Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 17 maggio 2019, n. 3196.

La massima estrapolata:

La lottizzazione abusiva ex art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001 prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti: e ciò in quanto rileva in via esclusiva il mero dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti in buona fede, estranei all’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante.

Sentenza 17 maggio 2019, n. 3196

Data udienza 9 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4430 del 2010, proposto dai signori Gi. Ca. e altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ca. Di Ma. e Ma. Re., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Gi. Re. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli Sezione Seconda n. 1456/2009, resa tra le parti, concernente lottizzazione abusiva.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e udito per gli appellanti l’avvocato A. Pr. su delega dell’avvocato Re.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1.Gli attuali appellanti – signori Gi. Ca. e altri – espongono di essere proprietari di terreni ubicati nel territorio comunale di (omissis), segnatamente alla (omissis) traversa superiore, riportati nel catasto al Foglio (omissis) e ricadenti secondo il Piano regolatore generale comunale in Zona (omissis).
Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Campania al numero di registro ricorsi n. 5573 del 2007 essi hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Dirigente preposto al 4° Settore – Assetto del territorio – Ufficio abusivismo edilizio del Comune di (omissis) prot. n. 172 dd. 4 giugno 2007 recante “Repressione di reati di abusivismo edilizio per lottizzazione abusiva sul territorio comunale di (omissis) (art. 36 d.P.R. 380 del 2001)”, riguardante anche appezzamenti di terreno di loro proprietà .
In tale primo grado di giudizio i ricorrenti hanno dedotto i seguenti ordini di censure:
1) violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, violazione dei principi discendenti dall’art. 113 Cost., violazione del giusto procedimento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia per omessa valutazione delle proprie deduzioni difensive presentate in esito all’avvenuta comunicazione di avvio del procedimento, omessa comparazione tra l’interesse pubblico perseguito e l’interesse privato inciso anche con riferimento all’affidamento asseritamente consolidatosi per effetto del decorso del tempo;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del T.U. approvato con d.P.R. 5 giugno 2001, n. 380, eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, difetto dei presupposti per inesistenza degli elementi richiesti per la lottizzazione abusiva in quanto la mera realizzazione delle recinzioni e di uno stradello non integrerebbero tale fattispecie e i relativi lotti di terreno discenderebbero da un frazionamento disposto in vista di donazioni da effettuare tra parenti in linea retta;
3) ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 ed eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità, in quanto il frazionamento dei suoli sarebbe intervenuto in massima parte ben 23 anni prima rispetto alla data di emanazione del provvedimento impugnato e recando i relativi atti di compravendita in allegato i prescritti certificati di destinazione urbanistica.
1.2. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di (omissis), replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.
1.3. Con sentenza n. 1456 dd. 16 marzo 2009 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese e degli onorari di tale primo grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00).
2.1. Con l’impugnativa in epigrafe gli attuali appellanti chiedono ora la riforma di tale sentenza, deducendo i motivi di gravame qui appresso specificati.
1) error in iudicando; violazione di legge; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990; violazione dei principi discendenti dall’art. 113 Cost.; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione; contraddittorietà ; manifesta ingiustizia; violazione di legge; violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001; erronea interpretazione dei presupposti di fatto e di diritto.
Ad avviso degli appellanti l’ordinanza da loro impugnata in primo grado risulterebbe priva di qualsivoglia concreta indicazione dei motivi in ordine ai quali gli appezzamenti di terreno di loro proprietà sarebbero oggetto di lottizzazione abusiva.
Il provvedimento impugnato in primo grado recherebbe inoltre una motivazione assolutamente carente in ordine alla configurazione di una lottizzazione complessivamente legittima e lecita se considerata alla stregua dei seguenti profili:
a) non ricorrerebbero nella fattispecie i presupposti per applicare nei confronti degli appellanti la disciplina sanzionatoria contenuta nell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001;
b) in ogni caso non risulterebbe possibile riconoscere nei confronti degli appellanti medesimi una qualsivoglia responsabilità per attività di lottizzazione abusiva, non sussistendo nella fattispecie i presupposti sia cartolari che materiali contemplati dal predetto art. 30 del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001;
c) lo stato dei luoghi non consentirebbe comunque di contestare nei loro confronti qualsivoglia attività di edificazione rilevante agli effetti del medesimo art. 30;
d) nella specie non si sarebbe realizzato alcun frazionamento in lotti inferiori a quelli originari, posto che il frazionamento delle proprietà in più lotti sarebbe intervenuto mediante atti di divisione stipulati innanzi al notaio, segnatamente attraverso donazioni in linea retta e sulla scorta di frazionamenti approvati dall’Ufficio tecnico erariale di Napoli oltre 25 anni addietro; né dalla stessa istruttoria effettuata dal Comune emergerebbero indici rivelatori di una lottizzazione abusiva, posto che – comunque – nel caso di lottizzazione abusiva c.d. “cartolare” tali indici rivelatori dovrebbero essere rigorosamente comprovati da parte dell’amministrazione che intende affermare la relativa circostanza.
In particolare gli appellanti affermano che “illegittimamente l’ordinanza impugnata ricollega meccanicamente la realizzazione di talune opere come un’attività di lottizzazione abusiva mediante predisposizione di una trasformazione edilizia. Per espresso dettato legislativo tale evenienza non realizza l’ipotesi di lottizzazione abusiva in assenza di quelle necessarie e concorrenti caratteristiche richieste dal citato art. 30 del d.P.R. 380 del 2001. Sul punto l’Amministrazione non ha rappresentato la sussistenza dii alcun elemento tra quelli contemplati dalla legge come idoneo a denunciare la destinazione a scopo edificatorio del lotto che si presume abusivamente realizzato” (così a pag. 9 e ss. dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
2) error in iudicando sul governo delle spese.
Gli appellanti contestano la loro condanna al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio pronunciata dal primo giudice e concludono con la richiesta di accordare loro la relativa vittoria nel doppio grado di giudizio.
2.2. Non si è costituito nel presente grado di giudizio il pur intimato Comune di (omissis).
3. Alla pubblica udienza del 9 aprile 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
4.2.1. Come è ben noto, la disciplina delle fattispecie di lottizzazione abusiva è contenuta nell’art. 30 del T.U. approvato con d.P.R. 5 giugno 2001, n. 380, che ivi codifica le disposizioni normative che in prosieguo di tempo sono intervenute a normare la materia, ossia l’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, gli artt. 1, comma 3-bis e 7 del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni con l. 21 giugno 1985, n. 298, e gli artt. 107 e 109 del T.U. approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Il testé riferito art. 30 dispone – per quanto qui segnatamente interessa – che “si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio” (cfr. ivi, comma 1).
I susseguenti commi da 2, 3, 4, 4-bis e 5 recano disposizioni tassative in ordine alla ricezione, formazione e comunicazione degli atti pubblici mediante i quali si trasferiscono tra vivi, ovvero si costituiscono o si sciolgono le comunioni di diritti reali ricadenti su terreni, allo scopo di prevenire l’insorgere della fattispecie.
Il comma 6, abrogato per effetto dell’art. 1 del D.P.R. 9 novembre 2005, n. 304, ineriva sempre agli adempimenti riguardanti la comunicazione di tali atti.
Ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 44, comma 1, lett. c), prima parte del medesimo T.U. n. 380 del 2001,”nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29″ (ossia il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore, e – ove del caso – direttore dei lavori: cfr. ivi) “ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari” (cfr art. 30 cit., comma 7).
“Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8”, esercitati dall’amministrazione regionale (cfr. ibidem, comma 8).
“Gli atti aventi per oggetto lotti di terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento previsto dal comma 7, sono nulli e non possono essere stipulati, né in forma pubblica né in forma privata, dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale” (cfr. ibidem, comma 9).
Va ancora evidenziato che tutte le disposizioni surriferite “si applicano agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati ai competenti uffici del catasto dopo il 17 marzo 1985, e non si applicano comunque alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linearetta ed ai testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù ” (cfr. ibidem, comma 10).
4.2.2. Dalla lettura delle surriportate disposizioni consta dunque che l’ordinamento contempla di per sé due ipotesi fenomeniche di lottizzazione abusiva che possono verificarsi in modo separato o anche concomitantemente: l’una c.d. “materiale” o “sostanziale”, posta in essere con l’esecuzione di opere in aree non adeguatamente urbanizzate che determinino una trasformazione edilizia ovvero urbanistica del territorio in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o comunque di leggi statali o regionali; l’altra c.d. “cartolare” (definita peraltro correntemente anche come “giuridica” o “negoziale”), che viceversa si realizza mediante il compimento di atti di disposizione tra vivi comportanti il frazionamento dei terreni ino modo tale da determinarne in maniera inequivocabile la destinazione d’uso a scopo di edificazione contra legem (cfr. per ulteriori approfondimenti su tale distinzione, explurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5108, e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata).
Con riferimento specifico alla predetta lottizzazione c.d. “cartolare” è stato ripetutamente rimarcato che la fattispecie è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo è predisposta mediante il frazionamento e la vendita – ovvero mediante atti negoziali equivalenti – del terreno frazionato in lotti, i quali, per le loro oggettive caratteristiche – con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione – rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, e Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937).
Ai fini dell’accertamento della sussistenza di una lottizzazione abusiva “cartolare” non è peraltro sufficiente il mero riscontro del frazionamento del terreno collegato a plurime vendite, ma è richiesta anche l’acquisizione di un sufficiente quadro indiziario dal quale sia oggettivamente possibile desumere, in maniera non equivoca, la destinazione a scopo di edificazione perseguito mediante gli atti posti in essere dalle parti (cfr. ibidem).
Detto altrimenti, l’attività negoziale avente ad oggetto il frazionamento e il trasferimento di appezzamenti di terreno rileva quale indizio di un intento che deve trovare peraltro conferma anche in altre circostanze che rendano evidente la non equivocità del fine della futura edificazione, rilevando al riguardo la sussistenza di circostanze fattuali certe e univoche, che confermino che l’attività posta in essere è propedeutica alla realizzazione di un abuso o alla trasformazione del suolo a fini edificatori (cfr. al riguardo, explurimis, la già citata sentenza di Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5108, nonché Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2004).
Per quanto attiene alle ipotesi di lottizzazione c.d. “materiale” è stato rimarcato che la realizzazione delle opere deve risultare globalmente apprezzabile in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e, soprattutto, di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione cui compete la pianificazione urbanistico-edilizia.
Le opere medesime devono essere quindi valutate con riguardo alla complessiva ratio dell’art. 30 in esame, il cui bene giuridico tutelato risiede infatti nella necessità di salvaguardare la potestà programmatoria, delle amministrazioni titolari delle funzioni di pianificazione del territorio. nonché le connesse attribuzioni di controllo sull’ordinato svolgersi delle attività urbanistico-edilizie, ossia – più in generale – del corretto uso del territorio e della sostenibilità dell’espansione delle aree edificate in rapporto agli standard apprestabili (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3416).
Sintomatica al fine dell’accertamento della lottizzazione abusiva c.d. “materiale” è ad esempio la realizzazione sistematica di manufatti, soprattutto se suscettibili di stravolgere, per le proprie caratteristiche, la destinazione del suolo, siccome avulsi da ogni connessione funzionale con quest’ultima (cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5170, e 1 giugno 2010, n. 3475), nonché nella realizzazione di suddivisioni, recinzioni, cancelli, impianti di illuminazione, reti di distribuzione di acqua, energia elettrica, gas, strade o spazi aperti di accesso ai lotti, ecc. (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6060).
4.2.3. Né pare superfluo in questo contesto ribadire che la natura permanente (cfr. sul punto, explurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 agosto 2016, n. 4651, e Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4651) delle sopradescritte attività “materiali” e/o “cartolari” perpetrate conra legem rende tale tipologia di illecito urbanistico-edilizio soggettivamente trasferibile propter rem e sanzionabile in capo a tutti coloro che siano divenuti titolari dei terreni abusivamente lottizzati e, vieppiù, che abbiano goduto di costruzioni eseguite sine titulo su tali terreni, così concorrendo attivamente alla prosecuzione della fattispecie.
In tal senso una giurisprudenza ormai del tutto consolidata afferma che la lottizzazione abusiva ex art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede dei lottizzanti: e ciò in quanto rileva in via esclusiva il mero dato oggettivo dell’intervenuta illegittima trasformazione urbanistica del territorio, fermo restando che la tutela dei terzi acquirenti in buona fede, estranei all’illecito, può essere fatta valere in sede civile nei confronti dell’alienante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 26).
Sotto questo profilo opportunamente Cons. Stato, Sez. IV, 3 aprile 2014, n. 1589, ha anche richiamato in via di coerenza sistematica la giurisprudenza penale laddove, argomentando dal carattere contravvenzionale del reato di lottizzazione abusiva, precisa che gli acquirenti dei singoli lotti risultanti dal frazionamento non possono invocare sic et simpliciter una propria asserita buona fede, non potendo essi, solo per tale loro qualità, qualificarsi come terzi estranei all’illecito, dovendo, invece, dimostrare di aver adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza senza, tuttavia, rendersi conto, in buona fede, di partecipare ad un’operazione di illecita utilizzazione del territorio (cfr. Cass. pen., Sez. III, 13 febbraio 2014, n. 2646; id., 3 dicembre 2013, n. 51710; id., 27 aprile 2011, n. 21853). Sempre in tal senso i principi costituzionali e comunitari di buona fede e di presunzione di non colpevolezza invocabili dai contravventori allo scopo di censurare un asserito deficit istruttorio e motivazionale consistente nell’omessa individuazione dell’elemento psicologico dell’illecito contestato possono al più utilizzare l’argomento al mero fine dell’applicazione della sanzione penale accessoria della confisca urbanistica contemplata dall’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (reputata comunque compatibile con l’art. 7 CEDU dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: Grande Chambre, 28 giugno 2018, n. 1828), nel mentre l’argomento medesimo non è utilmente invocabile al fine dell’irrogazione della sanzione ammnistrativa dell’acquisizione coattiva dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune,segnatamente contemplata dall’art. 30, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto atto vincolato (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2018, n. 1878).
Né è superfluo precisare che l’ordinanza di sospensione contemplata dall’art. 30, comma 7, del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto provvedimento vincolato al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati incisi, e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile – proprio per quanto evidenziato poc’anzi – alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito avente natura permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 agosto 2016, n. 3721, e 16 aprile 2012 n. 2185).
Il medesimo provvedimento di sospensione, inoltre, ha natura cautelare e non sanzionatoria, né richiede l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento à sensi dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, essendo giustificata l’omissione di tale obbligo in presenza di ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità (così Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5805).
4.2.4. Fatti questi opportuni richiami, per il caso che qui interessa concorrono al fine della configurazione della lottizzazione abusiva i necessari profili sia cartolari che materiali.
Va innanzitutto precisato che nella vicenda in esame i signori Gi. Ca. e altri sono proprietari, nell’ordine, dei terreni distinti in catasto con le particelle nn. (omissis).
Viceversa i signori Mi. Ca. e altri sono individuati come destinatari del provvedimento impugnato nella qualità di venditori degli immobili corrispondenti alle particelle catastali nn. (omissis).
Va rilevato da ultimo che la signora Ma. Gr. Ba. risulta venditrice degli immobili censiti al catasto terreni ai nn. (omissis).
Dalla lettura dell’ampia e puntuale motivazione del provvedimento impugnato e dalla correlativa e altrettanto puntuale documentazione istruttoria consta che sulla porzione di territorio sita alla (omissis) traversa (omissis) del Comune di (omissis) sono stati compiuti nel corso degli anni vari atti di frazionamento in più lotti di un più ampio fondo – corrispondente nel catasto terreni alla precedente particella (omissis) del foglio (omissis) – in più lotti.
La titolarità di tali nuovi appezzamenti di terreno è stata quindi ceduta a terzi.
Sugli stessi appezzamenti di terreno sono stati anche realizzati in via progressiva interventi ed attività materiali indubbiamente idonei ad attuare una trasformazione urbanistica ed edilizia dei suoli in violazione delle prescrizioni del P.R.G. dirette a salvaguardarne la destinazione agricola.
L’intento complessivamente perseguito dagli attuali appellanti emerge con incontrovertibile chiarezza ove si considerino unitariamente nel loro sviluppo cronologico, le circostanze fattuali poste a base del percorso logico seguito nel testo del provvedimento impugnato e che trova pieno riscontro nella documentazione depositata nel fascicolo processuale di primo grado da parte dell’Amministrazione comunale.
Va considerato a questo proposito quanto segue.
1) Nel corso di un sopralluogo effettuato in data 16 marzo 2004, è stato accertato che la zona di cui trattasi “era interessata da una serie di suddivisioni realizzate con paletti in c.a. precompresso e rete metallica… complete di strade interne di accesso realizzate con breccia stabilizzato” e che “le quadrature dei lotti ricavati erano inferiori a quelle previste dalla vigente normativa regolamentare ed urbanistica per i lotti minimi in zona agricola di mq. 3000 (tremila)”.
2) In dipendenza di ciò è stata dapprima emessa à sensi dell’art. 30, comma 7, del d.P.R. n. 380 del 2001 l’ordinanza n. 346/04 dd. 15 settembre 2004 nei confronti di 20 persone – tra le quali gli attuali appellanti Ba. e Ca. – individuati quali proprietari o venditori degli appezzamenti di terreno realizzati mediante il frazionamento dell’anzidetta e originariamente unica particella catastale n. (omissis) del foglio (omissis) del nuovo catasto terreni di (omissis) in 24 nuovi lotti segnatamente corrispondenti alle particelle catastali nn. (omissis) del medesimo foglio (omissis).
3) Tale provvedimento è stato impugnato con ricorso proposto sub R.G. n. 13258 del 2004 innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. II, che con sentenza 22 febbraio 2007, n. 1205, ha accolto tale impugnativa per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento à sensi dell’art. 7 della l. 241 del 1990 (per inciso, come si è detto innanzi, tale comunicazione non era necessaria: cfr. al riguardo la predetta sentenza di Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5805).
4) L’Amministrazione comunale ha conseguentemente riattivato il procedimento e mediante ulteriori verifiche presso l’Ufficio del Catasto ha rilevato che nelle stesse more dell’anzidetto, precedente giudizio ben 16 dei 24 summenzionati lotti erano stati alienati con atti di compravendita stipulati nell’arco temporale tra il 2004 ed il 2006; inoltre è stato rilevato che sulle particelle nn. 862, 898 e 902 erano state eseguite ulteriori opere di trasformazione del territorio consistenti nella realizzazione di tre costruzioni abusive, sottoposte a sequestro penale e rese oggetto di distinte ordinanze di demolizione.
5) Per di più, nel corso di ulteriori sopralluoghi effettuati l’8 dicembre 2006 ed il 27 gennaio 2007 è stata accertata “la delimitazione di nuovi lotti, recintati con paletti in c.a. precompresso e rete metallica, con delimitazioni degli stessi con superficie inferiore a quella minima di mq.3000 (tremila) prevista dall’art. 2 delle N.T.A. del P.R.G. per le zone agricole E. A seguito di visure catastali… sui lotti di terreno del foglio (omissis) particelle (omissis), si è riscontrato che tra le ditte intestatarie delle particelle derivanti e frazionate intercorrono atti di vendita tra vivi in forma pubblica aventi ad oggetto trasferimenti di proprietà “.
Consta in particolareche le attuali appellanti Gi. Ca. e altri hanno acquistato le particelle catastali nn. (omissis) rinvenienti dal frazionamento della particella n. (omissis) di proprietà dell’attuale appellante Ma. Gr. Ba..
Su alcune di tali nuove particelle sono state inoltre eseguite ulteriori opere di trasformazione del territorio consistenti nella realizzazione di costruzioni abusive, sottoposte a sequestro penale.
Va anche rimarcato che la destinazione agricola dell’area in questione è stata confermata per effetto del cd. “Piano dei Cinque Comuni”, strumento urbanistico sovracomunale adottato dal Comune di (omissis) con deliberazione commissariale n. 7 del 12 luglio 2005 e che destina l’area in questione a Zona (omissis) – parco rurale-produttivo.
Dall’insieme delle sopradescritte risultanze è quindi conseguita l’emissione à sensi dell’art. 30, comma 7, del d.P.R. n. 380 del 2001 dapprima dell’ordinanza n. 171/07 dd. 1 giugno 2007, avente ad oggetto le medesime particelle già considerate dalla precedente ordinanza n. 346 dd.15 settembre 2004 annullata dal medesimo T.A.R., e quindi dell’ordinanza n. 172/07 dd. 4 giugno 2007, parimenti impugnata innanzi allo stesso giudice di primo grado e della quale – per l’appunto – qui si controverte e che segnatamente concerne le anzidette 24 particelle di nuova formazione.
4.3. Dopo aver così riassunto i fatti salienti della vicenda questo Collegio condivide pienamente l’assunto del giudice di primo grado secondo il quale tutte le suesposte circostanze, contrariamente alle tesi già dedotte nel primo giudizio e ora pedissequamente riproposte dagli appellanti, sono tali da evidenziare senza tema di smentita il chiaro disegno condiviso dagli appellanti medesimi di lottizzare a scopo di edificazione contra legem l’intera area, e ciò non solo nella forma negoziale ma anche in quella materiale.
A comprova di tale proposito si colgono dalla vicenda in esame quegli univoci indici rivelatori che la giurisprudenza dianzi esposta considera agli effetti della realizzazione dell’illecito in questione.
Risulta infatti in via del tutto incontrovertibile che agli atti di suddivisione dell’area in lotti di dimensione inferiore al minimo previsto dalla vigente strumentazione urbanistica ha fatto seguito dapprima la stipula degli atti di trasferimento a terzi della proprietà e quindi la costruzione in breve tempo sul sedime dei nuovi lotti di vari manufatti abusivi destinati ad abitazione.
In tale contesto, quindi, non può essere fondatamente dedotta la censura di difetto di motivazione del provvedimento impugnato in primo grado anche con riferimento al mancato accoglimento delle controdeduzioni difensive presentate a seguito della comunicazione di avvio del procedimento.
Come a ragione ha evidenziato il T.A.R., il sintetico inciso contenuto nel provvedimento – laddove si considera “che dalle memorie sopra riportate non sono emersi elementi per cui non doveva essere configurata la lottizzazione abusiva di che trattasi” – non può che essere letto unitamente alla restante parte della motivazione, ossia a tutte le circostanze fattuali sopradescritte e dalle quali inconfutabilmente emerge la sussistenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie della lottizzazione abusiva.
Da tale esaustiva motivazione, pertanto, non può che discendere – quale ineludibile conseguenza – “il doveroso e vincolato esercizio della potestà repressiva rimessa alle cure dell’amministrazione comunale” (così a pag. 7 della sentenza impugnata).
Va soggiunto che il Collegio non ignora che à sensi dell’art. 30, comma 10, del d.P.R. n. 380 del 2001 sono dichiarati esenti dall’applicazione della disciplina repressiva della lottizzazione abusiva “le divisioni ereditarie, le donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta” e i “testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù ” (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937, e 3 agosto 2010, n. 5170).
Anche a questo riguardo, tuttavia, fondatamente il giudice di primo grado ha evidenziato che il titolo degli attuali appellanti proprietari delle aree complessivamente assoggettate alla lottizzazione derivano comunque dai precedenti atti di frazionamento e di cessione considerati nelle pregresse ordinanze n. 346/04 dd. 15 settembre 2004 e n. 171/07 dd. 1 giugno 2007.
Dalla nullità degli atti posti in essere dai danti causa degli attuali appellanti menzionati in tali provvedimenti in dipendenza della necessitata applicazione della sanzione inderogabilmente contemplata dalla disciplina autoritativa del comma 9 dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001non può dunque discendere un acquisto in capo agli attuali appellanti “sanato” per effetto della mera circostanza che esso è intervenuto mediante donazione tra parenti in linea retta.
Infatti per clausola generale dell’ordinamento quod nullum est nullum producit effectum, e pertanto nella specie la nullità dell’acquisto a suo tempo operato dal dante causa inesorabilmente refluisce anche sull’acquisto del rispettivo avente causa, e ciò pure a prescindere dalla previsione del comma 10 del medesimo art. 30 e senza alcuna possibilità di conversione del negozio nullo à sensi dell’art. 1424 cod. civ.
Né soccorre agli attuali appellanti la circostanza che l’Ufficio del Catasto abbia approvato i frazionamenti da loro presentati à sensi dell’art. 6 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, e della disciplina contenuta nel R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, posto che la circostanza dell’avvenuto inserimento in catasto delle particelle rinvenienti dai piani di frazionamento ivi presentati per certo non inibisce all’amministrazione comunale e all’autorità giudiziaria di verificare anche susseguentemente alla conclusione del relativo procedimento l’eventuale riconducibilità dei piani di frazionamento alle ipotesi di cui all’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 e di intraprendere le azioni amministrative e penali che ad esse rispettivamente competono e che sono deputate al ripristino della legalità violata.
5. Dalla reiezione dell’appello in epigrafe consegue l’integrale conferma della sentenza impugnata.
6. La mancata costituzione nel presente grado di giudizio dell’appello Comune di (omissis) esonera il Collegio dalla statuizione sulle spese e gli onorari di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

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