Il soggetto che si assume leso dall’esercizio del potere amministrativo

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 11 marzo 2020, n. 1732.

La massima estrapolata:

Il soggetto che si assume leso dall’esercizio del potere amministrativo deve, dunque, provare il danno, il nesso di causalità fra il provvedimento amministrativo ed il pregiudizio e, soprattutto, la colpa (o, a fortiori, il dolo) dell’Amministrazione, da intendersi quale colpa d’apparato, riferibile all’Ente pubblico nel suo insieme.

Sentenza 11 marzo 2020, n. 1732

Data udienza 30 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3506 del 2016, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. De Pa. e Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente una richiesta di risarcimento del danno conseguente a provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale già annullato in sede giurisdizionale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Pa. Ca. su delega dichiarata dell’avvocato Lu. Ma. e l’avvocato dello Stato Fa. To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso avanti il T.a.r. per il Friuli Venezia Giulia il sig. -OMISSIS-, all’epoca maresciallo aiutante dell’Arma dei carabinieri con incarico di comandante del -OMISSIS-, impugnò il provvedimento del Comando generale dell’Arma del 2 novembre 2006, con cui ne era stato disposto il trasferimento per incompatibilità ambientale -OMISSIS-^ -OMISSIS-con incarico di comandante di squadra, con decorrenza del movimento dal 27 novembre 2006.
Il ricorrente lamentò, in particolare, vari vizi, sia procedimentali (carenza della motivazione e della comunicazione di avvio) che sostanziali (natura vessatoria del movimento, atteso che nei di lui confronti vi era stata una mera richiesta di rinvio a giudizio per il reato di rivelazione di segreti di ufficio).
Il T.a.r. sospese l’efficacia dell’atto dapprima con decreto monocratico n. -OMISSIS-, quindi con ordinanza n. -OMISSIS-.
Tuttavia il Consiglio di Stato, adito in appello cautelare dall’Amministrazione, riformò il decisum cautelare di prime cure con ordinanza di questa Sezione n. -OMISSIS-.
L’interessato, pertanto, prese servizio in-OMISSIS-in data 21 agosto 2007.
Nelle more:
– in data 21 dicembre 2006 il G.U.P. del Tribunale di -OMISSIS- aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste (la sentenza era poi stata depositata in data 20 gennaio 2007);
– l’Amministrazione, all’atto della costituzione in giudizio, aveva depositato alcuni documenti, tra cui il provvedimento del 20 ottobre 2006, con cui il Comando carabinieri-OMISSIS-aveva sollecitato al Comando generale il trasferimento per incompatibilità ambientale del ricorrente, alla luce del fatto che la Procura della Repubblica di -OMISSIS- ne avrebbe chiesto, in data 13 giugno 2006, il rinvio a giudizio per il reato di rivelazione di segreti d’ufficio e il Procuratore generale presso la Corte di appello di -OMISSIS- avrebbe reso noto, con comunicazione dell’8 marzo 2006, “di avere dato inizio all’azione disciplinare”.
In relazione a tali sopravvenienze il ricorrente formulò motivi aggiunti di ricorso, in cui, tra l’altro, sostenne che in realtà il Procuratore generale, lungi dall’aver esercitato l’azione disciplinare, avrebbe di contro espressamente “differito l’azione disciplinare all’esito dell’udienza preliminare”.
Il ricorrente, quindi, svolse ulteriore ricorso per motivi aggiunti avverso atti conseguenti.
2. Con sentenza n. -OMISSIS-il T.a.r. accolse il ricorso, ritenendo che il provvedimento gravato, sussumibile nel “genus dei trasferimenti d’autorità “, benché motivato (“il Collegio ritiene che il trasferimento de quo non possa considerarsi immotivato perché la motivazione era fin dall’inizio presente nella documentazione istruttoria ancorché non palesata direttamente nell’atto” ma tempestivamente prodotta in atti ad opera dell’Amministrazione), difettasse della previa comunicazione di avvio del procedimento (in tesi necessaria alla luce della “inesistenza di ragioni di urgenza tali da giustificare l’omissione dell’avviso”) e, più in generale, del dovuto approfondimento istruttorio.
Conseguentemente, il T.a.r. dispose la rinnovazione del procedimento, che l’Amministrazione avrebbe dovuto espletare assicurando la necessaria partecipazione dell’interessato e tenendo in debito conto “l’andamento del processo penale”.
3. Il Consiglio di Stato, adito in appello dall’Amministrazione, respinse l’istanza cautelare con ordinanza di questa Sezione n. -OMISSIS-.
Conseguentemente, l’interessato fu riassegnato, “con riserva” dell’esito del giudizio, al -OMISSIS- “a disposizione del comandante per incarichi speciali”, con decorrenza del movimento dal 18 agosto 2008.
Frattanto, con sentenza della Sesta sezione n. 756 del 19 marzo 2008 la Corte di cassazione aveva respinto il ricorso svolto dalla Procura della Repubblica di -OMISSIS- avverso la cennata sentenza di non luogo a procedere del locale G.U.P.
L’Amministrazione, quindi, con provvedimento del 14 gennaio 2009, all’esito di una complessiva riconsiderazione della vicenda condotta anche con riferimento alle sopravvenienze fattuali (in primis, la definizione in senso favorevole all’interessato, in data 19 marzo 2008, del procedimento penale e la comunicazione da parte del Procuratore generale, in data 10 settembre 2008, dell’intenzione di non promuovere azione disciplinare) ed ordinamentali (intervenuta riconfigurazione, nel corso del 2008, del Comando carabinieri -OMISSIS-, con assegnazione del comando -OMISSIS-. a personale della categoria ufficiali), dispose il definitivo annullamento del trasferimento per incompatibilità ambientale dell’interessato, frattanto promosso al grado di luogotenente, disponendone il reimpiego presso il -OMISSIS- come addetto.
A definizione del giudizio di appello, infine, il Consiglio di Stato, con sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS-, respinse il ricorso svolto dall’Amministrazione avverso la sentenza del T.a.r. giuliano n. -OMISSIS-.
4. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio l’odierno appellato ha, quindi, formulato istanza di risarcimento dei danni conseguiti alla vicenda de qua.
L’interessato, in particolare, ha richiesto:
– il danno patrimoniale (pari al costo del pendolarismo quotidiano dalla propria abitazione a -OMISSIS-, nonché alle spese di vitto ivi sostenute);
– il danno non patrimoniale da assunto demansionamento nella sede di nuova assegnazione (da comandante del -OMISSIS-. si sarebbe trovato a svolgere funzioni di mero “addetto con funzioni operative”);
– il danno psicologico (conseguente alla frustrazione personale derivata dalla vicenda e dal connesso “stress familiare” che avrebbe da un lato condotto al divorzio con la moglie, dall’altro reso oltremodo difficile seguire la crescita della figlia adolescente).
5. Il T.a.r., con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto la domanda, riscontrando, in capo all’Amministrazione, un “elemento di colpa”, conseguente ad una “grave negligenza in una vicenda delicata”.
L’Amministrazione, infatti, avrebbe errato nel ritenere che:
– l’interessato fosse stato rinviato a giudizio, mentre ne era stato solo chiesto il rinvio a giudizio;
– fosse stata iniziata nei di lui confronti l’azione disciplinare, che, invece, era stata differita all’esito del procedimento penale.
Conseguentemente, il Tribunale ha stimato congruo riconoscere all’interessato la somma, equitativamente determinata, di Euro 25.000,00, escludendo peraltro espressamente la risarcibilità dei danni “riguardanti la vicenda matrimoniale”.
6. L’Amministrazione ha interposto appello, sostenendo:
– in termini generali, l’assenza di colpa (quanto meno, della colpa grave “richiesta per l’affermazione della responsabilità risarcitoria” da atto amministrativo) e, prima ancora, il carattere non punitivo né ritorsivo del movimento;
– quanto al danno patrimoniale, la percezione, da parte dell’appellato, delle indennità “connesse con il disposto trasferimento d’autorità “;
– quanto al danno non patrimoniale, la non predicabilità di alcun profilo di demansionamento.
7. L’appellato, ritualmente costituitosi, ha a sua volta radicato appello incidentale, censurando la sentenza nella parte in cui non ha accolto integralmente le istanze risarcitorie e non ha riscontrato la responsabilità aggravata dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
8. Alla camera di consiglio del 7 luglio 2016 è stato disposto il rinvio al merito; l’affare è, quindi, stato trattato alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, in vista della quale il solo appellato ha prodotto difese scritte.
9. Il ricorso in appello dell’Amministrazione è fondato.
9.1. Il Collegio premette che, in linea generale, la responsabilità risarcitoria dell’Amministrazione non consegue alla mera illegittimità dell’atto, ma richiede, tra l’altro, il quid pluris costituito dall’elemento soggettivo.
In termini ancora più generali, l’illegittimità sfocia in illiceità allorché l’agire amministrativo, oltre che contrastante con le norme che regolano l’esercizio della funzione, sia altresì frutto di una condotta connotata da inescusabili profili di negligenza, di superficialità, di imperizia che abbia leso, in via diretta ed immediata ed in modo attuale e concreto, una situazione giuridica protetta dell’amministrato.
Il soggetto che si assume leso dall’esercizio del potere amministrativo deve, dunque, provare il danno, il nesso di causalità fra il provvedimento amministrativo ed il pregiudizio e, soprattutto, la colpa (o, a fortiori, il dolo) dell’Amministrazione, da intendersi quale colpa d’apparato, riferibile all’Ente pubblico nel suo insieme.
Nel caso di specie, invero, difetta un addebito di colpa in capo all’Amministrazione.
9.2. Il Collegio premette, incidenter tantum, che per consolidata giurisprudenza il trasferimento per incompatibilità ambientale di un appartenente alle Forze Armate rientra nel genus degli ordini militari (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2016, n. 1; Sez. IV, 28 luglio 2017, n. 3771; Sez. IV, 4 luglio 2017, n. 3255; Sez. IV, ord. 26 gennaio 2018, n. 363; arg. anche da Cass civ., Sez. lav., 5 giugno 2017, n. 13938).
Del resto, lo stesso appellato, nel proprio ricorso di prime cure (cfr. pag. 5), afferma espressamente che “si è ben consapevoli del fatto che il trasferimento d’autorità appartiene alla categoria degli ordini militari”.
Analoga conclusione è stata raggiunta dal T.a.r. nella sentenza n. -OMISSIS- (“Il Collegio ritiene di precisare anzitutto come il provvedimento di trasferimento impugnato sia sicuramente una decisione di trasferimento per incompatibilità ambientale… tale tipo di trasferimento appartiene in ogni caso al genus dei trasferimenti d’autorità in quanto non trattasi di trasferimento a domanda ed è quindi prioritariamente finalizzato a tutelare le esigenze di servizio dell’amministrazione, intese come esigenze di rimozione di un dipendente da una determinata situazione ritenuta incompatibile e di conseguente sua riallocazione nella situazione ritenuta meglio confacente alle esigenze dell’amministrazione”).
Ora, come noto gli ordini militari sono esclusi dall’applicazione delle guarentigie stabilite dalla l. n. 241 del 1990 e, dunque, anche dal dovere di comunicazione dell’avvio del procedimento.
9.3. In considerazione del decisum delle sentenze intervenute nella vicenda, comunque, il Collegio prescinde da tali rilievi (che, al di là del particolare caso di specie, mantengono intatta la propria valenza generale) ed assume come dato acclarato dalla forza del giudicato il carattere illegittimo del provvedimento di trasferimento de quo, in quanto non preceduto dalla comunicazione di avvio e, dunque, viziato dal conseguente difetto di istruttoria.
9.4. Come visto supra, tuttavia, il riconoscimento del diritto al risarcimento a favore dell’amministrato richiede la dimostrazione, tra l’altro, del carattere colpevole della condotta illegittima dell’Amministrazione, nella specie non predicabile.
Invero, nell’atto del 20 ottobre 2006 il Comando carabinieri-OMISSIS-aveva rappresentato al Comando generale che:
– “il P.M., in data 13 giugno 2006, ha richiesto al locale G.U.P. il rinvio a giudizio dell’interessato”;
– “il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di -OMISSIS-… ha comunicato di avere dato inizio all’azione disciplinare”.
Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale nella sentenza in questa sede impugnata, dunque, l’Amministrazione non ha agito sul presupposto del rinvio a giudizio dell’interessato, essendo di contro ben consapevole della formulazione di una mera richiesta in tal senso da parte della competente Procura.
Quanto all’azione disciplinare, il Procuratore generale, con comunicazione dell’8 marzo 2006, si era così espresso: “comunico che viene promossa azione disciplinare nei confronti del nominato in oggetto al termine del procedimento penale in corso”.
