Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9227.

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità ed il giudice non è, quindi, vincolato alle domande delle parti, espropriato ed espropriante, con la conseguenza che non viola l’art. 112 c.p.c. la sentenza della corte d’appello che riduca l’indennità e il valore venale stimato dalla Commissione provinciale espropri, pur non avendo l’ente locale mai impugnato la stessa ed avendone domandato la conferma nel giudizio di opposizione proposto dall’espropriato.

Ordinanza|4 aprile 2023| n. 9227. L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

Data udienza 7 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’ O PUBBLICO INTERESSE – INDENNITA’

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto – rel. Consigliere

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36838/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
COMUNE LIVORNO, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1632/2018 depositata il 5.7.2018.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.3.2023 dal Consigliere Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 9.3.1989 (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
a) che con Delib. Giunta Regionale Toscana 14 febbraio 1983, n. 1419 era stata approvata la variante al PRG del Comune di Livorno per l’ampliamento del piano di edilizia economica e popolare Zona n. (OMISSIS), che riguardava alcuni terreni dell’estensione di mq. 17.520 di proprieta’ della societa’ (OMISSIS) s.r.l., di cui erano legali rappresentanti e soci al 50% i fratelli (OMISSIS);
b) che il Comune di Livorno con Delib. 10 dicembre 1983, n. 813 aveva disposto l’occupazione di urgenza di durata quinquennale dei terreni, eseguita il 16.5.1984;
c) che l’esproprio era stato disposto nel 1987 con determinazione definitiva dell’indennita’ di esproprio in data 14.11.1988 in L. 52.600.000;
d) che era stato radicato dinanzi allo stesso Tribunale altro giudizio volto ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittimita’ dell’occupazione e la irreversibile trasformazione dei terreni.
I due fratelli (OMISSIS) diedero altresi’ atto di aver ceduto il loro credito alle rispettive mogli (OMISSIS) e (OMISSIS) con atto del 25.9.1987.
Gli attori proposero di conseguenza opposizione alla stima ai sensi della L. n. 865 del 1971, articolo 19 sostenendo il carattere edificabile del terreno.
Si costitui’ il Comune di Livorno resistendo alla domanda e contestando il carattere edificabile e non agricolo dei terreni de quibus.
2. Il giudizio venne sospeso ai sensi dell’articolo 295 c.p.c. fin visto l’esito del parallelo giudizio risarcitorio, che si concluse in primo grado con la vittoria degli attori, con sentenza peraltro riformata in appello dalla Corte di appello di Firenze, che in data 31.1.2006 ritenne invece che l’immissione in possesso del Comune fosse avvenuta nei termini di legge.
3. Il processo venne riassunto dinanzi alla Corte toscana e, insorta contestazione fra le parti sull’eccepita estinzione, fu di nuovo sospeso in attesa della decisione della Corte di Cassazione sul ricorso proposto dagli attori avverso la sentenza della Corte di appello del 31.1.2006.

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

In seguito alla sentenza del 6.5.2011, con cui la Cassazione rigetto’ il ricorso, il processo venne nuovamente riassunto dinanzi alla Corte di appello.
4. Con ordinanza collegiale del 30.4.2012 la Corte di appello rigetto’ l’eccezione di estinzione del giudizio e dispose consulenza tecnica d’ufficio (di seguito, breviter: c.t.u.) per valutare la natura, edificabile o meno, del terreno.
Dopo l’istruttoria tecnica, comportante l’espletamento della c.t.u., le osservazioni delle parti, l’acquisizione di chiarimenti e la disposizione di supplemento peritale, la Corte territoriale con ordinanza collegiale del 21.10.2016 dispose la rimessione della causa sul ruolo e la integrale rinnovazione della c.t.u., affidata ad altro ausiliare.
Espletato anche questo incombente, la causa venne assunta a decisione.
5. Con sentenza del 5.7.2018 la Corte di appello ha determinato l’indennita’ di espropriazione dei terreni nella somma complessiva di Euro 1.301.161,34, ordinando il deposito presso il Ministero dell’Economia e Finanze, Direzione Territoriale di Firenze a favore degli attori, della differenza rispetto all’importo gia’ depositato, con interessi legali dalla data del decreto di esproprio (13.2.1987), compensando le spese di causa e di c.t.u..
6. Secondo la Corte di appello, i terreni avevano natura edificabile in quanto inseriti nel 1983 nel piano di edilizia economia e popolare (PEEP); non trovava applicazione la L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis dichiarato incostituzionale ad opera della sentenza n. 348 del 2007 della Consulta; la disciplina di cui alla L. n. 244 del 2007, articolo 2, comma 90, sostitutiva delle norme dichiarate incostituzionali, non era applicabile ai giudizi in corso; la norma di riferimento era quindi la L. n. 2359 del 1865, articolo 39 e di conseguenza occorreva riferirsi al criterio del valore venale dei terreni; la questione di legittimita’ costituzionale prospettata dalla parte convenuta non era rilevante e comunque era manifestamente infondata, rientrando nei margini di discrezionalita’ legislativa la scelta di articolare nel tempo con apposite discipline transitorie i limiti di applicabilita’ di una nuova normativa; erano condivisibili le valutazioni del Consulente d’ufficio circa la natura conformativa del vincolo antecedente al decreto di esproprio dettato dal PEEP; gli indici territoriali dovevano essere determinati con riferimento a quelli del PEEP “(OMISSIS)” e in particolare a quello vigente con la variante del 1985 che lo aveva abbassato a 1,22 mc/mq; il valore al mq era pertanto di Euro 74,27; non erano fondate le critiche degli attori che volevano attenersi all’indice territoriale in un primo indicato dal C.t.u. di 2,31 mc/mq che faceva riferimento alla sola singola zona C20 del PEEP; quanto concordato dalle parti nel verbale di operazioni peritali del 3.2.2017 non integrava un accordo sull’indice territoriale del comparto e comunque non vincolava il C.t.u.; il terreno degli attori non costituiva un comparto autonomo; il credito di Euro 1.301.161,14, cosi’ liquidato, aveva natura di valuta; le prove dedotte da parte attrice ai fini del richiesto risarcimento del maggior danno non erano ammissibili, perche’ generiche, irrilevanti o da provarsi per iscritto; in ogni modo, se l’indennizzo fosse stato liquidato a suo tempo, gli attori non avrebbero percepito gli stessi importi, ma altri e minori; l’importo andava depositato a favore di tutti gli attori, trattandosi di cessione successiva all’esproprio; le spese andavano compensate poiche’ la decisione favorevole agli attori dipendeva da un mutamento giurisprudenziale consolidatosi solo molti anni dopo la conclusione della procedura espropriativa.
7. Avverso la predetta sentenza del 5.7.2018, notificata in data 10.10.2018, con atto notificato il 10.12.2018 hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), svolgendo sette motivi.
Con atto notificato il 18.1.2019 ha proposto controricorso il Comune di Livorno, chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria illustrativa.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 120 e 1264 c.c. perche’ la Corte di appello aveva disposto il deposito delle somme nei modi di legge anche a favore dei legali rappresentanti della persona giuridica cedente il credito.
8. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilita’.
In primo luogo, i signori Icilio e Luciano Von Berger non hanno interesse alla pronuncia richiesta e neppure lo rappresentano.
Essi poi non spiegano perche’ avrebbero agito dinanzi alla Corte fiorentina se, come sostengono, la loro legittimazione non fosse stata sussistente per aver essi ceduto il credito alle rispettive consorti prima dell’inizio del giudizio.
9. Neppure le signore (OMISSIS) e (OMISSIS), pacificamente legittimate, spiegano perche’ avrebbero agito in giudizio insieme ai rispettivi mariti, con unitarie difese e conformi conclusioni, in particolare chiedendo “condannare il Comune di Livorno a corrispondere agli attori la giusta indennita’ di esproprio, nonche’ l’indennita’ di occupazione”.
Di talche’ per esse, se non fa difetto, come ai rispettivi coniugi, l’interesse a ricorrere, manca la legittimazione ad impugnare, che presuppone la soccombenza, non ravvisabile in capo alla parte che abbia visto accolta dal giudice la sua richiesta.
10. In secondo luogo, ulteriore profilo di inammissibilita’ e’ ravvisabile nel fatto che i ricorrenti si limitano a contestare, senza alcuna idonea argomentazione, l’affermazione della Corte toscana basata sulla posteriorita’ della cessione del credito (25.9.1987) all’emanazione del decreto di esproprio (13.2.1987).
11. La decisione della Corte toscana e’ in ogni caso del tutto corretta perche’ il deposito delle somme dovute a titolo di indennita’ avviene a favore degli aventi diritto e lascia impregiudicata ogni questione relativa al corretto riparto tra di loro.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di espropriazione per pubblica utilita’, la cosiddetta opposizione alla stima non si configura come fase di mera impugnazione del provvedimento amministrativo, ma si caratterizza come giudizio di autonoma quantificazione dell’indennita’ da parte del giudice, il quale, in mancanza di specifica istanza, da parte dell’espropriante, di ridurre l’indennita’ stabilita in via amministrativa, deve decidere unicamente sulla richiesta dell’opponente di un’indennita’ maggiore rispetto a quella fissata in sede amministrativa.

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La conseguente decisione interviene tra “i proprietari e gli altri interessati” (L. n. 865 del 1971, articolo 19), i primi dei quali vanno identificati nei soggetti iscritti nei registri o negli atti catastali, con possibilita’ di estensione agli eredi o aventi causa, mentre i secondi sono immediatamente individuabili nei titolari di diritti o pretese reali sul bene, in concorso ovvero in conflitto con la posizione dei proprietari. La stessa decisione ha contenuto giurisdizionale limitatamente all’ordine di deposito delle eventuali somme aggiuntive, lasciando impregiudicata l’attribuzione delle singole quote, cui e’ preordinato l’apposito procedimento camerale (L. n. 2359 del 1865, articoli 30 e segg., 52 e segg.), con implicazioni che possono legittimamente dar luogo ad un procedimento contenzioso nelle forme ordinarie, in caso di controversia tra i pretendenti alle somme dovute (e’ stata cosi’ confermata la sentenza impugnata, la quale, limitandosi a giudicare sull’indennita’, aveva omesso di provvedere sulla domanda degli espropriati che, in conflitto tra loro, avevano chiesto la pronuncia sull’effettiva titolarita’ e la ripartizione delle somme dovute dall’espropriante). (Sez. 1, n. 10680 del 11.8/2000)
12. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 99, 101, 112, 189 e 194 c.p.c. e articolo 2697 c.c..
I ricorrenti lamentano che in violazione del principio dispositivo la Corte territoriale abbia posto a fondamento della propria decisione l’indice territoriale medio (mc/mq 1,33) determinato dal C.t.u. ing. (OMISSIS), benche’ le parti nelle precedenti fasi del giudizio e anche dinanzi a lui avessero concordato nel ritenere che l’indice territoriale medio dovesse essere determinato in mc/mq 2.31 in esclusivo riferimento al Piano di edilizia economia e popolare (PEEP) (OMISSIS).
13. Dalla sentenza impugnata risulta che in una riunione peritale del 3.2.2017 il consulente d’ufficio e i consulenti di parte avessero concordato sul fatto che l’indice territoriale andava determinato in mc/mq 2,31 con riferimento alla zona C20 e che successivamente il C.t.u., re melius perpensa, aveva rivisto tale affermazione alla luce di un piu’ approfondito studio della questione.
14. Secondo i ricorrenti l’accordo intervenuto il 3.2.2017 rendeva la circostanza pacifica e incontestata e la cosa trovava conferma nel contegno processuale del Comune, anche durante le operazioni peritali condotte dal primo C.t.u., ing. (OMISSIS), e nella sua proposta transattiva del 18.10.1997.
15. Il motivo e’ infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema d’indennita’ di espropriazione, il giudice deve procedere alla determinazione del quantum dell’indennita’ sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili, indipendentemente, non solo dalle deduzioni delle parti al riguardo, ma anche dai criteri seguiti dall’espropriante nella formulazione dell’offerta dell’indennita’ provvisoria, nonche’ da quelli adottati dalla Commissione provinciale nel compiere la stima (Sez. 1, n. 4369 del 10.2.2022; Sez. 1, n. 1701 del 27.1.2005).

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

Anzi, proprio perche’ l’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennita’ ed il giudice non e’, quindi, vincolato alle domande delle parti, espropriato ed espropriante, con la conseguenza che non viola l’articolo 112 c.p.c. la sentenza della corte d’appello che riduca l’indennita’ e il valore venale stimato dalla Commissione provinciale espropri, pur non avendo l’ente locale mai impugnato la stessa ed avendone domandato la conferma nel giudizio di opposizione proposto dall’espropriato. (Sez. 1, n. 2329 del 17.2.2012).
Le condotte processuali e le offerte transattive che dimostrerebbero che lo stesso Comune di Livorno era convinto che l’indice territoriale dovesse essere determinato con riferimento alla “Zona C20 (OMISSIS)” e non all’intera “(OMISSIS)” sono quindi del tutto irrilevanti, ben potendo e dovendo la Corte di appello determinare autonomamente il valore del bene, in difetto di un accordo fra le parti sulla determinazione delle indennita’ di esproprio.
16. Parimenti irrilevanti sono la prima opinione manifestata dal Consulente d’ufficio e quanto da lui in un primo tempo concordato con i consulenti di parte, privi, come e’ noto, di poteri rappresentativi e tantomeno di poteri confessori (Sez. 3, n. 245 del 13.1.1983; Sez. 2, n. 21827 del 24.9.2013; Sez. 3, n. 93 del 13.1.1990).
Non merita consenso neppure la tesi svolta dai ricorrenti secondo cui le condotte del Comune avrebbero reso il fatto pacifico, poiche’ pretende di applicare a una valutazione di carattere giuridico circa la conformazione legale del terreno i paradigmi valutativi dei fatti storici che, essi soli, possono essere oggetto di disposizione attraverso la non contestazione e divenire quindi pacifici.
17. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 1366 c.c..
I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di appello abbia interpretato gli strumenti urbanistici rilevanti ai fini del decidere, ossia il piano particolareggiato (PP) “(OMISSIS)” e il PEEP “(OMISSIS)”, in modo da trarre un indice territoriale medio ben inferiore a quello effettivo.
In particolare, l’interpretazione, letterale, teleologica e di buona fede delle varianti adottate nel 1983 e approvate nel 1985 avrebbe dovuto condurre la Corte di appello a ritenere l’autonomia del “PEEP (OMISSIS)” rispetto al “PEEP (OMISSIS)”, con le debite conseguenze in punto determinazione dell’indice territoriale. Invece la Corte di appello aveva ritenuto che la Tavola 6 del PP “(OMISSIS)” non dimostrerebbe l’autonomia dell’oggetto di causa, che, pur ricompresa nel piano particolareggiato, continuava a far parte del PEEP “(OMISSIS)”, sicche’ valevano le relative disposizioni, come del resto stabilito dall’articolo 9 delle norme tecniche di attuazione del piano particolareggiato.
18. Il Collegio non condivide l’eccezione preliminare di inammissibilita’ del motivo perche’ proporrebbe una questione nuova formulata dal controricorrente, che contesta il contenuto degli atti difensivi invocato dai ricorrenti per dimostrare di aver sottoposto il tema al contraddittorio.
La questione e’ stata sottoposta alla Corte di appello e cio’ risulta dalla sentenza impugnata che alle pagine 18 e 19 ha affrontato l’argomento.
19. Il piano particolareggiato (L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 13 e ss. e s.m.i.), e’ uno strumento urbanistico di secondo livello, di natura attuativa, mediante il quale gli strumenti direttori, come i vari piani regolatori, trovano attuazione e la cui finalita’ e’ di rendere concreta la realizzazione degli interventi previsti nel P.R.G., attuarne le previsioni, consentire l’esproprio dei suoli, quale strumento per la dichiarazione di pubblica utilita’, e regolamentare l’attivita’ edificatoria nell’area interessata con finalita’ di dettaglio e specificazione.

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Il PEEP (acronimo per piano di edilizia economica e popolare) e’ uno strumento urbanistico introdotto alla L. 18 aprile 1962, n. 167, ha natura di piano attuativo, inserito all’interno del piano regolatore generale comunale, e serve all’amministrazione comunale per programmare, gestire e pianificare tutti gli interventi riguardanti l’edilizia residenziale popolare.
Avendo valore di piano particolareggiato, il piano di edilizia economica e popolare ha lo scopo di individuare le aree che devono essere destinate alla realizzazione degli alloggi popolari insieme con i servizi sociali e urbani complementari, incluse le zone a verde pubblico.
20. Il motivo e’ infondato poiche’ pretende di sottoporre l’attivita’ di interpretazione di strumenti di pianificazione urbanistica, nel caso i piani particolareggiati e i piani di edilizia economica e popolare, alle regole ermeneutiche dettate dal codice civile per i contratti.
21. Quanto all’interpretazione degli atti amministrativi, la giurisprudenza di questa Corte distingue al proposito a seconda che gli atti abbiano o meno contenuto normativo.
Nel primo caso, se l’atto amministrativo ha contenuto normativo, ossia presenta i caratteri della generalita’ ed astrattezza, prestandosi a regolare in via preventiva una potenzialita’ indeterminata di situazioni, l’interpretazione e’ regolata dall’articolo 12 disp.prel c.c., che, come e’ noto, impone nell’applicare la legge e i regolamenti di attribuir loro solo il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione e dalla intenzione del legislatore.
Nel secondo caso, invece, per gli atti amministrativi privi di carattere normativo e destinati quindi a disciplinare un caso concreto, occorre applicare i criteri sull’interpretazione dei contratti (Sez. 1, 23.2.2022, n. 5966, Sez. lav., 23.7.2010, n. 17367; Sez. L, n. 28625 del 15.12.2020; Sez. 2, n. 23532 del 9.10.2017).
22. I regolamenti edilizi sono espressione di una potesta’ normativa secondaria in quanto disciplinano tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa od integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente. Ne consegue che la relativa interpretazione non va condotta secondo i criteri di ermeneutica contrattuale, ma secondo quelli dettati dall’articolo 12 preleggi, dovendosi escludere, in particolare, che in caso di ulteriori incertezze possa farsi ricorso alla regola interpretativa dettata in ambito contrattuale dall’articolo 1367 c.c. (Sez.2, 24.8.2017, n. 20357).
Pertanto le censure mosse dai ricorrenti che invocano l’applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale soffrono di un vizio strutturale per il riferimento a regulae juris non pertinenti alla fattispecie.
23. Quanto sin qui esposto esimerebbe dal rammentare che secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’opera dell’interprete mira a determinare una realta’ storica ed obiettiva, ossia la volonta’ delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articoli 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione.
Percio’, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati.

L’opposizione alla stima ha ad oggetto l’accertamento della giusta indennità d il giudice non è vincolato alle domande delle parti

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso, non e’ idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’ (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del 15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 6-3, n. 2988, del 7.2.2013).
Inoltre la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non puo’ costituire lo schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimita’ valutazioni che appartengono in via esclusiva al giudizio di merito (Sez.2, n. 30686 del 25.11.2019); non e’ quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma e’ necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.
24. Del resto, anche volendo parzialmente rivitalizzare le osservazioni dei ricorrenti in una diversa e corretta logica interpretativa, ispirata all’articolo 12 preleggi, la Corte territoriale ha ampiamente spiegato, nel rispetto dei principi di interpretazione testuale, sistematica e teleologica, le ragioni per cui non si poteva far riferimento alla capacita’ edificatoria dello specifico lotto in cui si trovava il terreno degli attori, inserito nel PEEP, indipendentemente dalle esigenze urbanistiche dell’intero comparto PEEP di cui costituiva una porzione e cioe’ indipendentemente dalle necessarie previsioni di opera di urbanizzazione, standard, viabilita’, ecc…
La Corte ha anche fatto leva sul fatto che l’articolo 9 n. t.a. del PP richiamava espressamente le prescrizioni del PEEP.
La contro-argomentazione svolta dai ricorrenti sul punto, a pagina 21 del ricorso, oltre che basata su di una norma inapplicabile (articolo 1366 c.c.), e’ difficilmente decifrabile e non spiega perche’ mai il richiamo della normativa PEEP per gli indici di zona valesse a preservare un interesse protetto dei controricorrenti.
25. L’esame del quinto motivo e’ logicamente prioritario rispetto all’esame del quarto.
Infatti, con il quinto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione dell’articolo 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria formulata da parte attrice ex articolo 1224 c.c., comma 2, mentre con il quarto censurano la risposta offerta dalla Corte territoriale sul punto.
26. Secondo i ricorrenti, la Corte toscana si sarebbe pronunciata solo sui capitoli di prova formulati nell’interesse della signora (OMISSIS) e sui documenti da essa prodotti, con un illegittimo bilanciamento valoriale, mentre avrebbe omesso qualsiasi considerazione a riguardo delle deduzioni della signora (OMISSIS) e avrebbe comunque omesso di provvedere sulla domanda risarcitoria ex articolo 1224 c.c., comma 2.
27. Il motivo e’ infondato.
La domanda e’ stata rigettata e mostrano di averlo compreso anche gli attori ricorrenti che hanno proposto un motivo, il quarto, per censurare tale statuizione.
Ne’ manca la motivazione al riguardo, riferibile alla richiesta congiuntamente avanzata da tutti gli attori (cfr pag.20, primo periodo), articolata nelle pagine 20-21 della sentenza impugnata, su cui infra.
28. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 24, 111 e 117 Cost. e dell’articolo 1 del Protocollo addizionale CEDU, nonche’ degli articoli 1224 e 2697 c.c., per il rigetto della richiesta di riconoscimento del maggior danno sulla base di un bilanciamento valoriale privo di valore normativo.
29. Secondo la Corte di Firenze, se il Comune avesse provveduto a corrispondere l’indennita’ di esproprio celermente poco dopo l’emissione del decreto, la somma capitale dovuta sulla base della legge all’epoca vigente sarebbe stata notevolmente inferiore.
Non avrebbe quindi pregio la doglianza attorea di aver subito gli effetti negativi della perdita di potere di acquisto della moneta perche’ allora la maggior somma ora attribuita non sarebbe stata affatto loro riconosciuta.
E cioe’ – cosi’ prosegue la Corte di appello, facendo proprio un argomento del Comune di Livorno – la lunga pendenza del processo aveva fatto in modo che si consolidasse l’orientamento giurisprudenziale che riconosce natura edificabile alle aree comprese in un PEEP, sicche’ il trascorrere del tempo avrebbe cagionato agli attori un beneficio e non un danno.
30. L’errore e’ evidente.
La Corte ha attribuito rilievo a una circostanza di mero fatto (e cioe’ l’emersione di un orientamento giurisprudenziale non sussistente all’epoca dell’avvio del procedimento) che non attiene al torto e alla ragione circa la sussistenza e la consistenza del diritto di cui si discute.
La giurisprudenza si limita a interpretare la legge e non la crea e la norma applicata e’ pur sempre quella stessa che regolava il rapporto fra le parti, ancorche’ eventualmente in passato diversamente interpretata.
In tal modo la Corte di appello ha violato le norme costituzionali indicate dai ricorrenti, ossia gli articoli 24 e 11 Cost. ma anche l’articolo 101, comma 2, e i principi costituzionali in tema di fonti del diritto.
La circostanza evidenziata poteva semmai essere considerata quale elemento di valutazione per la regolazione in chiave compensatoria delle spese processuali (ad es. Sez. 6 – 5, n. 41360 del 23.12.2021), scriminando cioe’, in tutto o in parte, il soccombente per aver fatto affidamento nell’avviare o continuare la lite sui principi giurisprudenziali dell’epoca, ma non certo, per negare il riconoscimento di un diritto attualmente riconosciuto dalla giurisprudenza ritenuta, paradossalmente, corretta.
31. Ne’ puo’ invocarsi il cosiddetto prospective overruling che garantisce alla parte il diritto di azione e di difesa, neutralizzando i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimita’ su norme regolatrici del processo, imponendo di ritenere produttivo di effetti l’atto di parte posto in essere con modalita’ e forme ossequiose dell’orientamento dominante al momento del compimento dell’atto stesso, ma poi ripudiato. Tale istituto, infatti, non e’ invocabile, quindi, per il caso di mutamenti giurisprudenziali che riguardino norme sostanziali, perche’ in detta ipotesi non e’ precluso alla parte il diritto di azione ed al giudice il potere di dirimere la controversia. (Sez. L, n. 552 del 14.1.2021: Sez. U, n. 4135 del 12.2.2019).
32. Il che assorbe ogni ulteriore considerazione circa la correttezza o meno della prognosi controfattuale ex post elaborata dalla Corte di appello, pur prospettata tuzioristicamente da parte dei ricorrenti.
33. Il motivo merita pertanto accoglimento con la conseguente necessita’ che la Corte di appello fiorentina, giudice del rinvio, esamini nel merito la richiesta attorea di risarcimento del maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2.
34. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione degli articoli 24, 111 e 117 Cost. e dell’articolo 1 del Protocollo addizionale CEDU, nonche’ degli articoli 1224 e 2697 c.c., per il rilievo officioso della tardivita’ della domanda di determinazione della giusta indennita’ di occupazione L. n. 865 del 1971, ex articolo 20 benche’ tale domanda fosse stata formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza che il Comune avesse rifiutato il contraddittorio e benche’ il Comune si fosse difeso al proposito.
35. A pagina 22 la Corte di appello ha ritenuto che nulla spettasse a titolo di indennita’ di occupazione, pur richiesta da parte attrice nelle sue conclusioni, in quanto tale richiesta non era stata formulata nell’atto di citazione.
Tenuto conto della motivazione addotta, cosi’ pur stringatamente esprimendosi, la Corte ha presumibilmente inteso considerare tardiva e inammissibile la domanda nuova introdotta da parte attrice e non rigettarla nel merito, come pure potrebbe apparentemente sembrare dall’espressione usata (“nulla spetta”).
36. Il processo era stato introdotto con atto notificato il 9.3.1989 ed era quindi sottratto ratione temporis alla disciplina introdotta dalla novella processuale dettata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 30.4.1995.
I ricorrenti sostengono che la domanda era stata formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni del 29.3.2018 e che il Comune convenuto non solo non aveva dichiarato di rifiutare di accettare sul punto il contraddittorio ma si era difeso nel merito gia’ con la comparsa conclusionale del 16.11.2015 e la memoria di replica del 20.11.2015 e poi ancora con la memoria di replica del 13.6.2018.
37. Con riguardo a procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995, per il quale trovano applicazione le disposizioni degli articoli 183, 184 e 345 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 (Decreto Legge n. 432 del 1995, articolo 9 conv. nella L. n. 534 del 1995), il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado era posto a tutela della parte destinataria della domanda.
Pertanto la violazione di tale divieto – rilevabile dal giudice anche d’ufficio, non essendo riservata alle parti l’eccezione di novita’ della domanda – non e’ sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l’accettazione.
A quest’ultimo fine, l’apprezzamento della concludenza del comportamento della parte va effettuato dal giudice attraverso una seria indagine della significativita’ dello stesso, senza che assuma rilievo decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda nuova, ne’ potendosi attribuire, qualora questa sia formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, valore concludente al mero silenzio della parte contro la quale la domanda e’ proposta, sia essa presente, o meno, a detta udienza (Sez. U, n. 4712 del 22.5.1996).
38. Il principio e’ quindi la rilevabilita’ d’ufficio della novita’ della domanda anche nel regime precedente la Novella del 1990, a meno che la controparte abbia accettato espressamente il contraddittorio o abbia tenuto un comportamento processuale concludente in tal senso.
39. Nella fattispecie la Corte fiorentina ha totalmente omesso di valutare se l’accettazione, anche tacita, del contraddittorio, fosse o meno ravvisabile nelle condotte processuali del Comune di Livorno e ha considerato tout court inammissibile la nuova domanda, senza rispettare il principio sopra ricordato ed espletare la correlativa indagine.
La sentenza va pertanto cassata sul punto.
40. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione dell’articolo 92 c.p.c. nonche’ degli articoli 24, 11 e 117 Cost. e dell’articolo 1 del Protocollo addizionale CEDU, per la disposta compensazione basata su di un inesistente overruling.
Il motivo e’ assorbito per effetto dell’accoglimento del quarto motivo.
41. La Corte pertanto accoglie il quarto e il sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo, il terzo e il quinto, mentre resta assorbito il settimo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con il conseguente rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e il sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, rigetta il secondo, il terzo e il quinto, assorbito il settimo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

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