L’obbligo di pronuncia sull’istanza di condono di abusi edilizi

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 26 ottobre 2020, n. 6501.

L’obbligo di pronuncia sull’istanza di condono di abusi edilizi su beni sottoposti a vincolo da parte dell’autorità preposta alla relativa tutela sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca della sua introduzione, atteso che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente.

Sentenza 26 ottobre 2020, n. 6501

Data udienza 22 ottobre 2020

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Zona sottoposta a vincolo – Abusi – Istanza di condono – Obbligo di pronuncia

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8039 del 2013, proposto da
Si. Qu., Sa. Sa., Da. Qu., rappresentati e difesi dall’avvocato An. Za., con domicilio eletto presso lo studio En. Ca. in Roma, via (…);
contro
Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. As. Fo., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Te. Ba. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00575/2013, resa tra le parti, concernente
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Rimini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2020 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Le. Ca. in dichiarata sostituzione dell’avv. An. Za., Lu. Fe. Ba. su delega dell’avv. Ma. As. Mi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il gravame di cui in epigrafe l’odierno appellante impugnava la sentenza del Tar Bologna n. 575 del 2013, di rigetto del ricorso originario; quest’ultimo era stato proposto per l’annullamento del provvedimento (prot. n. 80085 del 6 giugno 2012) recante il diniego di rigetto della domanda di definizione dell’illecito paesaggistico, presentata dallo stesso odierno appellante ai sensi dell’art. 1, comma 37, della Legge 15 dicembre 2004, n. 308 per la legittimazione in sanatoria di un manufatto ad uso sgombero di m. 5.00×5.00=25 mq., di due piani di cui uno interrato, con altezze interne di m. 2.00 e m. 2.90 e di una costruzione di forma irregolare, di un unico piano fuori terra, adibita in parte ad abitazione e in parte ad officina, realizzati presso l’immobile ubicato in Rimini, Via (omissis). Nella prospettazione di parte appellante le opere sarebbero state realizzate in data antecedente al 1983 ovvero nel 1978, prima dell’imposizione del vincolo paesaggistico.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
– disparità di trattamento, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta rispetto ad altro procedimenti relativi ad immobili limitrofi risolti positivamente;
– assenza di pregiudizio e possibilità di accorgimenti, assenza di valore paesaggistico;
– realizzazione delle opere anteriormente all’imposizione del vincolo;
– mancata valutazione dei documenti attestanti l’epoca di realizzazione;
– conseguente incompetenza della Soprintendenza;
– contraddittorietà con altri provvedimenti comunali stante la situazione della zona
La parte pubblica appellata si costituiva in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 4841 del 2013 veniva respinta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
All’udienza del 7 aprile 2020 la causa veniva rinviata in base alla normativa anti pandemia, ai sensi dell’art. 84 d.l. 18 del 2020.
Alla pubblica udienza del 22 ottobre la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, è infondata l’eccezione di inammissibilità per tardività del deposito dell’appello, a fronte della sospensione dei termini processuali nel periodo estivo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 aprile 2012, n. 2395).
2. Peraltro, l’appello è destituito di fondamento.
3.1 A fronte della pacifica abusività del manufatto oggetto dell’istanza di condono, assume rilievo dirimente, in ordine ad una parte rilevante delle deduzioni riproposte in sede di appello, la seguente circostanza: all’epoca della presentazione dell’istanza nonché a quella di valutazione della stessa e di adozione del conseguente diniego, l’area interessata dall’abuso era soggetta al vincolo in questione.
Da ciò ne consegue, la necessaria applicazione del costante orientamento di questo Consiglio, a mente del quale ciò che rileva è la data di valutazione della domanda di sanatoria e non quella di costruzione dell’immobile, essendo irrilevante che il vincolo paesaggistico sia sopravvenuto rispetto alla commissione dell’abuso (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 9 ottobre 2014, n. 5025).
3.2 In generale, l’obbligo di pronuncia sull’istanza di condono di abusi edilizi su beni sottoposti a vincolo da parte dell’autorità preposta alla relativa tutela sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca della sua introduzione, atteso che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1387).
3.3 Pertanto, nel caso di specie, quale che sia l’epoca di realizzazione, anche ipotizzando l’indimostrato 1978 (a fronte dei numerosi e documentati elementi, rilevati dalle amministrazione e condivisi dalla sentenza impugnata), il vincolo introdotto nel 1985 è pacificamente applicabile alla fattispecie di condono “ambientale” invocata, sulla scorta di un’istanza presentata in data 31 gennaio 2005 e di un diniego adottato in data 6 giugno 2012.
4. Anche le restanti censure si scontrano con gli orientamenti consolidati di questo Consiglio.
4.1 In ordine alla presunta disparità di trattamento, assume rilievo dirimente il tradizionale e consolidato orientamento in merito al duplice limite in materia: per un verso, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere utilmente dedotto quando viene rivendicata l’applicazione in proprio favore di posizioni giuridiche riconosciute ad altri soggetti in modo illegittimo, in quanto, in applicazione del principio di legalità, la legittimità dell’operato dell’amministrazione non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 30 dicembre 2019, n. 8893); per un altro verso, preminente nel caso de quo, solo in presenza di situazioni assolutamente identiche, che siano state oggetto di trattamento differenziato, si configura la figura sintomatica di eccesso di potere per disparità di trattamento (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2018, n. 5922).
In materia, va ribadito che i provvedimenti di diniego di condono edilizio costituiscono espressione di potere connesso ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione, con la conseguenza che in ordine al medesimo non possono venire in rilievo profili di eccesso di potere quali la disparità di trattamento, propri dell’esercizio del potere discrezionale, se non a fronte della dimostrazione della perfetta identità di situazioni. Da ciò ne consegue che, se da un lato il rilascio di condoni in zona vincolata va connesso alla specificità del singolo abuso, sempre diverso per collocazione (anche rispetto al vincolo) e per conformazione, dall’altro lato l’eventuale rilascio del condono registratosi in analoghi casi di abusi non condonabili (e quindi in via di principio suscettibili di annullamento giurisdizionale o amministrativo) non può di per sé legittimare la pretesa a identico trattamento.
L’illegittimità, per disparità di trattamento, del diniego della assenso paesaggistico è configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un’assoluta identità delle situazioni di fatto prese in considerazione, tali da far ritenere del tutto incomprensibile ed arbitraria una successiva valutazione negativa. Applicando tali coordinate al caso di specie l’infondatezza delle censure è evidente: per un verso non c’è alcuna prova della presunta identità, anzi viene rilevata una diversa collocazione e consistenza dei diversi manufatti; per un altro verso vengono svolte considerazioni di merito sulle valutazioni concernenti il vincolo e la relativa tutela, insindacabili nella presente sede al di là dei tradizionali limiti, non superati dalle deduzioni di parte appellante (cfr. in generale Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4466).
4.2 Parimenti infondate appaiono le censure dedotte in merito alla presunta compromissione della zona interessata. Infatti, in materia assume rilievo dirimente l’orientamento, condiviso dal Collegio, a mente del quale l’avvenuta edificazione di un’area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5989).
Ciò a maggior ragione non può che valere in relazione ad attività abusiva, rispetto alla quale le considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito all’eccezionalità delle relative previsioni in tema di sanatoria appaiono pienamente condivisibili e coerenti agli orientamenti consolidati di questo Consiglio
5. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
Giovanni Orsini – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *