevista per la trasmissione delle autorizzazioni previste dalla disposizione, ma solo la riconducibilita’ del consenso diall’autorita’ designata dallo Stato di bandiera. Il che, nel caso di specie, e’ certamente pacifico, non solo perche’ la e-mail del 31 maggio proviene dall’Ufficio del Procuratore nazionale Olandese (sulla cui competenza non sono sollevati dubbi), ma perche’ il consenso con quella comunicazione espresso e’ stato formalizzato nel provvedimento del 4 giugno 2018, la cui efficacia e’ fatta decorrere dall’autorita’ dello Stato di bandiera proprio dalla data -31 maggio 2018- in cui l’assenso all’intervento e’ stato concesso.
12. Cio’ posto, e rilevato che la sentenza da’ atto, da un lato, che a seguito della e-mail del 2 giugno 2018, il Procuratore olandese rispose al suo omologo
inviandogli risultati raggiunti ed i nomi dei sospettati’ e cioe’ comunico’ i nominativi degli arrestati e del quantitativo di hashish sequestrato, e che, dall’altro, nessuna comunicazione di esercizio della giurisdizione preferenziale e’ intervenuta nei quattordici giorni successivi alla comunicazione della sintesi delle prove, tempo questo determinato dalla stessa autorita’ olandese, deve ritenersi che la giurisdizione si sia legittimamente radicata in Italia, in forza delle norme convenzionali.
13. Il secondo motivo formulato da (OMISSIS), (OMISSIS) ed il primo motivo formulato da (OMISSIS) debbono, invece, essere accolti.
14. Si tratta di doglianze con cui si censura il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicita’, per avere ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato sulla base di argomenti incoerenti, formulando un ragionamento indiziario fondato su elementi privi di qualsiasi valenza dimostrativa della consapevole partecipazione al delitto.
15. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sottolineano che gli indici, da cui entrambi i giudici del merito hanno tratto la sussistenza del concorso nel reato, consistono: nell’assenza di un regolare contratto di lavoro, da cui dovrebbe trarsi la conoscenza del proposito criminale della spedizione; nella circostanza che i marinai rimasero sulla motonave, ancorche’ non avessero notizie sulla destinazione del viaggio mentre altri marinai, pur in precedenza imbarcati interruppero l’ingaggio; nel fatto che le modalita’ di conduzione dell’imbarcazione fossero del tutto irregolari, essendo, ad un certo punto, dopo la presa a bordo dei sacchi di juta, contenenti la droga, stati ritirati i telefoni cellulari a tutti gli imbarcati fatta esclusione per il giovane (OMISSIS), cio’ implicando la volonta’ di non fare localizzare l’imbarcazione; nel fatto che i medesimi parteciparono, insieme agli altri al carico dei sacchi – o quantomeno alla loro sistemazione- mentre la nave si trovava in mare aperto; nell’assenza di armi, con le quali coartare la volonta’ dei marinai. Solo su queste basi, infatti, la sentenza avrebbe fondato il giudizio presuntivo, affermando che esse rappresentato “con ogni verosmiglianza” che i componenti dell’equipaggio erano stati edotti dello scopo del viaggio, senza tenere in considerazione che, neppure congiuntamente considerate tutte le circostanze, esse possono rivelare la sussistenza del dolo di concorso, neanche nella forma eventuale, cui la sentenza ricorre, al fine di sopperire all’assenza di prove sull’intenzione degli imputati.
16. Per dare soluzione alla censura occorre fare riferimento ai canoni che debbono presiedere alla valutazione della prova indiretta. Le Sezioni unite di questa Corte, infatti, hanno precisato che “In tema di valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non puo’ percio’ prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravita’, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo” (Sez. U, Sentenza n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678), e cio’ perche’ il “metodo di assemblaggio e di mera sommatoria degli elementi indiziari viola le regole della logica e del diritto nell’interpretazione dei risultati probatori. Secondo i rigorosi criteri legali dettati dall’articolo 192 c.p.p., comma 2 gli indizi devono essere, infatti, prima vagliati singolarmente, verificandone la valenza qualitativa individuale e il grado di inferenza derivante dalla loro gravita’ e precisione, per poi essere esaminati in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo, univoco e pregnante contesto dimostrativo: sicche’ ogni “episodio” va dapprima considerato di per se’ come oggetto di prova autonomo, onde poter poi ricostruire organicamente il tessuto della “storia” racchiusa nell’imputazione” (in motivazione; cfr. anche ex multis: Sez. 1, Sentenza n. 44324 del 18/04/2013, Pg, PC in proc. Stasi, Rv. 258321 Sez. 1, Sentenza n. 20461 del 12/04/2016 PC, in proc. Graziadei Rv. 266941).
17. La valutazione della prova indiziaria, dunque, si svolge non in un’unica fase, ma in due distinti momenti, di cui il primo e’ rivolto all’esame di ciascun elemento, di cui va apprezzata l’intrinseca certezza e valenza sintomatica, ed il secondo all’esame globale di quelli ritenuti certi per verificare se la relativa ambiguita’ di alcuno di essi, ove isolatamente considerato, possa risolversi in una visione unitaria, tale da consentire comunque l’attribuzione del fatto illecito all’autore.
18. Ora, la lettura della sentenza impugnata, ma anche di quella di primo grado, con il cui tessuto motivazionale si integra, mostra una vera e propria lacuna dell’inferenza probatoria, avendo i giudici di merito, da un lato, omesso di ricorrere al percorso bifasico, dall’altro, ed ancor prima, di vagliare l’equivocita’ delle singole circostanze considerate, ed infine, di verificare se la loro complessiva considerazione consenta di elidere l’eventuale ambivalenza del singolo indizio, controllando se il medesimo letto unitariamente agli altri perda quell’ambiguita’, che singolarmente preso dimostra.
19. Ed invero, le decisioni di merito danno per scontato che l’assenza di regolare contratto di ingaggio sia sintomatica della consapevolezza dell’intento criminoso che informava la spedizione, allorquando, come correttamente evidenziano i ricorrenti, siffatta modalita’ di estrinsecazione dell’attivita’ imprenditoriale non e’ necessariamente evocativa dello scopo delinquenziale, appartenendo sotto il profilo esperienziale anche alla volonta’ elusiva delle norme fiscali e contributive.
Ne’ l’accettazione del “lavoro in nero” da parte di alcuni soltanto dei membri dell’equipaggio precedentemente imbarcati, puo’ assumere, di per se’ il senso univoco della partecipazione all’azione criminosa, ben potendo, come sottolineato dai ricorsi, essere frutto di una stringente necessita’ economica che informa tutti le prestazioni non regolarizzate.
La diversa possibile lettura di entrambe le circostanze non e’ stata neppure esaminata dalla Corte, che si e’ limitata, cosi’ come il primo giudice, ad assommarla a quelle ulteriormente considerate.
20. La stessa carenza deve ravvisarsi nella valutazione della vicenda relativa al ritiro dei telefoni cellullari a tutti i membri dell’equipaggio, escluso (OMISSIS), dopo il caricamento dei pacchi di juta, contenenti lo stupefacente, ritenuta dai giudici di merito anch’essa rappresentativa della consapevolezza dello scopo del viaggio e dell’adesione al progetto delinquenziale, in quanto rivolta ad evitare che l’imbarcazione fosse localizzata. Anche in questo caso, come opportunamente rimarcato con il motivo in esame, non solo non si tiene conto, pur menzionandola, dell’opposizione manifestata dai marinai, ma neppure si considera la contraddittorieta’ fra l’atto impositivo e la partecipazione al reato, avuto riguardo al fatto che la “fedelta’” alla buona riuscita del viaggio non imponeva una simile operazione, essendo l’intento di tutti quello di portare a termine il traffico per il quale erano stati assoldati. Sul punto le sentenze appaiono assertive, benche’ siffatta circostanza rappresenti un vero e proprio vulnus del ragionamento, che illumina anche l’antefatto del carico dei sacchi di juta, da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS), con il quale deve essere posto a confronto, al fine di spiegare perche’ esso costituisca elemento non equivoco della consapevolezza che prima del carico -e non solo successivamente- gli imputati avessero contezza del contenuto dei colli, posto che il ritiro dei telefoni puo’ ben assumere un significato opposto a quello assegnatogli e non appare incongruente con la presa di coscienza del loro contenutoti solo in seguito, proprio cio’ imponendo la necessita’ di non consentire ai marinai di contattare alcuno, utilizzando i telefoni, in quanto rivelatori di un segnale.
21. Male sentenze di merito palesano ulteriore fragilita’ argomentativa nella parte in cui fanno ricorso in modo circolare alle dichiarazioni degli imputati, ritenendole credibili solo nella parte riferita ad altri. E cosi’ mentre quanto narrato da (OMISSIS) e (OMISSIS) viene valutato come logico e coerente quando essi riferiscono che tutti avevano partecipato alla sistemazione dei pacchi nella stiva, dopo che questi erano stati caricati, quindi anche (OMISSIS) che sosteneva di non averlo fatto, ma non quando essi raccontano quale fu il loro contributo. Le dichiarazioni degli imputati sono ampiamente riportate dalla sentenza di primo grado.
(OMISSIS), invero, ha affermato che egli, normalmente addetto alla sala macchine, si trovava in turno di riposo, quando (OMISSIS) l’aveva chiamato per dare una mano agli altri a sistemare dei pacchi, precisando che lui non sapeva chi avesse caricato la merce in barca e sostenendo, altresi’, che nessuno sapeva cosa vi fosse all’interno dei colli e che pur avendolo egli chiesto non aveva ricevuto risposta da alcuno, mentre (OMISSIS) gli aveva detto di farsi “i fatti suoi’.
(OMISSIS), invece, ha sostenuto che egli al momento del carico si trovava nella sala controlli, cui era addetto, e che sentendo persone che “si spostavano e saltavano” era uscito fuori per vedere cosa stesse accadendo. Li’ aveva visto (OMISSIS), poi, sceso giu’ in stiva, dove un egiziano riponeva i sacchi, aveva chiesto che cosa contenessero, ricevendo come risposta che doveva “aiutare e basta”.
(OMISSIS), invece, ingaggiato quale cuoco, ha negato di essersi trovato sul ponte e di avere collaborato, essendo stato assunto quale cuoco per effettuare, come gli aveva detto l’armatore (OMISSIS), un viaggio in Tunisia per andare a prendere delle persone, accettando l’incarico benche’ soffrisse di mal di mare. Per questa ragione, infatti, aveva preso dei medicinali e non si era accorto che fosse stato effettuato un carico durante la navigazione, ma aveva capito che qualcosa non andava quando (OMISSIS) aveva sequestrato i telefoni a tutti sostenendo che non si dovessero “fare segnali”. Tuttavia, (OMISSIS) riferisce, diversamente da (OMISSIS) ed (OMISSIS), che il comportamento di (OMISSIS) non era minaccioso, mentre il comandante (OMISSIS) aveva sostenuto che egli teneva un atteggiamento autoritario e che anche lui, come i due ucraini e (OMISSIS), solo dopo il trasbordo dei sacchi aveva compreso che il carico aveva natura illecita.
22. A questo proposito, in ordine alla valutazione della chiamata di correita’ va, innanzitutto richiamato il principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui “Nella valutazione della chiamata in correita’ o in reita’, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale” (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145). L’orientamento, ormai consolidato, e’ stato recentemente ribadito, affermando che “In tema di chiamata in reita’, poiche’ la valutazione della credibilita’ soggettiva del dichiarante e quella della attendibilita’ oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l’uno aspetto influenza necessariamente l’altro, al giudice e’ imposta una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili; sicche’, in presenza di elementi incerti in ordine all’attendibilita’ del racconto, egli non puo’ esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto – salvo il caso estremo di una sicura inattendibilita’ del dichiarato – il suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo” (Sez. 1, n. 19744 del 23/02/2021, Fontana, in motivazione, che richiama: Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151-01; Sez. 2, n. 21599 del 16/02/1999, Emmanuello, Rv. 244541-01). Proprio siffatta recentissima pronuncia sottolinea che “le chiamate in correita’ o in reita’, in quanto contenute nelle dichiarazioni eteroaccusatorie rese da uno dei soggetti processuali indicati nell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, non possono che soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione, nel senso che la loro credibilita’ soggettiva e la loro attendibilita’, intrinseca ed estrinseca, devono trovare conferma in altri elementi di prova, con la conseguente accentuazione, conformemente all’espressa previsione del comma 1 dello stesso articolo, dell’obbligo di motivazione del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario e non frazionabile sulle propalazioni oggetto di vaglio giurisdizionale. Tale arresto giurisprudenziale, inoltre, nel solco di un orientamento ermeneutico) collegato e parimenti consolidato, ribadisce che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non puo’ che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilita’ del dichiarante, desunta dalla sua personalita’, dalle sue condizioni socioeconomiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l’accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato; dalla valutazione dell’attendibilita’ intrinseca della chiamata effettuata dal propalante, fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneita’; dalla verifica esterna dell’attendibilita’ della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata, idonei ad attestarne la veridicita’ (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192465- 01). Deve, tuttavia, evidenziarsi, in linea con quanto opportunamente precisato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, che tale sequenza trifasica non deve svilupparsi rigidamente – essendo espressione di un giudizio unitario, omogeneo e non frazionabile sulle propalazioni di volta in volta esaminate – nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate, in quanto la credibilita’ soggettiva del dichiarante e l’attendibilita’ oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra fonte di prova di natura dichiarativa, deve essere valutata unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali e non prevedendo, per converso, la disposizione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica deroga” (ancora Sez. 1, n. 19744 del 23/02/2021, in movitazione).
23. Rispetto a questa elaborazione i giudici del merito preferiscono richiamare quella sulla valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie che appaiano suffragate da idonei elementi di riscontro. In particolare, il giudice di prima cura ricorda che il passaggio dalla credibilita’ intrinseca del dichiarante a quella dell’attendibilita’ delle dichiarazioni ed alla successiva riscontrabilita’ estrinseca rende necessaria la valutazione unitaria della chiamata e degli elementi di prova che ne confermino l’attendibilita’, potendosi, proprio in forza di questo percorso attribuire piena attendibilita’ a quelle sole parti del racconto che siano suffragate da idonei elementi di riscontro.
24. Non trattandosi, invero, di esegesi contrastanti dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, ma solo di specificazioni dei medesimi principi, occorre anche sul punto riprendere l’elaborazione della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui “In tema di valutazione della chiamata in correita’, la verifica dell’intrinseca attendibilita’ delle dichiarazioni puo’ portare anche ad esiti differenziati, purche’ la riconosciuta inattendibilita’ di alcune di esse non dipenda dall’accertata falsita’ delle medesime, giacche’, in tal caso, il giudice e’ tenuto ad escludere la stessa generale credibilita’ soggettiva del dichiarante, a meno che non esista una provata ragione specifica che abbia indotto quest’ultimo a rendere quelle singole false propalazioni. (Sez. 3, Sentenza n. 14084 del 24/01/2013, Rv. 255111; cfr. anche: Sez. 1, Sentenza n. 35561 del 08/05/2013, Rv. 256753)
25. Simili valutazioni, pur annunciate, non sono compiute dalla sentenza impugnata, ne’ da quella appellata, che eludono la valutazione della complessiva credibilita’ dei dichiaranti, utilizzandone solo delle parti strumentalmente alla conclusione della loro penale responsabilita’ che viene conclusivamente affermata sulla base del mancato utilizzo delle armi, al fine di costringere tutti i marinai a collaborare alla sistemazione del carico trasbordato e sulla considerazione della mancata denuncia alle autorita’, una volta abbordata la nave, rinvenendo, i riscontri negli indizi supra riportati, che sono semplicemente assommati, senza alcuna previa valutazione della loro equivocita’ ed in assenza di una finale inferenza che dimostri come la loro considerazione unitaria consenta di elidere l’ambiguita’ di ciascuno di essi.
26. La fallacia di un simile ragionamento che valorizza solo alcune parti del piu’ complesso racconto svolto dai dichiaranti, in assenza della gravita’, precisione e concordanza dei riscontri, nonche’ l’ulteriore considerazione che la sentenza gravata, sulla base elementi non dissimili, e’ contraddittoriamente giunta all’assoluzione di Savo (OMISSIS) – condannato in prima cura- impone l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania.
27. Diverso discorso va formulato in ordine alla posizione di (OMISSIS), rispetto al quale la Corte territoriale valorizza un dato di rilevante importanza, costituito dall’utilizzo da parte del medesimo di un telefono satellitare, consegnatogli dall’armatore (OMISSIS) – non smentito dallo stesso imputato-strumento dal quale non si separava mai. E cio’ prima e dopo il trasbordo dei sacchi contenenti lo stupefacente e, dunque, anche in un momento in cui i telefoni erano stati sequestrati a tutto il personale di bordo, utilizzandolo in modo riservato, per comunicare con altri. Proprio questo ruolo -adeguatamente sottolineato dai giudici di merito- di collegamento con (OMISSIS), comandante in seconda -ma, con l’armatore (OMISSIS), vero artefice del traffico- con il quale (OMISSIS) mantiene un’interlocuzione costante delinea la differenza fra il debole ragionamento inferenziale riservato agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e Salvatore (OMISSIS) e quello fondante la responsabilita’ di (OMISSIS). Ben puo’ richiamarsi, in proposito, la configurabilita’ del dolo nella forma eventuale, che supera le deduzioni della difesa in ordine al convincimento che il viaggio fosse finalizzato al mero traffico di sigarette, posto che proprio le modalita’ con cui (OMISSIS) collabora con (OMISSIS) illuminano, come ritenuto da entrambe le sentenze, il giudizio di consapevolezza e di accettazione del rischio che lo scopo del viaggio fosse rivolto al traffico di sostanze illecite.
28. Il primo motivo proposto da (OMISSIS) e’, pertanto, infondato.
29. Va, “questo punto, esaminata la questione proposta con tutti i ricorsi relativa all’applicabilita’ dell’articolo 61 bis c.p., ritenuta dalla sentenza impugnata.
30. Si assume, infatti, che i giudici di merito non abbiano tenuto conto dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimita’, finendo per sovrapporre la nozione di reato transazionale con l’aggravante della transazionalita’.
31. Ora, va preliminarmente ricordato che secondo le Sezioni Unite “La transnazionalita’ non e’ un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto a condizione che sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il reato sia commesso in piu’ di uno Stato; b) il reato sia commesso in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti sostanziali in altro Stato” (Sez. U, Sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Adami Rv. 255038).
32. Nondimeno “La circostanza aggravante della transnazionalita’, prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4 della, puo’ applicarsi ai reati fine commessi dai membri di un gruppo criminale organizzato transnazionale, anche nel caso in cui la costituzione di detto sodalizio non configuri un autonomo delitto associativo” (Sez. 3, Sentenza n. 17710 del 06/02/2019, Rv. 275597).
33. Ebbene, proprio da queste precisazioni emerge che le contestazioni non colgono nel segno, non confrontandosi efficacemente con il tessuto argomentativo della sentenza. La decisione gravata -ed ancor meglio la sentenza di primo grado, che ne integra la motivazione- rinvengono il fondamento applicativo nel fatto che si il reato commesso con implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato. E traggono l’esistenza del gruppo criminale organizzato impegnato in piu’ Stati dalla circostanza che l’armatore (OMISSIS), ideatore del traffico, fosse implicato in diverse attivita’ illecite internazionali, tanto che (OMISSIS), suo collaboratore, ed i concorrenti nel reato oggetto di questo procedimento, (OMISSIS)l e (OMISSIS) -separatamente giudicati e condannati, furono in precedenza coinvolti -e percio’ arrestati dalla polizia spagnola- per contrabbando di sigarette, svolto con l’appoggio per il trasporto di un’organizzazione algerina, circostanza questa replicatasi nel caso di specie, essendosi il traffico di stupefacenti svolto quantomeno fra Malta e l’Algeria.
34. Tenuto conto che “La circostanza aggravante della transnazionalita’, prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, articolo 4 ha natura oggettiva ed e’ estensibile ai concorrenti nel reato sulla base degli ordinari criteri di valutazione previsti dall’articolo 59 c.p., comma 2, ovvero se conosciuta, ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa. (Sez. 2 -, Sentenza n. 5241 del 15/10/2020, dep. 10/02/2021 Rv. 280645), la verifica della tenuta della motivazione sul punto va -allo stato- limitata alla sola posizione di (OMISSIS), essendo la questione assorbita per gli altri imputati nell’accoglimento dei motivi inerenti alla responsabilita’.
Anche in relazione a questo aspetto la decisione -come integrata dagli argomenti spesi dal primo giudice- si dimostra solida, ricavando la consapevolezza in capo a (OMISSIS) di agire in favore di un’organizzazione operante in piu’ Stati, non tanto, come sostenuto dal ricorrente in funzione delle diverse nazionalita’ dei componenti dell’equipaggio – questa si’ circostanza ininfluente- ma dall’evidenza dell’accordo con (OMISSIS) e (OMISSIS) -di cui costituiva l’uomo di fiducia- e dalla modalita’ di realizzazione del reato, con il trasbordo di droga in alto mare, trasportata sino alla nave proveniente da Malta su gommoni da soggetti stranieri al largo dell’Algeria, al fine di essere caricata sull’imbarcazione.
35. Anche siffatta doglianza deve, dunque, essere rigettata.
36. Stessa sorte va riservata all’ultima censura sollevata da (OMISSIS) riguardante la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
37. Il ricorrente lamenta la parzialita’ della risposta al motivo introdotto con l’appello, non avendo la Corte territoriale, nel denegare la diminuente invocata tenuto in considerazione ne’ la giovanissima eta’ dell’imputato (appena diciannovenne), ne’ la sua incensuratezza, ne’ il significato della lettera di scuse depositata nel processo e le dichiarazioni rese, ricorrendo ad una motivazione monca e priva di confronto con le sollecitazioni introdotte.
38. Vale la pena di ricordare, innanzitutto, che a seguito della modifica dell’articolo 62 bis c.p., in forza delle modifiche apportare dal Decreto Legge n. 92 del 2008 convertito con modifiche nella L. n. 125 del 2008, l’incensuratezza non costituisce, di per se’ sola, ragione di concessione delle circostanze attenuanti generiche, dovendo il giudice valutare la sussistenza di elementi positivi che giustifichino la mitigazione della pena, funzione specifica assegnata dal legislatore alla disposizione. E’, infatti, la meritevolezza che necessita, quando se ne affermi l’esistenza, di,apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare l’attenuazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio’ comporti tuttavia la stretta necessita’ della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (cfr. da ultimo: Sez. 1, Sentenza n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986; nello stesso senso, meno recentemente ex multis: Sez. 3, Sentenza n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610; Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696).
39. Ora, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente/ la Corte vaglia, nel
formulare il giudizio di adeguatezza della pena inflitta dal primo giudice, proprio gli elementi dedotti dall’imputato, ma non li considera incidenti, ritenendo che il comportamento processuale -consistito nel depositare una lettera di scuse- fosse rivolto piu’ che altro a ricercare la benevolenza del giudice, mentre le dichiarazioni rese sono definite’ scarne’ ed inidonee a svelare il quadro nel quale l’attivita’ illecita si svolse.
Si tratta di una motivazione, che pur non condivisa dall’imputato, risponde ai criteri applicativi dell’articolo 62 bis c.p., come supra richiamati, proprio attraverso il riferimento ai parametri indicato dall’articolo 133 c.p.. D’altro canto “Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo’ limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicche’ anche un solo elemento attinente alla personalita’ del colpevole o all’entita’ del reato ed alle modalita’ di esecuzione di esso puo’ risultare all’uopo sufficiente” (Sez. 2 -, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
Su siffatte valutazioni, peraltro, non cade il sindacato di questa Corte di legittimita’, che deve limitarsi a controllare la congruenza della motivazione, certamente incontestabile in questo caso.
40. La sentenza deve essere, dunque, annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania, nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
41. Al rigetto del ricorso di (OMISSIS) consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e di (OMISSIS) e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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