L’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

Consiglio di Stato, Sentenza|29 aprile 2021| n. 3441.

L’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., che onera l’interessato di dimostrare sia la sussistenza del danno che la responsabilità di chi lo ha provocato, non può essere assolto mediante consulenza tecnica d’ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti.

Sentenza|29 aprile 2021| n. 3441

Data udienza 11 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Tutela dell’ambiente – Impianto fisso di riciclo di rifiuti – Zona vincolata – Responsabilità della PA – Azione risarcitoria – Processo amministrativo – Onere della prova di cui all’art. 2697 cc – CTU – Natura – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1813 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. An. Cl. e Ma. Cr. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Dir.Reg. Beni Culturali e Paesaggistici della Campania non costituito in giudizio;
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Annunziata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Settore Provinciale Genio Civile di Salerno, Regione Campania – Settore Provinciale Genio Civile Salerno, -OMISSIS- non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. -OMISSIS-/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021, svoltasi attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”, ai sensi dell’art. 4, comma 1 del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 2020, conv. dalla L. n. 176 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la -OMISSIS-. in Liquidazione srl (per brevità, di seguito, anche -OMISSIS-) ha appellato la sentenza n. 1360 del 2017, con cui il Tar Campania, Salerno, ravvisata la sussistenza degli elementi oggettivi dell’illecito civile ascritto alle Amministrazioni intimate (Comune di (omissis) e Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo), ha rigettato le domande risarcitorie proposte in prime cure, escludendo una condotta colposa all’uopo contestabile.
Secondo quanto dedotto in appello, in particolare:
– in data 24.02.2004 la -OMISSIS- s.r.l. ha presentato alla Regione Campania istanza di autorizzazione ex artt. 27 e 28 D.Lgs. 22/97 per la realizzazione nel Comune di (omissis) (SA) di un impianto fisso per il riciclo dei rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione, con impiego della tecnologia ROSE (Recupero Omogeneizzato Scarti Edilizi);
– in data 26.04.2004, il Comune di (omissis) ha rilasciato il permesso di costruire per la sola esecuzione degli edifici;
– in data 01.08.2005, la Conferenza dei Servizi convocata dalla Regione Campania, all’unanimità, ha approvato il progetto;
– in data 21.10.2005, la Sv. It. s.p.a. (attualmente Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) ha riconosciuto alla -OMISSIS- s.r.l. le agevolazioni ex legge 95/95 (art. 8, co. 1, Decreto del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della programmazione economica 18.02.1998 n. 306) per la realizzazione del predetto progetto imprenditoriale;
– in data 14.03.2006, con Decreto dirigenziale n. 67, la Regione Campania ha approvato il progetto anche in ordine alla realizzazione degli impianti ex art. 27 D.Lgs. n. 22/97;
– in data 19.04.2006, la -OMISSIS- ha stipulato con Sv. It. s.p.a. il contratto di finanziamento agevolato, concesso in conformità a quanto previsto dall’art. 3, lettera a), D.Lgs. n. 185 del 21.04.2000, al fine di incentivare la nuova imprenditorialità nel settore della produzione di beni e servizi;
– in data 24.01.2007, con note prot. nn. 2117 e 2118, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Salerno e Avellino, ipotizzando la sussistenza di un vincolo paesaggistico in relazione alla presenza di un corso d’acqua (Va.) nelle vicinanze dell’impianto, ha invitato il Comune di (omissis) a sospendere i lavori;
– in data 12.3.2017, la Soprintendenza ha rilevato che il Va. era un torrente ed era quindi sottoposto a tutela ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 42/2004;
– in data 16.03.2007, con ordinanza n. 25, il Comune di (omissis) ha disposto la sospensione dei lavori “nelle more dell’accertamento” della sussistenza del predetto presunto vincolo paesaggistico, pur dando atto della posizione assunta nelle interlocuzioni con il Ministero in ordine alla impossibilità di qualificare il Va. come torrente, facendosi questione di un “fosso” di piccole dimensioni, comunque non iscritto nell’elenco delle acque pubbliche di cui al RD 11.12.1993 n. 1775 e, di conseguenza, non assoggettato alla autorizzazione paesaggistica;
– il Genio Civile, all’uopo interpellato, ha confermato che il Va. non era acqua pubblica ed era esente da estimo;
– in data 04.05.2007, il Comune ha adottato una seconda ordinanza di sospensione dei lavori, reiterativa della prima, emanata sempre sul presupposto di dover effettuare un accertamento in ordine alla sussistenza o meno del presunto vincolo, pur dandosi atto dell’avvenuta impugnazione dinnanzi al Tar Campania, Salerno (giudizio n. r.g. 571 del 2007) delle note nn. 2117 e 2118 del 24.1.2007, nonché nn. 7128 e 7129 del 12.3.2007, con cui la Soprintendenza aveva invitato l’Amministrazione comunale a sospendere i lavori autorizzati nei confronti dell’odierno appellante e di altra società operante nella medesima area;
– agendo in giudizio, con ricorso iscritto al n. r.g. 854/07, l’odierno appellante ha impugnato dinnanzi al Tar Lazio, Salerno, i provvedimenti di sospensione dei lavori e gli atti connessi (ordinanze del Capo Area Tecnica del Comune di (omissis) del 16 marzo 2007 n. 25 e del 4 maggio 2007 n. 48; le note della Soprintendenza nn. 2117 e 2118 del 24 gennaio 2007; nn. 7128 e 7129 del 12 marzo 2007; n. 29827 del 13 ottobre 2006; nn. 36610 e 36613 del 5 dicembre 2006; nonché n. 103053/2007 emanata dal Genio Civile di Salerno), censurando, tra l’altro, la violazione dell’art. 142, comma 1, D. Lgs. n. 42 del 2004;
– anche un secondo operatore economico, pure destinatario degli atti comunali di sospensione dei lavori, motivati sulla base del medesimo presupposto, dato dall’esistenza di un vincolo paesaggistico, ha impugnato le sfavorevoli determinazioni comunali (giudizio n. r.g. 864 del 2007);
– il Tar, riuniti i ricorsi n. r.g. 817 del 2007, proposto dall’Amministrazione comunale, e n. r.g. 864 del 2007 proposto dal secondo operatore economico pure pregiudicato dagli atti di sospensione dei lavori, con sentenza n. 2172 del 18.7.2008, ha accolto le impugnazioni, evidenziando come il vincolo paesaggistico insistesse soltanto nella zona interessata dall’intervento della -OMISSIS- SrL;
– la -OMISSIS- SrL, pertanto, ha proposto appello avverso la sfavorevole sentenza di prime cure;
– con deliberazione comunale n. 164 del 25.9.2008, il Comune odierno intimato ha attivato la procedura per la richiesta di irrilevanza paesaggistica del corso d’acqua denominato Va. ai sensi dell’art. 142, comma 3, D. Lgs. n. 42 del 2004;
– questo Consiglio, adito dall’odierno appellante per pronunciare sull’impugnazione proposta avverso la sentenza n. 2172 del 2008 cit., con ordinanza n. 6865 del 19.12.2008, ha sospeso l’efficacia della sentenza impugnata n. 2172 del 2008, disponendo al contempo una verificazione da parte del Genio Civile di Salerno per accertare se il corso d’acqua Va., in base alle sue reali caratteristiche e a prescindere dalla denominazione indicata nella carta IGM, potesse o meno essere qualificato torrente;
– l’organo di verificazione ha rassegnato con nota dell’11.2.2009 le proprie conclusioni, rilevando che nel caso di specie si faceva questione di un qualsiasi corso d’acqua non iscritto nell’elenco delle acque pubbliche;
– con ordinanza n. 1243 del 10.3.2009 questo Consiglio ha confermato la sospensione della sentenza n. 2172 del 2008;
– in data 22.10.2009, la Regione ha dichiarato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 142, comma 3, D. Lgs. n. 42 del 2004, l’irrilevanza paesaggistica del Va., trasmettendo con nota n. 1123043 del 29.12.2009 al Ministero competente e alla Direzione regionale la relativa documentazione;
– in data 27.09.2010, Invitalia ha revocato le agevolazioni concesse all’odierno appellante per la mancata ultimazione dell’impianto;
– in data 07.07.2011, il Ministero dei Beni Ambientali e Culturali, Direzione Regionale della Campania, ha confermato la rilevanza paesaggistica del Torrente Va., ricadente nel Comune di (omissis) (SA);
-il Comune e l’odierno appellante hanno impugnato anche tale ulteriore provvedimento ministeriale;
– l’odierna appellante è stata posta in liquidazione in data 12.10.2012;
– questo Consiglio, statuendo nell’ambito del giudizio di appello avente ad oggetto la sentenza n. 2172/08 cit., ha disposto la rinnovazione della verificazione in ordine alla reale natura del corso d’acqua “Va.” nel tratto interessato dal progetto della -OMISSIS- s.r.l; nonché, con sentenza n. 6137 del 20.12.2013, ha accolto l’appello proposto dalla -OMISSIS- avverso la sentenza n. 2172 del 18.7.2008 cit., stabilendo che “non potendo il’Vallemoniò essere qualificato come torrente, né risultando esso iscritto negli elenchi di cui al r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, l’area su cui insiste l’impianto realizzato dalla s.r.l. -OMISSIS- non poteva ritenersi assoggettata a vincolo paesaggistico ex lege, con conseguente illegittimità degli impugnati provvedimenti soprintendentizi”;
– il Tar Campania, Salerno, con sentenza n. 982 del 26.5.2014, ha accolto il ricorso del Comune avverso il decreto ministeriale del 7.7.2011 cit., dichiarando, per l’effetto, in ragione dell’avvenuto annullamento del provvedimento ministeriale, l’improcedibilità del separato ricorso proposto contro il medesimo atto da parte dell’odierno appellante;
– la -OMISSIS-, proponendo motivi aggiunti nell’ambito del primo giudizio, n. r.g. 854/07 cit., introdotto per l’annullamento degli atti comunali di sospensione dei lavori (ordinanza del 16.5.2007 e del 04.05.2007 cit.) e degli atti connessi, ha chiesto il risarcimento dei danni subiti a partire dal 16.3.2007 (data di sospensione dei lavori), correlati alla impossibilità di ultimazione dei programmati lavori e alla mancata regolare entrata in esercizio del progettato impianto, asseritamente prodotti dalla condotta illecita delle Amministrazioni, comunale e statale, intimate;
– il primo giudice ha rigettato il ricorso, escludendo la sussistenza di una condotta colpevole ascrivibile in capo alle Amministrazioni intimate.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza appellata, il Tar ha rilevato che:
– non sussistevano ragioni di pregiudizialità idonei ad impedire la decisione del ricorso n. r.g. 854/2007, non essendo condizionato il relativo thema decidendum dai giudizi pendenti dinnanzi al medesimo Tar e proposti dall’odierna appellante, da un lato, per l’annullamento del provvedimento del 17.12.2013 n. 1340, con cui il Comune di (omissis) aveva dichiarato la decadenza del permesso di costruire n. 62/2004 per mancato rispetto del termine di inizio lavori, dall’altro, per la condanna, in solido e/o pro quota, del Ministero e del Comune di (omissis), al risarcimento dei danni da essa subiti a partire dal 16 marzo 2007 (data di sospensione dei lavori);
– dovevano ritenersi illegittimi i provvedimenti censurati, incentrati sull’erroneo assunto della rilevanza ostativa del corso d’acqua Va.;
– l’impossibilità di realizzazione del programma edificatorio, “in conseguenza non meno della decadenza del relativo titolo abilitativo che del venir meno della provvista finanziaria pubblica, non a caso esitata nella messa in liquidazione della società ” rendeva non più utile l’annullamento degli atti gravati, residuando l’interesse all’esame della sola domanda risarcitoria;
– non occorreva indugiare:
a)”sulla complessiva ed apprezzabile “ingiustizia” del danno-evento subito dalla ricorrente (come tale ex se correlato alla complessiva e convergente azione amministrativa, rivelatasi difforme dal paradigma normativo di riferimento: onde l’acclarata illegittimità formale dei provvedimenti che hanno, in progresso di tempo, reso irrealizzabile, nei sensi e nei modi esposti in narrativa, l’assentito progetto edificatorio, va di per sé acquisita, sub specie facti, in termini di illiceità della condotta”;
b) sulla effettiva ricorrenza di un obiettivo nesso di causalità “tra l’azione amministrativa (che nuovamente varrà considerare, sotto il profilo in esame, in termini unitari, senza distinzione tra le, pur convergenti, condotte delle singole amministrazioni a diverso titolo coinvolte) e il ridetto pregiudizio”;
c) sulla dimostrata sussistenza del danno-conseguenza, ” affidata, di là dal loro concreto apprezzamento (che costituisce logicamente un posterius), ai pertinenti rilievi in ordine al quantum debeatur, non meno che a titolo di danno emergente che di lucro cessante “;
– per l’effetto, la controversia doveva concertarsi sulla sussistenza dei presupposti per l’imputazione soggettiva della responsabilità in termini di colpa;
– nella specie, doveva escludersi la sussistenza di una condotta colposa, in quanto nell’originario apprezzamento degli Enti, l’assoggettabilità della zona interessata dal progetto edificatorio al regime vincolistico era, in punto di fatto, particolarmente problematica ed opinabile, come dimostrato dalla particolare complessità della stessa vicenda procedimentale e dal riferimento operato dalla Soprintendenza ad una cartografia ufficiale che solo i successivi e complessi approfondimenti in contraddittorio e in sede contenziosa avevano dimostrato non decisiva né qualificante; sicché fino all’intervento di questo Consiglio, la questione della rilevanza paesaggistica del Va. poteva plausibilmente ritenersi opinabile, rilevando in un contesto di obiettiva incertezza qualificatoria; ne costituiva una riprova la divergenza di pronunciamenti giudiziari, di primo grado e di appello, in ordine alla questione fondante le determinazioni amministrative in contestazione.
3. La ricorrente in primo grado ha proposto appello, articolando quattro motivi di impugnazione;
4. Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio in resistenza all’appello.
5. In vista dell’udienza di discussione dell’appello, la -OMISSIS- ha depositato in data 8 gennaio 2021 una perizia riferita ai danni patiti, ascritti alla condotta illecita delle Amministrazioni intimate; la ricorrente e l’Amministrazione comunale, inoltre, hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con il deposito di memorie conclusionali e repliche.
6. L’Amministrazione comunale con note di udienza del 5 febbraio 2021 ha chiesto il passaggio in decisione del ricorso.
7. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza dell’11 febbraio 2021.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure, per avere escluso la sussistenza di una condotta colposa.
1.1 Secondo la prospettazione dell’appellante, la fattispecie sarebbe connotata da un atteggiamento colposo delle Amministrazioni intimate, tenuto conto che:
– risultava pacifico tra le parti che il corso d’acqua Va. non era incluso nell’elenco delle acque pubbliche;
– la Soprintendenza aveva omesso di provvedere ad un accertamento dello stato dei luoghi, connotato da semplicità, come emergente dalla stessa sentenza di questo Consiglio n. 6137 del 2013, che fa riferimento ad un impluvio collinare, poco esteso (circa, 7,8 km), a bassa pendenza complessiva, alimentato in testata esclusivamente da acque meteoriche (e non da una sorgente), a deflusso fortemente condizionato dagli apporti antropici; con larghezza (nel) tratto interessato dagli interventi realizzati dalla s.r.l. -OMISSIS- di circa un metro e con una profondità d’acqua fluente di una decina di centimetri; elementi fattuali suscettibili di formare oggetto di semplici accertamenti, che avrebbero ben potuto essere svolti fin dall’ottobre 2006;
– la Soprintendenza aveva fondato le proprie valutazioni sulla base di una cartografica ex L. n. 68 del 1960 non rilevante ai fini della configurazione dei vincoli paesaggistici; il che sarebbe stato rilevato in sede di cognizione cautelare da questo Consiglio (n. 6825/08), adito in sede di appello avverso la sentenza n. 2172 del 2008;
– la diligenza richiesta dall’Amministrazione avrebbe dovuto valutarsi secondo il parametro di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., in combinato disposto con l’art. 97 Cost., nella specie violato, tenuto conto che la Soprintendenza avrebbe dovuto soltanto svolgere un sopralluogo, senza la necessità di risolvere problemi tecnici e/o giuridici particolari e senza riconoscere rilevanza alla cartografia IGM ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno di un vincolo paesistico;
– il Comune aveva più volte segnalato la erroneità della qualificazione come torrente e sin dal dicembre 2005 il Genio Civile con nota prot. 1063347 del 22.12.2005 aveva qualificato il corso d’acqua come “fosso”, precisando che lo stesso “non è iscritto nell’Elenco Ufficiale delle Acque Pubbliche di cui al R.D. 11.12.1933 n. 1775”, con conseguente assenza del regime vincolistico;
– il progetto edificatorio della -OMISSIS- era stato assentito dalla Regione (Decreto n. 67 del 14.03.2006) all’esito di apposita Conferenza di Servizi
– alla stregua di quanto emergente dalle note nn. 20064 del 18.10.2006 e 23710 dell’11.12.2006, la Soprintendenza, per gli interventi realizzati presso il Va., non aveva mai manifestato l’esigenza di acquisire l’autorizzazione paesaggistica, non essendo mai stato ritenuto il Va. un “torrente”;
– la circostanza per cui il Tar avesse ritenuto legittimo il provvedimento impugnato risultava irrilevante, non potendosi ritenere che la colpa fosse ravvisabile solo in caso di conforme pronunciamento nei due gradi di giudizio.
1.2 Il primo motivo di appello, per ragioni di connessione oggettiva, è scrutinabile unitamente al secondo e al terzo motivo di appello, con cui è censurata la sentenza di prime cure per non avere esaminato ulteriori elementi idonei a rilevare la sussistenza di un atteggiamento colposo ascrivibile in capo al Ministero (secondo motivo) e al Comune (terzo motivo).
1.3 In particolare, con il secondo motivo si contesta che:
– l’Amministrazione statale già era in condizione già dal 2006 di rilevare dall’esame obiettivo dello stato dei luoghi l’impossibilità di qualificare come torrente il corso d’acqua Va., alla stregua di quanto rappresentato dal Comune con note n. 20064 del 18.10.2006, n. 23710 dell’11.12.2006 e n. 4832 del 12.03.2007, oltre che dal Genio Civile con nota n. 2007.0103053;
– la qualificazione del corso d’acqua come fosso emergeva anche dalla nota n. 1063347 del 22.12.2005, così come l’assenza di impedimenti di natura paesaggistica alla realizzazione del progetto per la realizzazione dell’impianto emergeva dal procedimento di approvazione del progetto della -OMISSIS-, che aveva visto il coinvolgimento di plurime pubbliche amministrazioni;
– il Ministero aveva comunque tenuto una condotta, da un lato, inerte, non avendo posto rimedio alle proprie valutazioni, pure a fronte dell’ordinanza n. 6825 del 19.12.2018 di questo Consiglio (e dei successivi atti processuali), che ravvisava la necessità di un accertamento dei fatti di causa prescindendo dalla cartografia IGM, e degli ulteriori atti acquisiti al giudizio di appello deponenti per l’irrilevanza paesaggistica del Va.; dall’altro, persecutoria e vessatoria, avendo confermato la rilevanza paesaggistica del torrente Va. con decreto del 7.7.2011 successivamente annullato dallo stesso Tar Salerno;
– l’Amministrazione non aveva provato la sussistenza di un errore scusabile idoneo ad escludere un atteggiamento colposo.
1.4 Con il terzo motivo di appello si contesta che l’Amministrazione comunale aveva sospeso i lavori in assenza di competenza esercitabile in materia, riconoscibile ai sensi dell’art. 150 D. Lgs. n. 42 del 2004 soltanto in capo all’ente statale o regionale, tenuto conto, peraltro, che la costruzione dell’impianto era stata autorizzata dalla Regione, in ipotesi competente, dunque, ad assumere provvedimenti di sospensione in applicazione del principio del contrarius actus; in ogni caso, l’ente comunale avrebbe omesso di motivare in ordine alle concrete ragioni di pubblico interesse sottese alla determinazione assunta, diverse dal mero ripristino della legalità violata.
2. Preliminarmente, deve rilevarsi che in materia di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione la parte che affermi di avere subito un danno in conseguenza dell’altrui condotta lesiva è, tenuta ad allegare e provare puntualmente gli elementi costitutivi dell’illecito e le conseguenze pregiudizievoli subite (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2020, n. 6394).
In particolare, l’illecito civile ascrivibile all’Amministrazione nell’esercizio dell’attività autoritativa, quale quella rilevante nell’odierna sede processuale, richiede:
– sul piano oggettivo, la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto, con la necessità, a tale ultimo riguardo, di distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento”) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza”), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3);
– sul piano soggettivo l’integrazione del coefficiente di colpevolezza, con la precisazione che la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell’amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa non integra la colpa dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).
Sul piano probatorio, l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo – c.d. “causalità materiale” – impone, inoltre, di verificare “se l’attività illegittima dell’Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318).
Trattasi di un giudizio da svolgere in applicazione della teoria condizionalistica, governata dalla regola probatoria del “più probabile che non” e temperata in applicazione dei principi della causalità adeguata.
In particolare, occorre procedere ad un giudizio controfattuale, volto a stabilire “se, eliminando o, nell’illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l’esistenza di condotte idonee – secondo il criterio del “più probabile che non” – a cagionare quel determinato evento.
Sicché l’esito positivo del predetto giudizio – riconducibile alla teoria della causalità adeguata – accerta definitivamente l’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l’effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 luglio 2019, n. 4790).
Positivamente definito lo scrutinio in ordine alla causalità materiale, a fronte d’un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, occorre verificare la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).
Peraltro, ove non sia possibile accertare con certezza la spettanza in capo al ricorrente del bene della vita ambito, il danno patrimoniale potrebbe, comunque, liquidarsi ricorrendo alla tecnica risarcitoria della chance, previo accertamento di una “probabilità seria e concreta” o anche “elevata probabilità ” di conseguire il bene della vita sperato, atteso che “al di sotto di tale livello, dove c’è la “mera possibilità “, vi è solo un ipotetico danno non meritevole di reintegrazione poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto” (Consiglio di Stato Sez. V, 15 novembre 2019, n. 7845).
3. Ciò premesso in ordine agli elementi costitutivi dell’illecito civile, al fine di perimetrare le questioni componenti l’odierno thema decidendum, sempre in via preliminare, giova osservare che il giudice di prime cure ha già accertato, procedendo ad un’analisi strutturale dell’illecito contestato dal ricorrente, la sussistenza degli elementi costitutivi oggettivi della responsabilità civile delle Amministrazioni intimate, rilevando che:
– l’illegittimità degli atti amministrativi era stata già accertata da questo Consiglio con sentenza n. 6137 del 2013, facendosi questione di ordini di sospensione dei lavori impartiti sulla base di un erroneo presupposto, dato dalla qualificazione del corso d’acqua denominato Va. quale torrente e, dunque, sulla sussistenza nella relativa zona di un vincolo paesaggistico ex lege ostativo all’autorizzazione delle opere in corso di esecuzione da parte dell’odierno appellante;
– la sussistenza del danno evento, dato dalla lesione di un interesse qualificato e differenziato imputabile alla società ricorrente, impedita nell’esercizio della propria libertà di impresa, stante l’impossibilità di proseguire i lavori funzionali alla realizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti approvato dalla Regione Campania;
– la sussistenza del nesso di causalità materiale, costituendo l’impossibilità di prosecuzione nei lavori una conseguenza delle determinazioni amministrative censurate in giudizio.
Il Tar, inoltre, ha ritenuto di non indugiare sulla sussistenza di un danno conseguenza (“affidata, al di là dal loro concreto apprezzamento (che costituisce logicamente un posterius), ai pertinenti rilievi in ordine al quantum debeatur, non meno che a titolo di danno emergente che di lucro cessante”), assorbendo ogni questione relativa al quantum debeatur, attesa la necessaria pregiudiziale valutazione dell’elemento soggettivo dell’illecito, avuto riguardo al coefficiente di colpevolezza contestabile alle Amministrazioni intimate.
L’accertamento recato nella sentenza di prime cure non è stato oggetto di appello incidentale, ragion per cui nella presente sede processuale è preclusa la possibilità di riesaminare gli elementi costitutivi oggettivi dell’illecito, oltre che l’an del danno conseguenza; già accertati in prime cure con statuizioni ormai incontrovertibili perché non censurate dalle Amministrazioni appellate.
Le uniche questioni su cui, pertanto, è possibile statuire concernono la sussistenza di una condotta colposa ascrivibile all’Amministrazione statale e al Comune di (omissis), nonché, in caso di riscontro positivo, la quantificazione dei danni conseguenza riconducibili in via immediata e diretta all’illecito civile imputabile alle parti resistenti.
4. Provvedendo, dunque, alla verifica dell’elemento soggettivo dell’illecito, oggetto dei primi tre motivi di appello proposti dalla -OMISSIS-, si rileva che il solo riscontrato illegittimo esercizio della funzione amministrativa non integra la colpa dell’Amministrazione, dovendo anche accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede – alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio dell’attività amministrativa – e si sia verificata in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’amministrazione ovvero se per converso la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato, Stato, V, 9 ottobre 2013, n. 4968; VI, 14 novembre 2014, n. 5600).
Per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione assume rilievo, altresì, la tipologia di regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità .
A fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione può, infatti, essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 05 giugno 2019, n. 3799).
Sotto il profilo processuale del riparto dell’onere della prova, inoltre, deve rilevarsi che, in caso di acclarata illegittimità di un atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie; egli può, infatti, limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c., mentre spetta alla Pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile.
Tale presunzione di colpa dell’amministrazione, tuttavia, può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 giugno 2019, n. 4454)..
5. Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche è possibile soffermarsi sui fatti di causa.
Dalla documentazione acquisita al primo grado di giudizio, emerge che:
– la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Salerno e Avellino (per brevità, di seguito anche Soprintendenza o Ministero) con nota n. 29827 del 13.10.2006, sulla base di apposita segnalazione ricevuta, considerato che l’intervento per cui è causa – realizzazione di un impianto di trattamento di rifiuti speciali in un’area prossima al corso d’acqua Va. – sarebbe ricaduto “in’un’area di interesse paesistico-ambientale in base a quanto evidenziato in detto esposto”, ha chiesto (altresì ) al Comune di (omissis) la copia del permesso a costruire n. 62 del 24.6.2004 e dei relativi atti autorizzatori emessi ai fini paesistico-ambientali (comprensivi della nota della Soprintendenza attestante il mancato esercizio del potere di annullamento del provvedimento comunale), al fine di consentirne la ricerca in archivio;
– il Comune di (omissis) con nota n. 20064 del 18.10.2006 ha rappresentato alla Soprintendenza che il torrente Va. non risultava iscritto nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. n. 1773 del 1933, con la conseguenza che non sussistevano le condizioni per la richiesta dell’autorizzazione paesaggistica;
– la Soprintendenza con nota n. 36610 del 5.12.2006, rilevato che “come riconosciuto anche dalla giurisprudenza (cfr. Sentenza della VI Sez. del Consiglio di Stato n. 657/2002), i torrenti sono sempre tutelati ai fini paesaggistici”, a prescindere dall’iscrizione nell’elenco delle acque pubbliche e che, conseguentemente, le opere da eseguire rientranti nei 150 m dalle sponde o dal piede degli argini dovevano intendersi assoggettati alle disposizioni di cui al D. Lgs n. 42 del 2004, ha rappresentato al Comune che non era condivisibile il riscontro fornito con nota n. 20064/2006 e che dalla documentazione pervenuta si desumevano l’assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica ex artt. 146 e 149 D. Lgs. n. 42 del 2004 e la difformità di alcune opere effettuate e/o in itinere rispetto a quanto rappresentato nei grafici progettuali; per l’effetto, la Soprintendenza ha chiesto, al Comune, di sospendere immediatamente l’intervento de quo e di adottare, al contempo, i provvedimenti repressivi del caso; alla Stazione locale dei Carabinieri, di vigilare e di operare “affinché tali disposizioni vengano rispettate”;
– il Comune con nota n. 23710 del 11.12.2006, rivolta (anche) alla Soprintendenza, ha precisato che per tutti gli interventi realizzati nel tempo in prossimità del corso d’acqua denominato Va. l’Amministrazione comunale (Comune di (omissis) e Comune di (omissis) dal quale il Comune di (omissis) si era distaccato nel 1990) non aveva mai stata richiesto l’autorizzazione paesaggistica; nonché che soltanto all’attualità, alla luce della sentenza di questo Consiglio n. 657 del 2012, si apprendeva la possibile esistenza di un vincolo di natura paesaggistica sul corso d’acqua de quo alla stregua di un’interpretazione letterale, logica e sistematica dell’art. 1, lett. c), L. n 431 del 1985; tuttavia, l’Amministrazione locale riferiva che “il corso d’acqua in parola anche se comunemente noto come “Torrente Va.” nella cartografia ufficiale (IGM) è definito “Fosso Va.” e quindi si ritiene, anche volendo estendere al caso di specie il dispositivo della succitata sentenza, che lo stesso non debba ritenersi vincolato ai fini paesaggistici trattandosi di un corso d’acqua di minore importanza”;
– la Soprintendenza con nota n. 2117 del 24.1.2007, indirizzata (anche) al Comune di (omissis), rappresentata l’irrilevanza della mancata emissione nel passato di autorizzazioni paesistico-ambientali in base alla normativa vigente, ha rilevato che “nella cartografia IGM il corso d’acqua de quo è indicato come “torrente Va.” per il tratto interessato dall’intervento in esame, mentre come “Fosso Va.” dopo le suddivisioni del medesimo in tre diramazioni” e comunque che “con nota n. prot. 1363/2007 sono stati chiesti in ogni caso, chiarimenti a riguardo all’Ufficio Genio Civile – OO-PP- della Regione Campania rappresentandogli l’urgenza della situazione”; per l’effetto la Soprintendenza ha chiesto “a codesta Amministrazione comunale di sospendere cautelativamente i lavori in oggetto in attesa della risposta del suddetto Ufficio del Genio Civile”, precisando che “in caso contrario, sarà responsabilità di codesto Comune dell’eventuale prosieguo degli interventi qualora dovesse essere confermata la definizione di “torrente” e, conseguentemente, le opere in itinere risulterebbero illegittime”;
– la Regione Campania con nota n. 103053 del 2.2.2007 ha comunicato alla Soprintendenza che l’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Salerno non contemplava il territorio del Comune di (omissis), in quanto i decreti di individuazione erano antecedenti alla formazione del Comune medesimo, staccatosi dal Comune di (omissis); i corsi d’acqua in parola costituivano anche una delimitazione dei territori comunali; da una ricerca svolta i corsi d’acqua La. e Va., nel territorio comunale di (omissis), non rappresentavano acque pubbliche e, in quanto catastalmente identificati come acque esenti da estimo, appartenevano al demanio pubblico; la loro natura di valloni, torrenti o fiumi andava ricercata sui fogli di mappa catastali originari;
– la stessa Soprintendenza con nota n. 7129 del 12.3.2007, alla stregua di quanto rappresentato dalla Regione Campania con nota n. 103053 del 2.2.2007, constatato che nella mappa catastale “attualmente in visura” il tratto del corso d’acqua in parola era riportato tra le acque pubbliche esenti da estimo e che era indicato come “torrente Va.”, nonché che “nella mappa catastale di impianto il predetto corso d’acqua è sempre riportato tra le acque pubbliche esenti da estimo, è denominato “Torrente Va.” ed è compreso nell’ex Foglio n. (omissis) del Comune di (omissis)”, ha ritenuto che il Va. nel tratto interessato dai lavori de quibus fosse un torrente e, dunque, fosse sottoposto a tutela ex art. 142 D. Lgs. n. 42 del 2004; per l’effetto, la Soprintendenza ha chiesto al Comune “di trasmettere immediatamente i provvedimenti repressivi sino ad ora emessi, ai sensi delle leggi vigenti, anche a seguito della ricezione della precedente nota di questo Ufficio con prot. n, 2117/2007 ovvero di provvedere ad horas alla sospensione dei lavori”; con la stessa nota è stato chiesto alle Forze dell’Ordine di comunicare lo stato attuale delle opere, controllando il rispetto degli eventuali ordini di sospensione dei lavori ove emanati dal Comune;
– con nota n. 4832 del 12.3.2007 il Comune odierno appellato ha chiesto di ricevere copia del riscontro dell’Ufficio Provinciale del Genio Civile alla richiesta della Soprintendenza avanzata con nota n. 1363/2007, nonché ha precisato che il corso d’acqua in parola non presentava alcuna diramazione nel tratto in cui lo stesso era denominato fosso;
– il Comune di (omissis) con ordinanza n. 25 del 16.3.2007, ripercorso l’iter amministrativo afferente alla ipotizzata sussistenza di un vincolo paesaggistico nella zona de qua, “nelle more dell’accertamento che il Comune svolgerà al fine di verificare se quanto affermato dalla Soprintendenza trovi riscontro negli atti e nei fatti probatori per legge e se sussistono i presupposti per l’adozione di eventuali provvedimenti di autotutela”, visti gli articoli 27 e 29 DPR n. 380/01, ha ordinato “in esecuzione della nota della Soprintendenza pervenuta in data 15/03/2007 n. 5155 del protocollo dell’Ente” la sospensione dei lavori di realizzazione dell’impianto per il recupero di rifiuti per cui è causa;
– la Soprintendenza con nota n. 8178 del 21.3.2007, riscontrando la nota comunale n. 4832/07 cit., ha richiamato quanto riportato nelle precedenti note;
– il Comune di (omissis) con ordinanza n. 48 del 4.5.2007, rappresentando la persistenza dei presupposti e delle motivazioni alla base del precedente ordine di sospensione, “essendo in corso gli accertamenti che il Comune sta effettuando al fine di verificare se quanto affermato dalla Soprintendenza trovi riscontro negli atti e nei fatti probatori per legge e se sussistono i presupposti per l’adozione di eventuali provvedimenti di autotutela”, ha ritenuto “consequenzialmente di dover rinnovare la propria precedente Ordinanza n. 25 prot. 5199 del 16 marzo 2007, essendo trascorsi quarantacinque giorni dalla data di notifica del provvedimento riconfermando integralmente le motivazioni nella sessa riportate”;
– con deliberazione n. 1599 del 22.10.2009 la Regione Campania ha dichiarato, ai sensi dell’art. 142, comma 3, D. Lgs. n. 42/04 l’irrilevanza ai fini paesaggistici del corso d’acqua denominato Torrente Va., disponendo la trasmissione della delibera al Ministero per i Beni e le Attività Culturali per l’eventuale espressione di motivato provvedimento di conferma della rilevanza paesaggistica del tratto d’acqua de quo;
– il Ministero con decreto del 7.7.2011 ha confermato la rilevanza paesaggistica del Torrente Va.;
– con sentenza n. 2172 del 2008 il Tar Campania, Salerno ha annullato: le note soprintendentizie prot. n. 2118 del 24-1-2007 e prot. n. 7128 del 12-3-2007; nonché i provvedimenti del Capo Area Tecnico del Comune di (omissis) prot. n. 5281 del 19-3-2007 e prot. n. 8627 del 4-5-2007, nonché le note soprintendentizie prot. n. 36613 del 5-12-2006, prot. n. 2118 del 24-1-2007 e prot. n. 7128 del 12-3-2007; precisando, tuttavia, che “l’intervento edificatorio della -OMISSIS- s.r.l. (per come risulta collocato negli elaborati grafici allegati alla relazione del tecnico di ufficio) viene effettuato in area vincolata ai sensi della lettera c) dell’art. 142, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004, in quanto previsto nella fascia di metri 150 dalla sponda di un torrente. E’, inoltre, opportuno evidenziare che lo stesso, per come emerge dalla richiamata relazione tecnica, è ubicato, a monte, pur se non in coincidenza della stessa, proprio nelle immediate vicinanze della denominazione di torrente. Sotto tale profilo, dunque, i provvedimenti impugnati che operano riferimento alla esistenza di un vincolo paesaggistico in relazione all’intervento edificatorio della -OMISSIS- s.r.l., risultano legittimi, con conseguente infondatezza del ricorso proposto”;
– con sentenza n. 6137 del 2013 la Sezione ha accolto l’appello proposto avverso la sentenza n. 2172 del 18.7.2008 cit., stabilendo che “non potendo il’Vallemoniò essere qualificato come torrente, né risultando esso iscritto negli elenchi di cui al r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, l’area su cui insiste l’impianto realizzato dalla s.r.l. -OMISSIS- non poteva ritenersi assoggettata a vincolo paesaggistico ex lege, con conseguente illegittimità degli impugnati provvedimenti soprintendentizi”;
– con sentenza n. 982 del 26.5.2014 il Tar Campania, Salerno ha accolto il ricorso del Comune avverso il decreto ministeriale del 7.7.2011 cit.
6. Sulla base dei fatti di causa, come documentati in atti, deve confermarsi la sentenza di prime cure, non potendosi ascrivere in capo alle Amministrazioni intimate, statale e comunale, una condotta colposa.
In particolare, iniziando la disamina dalla condotta della Soprintendenza, l’errore qualificatorio in cui è incorsa l’Amministrazione statale risulta scusabile, stante la complessità dei fatti in accertamento, oggetto di contrastanti valutazioni tecniche svolte dai vari organi, a diverso titolo, chiamati a verificare se il corso d’acqua Va., nel tratto interessato dai lavori di realizzazione dell’impianto per il recupero dei rifiuti dell’odierno appellante, fosse qualificabile come fosso o torrente.
Al riguardo, deve rilevarsi, in primo luogo, che la regola di azione in concreto violata, concernente la sottoposizione dell’area in esame alla tutela paesaggistica, non escludeva un margine di discrezionalità tecnica comunque esercitabile alla Soprintendenza territorialmente competente, facendosi questione di qualificazione di corsi d’acqua in assenza di apposita norma definitoria volta a stabilire parametri tecnici suscettibili di puntuale misurazione (riguardanti, ad esempio, la lunghezza, la larghezza, la pendenza o la profondità del corso d’acqua), all’uopo da accertare per sussumere un dato corso d’acqua sotto la categoria dei “torrenti”.
Come emergente dalla sentenza n. 6137/13 cit, infatti, la qualificazione di un corso d’acqua come torrente non è dipesa da definizioni giuridiche, bensì da “correnti criteri scientifici in materia di classificazione e gerarchia dei corsi d’acqua”, alla stregua della classificazione di Ro., una delle più accreditate nella letteratura scientifica, facendosi, dunque, questione di parametri non oggetto di mero accertamento, non imposti dal dato normativo, per propria natura esposti a margini di opinabilità .
Ne deriva che, difettando una norma di azione a contenuto vincolato, la sussistenza di una condotta colposa in relazione ad un’erronea qualificazione tecnica può essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità .
Come supra osservato, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione certo e vincolante, la responsabilità dell’Amministrazione può essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile.
7. Ciò precisato, secondo quanto emergente dagli atti di causa, la Soprintendenza è pervenuta alla qualificazione del corso d’acqua denominato Va. quale torrente all’esito di un’interlocuzione con altri Autorità amministrative competenti in materia, sulla base della documentazione all’uopo rilevante.
In particolare, una volta accertato il mancato inserimento del Va. nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. n. 1773 del 1933, la Soprintendenza ha chiesto al riguardo chiarimenti all’Ufficio Genio Civile – OO-PP- della Regione Campania; il quale, con nota n. 103053 del 2.2.2007, confermando che l’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Salerno non contemplava il territorio del Comune di (omissis), in quanto i decreti di individuazione erano antecedenti alla formazione del Comune medesimo, ha ritenuto che per i corsi d’acqua in parola la natura di valloni, torrenti o fiumi andasse ricercata sui fogli di mappa catastali originari, senza, dunque, fare riferimento ad appositi accertamenti in loco.
Alla stregua di quanto rappresentato dalla Regione, la Soprintendenza, dunque, con nota n. 7129 del 12.3.2007, ha constatato che: nella mappa catastale “attualmente in visura” il tratto del corso d’acqua in parola era riportato tra le acque pubbliche esenti da estimo ed era indicato come “torrente Va.”, nonché che “nella mappa catastale di impianto il predetto corso d’acqua è sempre riportato tra le acque pubbliche esenti da estimo, è denominato “Torrente Va.” ed è compreso nell’ex Foglio n. (omissis) del Comune di (omissis)”; per l’effetto, ha ritenuto che il Va. nel tratto interessati dai lavori de quibus fosse un torrente e, dunque, fosse sottoposto a tutela ex art. 142 D. Lgs. n. 42 del 2004.
Emerge, dunque, che la qualificazione operata dalla Soprintendenza non è stata il risultato di un intervento superficiale, non supportato da un’attività istruttoria all’uopo svolta, bensì è stata preceduta da un’interlocuzione con altro organo amministrativo, che aveva rappresentato la necessità di avere riguardo alle risultanze catastali; il cui esame, coerentemente espletato dall’Amministrazione statale, aveva confermato la necessaria qualificazione del corso d’acqua quale torrente.
8. Le conclusioni cui è giunta l’Amministrazione statale, inoltre, non trovavano sicura smentita nella cartografia ufficiale, la cui rilevanza non può essere svalutata, quanto meno al fine di escludere un atteggiamento colposo ascrivibile in capo all’organo procedente.
8.1 Il carattere di ufficialità attribuito dalla legge 2 febbraio 1960, n. 68 alle cartografie redatte da un ente cartografico dello Stato, sebbene non implichi una natura costitutiva o un effetto fidefaciente dei relativi documenti, comporta infatti che agli stessi possa farsi riferimento tutte le volte in cui occorra adottare provvedimenti o compiere atti che abbiano a presupposto o a propria sfera di efficacia l’articolazione interna dello Stato.
Con specifico riferimento all’istituto Ge. Mi., ad esempio, la Sezione cha rilevato che, sebbene non si sia in presenza di un ente titolare di una potestà costitutiva o certificativa – ragion per cui le carte dallo stesso predisposte non sono, di per sé, idonee a fondare la qualificazione e il regime giuridico dei beni ivi rappresentato-, “l’Istituto geografico militare svolge le funzioni di ente cartografico dello Stato ai sensi della legge 2 febbraio 1960, n. 68 (Norme sulla cartografia ufficiale dello Stato e sulla disciplina della produzione e dei rilevamenti terrestri e idrografici), e che la sua attività istituzionale offre un altissimo affidamento in termini di contenuti e di ufficialità per la descrizione del territorio” (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 ottobre 2014, n. 5316).
Pertanto, le risultanze ricavabili dalla cartografia ufficiale possono ben essere valorizzate quale elemento presuntivo circa la corrispondenza tra quanto ivi riportato e quanto realmente esistente, salvi elementi di prova contraria all’uopo fornibili dalla parte interessata.
8.2 Avuto riguardo al caso di specie, alla stregua di quanto emerge dalla relazione tecnica acquista in sede penale e prodotta in primo grado dal Comune appellato (doc. 25), utilizzabile quale prova atipica nell’odierno giudizio (sulla possibilità di impiegare le risultanze istruttorie acquisite in separato giudizio, frutto di attività tecniche all’uopo svolte, quali prove atipiche, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 dicembre 2020, n. 8155) risulta che:
– nella carta IGMI del 1956 (scala 1:25.000) e del 1987 (scala 1:25.000) il Va. veniva qualificato, a seconda del tratto preso in esame, con l’idronimo “T. Va.” e “F.so Va.”;
– nella carta IGMI del 1987 (scala 1:50.000) il Va. veniva qualificato con l’idronimo “F.so Va.”;
– nella carta IGMI del 1962 si riscontrava solo la denominazione “T. Va.”;
– nella carta IGMI del 1995 non era riportato né il corso d’acqua né l’idronimo Va.;
– nella carta di impianto catastale prodotta dall’Agenzia del Territorio (già Catasto) nel 1890 il corso d’acqua per tutto il suo sviluppo era identificato esclusivamente con l’idronimo Torrente Va.; analogamente avveniva nel quadro d’unione in scala 1:25.000;
– nella carta catastale attuale in uso del Comune di (omissis) e del Comune di (omissis) il corso d’acqua è identificato per tutto il suo corso come torrente Va..
La denominazione Torrente è presente anche nella carta tecnica dell’Italia Meridionale prodotta dalla Cassa per il Mezzogiorno, restituzione 1980 e volo 1974, limitatamente ad un tratto del corso d’acqua (“in corrispondenza della autostrada A3 SA-RC e quindi proprio in corrispondenza dell’area dell’intervento della società -OMISSIS- s.r.l.” pag. 23 consulenza tecnica cit. sub doc. 25), nonché nella carta tecnica numerica regionale della regione Campania, volo 1998 e restituzione 2004, limitatamente al tratto a valle del ponte dell’autostrada A3 SA-RC e tra la SS18 e la linea ferroviaria NA-RC. L’Autorità di Bacino Regionale in Destra Sele identifica pure il corso d’acqua come Torrente Va. per tutto il suo corso (sebbene si basi sulla carta tecnica dell’Italia Meridionale prodotta dalla Cassa per il Mezzogiorno).
I diversi idronimi impiegati nella cartografia per individuare il tratto del corso d’acqua in contestazione nella presente sede confermano la complessità della situazione di fatto e le difficoltà nella relativa qualificazione giuridica.
Alla stregua di tali emergenze, la sussistenza di una condotta colposa non potrebbe, dunque, essere desunta dal riferimento alla cartografia ufficiale, tenuto conto che le relative risultanze, pure utilizzabili come elementi presuntivi suscettibili di fondare le determinazioni amministrative aventi come presupposto l’articolazione del territorio nazionale, consentivano anche di confermare la qualificazione data al corso d’acqua dalla Soprintendenza con le note citate.
In particolare, in presenza di una carta di impianto catastale e dell’attuale carta catastale deponenti per la qualificazione del corso d’acqua de quo come torrente, l’assunzione di una determinazione amministrativa sul presupposto di una tale qualificazione, pur risultando contestabile in giudizio, non essendosi in presenza di atti fidefacienti o aventi valenza costitutiva, non potrebbe, per ciò solo, ritenersi espressiva di una grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede cui deve essere informata l’azione dei pubblici poteri.
8.3 Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base della sentenza n. 6137/13 della Sezione, tenuto conto che la negazione di una rilevanza decisiva della cartografia ufficiale non comporta che la sua osservanza integri una condotta colposa, frutto di un errore inescusabile.
Come osservato, gli enti cartografici pubblici ex legge 2 febbraio 1960, n. 68, salvo che non sia diversamente previsto, non sono titolari di un potere costitutivo o di certazione, ragion per cui le cartografie all’uopo redatte non vincolano l’interprete nella qualificazione giuridica dei fatti di causa; per tale ragione, la Sezione, nel definire la controversia concernente gli atti della Soprintendenza deponenti per la qualificazione del Va. come torrente, non poteva riconoscere valenza determinante a detta cartografia.
Ciò, tuttavia, come osservato, non significa che il carattere di ufficialità delle relative carte, anche toponomastiche, e la qualificazione tecnica degli enti che ne sono autori non possano essere valorizzati per giustificare l’affidamento riposto da altri organi dello Stato circa la corrispondenza tra quanto ivi riportato e l’effettivo stato dei luoghi rappresentati; specie in situazioni connotate da incertezza qualificatoria quale quella di specie.
9. La sussistenza di una condotta colposa dell’Amministrazione statale non può essere fondatamente contestata neanche argomentando sulla base del mancato svolgimento di un sopralluogo ad opera della Soprintendenza.
In particolare, sotto tale profilo, la ricorrente ritiene che la Soprintendenza, in quanto soggetto dotato di capacità istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore, fosse in condizione di correttamente valutare la situazione di fatto, che non avrebbe comportato la risoluzione di problemi tecnici e/o giuridici particolari, ma solo l’effettuazione di un sopralluogo.
Difatti, secondo la prospettazione attorea, “un fosso largo un metro e profondo 10 cm, privo di pendenza non poteva all’evidenza essere qualificato un torrente” (pag. 18 appello); il che emergerebbe altresì dal contenuto della sentenza di questo Consiglio n. 6137/2013.
L’assunto è infondato.
Ai fini dell’accertamento del coefficiente psicologico di colpevolezza, non è sufficiente che l’agente abbia tenuto una condotta violativa delle regole di cautela all’uopo applicabili, ma occorre anche che il rispetto di dette regole cautelari (imposte da una specifica norma giuridica o desumibili dalle comuni regole di prudenza, perizia e diligenza) avrebbe comunque permesso di evitare l’evento dannoso.
Al riguardo, deve, infatti, distinguersi tra fatto prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa, e fatto non prevedibile o non evitabile, tale da escludere l’imputazione soggettiva (cfr. Cass. civ. Sez. III, Sent 11 novembre 2019, n. 28985).
Nel caso in esame il sopralluogo della Soprintendenza, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non avrebbe potuto condurre con certezza o ragionevole probabilità ad una diversa qualificazione giuridica del corso d’acqua.
9.1 Al riguardo, in primo luogo, giova evidenziare come le risultanze del processo concluso con la sentenza n. 6137/13, lungi dal dimostrare la semplicità degli accertamenti in loco, ne confermano la particolare complessità, asseverando la scusabilità di un’erronea qualificazione del Va. in termini di torrente.
Sotto tale profilo, in particolare, si rileva che nel processo definito dalla Sezione con sentenza n. 6137/13, in prime cure, era stata acquisita una relazione tecnica deponente per la qualificazione come torrente del corso d’acqua Va., nel tratto interessato dai lavori di realizzazione dell’impianto di titolarità della ricorrente.
Nella sentenza n. 2172/2008 del Tar Campania, Salerno, si rileva infatti che “l’intervento edificatorio della -OMISSIS- s.r.l. (per come risulta collocato negli elaborati grafici allegati alla relazione del tecnico di ufficio) viene effettuato in area vincolata ai sensi della lettera c) dell’art. 142, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004, in quanto previsto nella fascia di metri 150 dalla sponda di un torrente. E’, inoltre, opportuno evidenziare che lo stesso, per come emerge dalla richiamata relazione tecnica, è ubicato, a monte, pur se non in coincidenza della stessa, proprio nelle immediate vicinanze della denominazione di torrente”)
La circostanza per cui tale sentenza sia stata riformata in giudizio, se certamente impedisce di individuare nel dictum del primo giudice la fonte della regula iuris applicabile al caso di specie, non esclude la possibilità di valorizzare gli elementi istruttori sulla cui base è stata resa la sentenza del Tar per asseverare la complessità delle valutazioni tecniche oggetto di giudizio e, dunque, la scusabilità dell’errore qualificatorio in cui è incorsa la Soprintendenza.
Difatti, tali elementi di prova non sono tati reputati da questo Consiglio prima facie inattendibili e, dunque, agevolmente superabili ai fini della decisione, avendo la Sezione, anziché disatteso le relative risultanze per pervenire immediatamente alla decisione della controversia, ravvisato la necessità di approfondire le questioni oggetto di giudizio, disponendo per ben due volte una verificazione giudiziale.
Se gli accertamenti in esame fossero stati agevoli e semplici, come ritenuto dalla ricorrente, non sarebbe stato necessario acquisire tre relazioni tecniche nell’ambito del medesimo processo, nei due gradi di giudizio, per giungere alla definizione della relativa controversia.
Lo stesso contenuto motivazionale della sentenza n. 6137/2013 in atti è emblematico della complessità dell’istruttoria svolta per pervenire ad una corretta qualificazione del corso d’acqua; in tale pronuncia, infatti, si dà atto che:
– nella fase cautelare era stata disposta una prima verificazione tramite l’Ufficio Genio Civile di Salerno, volta ad accertare se il corso d’acqua Va. in base alle sue reali caratteristiche e a prescindere dalla denominazione indicata nella carta IGM, potesse o meno essere qualificato come torrente;
– nella fase di merito, con ordinanza n. 5922 del 22.11.2012. “a fronte della non esaustività degli accertamenti e della perplessità delle conclusioni cui era giunto il verificatore incaricato nella fase cautelare, veniva espletata ulteriore verificazione per accertare la reale natura del corso d’acqua in esame nel tratto interessato dall’intervento edificatorio della s.r.l. -OMISSIS-, con incarico conferito, in forma collegiale, al Coordinatore dell’Area generale di coordinamento, Ecologia, Tutela dell’ambiente, Ciclo integrato delle acque, Protezione civile, dell’Assessorato all’ambiente della Regione Campania, ed al Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Salerno e Avellino. La relativa relazione, dopo varie proroghe, veniva depositata il 24 luglio 2013”.
Le statuizioni recate nella sentenza n. 6137/2013 confermano, dunque, la complessità degli accertamenti fattuali.
Difatti:
– il primo verificatore aveva rassegnato una relazione connotata dalla non esaustività degli accertamenti e dalla perplessità delle conclusioni, nonostante si trattasse dell’Ufficio Genio civile di Salerno, organo certamente professionalmente qualificato; pertanto, la necessità di rinnovare una verificazione già espletata da un organo caratterizzato dalla certa professionalità tecnica dimostra come l’accertamento non fosse semplice e la qualificazione del corso d’acqua in esame non fosse di immediata soluzione;
– il secondo incarico di verificazione è stato conferito in forma collegiale, il che denota, di per sé, la complessità dell’istruttoria da svolgere, non essendosi ritenute sufficienti le competenze tecniche di un solo organismo ausiliario.
Ne deriva che l’acquisizione nell’ambito del medesimo giudizio di tre relazioni tecniche (una in prime cure e due in appello), recanti risultanze tra loro contrastanti, nonché la necessità di disporre in appello due verificazioni – di cui la seconda anche in forma collegiale -, dimostrano la complessità degli accertamenti fattuali e delle valutazioni tecniche all’uopo da effettuare, non potendosi ritenere che un mero sopralluogo sull’area de qua ad opera della Soprintendenza avesse potuto con facilità permettere una corretta qualificazione del Va. come torrente.
9.2 Ad analoghe conclusioni deve giungersi valorizzando la cartografia ufficiale sopra richiamata, formata da organi pubblici.
La circostanza per cui il corso d’acqua de qua sia stato diversamente classificato da vari organi tecnici dimostra l’opinabilità delle valutazioni sottese alla qualificazione, anche giuridica, del Va., non potendo ritenersi che un mero sopralluogo fosse idoneo a sopire ogni dubbio sulla possibilità di considerare il relativo corso d’acqua alla stregua di un fosso.
9.3 Infine, assume particolare rilevanza ai fini dell’odierno giudizio anche l’istruttoria espletata in sede penale.
Come documentato dal Comune in prime cure (doc. 25 produzione del 5.4.2017), il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Procura del Tribunale di Salerno ha nominato propri consulenti tecnici al fine di accertare “previo sopralluogo, la natura (torrente o fosso) del corso d’acqua denominato Va., ricadente nel territorio di (omissis), con particolare riferimento al tratto in cui è realizzato l’impianto di recupero di rifiuti edili della -OMISSIS- s.r.l. in (omissis) loc. Pescine foglio (omissis) particelle (omissis) e al successivo tratto più a valle” (pag. 3 relazione).
La relazione tecnica acquisita al giudizio si caratterizza per l’univocità delle conclusioni dei consulenti tecnici, rassegnate:
– all’esito di “una campagna di sopralluoghi con rilievi fotografici” (pag. 5) e in ragione di una puntuale valutazione del relativo esito (pagg. 16 e ss.);
– sulla base dell’analisi delle caratteristiche principali del Va. (pagg. 19 e ss.), della cartografia rilevante (pagg. 21 e ss.) e della documentazione ufficiale acquisita (pagg. 27 e ss.);
– alla stregua dei criteri di classificazione dell’IGM, all’uopo approfonditi (pagg. 29 e ss.), nonché tenuto conto della letteratura tecnica (pagg. 32-33).
All’esito delle attività svolte, i consulenti tecnici sono giunti alla conclusione per cui “senza dubbio” (pag. 33) il corso d’acqua denominato Va. per il tratto in prossimità dell’intervento della -OMISSIS- doveva ritenersi un torrente; derivando una tale qualificazione “non solo dal fatto che esso viene identificato, nella totalità della cartografia ufficiale e nei documenti ufficiali esaminati con l’appellativo di “torrente” ma anche per il fatto che esso presenta, sia all’osservazione diretta sia all’analisi della cartografia di base, tutte quelle caratteristiche geo-morfologiche e di regime idraulico proprie di questa tipologia di corso d’acqua: grande variabilità della portata correlata al regime delle piogge, pendenza elevata, ecc.” (pag. 34).
Anche in tale caso la circostanza per cui il processo penale si sia concluso in sede di appello con una sentenza di assoluzione, in conformità della richiesta della Procura della Repubblica “a fronte della sentenza n. 6137/13 del Consiglio di Stato” (pag. 11 memoria di replica appellante), rileva per individuare la regula iuris del caso concreto, ma non impedisce di valorizzare a diversi fini – in specie, nella valutazione della complessità della situazione di fatto e della scusabilità dell’errore in cui è incorsa la Soprintendenza – l’esistenza di una approfondita disamina di un organo collegiale tecnico, nominato dall’autorità giudiziaria che, anche sulla base di sopralluoghi, è pervenuto alla qualificazione del tratto di corso d’acqua interessato dai lavori svolti dall’odierna ricorrente come torrente.
9.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, non può fondatamente riscontrarsi una condotta colposa ascrivibile in capo alla Soprintendenza, neanche argomentando alla stregua del mancato espletamento di un sopralluogo dell’Amministrazione statale sull’area oggetto dell’intervento eseguito dalla -OMISSIS-.
La documentazione in atti comprova, infatti, che professionisti del settore, anche all’esito di sopralluoghi svolti sull’area per cui è causa, hanno concluso per la qualificazione come torrente del corso d’acqua interessato dall’intervento eseguito dalla ricorrente; a dimostrazione di come il comportamento alternativo invocato dal ricorrente (caratterizzato dallo svolgimento del sopralluogo), a fronte di una situazione di fatto particolarmente complessa quale quella di specie (che come osservato, anche dinnanzi a questo Consiglio aveva richiesto una rinnovazione dell’istruttoria, pure con conferimento di un incarico collegiale), non avrebbe consentito di fornire elementi idonei ad evidenziare la natura di fosso del Va. e, dunque, ad evitare l’errore qualificatorio contestato all’Amministrazione statale.
Posto che lo svolgimento del sopralluogo non avrebbe permesso di evitare l’errore qualificatorio, la sua omissione non può essere apprezzata ai fini dell’imputazione soggettiva dell’illecito a titolo di colpa.
10. Non potrebbe giungersi a conclusioni differenti neppure valorizzando la condotta tenuta dal Comune di (omissis), il quale, nell’interlocuzione avuta con l’Amministrazione statale, benché avesse contestato la qualificazione operata dall’Amministrazione statale, non aveva specificato le ragioni tecniche, eventualmente supportate dalle relative misurazioni, per le quali il corso d’acqua non potesse qualificarsi come torrente, essendosi limitato a svolgere considerazioni, di per sé non dirimenti, comunque puntualmente contestate dalla Soprintendenza.
In particolare, il Comune:
– ha richiamato con la nota n. 23710 del 11.12.2006 la pregressa prassi amministrativa (del Comune di (omissis) e dell’allora Comune di (omissis) dal quale il Comune di (omissis) si era distaccato nel 1990), incentrata sulla mancata richiesta dell’autorizzazione paesaggistica; circostanza, di per sé, del tutto irrilevante, non potendo una prassi, in ipotesi contra legem, giustificare un’erronea qualificazione giuridica dei luoghi, come correttamente rappresentato dalla Soprintendenza con nota n. 2117 del 24.1.2007;
– ha rilevato che il corso d’acqua non era iscritto nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. n. 1773 del 1933, quando, in relazione alla rilevanza di tale iscrizione, nello stesso giudizio conclusosi in appello con sentenza n. 6137/13 della Sezione, è stato precisato che, alla stregua di quanto statuito dal primo giudice con capo di sentenza non specificatamente impugnato – da ritenere pertanto incontrovertibile tra le parti in quanto passato in giudicato-, per i torrenti detta iscrizione non assumeva valenza determinante; il che è stato puntualmente valorizzato dalla Soprintendenza con nota n. 36610 del 5.12.2006, anche con riferimenti giurisprudenziali;
– ha richiamato le risultanze della cartografia IGM; anche in tale caso, tuttavia. la Soprintendenza ha contestato con nota n. 2117 del 24.1.2007 che il tratto di corso d’acqua interessato dall’intervento dell’odierno appellante era denominato dalla cartografia IGM come torrente, facendosi questione di un corso d’acqua sottoposto ad un idronimo differente a seconda del tratto preso in esame (come confermato anche dalla relazione tecnica acquisita in sede penale, che discorre di una cartografica IGM in cui il corso d’acqua de quo era denominato sia come torrente che come fosso).
Ne deriva che, anche in relazione alle contestazioni svolte dal Comune, la Soprintendenza non ha assunto una posizione ingiustificata, bensì ha provveduto ai relativi accertamenti istruttori, pervenendo a confermare con adeguata motivazione le proprie determinazioni.
11. Ai fini dell’odierno giudizio, non potrebbe invocarsi neanche l’approvazione del progetto edificatorio della -OMISSIS-, assentito dalla Regione (Decreto n. 67 del 14.03.2006) all’esito di apposita Conferenza di Servizi, non risultando che la questione concernente la sussistenza del vincolo paesaggistico sia stata adeguatamente affrontata e approfondita in tale sede.
Pertanto, a fronte di un’azione amministrativa connotata da una non adeguata considerazione dei profili paesaggistici, l’intervento della Soprintendenza a tutela di un interesse di rango costituzionale, affidato alla propria cura, non poteva ritenersi ingiustificabile soltanto perché il progetto del ricorrente, peraltro avente un rilevante impatto sul paesaggio – traducendosi nella realizzazione di un impianto per il recupero dei rifiuti -, era stato approvato all’esito di una conferenza di servizi con la partecipazione di plurime Amministrazioni.
12. La mancata valutazione dei profili paesaggistici in relazione agli interventi realizzati presso il Va. non era, neppure, il risultato di una contraddittoria posizione assunta dalla Soprintendenza, bensì discendeva da una prassi comunale, che non considerava la zona tutelata paesaggisticamente (come rilevato dal Comune nella nota 23710 del 11.12.2006, in cui si rappresentava che per tutti gli interventi realizzati nel tempo in prossimità del corso d’acqua denominato Va. non era mai stata richiesta dalla stessa Amministrazione comunale l’autorizzazione paesaggistica).
La circostanza per cui tale valutazione comunale sia risultata ex post corretta, si ripete, non può, per ciò solo, fare emergere una condotta colposa in capo alla Soprintendenza, altrimenti configurandosi una colpa in re ipsa, per effetto della mera illegittimità dell’atto amministrativo, in una situazione fattuale, come osservato, connotata da elevata complessità e da ampi margini di opinabilità .
13. Rilevato che la sussistenza di una condotta colposa ministeriale non poteva desumersi dai rilievi formulati dal Comune di (omissis) (neanche con le note n. 20064 del 18.10.2006, n. 23710 dell’11.12.2006 e n. 4832 del 12.03.2007 specificatamente richiamate nel secondo motivo di appello e oggetto di disamina nei precedenti paragrafi), parimenti, non può attribuirsi a tali fini alcuna rilevanza alla nota dirigenziale n. 2007.0103053 del Genio Civile; la quale, anzi, depone per la scusabilità dell’errore in cui è incorsa la Soprintendenza.
Difatti, con tale nota, la Regione Campania, pur confermando che l’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Salerno non contemplava il territorio del Comune di (omissis) e che da una ricerca svolta i corsi d’acqua La. e Va. non costituivano acque pubbliche – appartenendo al demanio pubblico, in quanto catastalmente rappresentati come acque esenti da estimo-, ha espressamente ravvisato la necessità che la natura di valloni, torrenti o fiumi andasse ricercata sui fogli di mappa catastali originari; il che non è stato disatteso dalla Soprintendenza, avendo l’organo statale argomentato la propria qualificazione anche sulla base della carta di impianto catastale.
Né potrebbe diversamente argomentarsi sulla base della nota della Regione Campania, Settore Provinciale del Genio Civile di Salerno rif. Pot.. 106334 del 22.12.2005 (prodotta dal ricorrente in primo grado in data 12.4.2017), che discorre di fosso ed alveo in relazione al Valle Monio, sia perché in tale nota non viene preso in esame specificatamente il profilo della rilevanza paesaggistica del corso d’acqua de quo, sia perché la relativa valutazione non risulta motivata, sia, comunque, perché la circostanza che il Va. fosse (anche) qualificabile come fosso sarebbe pure compatibile con la posizione della Soprintendenza, che, come osservato, sulla base della cartografia IGM, ha negato una tale qualificazione in relazione al solo tratto interessato dal progetto dell’appellante.
In ogni caso, non potrebbero valorizzarsi precedenti note deponenti per una diversa qualificazione del corso d’acqua quale fosso, tenuto conto che la Soprintendenza ha valutato la fattispecie concreta alla stregua di ulteriori approfondimenti svolti negli anni 2006-2007, supra richiamati, specificatamente rivoli alla rilevanza paesaggistica del corso d’acqua in esame.
14. La sussistenza di una condotta colposa non potrebbe essere contestata neanche sulla base di fatti sopravvenuti all’adozione delle determinazioni amministrative lesive, dovendosi verificare se l’Amministrazione, nell’assumere la decisione illegittima, sia incorsa in un errore inescusabile al momento in cui la condotta è stata concretamente tenuta; peraltro, non potrebbero desumersi argomenti a carico della parte pubblica dalla sua condotta processuale, di resistenza in giudizio, facendosi questione dell’esercizio di un diritto costituzionale di difesa; né nel giudizio concluso con la sentenza n. 6137/13 è stata accertata una resistenza temeraria, da cui avrebbero potuto (in ipotesi) trarsi elementi di prova in ordine ad un abusivo esercizio del diritto di difesa.
15. Non assume rilevanza ai fini del presente giudizio risarcitorio neanche il decreto ministeriale del 7.7.2011 che, come statuito da questo Consiglio con la sentenza n. 6137/13 pronunciata inter partes, afferiva a distinti profili di tutela paesaggistica non afferenti alla portata delle acque e, dunque, non rilevava ai fini dell’adozione dei provvedimenti censurati in prime cure, alla base dell’azione risarcitoria proposta nel presente giudizio.
16. Infine, sempre con riguardo alla posizione della Soprintendenza, non potrebbe neanche invocarsi la presunzione di colpevolezza, che grava sulla parte pubblica l’onere di dimostrare la scusabilità dell’errore alla base dell’atto illegittimo.
Come osservato supra, tale presunzione può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, per l’emersione di una condotta intenzionalmente volta alla lesione dell’altrui sfera giuridica o comunque tenuta in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede, mentre deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto.
L’asseverata complessità della situazione di fatto, oggetto di distinte qualificazioni giuridiche ad opera di diversi e qualificati esperti del settore (cfr. relazione tecnica in sede penale e relazione di verificazione acquisita in grado di appello nel giudizio definito da questo Consiglio con la sentenza n. 6137/13) impedisce di applicare tale presunzione di colpevolezza.
Parimenti, l’assenza di specifica attività defensionale svolta sul punto dalla Soprintendenza costituisce un argomento non decisivo, non impedendo all’organo giudicante di definire la controversia sulla base del materiale istruttorio acquisito al giudizio, deponente, come osservato, per la scusabilità dell’errore qualificatorio in cui è incorsa la Soprintendenza nell’adozione degli atti censurati in prime cure.
17. Le considerazioni supra svolte conducono a negare la sussistenza di profili di colpa anche in capo all’ente comunale, il quale è stato chiamato ad esercitare i propri poteri di vigilanza urbanistico-edilizia su sollecitazione di un organo pubblico preposto alla tutela di un interesse qualificato, protetto dall’ordinamento costituzionale.
Al riguardo, non merita condivisione l’assunto attoreo secondo cui gli atti della Soprintendenza, indirizzati al Comune e aventi ad oggetto la sospensione immediata dei lavori, fossero dei meri inviti.
Tale qualificazione è incompatibile non solo con la condotta processuale tenuta dalla stessa appellante, che in primo grado ha impugnato anche le note della Soprintendenza, evidentemente reputandole idonee a produrre effetti lesivi, altrimenti discorrendosi di azione impugnatoria inammissibile per difetto di interesse; ma anche con gli accertamenti giurisdizionali intervenuti in materia.
Il Tar, in primo grado, e questo Consiglio, in appello, hanno statuito sulle note della Soprintendenza per cui è causa, annullate per effetto della sentenza n. 6137/13 cit.
Pertanto, se si fosse stati in presenza di meri inviti, le relative impugnazioni, proposte avverso atti privi di portata lesiva e di efficacia vincolante, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili per difetto di interesse, non sussistendo alcuna lesione attuale, immediata e diretta suscettibile di essere rimediata in sede giurisdizionale.
L’annullamento delle note in esame, invece, reca un accertamento implicito in ordine alla loro forza cogente, essendo idonee a condizionare l’esercizio della funzione amministrativa in senso sfavorevole alla parte privata, in tale modo influendo sull’esercizio del potere di sospensione spettante in capo all’Amministrazione comunale.
Sotto tale profilo, inoltre, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, non potrebbe neanche ritenersi che il Comune, ordinando la sospensione dei lavori, abbia esercitato un potere esulante dalle proprie attribuzioni.
Salva rimanendo una verifica in concreto circa la sussistenza dei presupposti del provvedere – profilo attinente, anziché al difetto assoluto di attribuzione, comportante la nullità dell’atto amministrativo ex art. 21 septies L. n. 241/90, alla sua annullabilità per violazione di legge ex art. 21 octies L. n. 241/90 – il Comune, come emerge dal contenuto delle ordinanze all’uopo assunte, ha inteso esercitare un potere di sospensione radicato nell’art. 27 DPR n. 380 del 2001, disposizione espressamente menzionata nelle ordinanze nn. 25 e 48 del 2007; il che è confermato, altresì, dalla rinnovazione dell’ordine di sospensione, disposto con il provvedimento n. 48 del 2007, giustificato dal decorso dei “quarantacinque giorni dalla data di notifica del provvedimento” precedentemente assunto; termine corrispondente esattamente a quello previsto dall’art. 27 DPR n. 380/01, ai sensi del quale “il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori”.
Facendosi questione, inoltre, di potere cautelare, non occorreva una compiuta motivazione in ordine alla sussistenza di ragioni di pubblico interesse suscettibili di condurre alla sospensione dei lavori, atteso che una tale valutazione avrebbe dovuto essere svolta, nel contraddittorio con il privato, ai fini dell’eventuale annullamento d’ufficio dei titoli edilizi all’uopo emessi o, comunque, in sede di adozione dei provvedimenti definitivi.
Anche in tale caso, comunque, il corretto bilanciamento degli interessi coinvolti nel caso concreto atterrebbe al profilo oggettivo dell’illecito aquiliano, non influendo, di per sé, sull’accertamento del coefficiente psicologico di colpevolezza contestabile all’Amministrazione procedente.
18. Alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza di primo grado deve essere confermata, non riscontrandosi nella specie una condotta colposa ascrivibile in capo alle Amministrazioni intimate.
Difatti, a fronte di un contesto fattuale connotato da elevata complessità e da margini di opinabilità nelle valutazioni tecniche all’uopo svolte, l’errore qualificatorio in concreto commesso dalla Soprintendenza deve ritenersi scusabile, così come nessun addebito, quale rimprovero a titolo di colpa, può essere formulato nei confronti dell’Amministrazione comunale, la quale si è limitata ad esercitare un proprio potere di sospensione dei lavori, al fine di cautelare un interesse costituzionalmente rilevante, quale quello paesaggistico, in una situazione fattuale complessa, oggetto di una qualificata contestazione da parte della Soprintendenza e, quindi, dall’Amministrazione istituzionalmente competente alla tutela paesaggistica; il che giustificava la cautela mostrata dal Comune, estrinsecatasi nell’adozione degli atti di sospensione de quibus.
19. Il rigetto dei primi tre motivi di appello, comportando la conferma della sentenza gravata e, dunque, l’esclusione dell’integrazione di un illecito civile ascrivibile in capo alle Amministrazioni intimate, determina il necessario assorbimento del quarto motivo di appello, con cui la -OMISSIS- ha articolato la domanda risarcitoria in punto di quantum debeatur.
19.1 Secondo la prospettazione dell’appellante, in assenza dei provvedimenti di sospensione dei lavori e del decreto ministeriale del 7.7.2011, l’impianto sarebbe certamente entrato in servizio nell’aprile 2007, nonché l’odierna appellante non avrebbe subito la revoca del finanziamento ottenuto da Sv. It., né sarebbe stata posta in liquidazione (trattandosi di società di scopo, costituita per l’esercizio dell’impianto e lo svolgimento delle relative attività di impresa).
In particolare:
– il danno emergente è stato individuato negli esborsi monetari necessari al sostenimento di costi improduttivi, con valorizzazione di un cash flow negativo risultante dai bilanci dal 2007 al 2012 pari a Euro 973.000,00;
– il lucro cessante è stato quantificato nell’importo di Euro 3.000.00,00, corrispondente alle risorse disponibili cumulate conseguibili nell’ipotesi in cui la società avesse potuto svolgere l’ordinario esercizio dell’attività imprenditoriale.
19.2 L’assenza di un illecito civile, per difetto di una condotta colposa imputabile alle Amministrazioni appellate, comporta il rigetto della domanda risarcitoria, non riscontrandosi l’an dell’illecito ascrivibile alle parti intimate; ragion per cui non può farsi luogo all’esame del quantum debeatur; questione preclusa dalla negazione della responsabilità risarcitoria in capo alla Soprintendenza e al Comune.
19.3 In ogni caso, per mera completezza, si rileva che, ove fosse stato integrato l’illecito anche sotto il profilo soggettivo, le uniche conseguenze dannose addebitabili ad un atteggiamento colposo delle Amministrazioni avrebbero potuto riguardare la mera sospensione dei lavori, per una durata limitata nel tempo; con conseguente configurazione soltanto di un danno da ritardata conclusione dei lavori.
L’impossibilità di prosecuzione dei lavori, funzionali alla realizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti in parola, difatti, si atteggiava quale provvisoria, non assumendo i caratteri della definitività ; ragion per cui, per effetto dell’azione amministrativa, il progetto non avrebbe effettivamente potuto essere realizzato secondo quanto in origine preventivato e, dunque, con la tempistica ipotizzata; non avrebbe, invece, potuto ritenersi che la sua esecuzione fosse preclusa in via definitiva.
Difatti:
– da un lato, le ordinanze comunali ostative alla prosecuzione dei lavori erano state assunte, come osservato, ai sensi dell’art. 27 DPR n. 380/01, avendo, dunque, una efficacia temporale limitata a quarantacinque giorni dalla loro notificazione; il che, del resto, è confermato dalla successione dei fatti di causa, avendo il Comune adottato una prima ordinanza in data 16.03.2007 ed una seconda in data 04.05.2007, rilevando la necessità della riedizione dell’ordine inibitorio “essendo trascorsi quarantacinque giorni dalla data di notifica del provvedimento” in precedenza assunto; del resto, l’adozione del secondo provvedimento inibitorio non avrebbe avuto ragion d’essere a fronte di una sospensione sine die disposta con la precedente ordinanza, emergendo la sua utilità, invece, proprio in ragione dell’esaurimento dell’efficacia sospensiva prodotta dalla prima ordinanza, stante la scadenza del termine di quarantacinque giorni ex art. 27 DPR n. 380/01. Si conferma, dunque, che l’inibizione dell’attività esecutiva della -OMISSIS- era stata circoscritta, per effetto degli atti comunali, ad un tempo limitato;
– dall’altro, in ogni caso, il pregiudizio derivante dagli atti impugnati dalla -OMISSIS- -e, dunque, l’impossibilità di prosecuzione dei lavori – era stato cautelato da questo Consiglio nell’ambito del giudizio n. r.g. 9498/08 (successivamente definito con la citata sentenza n. 6137/13), avendo la Sezione sospeso in via cautelare l’efficacia della sentenza impugnata (n. 2172/08), attraverso la quale il Tar, come supra osservato, aveva ravvisato l’insistenza nell’area interessata dal progetto dell’odierna appellante del vincolo paesaggistico (cfr. ordinanza n. 1243 del 10.3.2009 sub doc. 18 produzione comunale di primo grado; lo stesso ricorrente, peraltro, alle pagg. 8-9 appello dà atto che “In data 19.12.2008, con Ordinanza n. 6825, il Consiglio di Stato sospendeva l’efficacia della sentenza impugnata n. 2172/08 del TAR Salerno…In data 10.03.2009, con Ordinanza n. 1243, il Consiglio di Stato confermava la sospensione della sentenza n. 2172/08 del Tar Salerno”); ragion per cui la -OMISSIS- avrebbe ben potuto proseguire i lavori.
Il che, del resto, è confermato da quanto statuito dal giudice penale nel provvedimento del 20 luglio 2009 (prodotto dalla ricorrente in prime cure in data 12 aprile 2017), con cui è stato disposto il dissequestro dell’area e la sua restituzione al presidente della società -OMISSIS-, preso atto che l’ordinanza di sospensione lavori edili era stata dichiarata dall’Ente comunale “priva di efficacia esecutiva” e che, pertanto, “risulta venuto meno il presupposto che ostacolava la realizzazione di opere edili”, con conseguente insussistenza di ostacoli alla prosecuzione dei lavori.
Nella specie non emergeva, dunque, un impedimento definitivo, ostativo alla prosecuzione dei lavori di realizzazione dell’impianto per cui è causa, sospesi soltanto temporalmente e suscettibili di essere ripresi una volta venuto meno l’effetto inibitorio delle ordinanze comunali del 16.3.2007 e del 04.05.2007 ex art. 27 DPR n. 380/01 e, comunque, una volta accolta l’istanza cautelare avanzata dalla -OMISSIS- nel giudizio n. r.g. 9404/2008 (attraverso l’emissione di un ordine cautelare, la cui funzione era proprio quella di evitare la produzione di un danno grave e irreparabile nelle more della conclusione del giudizio di merito).
19.4 Né avrebbero potuto essere richiamate, per giungere a conclusioni difformi, preclusioni discendenti da atti amministrativi non rilevanti nel presente giudizio (quale una sospensione asseritamente disposta dalla conferenza di servizi convocata in data 22.3.2010, cui l’appellante si riferisce alle pagg. 10 e 11 memoria di replica); elementi non concorrenti a formare la causa petendi dell’odierna domanda risarcitoria.
19.5 Pertanto, la scelta di non concludere i lavori di realizzazione dell’impianto, necessari per la sua entrata in esercizio, non avrebbe potuto essere imputata alla condotta delle Amministrazioni intimate -cui al più avrebbe potuto essere contestata, in caso di integrazione dell’illecito anche sotto il profilo soggettivo, la causazione di un mero danno da ritardo nello svolgimento dei lavori, ma non l’impossibilità di una loro ultimazione-, bensì ad una condotta dello stesso danneggiato, con conseguente applicabilità dell’art. 1227, comma 2, c.c., che impedisce il riconoscimento delle conseguenze risarcitorie evitabili dal creditore usando l’ordinaria diligenza.
Trattasi di precetto, da un lato, operante non soltanto nella materia della responsabilità da inadempimento, ma anche con riferimento alla responsabilità aquiliana, stante il rinvio operato a tale disposizione dall’art. 2056 c.c.; dall’altro, avente una sua specifica declinazione anche in sede amministrativa ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., in forza del quale “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Anche l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio ha precisato che “l’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 ha fondamento proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà ” (Consiglio di Stato, Ad. Plen 23 marzo 2011, n. 3).
Nella specie, risultavano integrati i presupposti di applicazione dell’art. 1227 c.c.
In primo luogo, la decisione della -OMISSIS- si è tradotta in un’omissione del creditore, che non si è attivato per proseguire i lavori di ultimazione dell’impianto: si è in presenza di una condotta non compatibile con i principi dell’ordinaria diligenza ex art. 1227, comma 2, c.c., tenuto conto che, cessato il termine di efficacia delle ordinanze comunali e, comunque, risultando la ricorrente vittoriosa in sede cautelare (per quanto sopra osservato), la -OMISSIS- avrebbe dovuto proseguire i lavori di realizzazione dell’impianto, per evitare un aggravamento delle conseguenze risarcitorie (il che, del resto, si sarebbe posto in coerenza con la scelta di ricorrere alla tutela cautelare, impiegabile per potere trarre un’utilità effettiva immediata sul piano sostanziale).
In secondo luogo, sotto il profilo eziologico, procedendo ad un giudizio controfattuale sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, volto a verificare la probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, ponendo al posto dell’omissione il comportamento positivo esigibile secondo l’ordinaria diligenza, è possibile ritenere che la differente scelta di proseguire i lavori de quibus, avrebbe permesso di evitare i danni da mancata realizzazione ed entrata in esercizio dell’impianto, oggetto della richiesta risarcitoria formulata con il quarto motivo di appello.
19.6 Parimenti, anche il sequestro del cantiere non avrebbe potuto essere imputato ai provvedimenti amministrativi in contestazione nella presente sede, discendendo da valutazione di altro organo giurisdizionale; peraltro, venuta meno l’efficacia degli ordini di sospensione dei lavori e, comunque, degli atti amministrativi censurati in giudizio (quanto meno all’esito della fase cautelare del giudizio n. r.g. 9408/08, conclusasi favorevolmente alla ricorrente), avrebbe potuto essere tempestivamente chiesto il dissequestro, come nei fatti peraltro avvenuto (circostanza riferita a pag. 10 memoria replica appellante ed emergente dal decreto del Tribunale penale di Salerno del 20.7.2009 prodotto dalla ricorrente in primo grado in data 12.4.2017).
19.8 Anche la perdita del finanziamento concesso per la realizzazione dell’impianto non avrebbe potuto essere correlata alla condotta amministrativa, non solo per la possibilità di una ripresa dei lavori, una volta venuto meno in costanza di giudizio (per quanto supra osservato) l’effetto lesivo degli atti impugnati, ma anche perché la revoca del finanziamento risultava motivata sulla base anche di un’altra autonoma ragione, indipendente dai provvedimenti de quibus, correlata alla composizione societaria (cfr. doc. 10 produzione del ricorrente in primo grado del 12.4.2017, recante il decreto di revoca delle agevolazioni concesse, motivato anche sulla base della “mancata evidenza del ripristino della compagine sociale in violazione dell’art. 5 del D. Lgs. n. 185/2000, prevista tra le cause di revoca delle agevolazioni dall’art. 20.2a) del contratto di concessione delle agevolazioni”); dunque, non ascrivibile alle Amministrazioni intimate.
19.9 Alla stregua delle considerazioni svolte, le conseguenze dannose lamentate dall’appellante, per come quantificate in appello, corrispondenti a costi improduttivi – con valorizzazione di un cash flow negativo risultante dai bilanci dal 2007 al 2012 pari a Euro 973.000,00 – e alle risorse disponibili cumulate ritraibili dall’ordinario esercizio dell’attività imprenditoriale (per Euro 3.000.00,00), pure in caso di integrazione dell’illecito sotto il profilo soggettivo (circostanza, come supra osservato, da negare nel caso in esame), non avrebbero potuto essere correlate agli atti amministrativi illegittimi per cui è causa.
Il ricorrente ha, infatti, chiesto il risarcimento di conseguenze lesive discendenti dall’impossibilità di realizzare l’impianto, non coerenti con l’illecito contestato alle Amministrazioni intimate, fonte di un mero rallentamento dei lavori, suscettibili di essere ripresi una volta esaurita l’efficacia delle ordinanze comunali assunte ai sensi dell’art. 27 DPR n. 380/01 e, comunque, degli atti sospesi in via cautelare nell’ambito del giudizio n. r.g. 9404/2008 cit.
Il danno patito dalla ricorrente, in particolare, risultava limitato alla sospensione dei lavori per il periodo di efficacia delle ordinanze comunali e degli atti ministeriali censurati in giudizio; ma non poteva essere individuato nell’impossibilità definitiva di realizzare l’impianto produttivo in esame.
Le poste di danno richieste dall’appellante, dunque, non sarebbero state comunque utilmente valorizzabili per quantificare il pregiudizio discendente dal ritardo nello svolgimento dei lavori di realizzazione dell’impianto.
Peraltro, anche a volere ritenere che l’odierna appellante avesse proposto pure una domanda risarcitoria per il danno da ritardo nello svolgimento dei lavori, una tale posta di danno non avrebbe potuto comunque essere riconosciuta in assenza della prova del quantum debeatur.
La ricorrente, infatti, ha prodotto una perizia di parte, incentrata su una valutazione di un danno, come osservato, non correlabile alla condotta delle parti pubbliche, rappresentato dalla mancata messa in funzione dell’impianto di cui trattasi, provvedendo, sulla base di tale erroneo presupposto, a determinare il quantum debeatur in ragione dell’esborso monetario necessario al sostenimento di costi rivelatisi totalmente improduttivi e delle entrate monetarie disponibili per l’impresa se avesse preso vita l’attività tramite lo sfruttamento dell’impianto.
Invero, nella specie, i costi non avrebbero potuto ritenersi totalmente improduttivi, in quanto, a fronte di una sospensione temporanea dei lavori, l’intervento per la realizzazione dell’impianto avrebbe potuto riprendere, conducendo alla sua ultimazione ed entrata in servizio, con conseguente fruttuosità dell’investimento eseguito; parimenti, la possibilità di mettere in funzione l’impianto, circostanza non impedita dagli atti amministrativi per cui è controversia, avrebbe escluso il riconoscimento (anche nella forma della chance) delle entrate economiche che il ricorrente sarebbe stato comunque in condizione di conseguire mediante lo svolgimento dell’attività d’impresa.
Pertanto, in assenza di ulteriori elementi di prova, specialmente riferiti alle conseguenze dannose riconducibili alla mera sospensione dei lavori, per il ridotto arco temporale di efficacia delle ordinanze comunali e comunque degli atti censurati nel giudizio definito con la sentenza n. 6137/13 cit., non avrebbe potuto comunque essere accolta la domanda risarcitoria.
Né sarebbe stato possibile sopperire a tale lacuna probatoria mediante il ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio o ad una valutazione equitativa del giudice procedente.
Questo Consiglio ha infatti precisato che l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., che onera l’interessato di dimostrare sia la sussistenza del danno che la responsabilità di chi lo ha provocato, “non può essere assolto mediante consulenza tecnica d’ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1649)” (Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3596).
Parimenti, in ordine alla valutazione equitativa del danno, è stato osservato che “Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, ritardato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3269).
Nella specie, la quantificazione del danno discendente da un ritardo nello svolgimento dei lavori, afferendo a circostanze interne all’azienda della ricorrente, avrebbe dovuto essere provata dall’appellante, rientrando gli elementi di prova nella sua disponibilità ; sicché, non avrebbe potuto comunque ammettersi il ricorso ad una valutazione equitativa del danno o ad una consulenza tecnica d’ufficio (che avrebbe assunto, peraltro, una natura meramente esplorativa).
19.10 Il disconoscimento del quantum per come richiesto dall’appellante non avrebbe potuto, peraltro, porsi neppure in contrasto con l’accertamento recato nella sentenza gravata, avendo statuito il Tar soltanto in ordine all’an debeatur.
Il primo giudice, in particolare, ritenendo di non indugiare “sulla dimostrata sussistenza – affidata, di là dal loro concreto apprezzamento (che costituisce logicamente un posterius), ai pertinenti rilievi in ordine al quantum debeatur, non meno che a titolo di danno emergente che di lucro cessante – del danno-conseguenza (cfr. art. 1223 e 2056 c.c.)”, non ha pronunciato sul quantum debeatur e, dunque, non ha accertato la tipologia e l’entità delle conseguenze dannose riconducibili alla condotta amministrativa; questioni che, afferendo al quantum, avrebbero dovuto essere affrontate in sede di appello.
Tali conseguenze dannose, per come allegate e quantificate in appello, alla stregua delle considerazioni volte, non avrebbero potuto essere comunque riscontrate nella specie, riferendosi l’appellante sia ad un arco temporale 2007-2012 comprendente un periodo, come osservato, in cui gli atti amministrativi avevano esaurito la propria efficacia inibitoria o comunque erano stati sospesi in sede cautelare e, come tali, non potevano essere produttivi di ulteriori conseguenze dannose; sia a conseguenze (mancato esercizio dell’impianto) che una condotta diligente del creditore avrebbe potuto evitare.
20. La particolarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *