L’informativa antimafia

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 9 settembre 2020, n. 5416.

La massima estrapolata:

L’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Sentenza 9 settembre 2020, n. 5416

Data udienza 30 luglio 2020

Tag – parola chiave: Interdittiva antimafia – Infiltrazioni mafiose – Sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi – Sufficienza – Regola probatoria del più probabile che non – Valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 49 del 2020, proposto dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
contro
la -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Se. Gh., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
nei confronti
del -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Ze., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Le. in Roma, via (…),
della -OMISSIS-in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ra. e Fa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ra. in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del Tar Umbria -OMISSIS-, che ha accolto la domanda di annullamento del provvedimento del Prefetto di Perugia, con il quale è stata rilasciata l’informazione interdittiva antimafia nei confronti della -OMISSIS- e, nel contempo, è stata rigettata l’istanza di iscrizione della stessa negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive del -OMISSIS-, depositate in date 15 gennaio 2020 e 23 giugno 2020;
Viste le memorie difensive della -OMISSIS-, depositate in date 27 gennaio 2020 e 29 giugno 2020;
Viste le memorie difensive della -OMISSIS-depositate in date 28 gennaio 2020 e 29 giugno 2020;
Vista la memoria difensiva delle amministrazioni appellanti, depositata in data 26 giugno 2020;
Vista la memoria di replica del -OMISSIS-, depositata in data 30 giugno 2020;
Vista la memoria di replica della -OMISSIS-, depositata in data 9 luglio 2020;
Viste le note di udienza ex art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020 depositate dalla -OMISSIS- in data 21 luglio 2020;
Viste le note di udienza ex art. 84, comma 5, d.l. n. 18 del 2020, depositate dal -OMISSIS- in data 27 luglio 2020;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 30 luglio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, d.l. n. 28 del 2020, il Cons. Giulia Ferrari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 18 aprile 2019, la Prefettura – UTG di Perugia ha emesso il provvedimento a contenuto interdittivo (prot. n. 44369), con il quale è stata rilasciata l’informazione interdittiva antimafia nei confronti della -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) e, nel contempo, è stata rigettata l’istanza di iscrizione negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list).
Tale provvedimento ha tratto fondamento da plurimi elementi raccolti dalle Forze di Polizia e dalla D.I.A., che avrebbero permesso di dedurre una contiguità della società ad ambienti legati alla criminalità organizzata.
In particolare, sono emersi contatti tra il legale rappresentante della società, -OMISSIS-, legato alla cosca di ‘ndrangheta -OMISSIS-l’ingerenza del signor -OMISSIS-si sarebbe concretizzata nell’evitare nel 2011 il licenziamento di -OMISSIS-, rimasto alle dipendenze della -OMISSIS- fino al 2017; lo stesso -OMISSIS-, nonché -OMISSIS-sono risultati appartenere alla criminalità crotonese; molteplici dipendenti della società e, nello specifico, -OMISSIS-, sono risultati coinvolti, alcuni arrestati e poi processati, per reati di rilievo sotto il profilo antimafia.
2. Con atto introduttivo del giudizio proposto innanzi al Tar Umbria la -OMISSIS- ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, tra l’altro, dell’informazione antimafia interdittiva, deducendo, in particolare, la risalenza nel tempo delle circostanze poste a fondamento dell’atto avversato e il rilievo secondo cui i dipendenti della società – risultati gravati da precedenti di polizia – non svolgerebbero più la propria attività presso la società .
Con successivo atto di motivi aggiunti, la -OMISSIS- ha impugnato per vizi propri la determinazione dirigenziale U.O. Acquisti e Patrimonio del -OMISSIS- (già impugnata con l’atto introduttivo del giudizio per vizi derivati dall’asserita illegittimità del provvedimento interdittivo), con la quale la società ricorrente è stata esclusa dalla procedura di acquisto di unità abitative da destinare ad edilizia residenziale sociale.
3. Con ordinanza cautelare -OMISSIS-il Tar Umbria ha accolto la domanda di sospensione dell’efficacia degli atti impugnati.
4. A seguito della proposizione di appello cautelare da parte delle amministrazioni resistenti, il Consiglio di Stato, sez. III – dapprima con decreto cautelare monocratico -OMISSIS– in riforma dell’impugnata ordinanza, ha respinto l’istanza cautelare proposta in primo grado dalla -OMISSIS-.
5. Con sentenza -OMISSIS-, il Tar Umbria – previa dichiarazione di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno, nonchè di inammissibilità della domanda di annullamento degli atti della procedura di gara impugnati con l’atto introduttivo del giudizio, per mancata notifica dello stesso alla società controinteressata -OMISSIS- e previa, altresì, dichiarazione di irricevibilità dell’atto di motivi aggiunti – ha accolto la domanda di annullamento del provvedimento interdittivo antimafia.
In particolare, il primo giudice ha ritenuto che l’atto avversato si fondasse su fatti risalenti nel tempo e riguardanti lavoratori non più alle dipendenze della -OMISSIS-, sicché sarebbe carente dei requisiti di attualità e concretezza, necessari ai fini dell’azione del provvedimento prefettizio. Il Tar ha, altresì, posto in evidenza la circostanza che il reato addebitato dal signor -OMISSIS- in qualità di consigliere di amministrazione della ricorrente, non sarebbe ricompreso nella casistica di cui all’art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011 e, pertanto, sarebbe insuscettibile di assurgere ad elemento indiziario del pericolo di infiltrazione mafiosa.
6. La citata sentenza -OMISSIS- è stata impugnata dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura – UTG di Perugia, dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con appello notificato il 2 gennaio 2020 e depositato il successivo 3 gennaio.
In particolare, il Tar avrebbe errato nel compiere un’indebita operazione di parcellizzazione del quadro indiziario posto a fondamento dell’atto prefettizio.
Al contrario, il contesto di insieme che è emerso dall’attività istruttoria sarebbe sufficiente a dimostrare la sovraesposizione della società alla volontà criminale della ‘ndrangheta.
7. La -OMISSIS- si è costituita in giudizio, sostenendo l’irricevibilità dell’appello e, comunque, la sua infondatezza.
8. Il -OMISSIS- si è costituito in giudizio, sostenendo la fondatezza dell’appello.
9. Si è costituita in giudizio, sostenendo la fondatezza dell’appello, la -OMISSIS-società alla quale – a seguito dell’esclusione della -OMISSIS- – è stata affidata la gara per la vendita in favore del -OMISSIS- di n. 6 alloggi ubicati in un complesso condominiale sito in -OMISSIS- da destinare ad edilizia residenziale sociale.
10. Con decreto cautelare -OMISSIS-è stata accolta l’istanza di misure cautelari monocratiche ed è stata fissata, per la discussione collegiale, la camera di consiglio in data 30 gennaio 2020.
11. Con ordinanza cautelare -OMISSIS-è stata accolta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tar Umbria -OMISSIS-.
12. All’udienza del 30 luglio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con l’appello in esame è chiesto l’annullamento della sentenza del Tar Umbria che, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno, ha accolto l’atto introduttivo del giudizio e, per l’effetto, ha annullato la misura interdittiva antimafia adottata dal Prefetto di Perugia, mentre ha dichiarato inammissibile la domanda di annullamento degli atti della procedura di gara impugnati in via principale per mancata notifica del ricorso alla società controinteressata e irricevibili per tardività i motivi aggiunti proposti avverso gli atti della procedura di gara già impugnati con il ricorso introduttivo.
In effetti però l’appello si concentra sul solo capo della sentenza che ha annullato il provvedimento a contenuto interdittivo (prot. n. 44369 del 28 aprile 2019 del Prefetto di Perugia), con il quale è stata rilasciata l’informazione interdittiva antimafia nei confronti della -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) e, nel contempo, è stata rigettata l’istanza di iscrizione negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (c.d. white list).
Non è stato proposto, da parte di -OMISSIS-, appello incidentale con riferimento al capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda di annullamento degli atti della procedura di gara impugnati in via principale per mancata notifica del ricorso alla società controinteressata e irricevibili per tardività i motivi aggiunti proposti avverso gli atti della procedura di gara già impugnati con il ricorso introduttivo.
Tale rilievo porta a respingere l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata da -OMISSIS- sull’assunto che, essendo stati impugnati in primo grado due provvedimenti soggetti a riti diversi (l’interdittiva al rito ordinario e l’esclusione della appellata -OMISSIS- dalla procedura di gara per l’acquisto di unità abitative da destinare ad edilizia residenziale sociale) si applicherebbe, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., il rito speciale ex art. 120 c.p.a., con la conseguenza che sarebbe tardivo l’appello, notificato a mezzo e-mail pec in data 2 gennaio 2020 e, dunque, il quarantaduesimo giorno successivo alla notificazione della sentenza del Tar avvenuta per mano della società controinteressata -OMISSIS- in data 22 novembre 2019, società alla quale – a seguito dell’esclusione della -OMISSIS- – è stata affidata la gara.
É ben vero, come afferma l’appellata -OMISSIS-, che in caso di ricorso recante una pluralità di domande connesse fra di loro e soggette a riti diversi, per la sua definizione si applica, ai sensi dell’art. 32, comma 1, c.p.a., il rito ordinario (Cons. St., sez. III, 11 luglio 2012, n. 4116; id., sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 996), salvo che taluna delle domande connesse sia soggetta al rito previsto dagli artt. 119 o 120 c.p.a., che si estende anche alle altre domande, in astratto soggette ad altri riti (Cons. St., sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999).
Nel caso all’esame del Collegio non si verifica però il presupposto della pluralità di riti.
Ed invero, l’oggetto del contendere della presente controversia non è relativo a questioni riguardanti l’affidamento di appalti pubblici, bensì attiene esclusivamente all’esame circa la fondatezza o meno del provvedimento interdittivo antimafia.
Corollario obbligato di tale premessa è – come già affermato nella fase cautelare -OMISSIS- – l’inapplicabilità a questo giudizio del rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lettera a), c.p.a., mancando la ratio per la quale il legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi pubblici in ambiti individuati (Cons. St., sez. III, 26 marzo 2018, n. 1882; 22 gennaio 2014, n. 289).
La mancata impugnazione incidentale, da parte della società appellata, del capo della sentenza in cui è stata dichiarata l’irricevibilità dell’atto di motivi aggiunti e del capo relativo all’inammissibilità della domanda di annullamento degli atti della procedura di gara impugnati con l’atto introduttivo del giudizio, ha determinato il passaggio in giudicato degli stessi, sicché il petitum è circoscritto al solo annullamento del provvedimento interdittivo. Pertanto, il presente giudizio resta sottratto alle regole del rito abbreviato, invocate dalla -OMISSIS- ai fini della declaratoria di tardività della proposizione del gravame senza che possa rilevare il rito abbreviato eventualmente applicato in primo grado (circostanza questa peraltro negata dall’appellante) ove erano state proposte domande soggette a rito ordinario e a rito abbreviato appalti ex artt. 120 c.p.a..
2. Come si è detto, la sentenza appellata ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’interno per non essere stato alcuno degli atti impugnati adottato dal predetto Ministero. Le appellanti non hanno dedotto alcun motivo di censura sul punto ma ciò non impedisce al Collegio di rilevare l’erroneità dell’affermazione del giudice di primo grado atteso che il Ministero dell’Interno non è soggetto diverso dalla Prefettura, che è una sua articolazione periferica ex art. 1, comma 1, d.P.R. n. 180 del 2006. In altri termini, parte appellante (e, in primo grado, parte resistente) non possono che essere il Ministero dell’interno e la Prefettura perché il provvedimento prefettizio è un atto dell’amministrazione dell’interno adottato da una sua articolazione territoriale e, quindi, è il vero contraddittore perché ogni pronuncia nel merito sul provvedimento prefettizio non può che riferirsi innanzitutto al Ministero, in quanto, secondo il codice antimafia, le misure amministrative sono adottate appunto dalle sue articolazioni territorialmente competenti – le Prefetture – quali estrinsecazioni, dislocate sul territorio nazionale, dell’unico, unitario, potere valutativo attribuito al Ministero in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa a tutela dell’ordine pubblico.
3. Nel merito l’appello è fondato, avendo il primo giudice valutato l’impianto istruttorio sommariamente, dando rilevanza a singoli elementi che non solo non sempre corrispondono alla realtà fattuale ma che, se visti in un’ottica globale e complessiva – che necessariamente deve connotare lo scrutinio del provvedimento interdittivo -, fanno certamente presumere, secondo la logica del “più probabile che non”, che l’attività della -OMISSIS- sia contaminata dalla ‘ndrangheta crotonese.
Giova infatti ricordare che, ai sensi di una granitica giurisprudenza di questa Sezione, ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, “ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale” (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
L’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impone, a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini. E solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico il campo valutativo del potere prefettizio, in questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
Ciò che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento (Corte cost. n. 57 del 26 marzo 2020).
È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta dalla giurisprudenza natura “cautelare e preventiva” (Cons. St., A.P., 6 aprile 2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa.
Negare però in radice che il Prefetto possa valutare elementi “atipici”, dai quali trarre il pericolo di infiltrazione mafiosa, vuol dire annullare qualsivoglia efficacia alla legislazione antimafia e neutralizzare, in nome di una astratta e aprioristica concezione di legalità formale, proprio la sua decisiva finalità preventiva di contrasto alla mafia, finalità che, per usare le parole della Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, De Tommaso c. Italia, consiste anzitutto nel “tenere il passo con il mutare delle circostanze” secondo una nozione di legittimità sostanziale.
Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame.
4. I principi elaborati dalla Sezione portano all’accoglimento dell’appello.
La sentenza appellata pecca, infatti, nell’effettuare una valutazione degli elementi offerti dalla Prefettura non solo non approfondita ma soprattutto atomistica, in palese contrasto con i principi, richiamati sub 3, che regolano la misura di prevenzione antimafia.
Ed invero, contrariamente a quanto affermato dal Tar Umbria, gli elementi di fatto valorizzati dal provvedimento prefettizio, unitariamente valutati secondo il canone inferenziale quae singula non prosunt, collecta iuvant, dimostrano l’esistenza del pericolo di una permeabilità della struttura societaria a più che possibili tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata (al contrario non esclusi dagli elementi addotti dalla difesa ricorrente, che non appaiono decisivi o comunque tali da superare il ridetto giudizio prognostico), secondo la valutazione di tipo induttivo che la norma attributiva rimette al potere cautelare dell’amministrazione, il cui esercizio va scrutinato alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Sezione (30 gennaio 2019, n. 759).
L’applicazione di tale modello esegetico alla specifica fattispecie dedotta induce, come detto, ad affermare la fondatezza delle censure proposte.
Il Tar non ha infatti dato il giusto peso ai contatti, avutisi almeno sino al 2017, tra -OMISSIS-, soggetto considerato organico, ed anzi referente, alla cosca di ‘ndrangheta -OMISSIS-. Non rileva, sul punto, la circostanza, dedotta dall’appellata nella memoria depositata il 27 gennaio 2020, che “per quanto è dato sapere da voci di paese il sig. -OMISSIS-risulta ormai da qualche anno in carcere”, atteso che l’influenza pressante della criminalità organizzata può essere organizzata, con regia silenziosa ma potente, anche dal carcere.
La stessa sentenza impugnata non ha, ancora, considerato che due dipendenti della società, -OMISSIS-, anch’essi collegati alla criminalità mafiosa, sono stati trattenuti presso la società appellata quali dipendenti dal 2011, allorché la loro situazione controindicata era emersa, fino al 2017, e ciò proprio per la pressione del citato –OMISSIS-, risultante da intercettazioni telefoniche. Il licenziamento, dunque, – richiamato dal giudice di primo grado a dimostrazione dell’insussistenza di condizionamenti mafiosi – è stato in realtà disposto solo nel 2017 ed è quindi ampiamente tardivo avendo la società -OMISSIS- deciso di conservare, tra i propri collaboratori, due soggetti controindicati proprio per la pressione dell’esponente mafioso sul responsabile della società, a “protezione” (secondo le regole delle mafie) dei due dipendenti.
La sentenza ha inoltre del tutto omesso di considerare la posizione di altri dipendenti, ben evidenziata nella sua criticità dell’interdittiva. Si tratta di -OMISSIS- condannato all’esito di diversi procedimenti penali per una serie di reati quali ricettazione, estorsione, furto continuato, ricettazione continuata; -OMISSIS-, a carico del quale è pronunciata, in data 14 novembre 2016, sentenza di condanna per i reati di rapina e estorsione con circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso; -OMISSIS-condotta dalla Squadra Mobile di Perugia, per estorsione ed ricettazione; -OMISSIS-
Si tratta di dipendenti gravati da condanne penali il cui peso, contrariamente a quanto affermato dall’appellata, non è stato affatto “esageratamente” valutato, e rimasti alle dipendenze della società appellata sino al 2017.
Non risponde al vero, quindi, che tutti i fatti individuati dal Prefetto fossero risalenti nel tempo. Peraltro – e solo per completezza espositiva – seppure lo fossero stati, avrebbe trovato applicazione la giurisprudenza della Sezione (2 gennaio 2020, n. 2; 2 maggio 2019, n. 2855) secondo cui i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo, nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Infatti, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della risalenza dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi, quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l’impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d’ombra della mafiosità .
Il peso di tale circostanza, unitamente agli altri elementi evidenziati nell’interdittiva (e anche essi non esaminati dal giudice di primo grado), possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
5. Da tutto quanto sopra esposto risulta evidente che correttamente il coacervo degli elementi sopra descritti e di altri dettagliatamente illustrati nella informativa impugnata dinanzi al Tar Umbria è stato ritenuto dal Prefetto di Perugia sufficiente ad evidenziare il pericolo di contiguità con la mafia, con un giudizio peraltro connotato da ampia discrezionalità di apprezzamento, con conseguente sindacabilità in sede giurisdizionale delle conclusioni alle quali l’autorità perviene solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
6. In conclusione, gli atti impugnati dinanzi al Tar Umbria resistono al vaglio di questo giudice; ne consegue l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, l’annullamento della sentenza del Tar Umbria -OMISSIS-.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza del Tar Umbria -OMISSIS- e dichiara legittimo il provvedimento impugnato in primo grado.
Condanna la -OMISSIS- alle spese e agli onorari del giudizio, che liquida in Euro 8.000,00 (euro ottomila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellata e di ogni fatto alla stessa riconducibile.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 30 luglio 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, d.l. n. 28 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
Umberto Maiello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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