Lo specifico meccanismo di rivalutazione automatica

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 30 gennaio 2020, n. 766.

La massima estrapolata:

Lo specifico meccanismo di rivalutazione automatica in corso di servizio previsto dalla legge per l’equo indennizzo, alternativo e non cumulabile rispetto a quello per la determinazione di interessi e rivalutazione ordinaria, ne esclude l’applicabilità, salva la diversa ipotesi, che qui però non ricorre, in cui il beneficio sia chiesto dagli eredi del dipendente defunto.

Sentenza 30 gennaio 2020, n. 766

Data udienza 10 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6334 del 2009, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
il Ministero della difesa, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via (…),
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti l’avvocato Ma. Mi., su delega dell’avvocato Ma. Ca., e l’avvocato dello Stato Ge. Di Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, avverso i provvedimenti del Ministero della difesa numeri -OMISSIS-dell’11 giugno 2008, ricevuto il 21 giugno 2008, e -OMISSIS- del 21 luglio 2008, ricevuto il 25 luglio 2008, con cui è stata respinta l’istanza del ricorrente volta ad ottenere la corresponsione degli interessi legali sulle somme dovute a titolo di equo indennizzo, nonché avverso il decreto del Ministero della difesa n. -OMISSIS-, notificato il 21 agosto 2008, con cui gli è stato concesso l’equo indennizzo, nella parte in cui non ha previsto la corresponsione degli interessi.
Il Ministero della difesa si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.
2. Con l’impugnata sentenza in forma semplificata n. -OMISSIS-, il T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sezione prima bis, ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione, delle spese di lite, liquidate in euro 1.000.
3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 7 luglio 2009 e 23 luglio 2009 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi, con cui ha impugnato sia il capo sul rigetto del ricorso, sia autonomamente, sull’an, il capo della condanna alle spese di lite, chiedendo la compensazione spese del primo grado e asserendo peraltro che l’attività defensionale della parte pubblica sarebbe stata marginale.
4. Il Ministero della difesa si è costituito in giudizio, deducendo la bontà della sentenza di primo grado sotto tutti i profili; ha inoltre chiesto la cancellazione di frasi sconvenienti contenute nell’appello e ha chiesto il risarcimento dei danni ex art. 89, comma 2, c.p.c..
5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 10 dicembre 2019.
6. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
7. Ad avviso dell’appellante, gli interessi e la rivalutazione sull’equo indennizzo gli sarebbero stati dovuti:
a) in ragione dell’esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo all’equo indennizzo, rispetto al quale il provvedimento di riconoscimento avrebbe natura meramente ricognitiva (prima parte del primo motivo d’appello);
b) in ragione della natura di credito da lavoro della relativa obbligazione, con conseguente applicabilità dell’art. 429 c.p.c. (seconda parte del primo motivo d’appello e quarto motivo d’appello);
c) in ragione del grande ritardo con cui l’Amministrazione ha definito il procedimento (secondo motivo d’appello).
Sotto il primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, e da cui il Collegio non intende discostarsi, esclude si sia in presenza di diritto soggettivo, essendo il riconoscimento dell’equo indennizzo rimesso a valutazione tecnico-discrezionale della pubblica amministrazione, con la conseguenza che il provvedimento che lo riconosce ha natura costitutiva (cfr. Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 14 giugno 2011, n. 3621, e Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 15 dicembre 2010, n. 8916).
Quanto al secondo profilo, la giurisprudenza amministrativa, a cui il Collegio ritiene di aderire, è orientata nel senso che lo specifico meccanismo di rivalutazione automatica in corso di servizio previsto dalla legge per l’equo indennizzo, alternativo e non cumulabile rispetto a quello per la determinazione di interessi e rivalutazione ordinaria, ne esclude l’applicabilità, salva la diversa ipotesi, che qui però non ricorre, in cui il beneficio sia chiesto dagli eredi del dipendente defunto (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 26 luglio 2008, n. 3692, 21 giugno 2007, n. 3391, e 14 maggio 2007, n. 2397; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 11 maggio 2007, n. 2292).
Infine, il ritardo dell’amministrazione nel concludere il procedimento può semmai dar luogo a responsabilità aquiliana, previa dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, ma non certo al riconoscimento automatico di interessi e rivalutazione.
8. Il Collegio rileva altresì l’infondatezza della domanda subordinata di compensazione delle spese di lite del giudizio di primo grado, svolta tramite il terzo motivo d’appello. Al riguardo si osserva che, nella ripartizione delle spese di lite, la regola, a seguito di soccombenza, è la condanna al pagamento delle stesse, che, pertanto, non va motivata, mentre spetta al giudice, in questo caso il T.a.r., valutare, con un apprezzamento dotato di ampio margine di discrezionalità, se sussistano particolari motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, con l’unico limite di non poter addossare alla parte vincitrice le spese del soccombente. Circa il rappresentato non elevato sforzo difensivo dell’Amministrazione, si evidenzia che il quantum della condanna – non contestato in via autonoma dall’appellante -, pari a mille euro, non è elevato secondo i comuni canoni giurisdizionali, sicché è chiaro che il Collegio di primo grado abbia tenuto implicitamente in considerazione questa circostanza.
9. Infine, il Collegio reputa di dover respingere la domanda di cancellazione di espressioni offensive ex art. 89, comma 2, c.p.c., formulata della difesa di parte appellata, poiché non vi sono espressioni che travalicano l’ordinaria critica consentita in sede processuale.
10. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, e dall’articolo 26, comma 1, c.p.a., si liquidano in euro 2.000 (duemila), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6334 del 2009, come in epigrafe proposto, lo respinge; condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione appellata, delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in euro 2.000 (duemila), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento U.E. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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