Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 24 luglio 2020, n. 4725.
La massima estrapolata:
L’ordinanza di demolizione non deve essere accompagnata dalla motivazione circa l’interesse pubblico, in quanto il lasso di tempo intercorso fra il momento della realizzazione dell’abuso e l’adozione dell’ordine di demolizione non è idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato interessato né impone all’Amministrazione uno specifico onere di motivazione.
Sentenza 24 luglio 2020, n. 4725
Data udienza 30 giugno 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Area sottoposta a vincolo paesaggistico – Opere di ampliamento manufatto preesistente – Ordinanza di demolizione – Impugnazione – Motivi di rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1585 del 2011, proposto dai signori St. Vi. e Ro. St., rappresentati e difesi dagli avvocati Fr. Ca. e Lu. Fo., elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Lu. Fo. in Roma, al viale (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione II, n. 2743 del 30 giugno 2010, resa inter partes, concernente un’ordinanza di demolizione di opere di ampliamento di un manufatto preesistente.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 giugno 2020, svoltasi con modalità telematica ai sensi del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 1995 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto innanzi al T.a.r. per il Veneto, i signori St. Vi. e Ro. St. avevano chiesto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 81 del 1° settembre 2009, emessa dal Comune di (omissis), con la quale è stata contestata l’esecuzione abusiva dei lavori di ampliamento di un immobile ad uso residenziale in area sottoposta a vincolo paesaggistico con conseguente ordine di ripristino.
2. A sostegno dell’impugnativa i ricorrenti avevano dedotto quanto segue:
– con il ricorso introduttivo della lite:
i) il difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla demolizione, motivazione resasi ancor più necessaria per il lungo tempo trascorso dall’esecuzione delle opere;
ii) la mancata informazione preventiva da parte del Comune in favore dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico;
iii) la mancata individuazione dell’area di sedime da acquisire gratuitamente in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio;
– con i motivi aggiunti:
iv) la violazione dell’art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001 laddove prevede il termine di 30 giorni alle autorità ivi indicate per la comunicazione della perpetrata violazione edilizia;
v) la violazione dell’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 perché la Soprintendenza non sarebbe stata previamente informata trattandosi di area sottoposta a vincolo paesaggistico;
vi) il mancato rispetto della procedura prevista per l’accertamento degli abusi edilizi.
3. Il Tribunale adì to Sezione II, nella mancata costituzione dell’Amministrazione comunale, ha respinto il ricorso, reputando infondate tutte le censure articolate.
4. In particolare, ha ritenuto che:
– è infondato il primo motivo, in quanto “il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto”;
– è infondato anche il secondo motivo, in quanto è “pacifico che l’Autorità preposta alla tutela del vincolo debba essere interpellata dall’Amministrazione comunale laddove la stessa sia richiesta di un titolo autorizzatorio per l’esecuzione di opere ricadenti in area sottoposta a vincolo paesaggistico – ambientale per ottenere il prescritto nulla osta, non laddove intenda reprimere un abuso perpetrato in assenza di qualsiasi titolo, per di più in area sottoposta ad un rafforzato grado di tutela”;
– “Quanto all’individuazione dell’area da acquisirsi gratuitamente, in realtà l’eventuale misura della stessa, contenuta nell’ordine di demolizione, deve reputarsi meramente indicativa, in quanto la corretta determinazione potrà avvenire soltanto dopo il rituale accertamento, da parte del Comune, dell’inottemperanza all’ingiunzione”.
5. Avverso tale pronuncia i signori St. Vi. e Ro. St. hanno interposto appello, notificato il 14 febbraio 2011 e depositato il 2 marzo 2011, lamentando, attraverso sette motivi di gravame reiterativi dei motivi di primo grado ritenuti non adeguatamente vagliati, quanto di seguito sintetizzato:
I) avrebbe errato il Tribunale nel non valorizzare la documentazione agli atti del giudizio in quanto idonea a provare in modo obiettivo che i lavori di ampliamento dell’abitazione degli odierni appellanti sono stati eseguiti nel periodo tra il 1999 e il 2000, cosicché sarebbe applicabile al caso di specie l’orientamento che impone all’Amministrazione di motivare in ordine alla ricorrenza dell’interesse pubblico se le opere abusive vengono sanzionate dopo lungo tempo dalla loro realizzazione;
II) il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non necessaria la previa acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico;
III) il Tribunale non avrebbe considerato che l’ordinanza difetta dell’esplicita indicazione delle conseguenze della mancata demolizione, limitandosi a richiamare genericamente il d.P.R. n. 380/2001, senza alcuna ulteriore specificazione e non indica l’area che viene acquisita di diritto;
IV) il Tribunale avrebbe errato nel respingere la censura relativa alla mancata effettuazione della procedura prevista per l’accertamento degli abusi edilizi dall’art. 27, comma 4, d.P.R. n. 380/2001;
V) il Tribunale avrebbe errato anche nel respingere le censure articolate con i motivi aggiunti per la denunciata violazione dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 e per sviamento di potere.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento dei ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati.
7. Il Comune appellato, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito nel presente giudizio.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso parte appellante ha depositato memoria chiedendo il rinvio della trattazione del gravame in attesa della determinazione del Comune sulla sua istanza di conversione della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, insistendo comunque per l’accoglimento del gravame.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza, svoltasi con modalità telematica del 30 giugno 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
10. La domanda di differimento della trattazione nel merito del presente giudizio, avanzata con memoria depositata in data 19 febbraio 2020, va respinta, in quanto si fonda su un’istanza di conversione della demolizione in sanzione pecuniaria presentata soltanto in data 31 gennaio 2020 e quindi in prossimità dell’udienza di merito e nonostante si tratti di un ricorso pendente da lungo tempo; peraltro l’esito del giudizio non preclude il buon esito del procedimento innescato dall’istanza di sanzione pecuniaria sostitutiva e tuttora pendente.
11. Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
12. La vicenda di causa involge l’adozione di un provvedimento sanzionatorio a seguito della realizzazione di opere edilizie abusive consistenti nell’ampliamento di un’abitazione preesistente. In questa sede, come esposto in narrativa, parte appellante ripropone, in chiave critica, le censure già articolate in prime cure e respinte dal Tribunale, censure che possono essere esaminate congiuntamente palesandosi infondate per le seguenti distinte ragioni:
– l’ordinanza di demolizione non deve essere accompagnata dalla motivazione circa l’interesse pubblico, in quanto il lasso di tempo intercorso fra il momento della realizzazione dell’abuso e l’adozione dell’ordine di demolizione non è idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al privato interessato né impone all’Amministrazione uno specifico onere di motivazione; ciò in quanto il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento;
– come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza di questo Consiglio (in particolare la recente Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 9; successivamente si veda la prima applicazione fattane da Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5595 nonché Cons. Stato n. 2799/18), “l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. In ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5198), né un’ampia motivazione”;
– diventa così irrilevante la circostanza fattuale, per la quale insiste a più riprese l’appellante anche in corso di giudizio, circa la collocazione temporale delle opere negli anni 1999-2000, non incidendo il tempo trascorso dalla loro realizzazione sull’onere motivazionale incombente all’Amministrazione in ragione di un preteso incolpevole affidamento configurabile in capo ai responsabili delle opere;
– nemmeno sussiste la dedotta violazione, sotto diversi profili, dell’art. 27 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la evidenziata pretermissione della competenza della locale Soprintendenza, stante la presenza sull’area di un vincolo paesaggistico;
– va premesso che la censura, che secondo parte appellante non sarebbe stata esaminata dal Tribunale, deve essere scrutinata in questa sede non potendosi ravvisare, sulla base di tale pretesa mancanza, la fattispecie della rimessione della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 105 c.p.a. non assurgendo al rango di difetto assoluto di motivazione;
– infatti il carattere devolutivo dell’appello giustifica il rinvio, a norma dell’art. 105 c.p.a., della causa al Tribunale solo ove sia raggiunta la soglia del difetto assoluto di motivazione (come rammentato dalla Sezione con la sentenza 12 agosto 2019, n. 5657).
– ai fini della disamina occorre principiare dalla formulazione della norma evocata dall’odierno appellante la quale prevede esattamente che “Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa;
– ha osservato questo Consiglio che “Detto articolo riconosce, infatti, all’Amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l’adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con DIA, prive di autorizzazione paesaggistica”;
– l’intervento della Soprintendenza non serve a verificare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere di repressione degli abusi edilizi ovvero per stabilirne l’opportunità rispetto alle esigenze di salvaguardia dei valori ambientali cosicché la mancanza del relativo parere non ha modo di riverberarsi sulla legittimità delle impugnate ordinanze che, per loro natura, prescindono dall’applicazione di altre sanzioni previste dall’ordinamento e dalla riconosciuta concorrente competenza sanzionatoria della Soprintendenza, quale autorità preposta alla vigilanza sul vincolo storico, artistico e paesaggistico, in base alle specifiche norme di settore;
– parte appellante denuncia altresì che le ordinanze scaturiscono da due distinti accertamenti (uno in data 21 aprile 2009 da parte del Dirigente del Settore Urbanistica ed uno successivo in data 13 luglio 2009 da parte del Comandante della Polizia locale) nonché la violazione del termine di trenta giorni prescritto dall’art. 27, comma 4, del testo unico edilizia;
– premesso che di tali deduzioni occorre provvedere alla disamina in questa sede anche laddove (come denuncia l’appellante) siano state trascurate dal giudice di prime cure, considerati i su evidenziati limiti applicativi di cui soffre l’art. 105 c.p.a., se ne deve ravvisare l’infondatezza in quanto la duplicità degli accertamenti espletati da soggetti diversi non tradisce alcun travisamento di fatto, come denunciato, quanto, al contrario, la particolare accuratezza dimostrata dall’Amministrazione nel verificare l’effettiva perpetrazione dell’abuso nella sua precisa consistenza ed il termine di trenta giorni contemplato dalla norma di cui all’art. 27, comma 4, del testo unico, come correttamente osservato dal Tribunale, non può essere considerato perentorio così da consumare la potestà repressiva degli illeciti edilizi;
– in ordine, infine, alla mancata dedotta individuazione dell’area di sedime suscettibile di acquisizione gratuita in caso di inottemperanza, si registra il costante orientamento di questo Consiglio secondo cui “L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa; l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2020, n. 3330);
Infine, quanto alle censure sull’asserita incompatibilità del provvedimento impugnato con i principi sovranazionali di cui alla Carta Edu, è sufficiente richiamare, a fini reiettivi, i condivisibili e consolidato principi elaborati dal giudice di legittimità penale (ex aliis cfr. Cassazione penale, sez. III, 2 ottobre 2019, n. 47105: ” in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 173 c.p. per le sanzioni penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che, quindi, ricadono anche sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso; e ciò con l’ulteriore conseguenza che tale ordine può essere emesso anche nell’ipotesi dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., indipendentemente dall’accordo delle parti e può essere altresì eseguito, in tal caso, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p. -in motivazione, la Suprema corte ha precisato che tali caratteristiche dell’ordine di demolizione escludono la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di pena elaborata dalla giurisprudenza della Corte Edu”).
12. In conclusione, l’appello in esame è infondato e deve essere respinto.
13. Nessuna determinazione va assunta sulle spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione dell’Amministrazione intimata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 1585/2011), lo respinge.
Nulla per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 giugno 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Giuseppe Rotondo – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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