Siffatta dizione è oggettivamente non preclara, posto che all’interpretazione coltivata dall’appellato, secondo cui il Procuratore intendeva affermare che l’esercizio dell’azione disciplinare sarebbe stato valutato al termine del procedimento disciplinare ed in base al suo esito, si contrappone una possibile esegesi contraria, fatta propria dall’Amministrazione, secondo cui il Procuratore intendeva comunicare di aver già deciso, nell’an, di intraprendere l’azione disciplinare, ma di averne differito l’esercizio al termine del procedimento penale.
Militano, per vero, a favore di tale ultima esegesi profili sia testuali (uso del verbo “promuovere” al modo indicativo ed al tempo presente, nonché assenza di alcuna espressione che lasci intendere una subordinazione dell’azione disciplinare all’esito del procedimento penale), sia logico-sistematici.
Invero, una tale scelta sarebbe stata tutt’altro che irragionevole, atteso che:
– la responsabilità disciplinare può essere ravvisata anche allorché, per gli stessi fatti, sia stata esclusa la responsabilità penale dell’incolpato;
– l’accertamento in sede penale della responsabilità dell’incolpato semplifica notevolmente l’onere istruttorio che l’Amministrazione incontra nel procedimento disciplinare.
L’Amministrazione, in sostanza, si è trovata dinanzi la seguente situazione: il Comandante del -OMISSIS-, che in tale qualità collaborava anche con la Procura di -OMISSIS- (la competenza del nucleo era estesa a tutto il territorio della Corte d’appello), era stato fatto oggetto di richiesta di rinvio a giudizio da parte di detta Procura (richiesta che, come noto, implica esercizio dell’azione penale e determina l’acquisizione, in capo all’interessato, della qualità di imputato).
Inoltre, il Procuratore generale – almeno secondo un’interpretazione tutt’altro che irragionevole delle di lui comunicazioni – aveva reso noto che l’azione disciplinare sarebbe stata esercitata, sia pure al termine del procedimento penale in corso.
In una tale situazione, non emerge alcun profilo di colpa nell’operato amministrativo (né, tanto meno, alcun intento punitivo o ritorsivo), posto che la lesione dell’ineludibile legame di fiducia (professionale e personale) che deve necessariamente legare il Comandante del -OMISSIS-. al P.M. è oggettiva ed in re ipsa, allorché lo stesso ufficio del P.M. reputi tale soggetto penalmente responsabile di un delitto commesso nell’esercizio delle funzioni, tanto da aver esercitato, nei di lui confronti, l’azione penale.
A fortiori, rileva pure la manifestazione della volontà, da parte dell’organo titolare della potestà disciplinare, di attivare il procedimento disciplinare, sia pure in un momento successivo.
Del resto, in termini conformi si era espresso, nella sentenza n. -OMISSIS-, lo stesso T.a.r. (“il Collegio deve astrattamente concordare con la possibilità che venga ravvisata l’incompatibilità ambientale di un militare che riveste un ruolo di tramite tra il proprio reparto e l’autorità giudiziaria quando la medesima autorità ha ritenuto di avviare un procedimento penale nei suoi confronti perché tale fatto, indipendentemente dall’esito del procedimento, potrebbe essere di per sé oggettivamente idoneo a dimostrare un’incrinatura del rapporto di fiducia che deve legare l’autorità giudiziaria ai propri ufficiali e agenti di polizia”).
Non può, inoltre, non porsi mente:
– al carattere ampiamente discrezionale delle valutazioni dell’Amministrazione militare in punto di opportunità o meno della permanenza di un militare in una data località, sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo per abnormità, macroscopica irragionevolezza, patente arbitrarietà ;
– al carattere strutturalmente recessivo, nell’ambito dell’ordinamento militare, delle esigenze personali del singolo militare rispetto a quelle di funzionamento dell’Istituzione.
9.5. Ne consegue che la scelta amministrativa di trasferire l’interessato presso un Comando territoriale ubicato al di fuori del distretto della Corte d’appello di -OMISSIS- non disvela né alcuna abnorme irragionevolezza conseguente a colpevole negligenza, trascuratezza o pressappochismo, né, a fortiori, alcuna volontà punitiva.
A soluzione diversa non conduce l’emanazione, da parte del G.U.P., della sentenza di non luogo a procedere in data 21 dicembre 2006; la Procura di -OMISSIS-, infatti, svolse ricorso per cassazione avverso tale provvedimento, in tal modo:
– rivelando la permanente intenzione di perseguire penalmente l’interessato;
– protraendone ex lege la qualità di imputato.
Oltretutto, solo nel settembre 2008 il Procuratore generale dispose non doversi promuovere l’azione disciplinare nei confronti dell’appellato, con conseguente archiviazione degli atti: solo da tale momento, dunque, possono ritenersi venuti integralmente meno i presupposti del trasferimento.
Tuttavia, sin dal 18 agosto 2008 l’appellato era stato riassegnato al -OMISSIS-.
9.6. Proseguendo nella disamina dell’effettiva ricorrenza, nella specie, dei presupposti normativamente necessari per individuare ipotesi di risarcibilità (ovvero, in altra prospettiva, di illiceità della condotta amministrativa), il Collegio osserva che difetta, altresì, il nesso di causalità fra il provvedimento di trasferimento e l’assunto pregiudizio alla vita familiare.
A tacer d’altro, infatti, consta agli atti che l’appellato si fosse separato dalla moglie con decreto omologato in data 5 ottobre 2006 (a seguito di udienza di comparizione del 28 agosto 2006), dunque prima dell’inizio della vicenda de qua: la communio omnis vitae, in sostanza, era già compromessa in epoca anteriore ai fatti di causa.
Oltretutto, il ricorso per divorzio risulta radicato solo in data 28 gennaio 2013, ossia diversi anni dopo il trasferimento in questione: è, quindi, tutt’altro che evidente il nesso eziologico fra il provvedimento di trasferimento e la definitiva soluzione del vincolo coniugale.
9.7. Quanto, infine, al danno patrimoniale ed alle restanti voci di danno non patrimoniale, è sufficiente evidenziare che:
– l’appellato consta aver fruito dei benefici previsti ex lege per i movimenti d’autorità, ivi inclusa la disponibilità di un posto letto in -OMISSIS-;
– la lontananza dalla figlia è conseguita alla scelta di non portare seco in-OMISSIS-il nucleo familiare e, comunque, è intrinseca al regime di vita del personale militare, che, non vantando alcuna aspettativa giuridicamente qualificata al mantenimento né dell’ufficio, né della sede, deve ritenere fisiologici i movimenti, temporanei o definitivi, ed ordinario il conseguente impatto sulla vita familiare;
– l’organizzazione dell’Arma dei carabinieri non prevede uno specifico e puntuale mansionario e, comunque, non consente di qualificare come demansionante (e, sotto il profilo psicologico, frustrante) lo spostamento da una posizione di comando ad una di mero addetto: il singolo militare è, infatti, chiamato a svolgere nel miglior modo possibile le funzioni che l’Amministrazione, nella propria ampia discrezionalità organizzativa tesa al miglior espletamento dei compiti istituzionali ed alla più efficiente allocazione del personale sul territorio, volta per volta ritiene di assegnargli;
– a seguito di una riconfigurazione ordinamentale del Comando carabinieri -OMISSIS-, a decorrere dal 2008 il comando -OMISSIS-. risulta essere stato affidato a personale della categoria ufficiali, per cui l’appellato non avrebbe comunque potuto mantenere la pregressa posizione di comandante del -OMISSIS-;
– nel corso della permanenza in-OMISSIS-l’appellato è stato promosso al grado di luogotenente, ciò che consente di escludere che il trasferimento ne abbia bloccato o rallentato la carriera.
10. Il Collegio, infine, osserva che la richiesta, svolta dall’appellante incidentale, di condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 96 c.p.c., oltre che infondata per i motivi sopra enucleati, è prima ancora inammissibile, in quanto non formulata in prime cure.
11. In conclusione, deve accogliersi l’appello dell’Amministrazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigettarsi il ricorso di prime cure.
Specularmente, il ricorso incidentale dell’appellato deve essere dichiarato inammissibile quanto alla domanda di condanna dell’Amministrazione ex art. 96 c.p.a. e, per il resto, improcedibile, posto che l’esclusione della ricorrenza dell’elemento soggettivo in capo all’Amministrazione priva l’appellato dell’oggettivo interesse allo scrutinio di questioni (il quantum del risarcimento) che difettano del pregiudiziale presupposto normativo (la risarcibilità stessa dei danni).
12. Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, non possono che seguire la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, dispone come segue:
– accoglie l’appello svolto dal Ministero della difesa e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta il ricorso di prime cure;
– dichiara in parte inammissibile, in parte improcedibile l’appello incidentale, ai sensi di cui in motivazione;
– condanna il sig. -OMISSIS- a rifondere al Ministero della difesa le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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