L’interruzione da parte del conduttore dell’attività provocata dall’inagibilità dell’immobile locato non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 aprile 2023| n. 9516.

L’interruzione da parte del conduttore dell’attività provocata dall’inagibilità dell’immobile locato non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento

L’interruzione, da parte del conduttore, dell’attività industriale, commerciale o artigianale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall’inagibilità dell’immobile locato, non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento ma solo se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la risoluzione del contratto per l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per iniziativa di quest’ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto.

Ordinanza|6 aprile 2023| n. 9516. L’interruzione da parte del conduttore dell’attività provocata dall’inagibilità dell’immobile locato non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento

Data udienza 22 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: LOCAZIONE – AVVIAMENTO COMMERCIALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34115/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) SAS (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), e rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
COMUNE DI MONFALCONE, domiciliato ex lege in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 376/2018 depositata il 4.10.2018;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 22.3.2023 dal
Consigliere Dott. Umberto Luigi Cesare Giuseppe Scotti.

L’interruzione da parte del conduttore dell’attività provocata dall’inagibilità dell’immobile locato non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 4.12.2012 la s.a.s. (OMISSIS). s.a.s. (di seguito, semplicemente, (OMISSIS)) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Gorizia il Comune di Monfalcone, chiedendo preliminarmente l’accertamento della natura locativa del contratto stipulato tra le parti il 3.6.2004 ed avente ad oggetto l’immobile comunale di (OMISSIS), adibito a pubblico servizio di bar “(OMISSIS)”, nonche’ della nullita’ delle clausole n. 3, 9 e 12 che collocavano il Comune in posizione privilegiata rispetto a un ordinario locatore, con la sostituzione automatica di tali clausole con le disposizioni di cui della L. n. 392 del 1978, articoli 28, 29 e 34, e agli articoli 1578, 1579 e 1581 c.c.. La (OMISSIS) ha negato l’ammissibilita’ di una disdetta alla prima scadenza e ha lamentato di aver dovuto interrompere la conduzione dell’immobile a seguito di ordinanza comunale, resa necessaria dalle condizioni di instabilita’ dei locali; ha quindi chiesto il risarcimento dei danni per mancato guadagno, quantificati in Euro 200.000,00 e in subordine l’indennita’ per perdita dell’avviamento L. n. 392 del 1978, ex articolo 34, nonche’ in ogni caso la restituzione della cauzione versata.
Si e’ costituito in giudizio il Comune di Monfalcone, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, assumendo che il rapporto era regolato da concessione amministrativa di un bene patrimoniale indisponibile, e chiedendo comunque il rigetto delle domande, contestate nell’an e nel quantum.
2. Il Tribunale di Gorizia, dopo aver disposto il mutamento del rito da ordinario a locatizio, con sentenza non definitiva del 22.10.2015 ha rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione.
Con la successiva sentenza definitiva del 13.2.2018 il Tribunale ha rigettato le domande proposte da (OMISSIS), con aggravio di spese a suo carico.
Per il Tribunale il rapporto aveva natura di contratto di locazione di durata di anni sei, rinnovabile, seppur sottoposto a rinnovo mediante atto amministrativo; l’immobile presentava problemi statici, non imputabili a nessuna delle parti; sussisteva impossibilita’ sopravvenuta che aveva determinato la risoluzione per giusta causa; non competeva quindi alla conduttrice alcun risarcimento; la cauzione era stata restituita; non competeva indennita’ di avviamento, essendo intervenuto l’8.6.2012 provvedimento amministrativo di sgombero.
Il Tribunale ha pertanto respinto le domande degli attori, a spese compensate.
3. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello (OMISSIS), a cui ha resistito l’appellato Comune, proponendo appello incidentale condizionato in punto giurisdizione.
La Corte di appello di Trieste con sentenza del 4.10.2018 ha respinto il gravame, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
La Corte di appello, al riguardo dissentendo dal Tribunale, ha ritenuto di essere in presenza di una concessione amministrativa e non di un contratto di natura privatistica, con la conseguente validita’ delle clausole coerenti con tale natura e con la prevalenza del pubblico interesse e delle caratteristiche del bene che ne formava oggetto, costituente parte del palazzo municipale di Monfalcone e inventariato nel registro dei beni patrimoniali indisponibili; ha considerato il rapporto cessato il 2.6.2010 a seguito della disdetta da parte del Comune; ha escluso che il cedimento strutturale dell’immobile fosse imputabile al Comune, con le relative conseguenze anche in tema di debenza dell’indennita’ di avviamento; ha giudicato provata la restituzione della cauzione; ha ritenuto assorbito l’appello incidentale condizionato proposto dal Comune per sostenere la giurisdizione del giudice amministrativo.
4. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 8.10.2018, con atto notificato il 28.11.2018 ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), svolgendo cinque motivi.
Con atto notificato l’8.1.2019 ha proposto controricorso il Comune di Monfalcone, chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione e facendo salva l’eccezione di difetto di giurisdizione oggetto del ricorso in appello incidentale condizionato, rimasto assorbito.
Il Comune di Monfalcone ha presentato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1 e 276 c.p.c. e all’articolo 111 Cost..
La ricorrente osserva che la Corte di appello aveva negato la sussistenza dell’interesse a decidere sull’appello incidentale condizionato proposto dal Comune di Monfalcone; invece l’ordine logico di trattazione delle questioni avrebbe imposto di rinviarne la cognizione solo se il rigetto dell’appello principale fosse dipeso da motivazioni indipendenti dall’appello incidentale condizionato, mentre la Corte giuliana aveva affermato che il rapporto configurava una concessione amministrativa.
6. Il motivo e’ infondato.
Il Tribunale ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal Comune, ritenendo che la giurisdizione spettasse al giudice ordinario e non a quello amministrativo e ha configurato il rapporto inter partes come contratto di locazione, sia pure sui generis.
La statuizione sulla giurisdizione e’ stata impugnata dal Comune di Monfalcone, vittorioso nel merito, con appello incidentale condizionato e non da (OMISSIS), attore soccombente sul merito ma vittorioso sulla questione preliminare di giurisdizione e pertanto neppur legittimato ad impugnare sul punto.
Infatti, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, l’attore che ha incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non e’ legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale autonomo capo della decisione (Sez. U., n. 21260 del 20.10.2016, Sez. U., n. 1309 del 19.1.2017; Sez. U., n. 22439 del 24.9.2018).
Principio questo ora trasposto normativamente nel testo dell’articolo 37, terzo periodo, modificato dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, non applicabile ratione temporis, secondo cui “Nei giudizi di impugnazione puo’ essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non puo’ impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”.
Diverso e’ il caso del regolamento preventivo di giurisdizione che e’ proponibile anche dalla parte che, avendo instaurato il giudizio, abbia poi spontaneamente dubitato della propria iniziativa (ma prima del formarsi di una decisione suscettibile di gravame), atteso l’obiettivo interesse ad ottenere una pronuncia che individui immediatamente e definitivamente la giurisdizione, non solo per considerazioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo, ma anche in funzione conservativa degli effetti processuali e sostanziali delle attivita’ svolte davanti al giudice preventivamente adito in virtu’ dell’istituto della translatio iudicii della L. n. 69 del 2009, ex articolo 59 (Sez. U., n. 5513 del 26.2.2021).
7. E’ pur vero che mentre il Tribunale aveva ritenuto che il rapporto giuridico intercorso fra le parti fosse configurabile come contratto di locazione, la Corte di appello ha diversamente colto nel rapporto de quo gli estremi della concessione di un bene pubblico. E tuttavia a tanto la Corte giuliana si e’ indotta nell’esercizio della giurisdizione che riteneva spettarle ed esercitare, senza affrontare il motivo di appello incidentale, appunto condizionato, e opinando nel merito che la predetta qualificazione giuridica in termini di concessione meglio si attagliasse al rapporto intercorso fra il Comune e (OMISSIS).
Tale decisione – e in cio’ si annida l’evidente errore prospettico che inficia radicalmente il ragionamento della ricorrente – non implica affatto l’esame della questione di giurisdizione.
Del resto, la materia delle concessioni di beni pubblici e’ oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, articolo 133, comma 1, lettera b), ma solo limitatamente alle “controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennita’, canoni ed altri corrispettivi”.
8. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 826 e 828 c.c..
La ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia affermato la natura pubblica del bene in difetto dei requisiti di legge e cioe’ l’esistenza di un atto amministrativo di destinazione a un pubblico servizio e la effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.
In particolare, la ricorrente insiste sul fatto che il locale adibito a bar, pur facendo parte del palazzo municipale, aveva un ingresso indipendente e condivideva un muro cieco con gli uffici comunali.
9. Il motivo coglie un’affermazione erronea della Corte di appello che non ha peraltro rilievo decisivo ai fini dell’esito della lite.
10. L’articolo 826 c.c., comma 3, dispone che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.
L’articolo 828 c.c., dispone che i beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non e’ diversamente disposto, alle regole del presente codice e che i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Effettivamente, come sottolinea la ricorrente, la giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile di un ente territoriale discende, non solo, dalla esistenza di un atto amministrativo che lo destini ad uso pubblico, ma anche dalla concreta utilizzazione dello stesso a tale
fine (Sez. 2, n. 26990 del 26.11.2020; Sez. U., n. 24563 del 3.12.2010; Sez. 2, n. 26402 del 16.12.2009).
11. Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto che il bene rientrasse nel patrimonio indisponibile del Comune di Monfalcone perche’ faceva parte, in modo strutturale, del palazzo municipale, inventariato integralmente (anche quindi nella parte de qua agitur), nel registro dei beni patrimoniali indisponibili del Comune e dichiarato di interesse culturale ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 10.
Orbene quand’anche la prima affermazione (inclusione nell’inventario dei beni patrimoniali indisponibili) potesse dimostrare l’avvenuta destinazione del bene immobile all’uso pubblico per atto amministrativo, la seconda e’ del tutto ininfluente ai fini della catalogazione del bene culturale nel patrimonio indisponibile.
In ogni caso e’ del tutto mancante l’accertamento del secondo e imprescindibile requisito, ossia della concreta ed effettiva destinazione del bene ad un uso pubblico.
12. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, affinche’ un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’articolo 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volonta’ dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, percio’, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volonta’ dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.
In difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilita’ del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non puo’ essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di la’ del nomen iuris che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario (Sez. U., n. 21991 del 12.10.2020; Sez. U., n. 13664 del 21.5.2019; Sez. U., n. 6019 del 25.3.2016; Sez. U., n. 14865 del 28.6.2006).
13. Ora, e’ pur vero che la Corte triestina ha accertato la qualita’ di bene patrimoniale indisponibile del locale oggetto della pattuizione inter partes in modo corretto, con la conseguente ripercussione anche sulla configurazione giuridica del rapporto intercorso come concessione e non come contratto di locazione, come sarebbe stato corretto e aveva fatto il Tribunale.
Cio’ non e’ tuttavia sufficiente a giustificare l’accoglimento delle domande proposte dalla (OMISSIS) in tema di illegittimo diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza e di richiesta dell’indennita’ di avviamento, posto che la sentenza di appello (cfr in particolare, pagg. 17-18), al pari di quella di primo grado, ha escluso qualsiasi responsabilita’ del Comune nella situazione di pericolo statico dell’edificio e ha ravvisato l’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al Comune, concedente o locatore che fosse, con statuizione che gli altri motivi di ricorso non riescono ad infrangere.
Secondo la Corte Costituzionale non e’ fondata la questione di legittimita’ costituzionale della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34, comma 1, nella parte in cui non esclude l’obbligo di corrispondere l’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale nell’ipotesi in cui la cessazione della locazione sia dovuta ad impossibilita’ sopravvenuta, conseguente alla distruzione dell’immobile oggetto del rapporto. In tal caso, secondo il giudice a quo, sarebbe stato del tutto irrazionale equiparare il locatore a colui che ha riottenuto la cosa locata e deve versare il corrispettivo dell’incremento di valore che essa ha conseguito grazie all’avviamento commerciale. La Consulta ha ritenuto inesatta tale interpretazione della norma denunciata, secondo cui anche nell’ipotesi di completo perimento della cosa locata permanga l’obbligo del locatore di corrispondere l’indennita’ per la perdita dell’avviamento commerciale. Alla totale e definitiva distruzione dell’immobile, infatti, consegue, secondo i principi generali, l’automatica ed immediata risoluzione del contratto per impossibilita’ sopravvenuta, con effetto estintivo riguardo agli obblighi delle parti relativi alle reciproche prestazioni;
ed anche l’obbligazione accessoria della indennita’ di avviamento viene meno in quanto collegata al rapporto principale sia funzionalmente che strutturalmente, per l’inerenza all’immobile locato propria del valore d’avviamento. (Corte Costituzionale, 23.12.1987, n. 576).
Anche secondo questa Corte l’interruzione, da parte del conduttore, dell’attivita’ industriale, commerciale o artigianale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall’inagibilita’ dell’immobile locato, non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennita’ di avviamento ma solo se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la risoluzione del contratto per l’impossibilita’ sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per iniziativa di quest’ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto (Sez. 3, n. 11091 del 10.10.1992).
14. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 1, il ricorrente denuncia violazione delle norme sul riparto di giurisdizione per aver la Corte deciso in relazione a una controversia che attiene a rapporti che coinvolgono poteri discrezionali della pubblica amministrazione.
Il motivo e’ palesemente inammissibile per le ragioni esposte nel p. 6.
Per di piu’ il motivo e’ autocontraddittorio visto che la ricorrente sostiene che il contratto stipulato aveva natura locatizia.
15. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 345 c.p.c. e articolo 2697 c.c., avendo la Corte ritenuto provata la restituzione della cauzione sulla base di un documento nuovo prodotto per la prima volta nel giudizio di appello.
16. Il motivo e’ inammissibile perche’ la ricorrente non da’ conto del contenuto della motivazione della sentenza definitiva del Tribunale di Gorizia in punto domanda di restituzione della cauzione e neppure dello specifico contenuto del suo motivo di appello sul punto, sicche’ fanno difetto la specificita’ e la autosufficienza della censura.
Per altro verso, gli assunti della ricorrente sono pure infondati poiche’ nessuna norma impone alla parte interessata di provvedere, a pena di decadenza, alla produzione in causa del documento sopravvenuto dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, subito dopo la sua formazione.
L’articolo 153 c.p.c., comma 2, cosi’ come il previgente articolo 184 bis c.p.c., si limita infatti a dire che la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile puo’ chiedere al giudice di essere rimessa in termini.
L’articolo 345 c.p.c., comma 3, dispone che non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
La causa di decadenza ipotizzata dalla ricorrente, che colpirebbe la parte che non ha prodotto, non appena possibile, nel giudizio di primo grado il documento sopravvenuto formatosi dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie e le impedirebbe di produrlo in appello per questa ragione, non e’ prevista testualmente e non puo’ essere desunta implicitamente dal sistema.
17. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 91 c.p.c. e alla tariffa forense ex Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, nonche’ dell’articolo 132 c.p.c. e articolo 118 disp. att. c.p.c., e lamenta il superamento dei limiti massimi tabellari.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello si sia discostata, senza motivazione, dai valori medi degli onorari previsti dallo scaglione di riferimento (che avrebbero importato un massimo di Euro 9.515,00) per liquidare un importo di Euro 14.735,00.
18. Il motivo e’ infondato.
La somma liquidata rientra, come del resto ammette la stessa ricorrente, nei limiti massimi dello scaglione di riferimento.
In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non e’ soggetto al controllo di legittimita’, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione e’ doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso. (Sez. 2, n. 14198 del 5.5.2022; Sez. 3, n. 89 del 7.1.2021; Sez. 6 – L, n. 2386 del 31.1.2017).
19. Pertanto il ricorso deve essere complessivamente rigettato. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte;
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 7.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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