L’istituto del condono è inapplicabile laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 29 agosto 2019, n. 5947.

La massima estrapolata:

L’istituto del condono è inapplicabile laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche.

Sentenza 29 agosto 2019, n. 5947

Data udienza 23 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5420 del 2013, proposto dal signor An. Sb., rappresentato e difeso dall’avvocato Um. Ge., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ca. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 238/2013, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio e conseguente ingiunzione a demolire
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 23 luglio 2019 il Consigliere Antonella Manzione e udito per il ricorrente l’avvocato An. Fe., per delega dell’avvocato Um. Ge.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il signor An. Sb. ha impugnato innanzi al T.A.R. per il Lazio (ricorso n. r. 4853/2012) il diniego di condono e la conseguente ingiunzione a demolire una serie di interventi effettuati su un immobile di proprietà ubicato alla via Madonna delle Grazie, n. 11, nel Comune di (omissis), facente parte di un più ampio edificio oggetto di divisione tra fratelli, con una corte interna rimasta in comproprietà . In particolare, i lavori sono consistiti in piccoli ampliamenti di due distinte unità immobiliari poste al piano terra, aggiungendo vani insistenti in parte sul ridetto cortile (vano cucina/tinello con antistante terrazzino, ingresso e bagno per quello sul confine nord; corridoio, per quello lungo il confine sud ovest).
Il Tribunale, con la sentenza n. 238/2013, ha respinto il ricorso ritenendo legittimo motivo di diniego del condono l’insistenza dell’abuso su area condominiale, “in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari”. L’inscindibilità delle opere, in una con la mancata evidenziazione di una possibilità di frazionamento all’atto della presentazione dell’istanza, giustificherebbe infine l’estensione del provvedimento all’intervento complessivamente considerato.
2. L’interessato ha presentato appello riproponendo sostanzialmente in chiave critica gli originari due motivi di gravame, in quanto asseritamente mal valutati dal Giudice di prime cure: l’acquiescenza pluriennale degli altri condomini, attestata anche dall’avere a loro volta edificato “a filo” con il manufatto abusivo, integrerebbe quel factum fiduciae da parte degli stessi parificabile ad un assenso esplicito tale da legittimare l’avvenuta presentazione dell’istanza.
3. Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.
4. In vista dell’udienza di discussione l’appellante ha depositato memoria, illustrando e ribadendo le deduzioni e conclusioni già presentate negli atti introduttivi. Ha altresì depositato copia della sentenza con la quale il T.A.R. per la Campania ha accolto il ricorso avverso il successivo provvedimento n. 34 del 1° luglio 2013, con il quale gli era stata ingiunta la demolizione dell’intero immobile, in quanto realizzato esso stesso sine titulo (sentenza n. 603 in data 24 ottobre 2014).
5. All’udienza pubblica del 23 luglio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Il ricorso è infondato.
7. Questione essenziale ai fini della risoluzione dell’odierna controversia è la legittimità del diniego di un condono edilizio, nel caso di specie richiesto ex art. 32 del d.l. 20 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003, n. 326, per interventi che, almeno in parte, interessano un’area condominiale, senza l’assenso esplicito degli altri aventi titolo – rectius, come meglio evidenziato nel prosieguo, col dissenso almeno di uno di essi.
Trattasi di questione più volte sottoposta al vaglio di questo Consiglio di Stato, dai cui principi consolidati il Collegio non ha ragione di discostarsi.
In particolare, contemperando la limitata estensione degli oneri istruttori della pubblica amministrazione sulle sottese vicende civilistiche con gli aspetti rivenienti dai risvolti giuspubblicistici delle stesse nel momento in cui si avanzi richiesta di un titolo edilizio di qualunque natura, si ha che:
a) in caso di dissidio fra proprietari perché le opere di cui si chiede il condono incidono sul diritto di alcuni di essi, l’istruttoria della pratica ed il provvedimento finale devono dare conto della verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr. Cons. giust. amm. 3 giugno 2009, n. 84);
b) l’istituto del condono è inapplicabile laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3282).
8. Da quanto detto deriva che tra i requisiti indefettibili per il rilascio del titolo, vada annoverata anche la circostanza che l’istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario esclusivo dell’edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti. Egli, cioè, deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, ovvero l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso. A contrario, non può riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per la ricordata ragione che, diversamente opinando, il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento (cfr. Cons. Stato, 7 settembre 2016, n. 3823).
Pertanto in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile la domanda di rilascio di titolo edilizio – sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati – dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti il diritto di proprietà sull’immobile. Il comproprietario sarà singolarmente legittimato solo con l’avallo, esplicito o implicito degli altri, desumibile quest’ultimo anche dal factum fiduciae, ovvero una sorta di comportamento concludente attestante un rapporto di fiduciarietà tra i vari comproprietari. In carenza di tale situazione, il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente non potrà essere né richiesto – non avendo il soggetto titolo per proporre la relativa istanza – né, ovviamente, rilasciato – non sussistendo i presupposti per l’emissione dello stesso – in modo legittimo dalla P.A. (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2006, n. 6017; Sez. V, 24 settembre 2003 n. 5445; id., 5 giugno 1991, n. 883).
9. Nel caso di specie, peraltro, l’appellante da un lato evoca la sussistenza di tale factum fiduciae, riconducendolo di fatto al tempo trascorso dall’avvenuta realizzazione dell’intervento; dall’altro, tuttavia, pretermette di menzionare l’esplicita espressione di dissenso da parte di un comproprietario posta a base dell’istruttoria negativa del Comune di (omissis). Su di essa, infatti, si basa sia il parere negativo della Commissione edilizia comunale, che ne richiama gli estremi (prot. n. 4969 in data 17 aprile 2012), sia la successiva richiesta di integrazioni documentali da parte dell’Ufficio tecnico (in data 10 maggio 2012), sia, infine, il preavviso di diniego ex art. 10 bis della l. n. 241/1990. L’appellante, dal canto suo, dopo avere omesso di esplicitare la comproprietà dell’area su cui ha realizzato parte degli interventi in sede di presentazione dell’istanza di condono, all’Amministrazione che gliela eccepiva con un primo riscontro si è limitato a controbattere affermando la propria legittimazione ad agire sol perché “comproprietario” (risposta all’ufficio in data 4 giugno 2012); quindi, minimizzando il valore di un dissenso emerso ad anni dall’asserita ultimazione dell’opera, lo ha considerato assorbito nel factum fiduciae che comunque la tolleranza pregressa avrebbe concretizzato (osservazioni scritte in risposta al preavviso di diniego). Con ciò, ovviamente, semplicemente affermando ciò che avrebbe dovuto dimostrare, mediante un’ipotizzata inversione dell’onere della prova che vorrebbe far gravare sul Comune un’istruttoria aggiuntiva rispetto a quanto già emerso in atti, ovvero da un lato la comproprietà dell’area di sedime, dall’altra il mancato assenso di tutti i soggetti coinvolti, che spettava invece al richiedente di confutare.
10. Né, rileva ancora la Sezione, l’avallo implicito dei condomini all’occupazione dell’area in comproprietà può ritenersi desumibile dalla circostanza, peraltro introdotta per la prima volta nell’odierno grado di giudizio, che l’immobile sarebbe stato sopraelevato “in linea” con la parte oggetto di condono, di fatto “sfruttandone” la preesistenza e conseguentemente avallandone l’ubicazione. Nulla infatti risulta in atti circa l’effettivo autore di tali (eventuali) ulteriori abusi, ovvero circa la loro tentata sanatoria o legittimazione, tale da potersene evincere la riconducibilità a tutti i comproprietari interessati. La mancanza di un titolo, infatti, non esclude la contrarietà anche agli stessi, da chiunque realizzati, in quanto insistenti su area comune, da parte di tutti o di qualcuno degli altri comproprietari: la affermata pregressa tolleranza dello stato di fatto, infatti, è venuta meno proprio nel momento in cui il ricorrente ha richiesto il condono edilizio, modificando anche lo stato di diritto.
11. Infondato, infine, appare pure il secondo profilo di doglianza. L’appellante, infatti, rivendica la scindibilità delle opere sull’errato assunto che ciò gli avrebbe consentito di conservare per intero la parte a suo dire implicitamente assentita dai rimanenti condomini, con ciò circoscrivendo la portata della demolizione al solo terrazzino, in quanto autonomo “fisicamente”, e come tale escludibile dal perimetro di tale assenso.
L’assunto non è condivisibile. La scindibilità, infatti, va valutata, come correttamente effettuato dal Giudice di prime cure, avuto riguardo all’intervento oggetto dell’istanza di condono, ovvero la realizzazione di vani in ampliamento la cui unicità strutturale ne implica ontologicamente la non separabilità . In sintesi, solo la parte insistente su suolo sicuramente privato avrebbe potuto essere valutata ai fini del condono; ma avendo l’interessato richiesto di sanare l’intera “aggiunta” (né, d’altro canto, una volta realizzata, avrebbe potuto rimpicciolirne le dimensioni), il diniego e il conseguente ordine demolitorio non poteva che riguardarla nella sua interezza.
12. Sul punto peraltro interferisce il tentativo dell’appellante di circoscrivere l’occupazione dell’area condominiale a soli cm. 50, ritenendo di propria spettanza, in forza delle previsioni dell’atto di donazione/divisione costituente il titolo di acquisto della proprietà sull’immobile, l’utilizzo esclusivo del “proprio tratto di passetto esterno verso il cortile fino a metri uno e cinquanta centimetri”.
Invero, per costante giurisprudenza sia amministrativa che di legittimità, la P.A. non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venir in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente quelli urbanistici (cfr., Cass., Sez. II, 25 settembre 2013, n. 21947; ma anche Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206). Si tratta di un trend ermeneutico che confina sul solo versante pubblicistico gli effetti dei titoli edilizi, i quali non interferiscono sui rapporti di natura privata in varia guisa connessi o implicati nelle vicende immobiliari intercettate dalla funzione urbanistico- edilizia. Ciò è sancito in modo chiaro, per quanto riguarda il permesso a costruire, dall’art. 11, comma 3, del d. P.R. 6 giugno 2011, n. 380.
Non sfugge al Collegio che, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto, da parte dell’istante, dei limiti privatistici sull’intervento proposto. Tanto, però, solo purché questi ultimi siano realmente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte del Comune si traduca in una mera presa d’atto, senza necessità di procedere a un’accurata e approfondita disamina dei rapporti tra privati (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2006 n. 8262; id., 4 maggio 2010 n. 2546; Sez. VI, 20 dicembre 2011 n. 6731; id., 26 gennaio 2015, n. 316).
Essendo comunque l’ampliamento oggetto complessivamente di diniego di condono in quanto inscindibile, è evidente l’irrilevanza della risoluzione della questione dell’estensione dell’occupazione dell’area in comproprietà sia da parte del Comune che da parte dell’odierno giudicante.
13. Resta infine da dire dell’impatto della sopravvenuta decisione del medesimo T.A.R. per la Campania n. 603/2014 che ha annullato l’ordinanza n. 34 del 1° luglio 2013 di demolizione dell’intero manufatto, in quanto abusivo ab origine. Oltre a non esservi prova dell’esatta consistenza del manufatto preesistente, la cui avvenuta realizzazione prima del 1967 avrebbe imposto una più solida impalcatura motivazionale da contrapporre all’affidamento maturato dalla parte, è comunque evidente che essa non può riguardare gli ampliamenti oggetto di condono, per esplicita dichiarazione della parte sopravvenuti all’immobile originario tanto da comportare la presentazione della relativa istanza in data 10 dicembre 2004. Diversamente opinando, si finirebbe per attrarre nella vetustà dell’opera originaria la sanatoria delle sue successive implementazioni, implicitamente annullando sia il diniego di condono, che l’ingiunzione a demolire che ne è conseguita, oggetto entrambi dell’odierno giudizio proprio in quanto autonomi per contenuto, motivazioni e finalità .
14. Alla luce di quanto esposto, il ricorso non può che essere respinto.
Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 238/2013.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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