Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 11 marzo 2020, n. 1737.
La massima estrapolata:
L’interesse pubblico alla rimozione dell’illecito edilizio è in re ipsa e non può ammettersi nessun legittimo affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, con la conseguenza che, ove sussistano i presupposti per l’adozione del provvedimento di demolizione, la sanzione ripristinatoria costituisce atto dovuto.
Sentenza 11 marzo 2020, n. 1737
Data udienza 4 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 231 del 2011, proposto dal Signor
Ag. Pa., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ba., En. Sc., con domicilio eletto presso lo studio En. Sc. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 03866/2009, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie e rimessa in pristino stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2020 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati En. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 03866/2009, di reiezione del ricorso proposto dal sig. Ag. Pa. avverso l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino adottata dal Comune di (omissis), ed avente ad oggetto i lavori edilizi eseguiti sul capannone artigianale di proprietà sito in località (omissis), Porto (omissis).
1.1 Nei motivi d’impugnazione, sul piano sostanziale, il ricorrente deduceva l’illegittimità della sanzione ripristinatoria in ragione dell’avventa presentazione della domanda di sanatoria per alcune delle opere realizzate senza titolo, quali le tramezzature interne; e, con specifico riguardo al rifacimento del tetto ed alla sopraelevazione, stante la natura, rispettivamente, di opere di manutenzione straordinaria e di variante non essenziale.
Sul piano procedimentale lamentava l’omessa comunicazione d0avvio del procedimento sanzionatorio.
2. Il Tar respingeva il ricorso.
Ad avviso dei giudici di prime cure, il ricorrente non ha provato di aver realmente presentato l’istanza di condono relativa alle tramezzature; mentre, con specifico riguardo alla sopraelevazione, hanno escluso la riconducibilità dell’opera alla variante c.d. non essenziale.
3. Appella la sentenza il sig. Ag. Pa..
4. Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2020, la causa, su richiesta della parte, è stata trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo d’appello, si deduce l’errore di giudizio nel quale sarebbero incorsi i giudici di prime cure nell’omettere di applicare, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, il principio dispositivo con metodo acquisitivo, proprio del giudizio d’impugnazione proposto innanzi al giudice amministrativo.
Anziché ritenere non provata dal ricorrente l’avvenuta presentazione dell’istanza di condono, il Tar, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto ordinare al Comune di depositare gli atti relativi al condono delle opere edilizie per cui è causa.
6. Il motivo è infondato.
La domanda di condono di cui alla l. 724/1994, e con essa gli allegati che la corredano, quale istanza di parte, rientra nella sfera di disponibilità della parte, con il conseguente onere su di essa incombente di provare, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., l’effettiva e tempestiva presentazione della domanda.
Onere, nel caso in esame, non affatto assolto dal ricorrente.
E che, va sottolineato, non è suscettibile di essere supplito dalla potere officioso del giudice amministrativo in un processo oramai informato ai principio dispositivo che onera ciascuna parte ad allegare e provare i fatti rientranti nella propria ed esclusiva disponibilità .
V’è da dire comunque che, anche laddove in primo grado si fosse data per provata l’avvenuta presentazione di detta domanda, l’esito non sarebbe stato diverso (ma sul punto si tornerà di seguito); per altro verso la tesi per cui l’avvenuta presentazione di una domanda di condono comporterebbe, sempre e comunque, l’improcedibilità della impugnazione non appare condivisibile (ex aliis T.A.R., Trento, sez. I, 11/06/2019, n. 88 “la presentazione della richiesta di sanatoria non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina l’improcedibilità dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria”).
7. Con il secondo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura il decisum laddove ha respinto il motivo d’impugnazione relativo all’omessa comunicazione, ai sensi dell’art. 7 l. 241/90, d’avvio del procedimento.
8. Il motivo è infondato.
Correttamente, in ossequio all’indirizzo giurisprudenziale consolidato, il Tar ha escluso che in presenza dell’avvenuto accertamento di opere abusive, trovi applicazione l’art. 7 l. 241/90.
L’interesse pubblico alla rimozione dell’illecito edilizio è in re ipsa e non può ammettersi nessun legittimo affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato, con la conseguenza che, ove sussistano i presupposti per l’adozione del provvedimento di demolizione, la sanzione ripristinatoria costituisce atto dovuto (cfr. Cons. Stato, ad plen., n. 9 del 2017).
9. Quanto infine al motivo d’appello incentrato sulla mancata esatta perimetrazione dell’area di pertinenza della res abusiva da acquisire al patrimonio del Comune, va richiamato l’orientamento, qui condiviso, a mente del quale l’omessa indicazione dell’area da acquisire da parte dell’ordinanza ingiuntiva del ripristino, non costituisce motivo di illegittimità : l’indicazione di tale area è infatti elemento necessario per la sola successiva misura sanzionatoria dell’acquisizione gratuita (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 13).
Si osserva in ultimo, che la parte appellante (che non disconosce di avere effettuato financo una sopraelevazione abusiva) non ha né provato né documentato la esatta rispondenza del manufatto rispetto a quello oggetto di condono, né l’epoca di realizzazione delle singole opere di cui il manufatto si compone, ed è ben consolidato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui laddove sia presentata una istanza di condono e vangano eseguite ulteriori opere abusive, l’immobile non sarebbe condonabile.
10. In assenza di costituzione del Comune resistente, nulla sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply