Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 1 luglio 2020, n. 19765.
Massima estrapolata:
Nel corso del procedimento instaurato a suo carico, l’imputato può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli e in tal caso l’accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra un’ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae perciò alla sfera di punibilità in applicazione della causa di giustificazione prevista dall’articolo 51 del codice penale. Al riguardo, dovendosi individuare il limite entro il quale possa ritenersi legittimamente esercitato il diritto di difendersi, tale limite va correttamente individuato nella essenzialità, ineluttabilità e continenza della scelta di contestazione dell’accusa. L’affermazione infondata di colpa a carico di altri, sia essa esplicita o implicita, deve cioè risultare in sostanza priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito, a prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di ogni attività decettiva non potendosi consentire che la condotta difensiva possa spingersi fino alla creazione o simulazione di elementi di conferma dell’accusa mendace.
Sentenza 1 luglio 2020, n. 19765
Data udienza 20 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Calunnia – GUP – Non luogo a procedere per insussistenza del fatto – Scriminante del diritto di difesa – Art. 51 c.p. – Negazione della verità delle dichiarazioni accusatorie da parte dell’imputato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. GIORDANO Emilia Anna – rel. Consigliere
Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno;
2. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 7/6/2017 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emilia Anna Giordano;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Luigi Orsi che conclude per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), in qualita’ di sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), che conclude associandosi alla richiesta del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata la sentenza del 7 giugno 2017 del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Salerno che ha dichiarato non luogo a procedere perche’ il fatto non sussiste nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di calunnia (articolo 368 c.p.). Alla (OMISSIS) era contestato il reato di calunnia perche’, al fine di conseguire l’impunita’ dal delitto di concussione del quale era stata accusata da (OMISSIS), con denuncia depositata il 16 agosto 2016 ai Carabinieri, aveva accusato falsamente (OMISSIS) del delitto di calunnia, pur sapendolo innocente, in relazione alle dichiarazioni da questi rese al Pubblico Ministero.
2. La Corte di appello di Salerno ha convertito in ricorso per Cassazione l’impugnazione del pubblico ministero di Salerno avverso la sentenza indicata e ne ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte insieme al ricorso proposto, avverso la medesima sentenza, dal Procuratore generale della Corte di appello di Salerno.
3. I ricorrenti denunciano vizio di violazione di legge (articoli 368 e 51 c.p.) in relazione alla ritenuta insussistenza del reato di calunnia poiche’ la (OMISSIS), nell’esercizio dello ius defendendi, non si era limitata a negare, anche mentendo, la veridicita’ della testimonianza a lei sfavorevole ma aveva assunto iniziative dirette a riversare sul dichiarante, pur sapendolo innocente, specifiche accuse di falsa testimonianza e calunnia. La (OMISSIS), infatti, aveva proposto denuncia per calunnia contro il suo accusatore, denuncia che aveva comportato l’iscrizione di un procedimento penale, poi archiviato, a carico del predetto (OMISSIS). Il giudice dell’udienza preliminare ha, inoltre, travisato i fatti ritenendo, erroneamente, che la (OMISSIS) si fosse limitata a negare i fatti a suo carico mentre, invece, la stessa aveva assunto una specifica iniziativa, suscettibile di integrare il delitto di calunnia, denunciando il proprio accusatore. In particolare, il Procuratore generale ha evidenziato la erroneita’ della decisione anche alla stregua del precedente richiamato dallo stesso giudice richiamando numerosi precedenti di questa Corte in materia. Non risulta, prosegue, che l’imputata si sia limitata a negare la veridicita’ delle accuse ma si e’ determinata a depositare nei confronti del (OMISSIS) una articolata denuncia querela, contenente istanza di punizione, nel corpo della quale ha rimarcato, piu’ volte, il carattere falso e calunnioso delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS). E tanto cio’ e’ vero che, nell’esercizio del potere valutativo rimesso al Pubblico Ministero la denuncia era stata qualificata ed iscritta come denuncia penale (poi archiviata), verificandone il contenuto preciso, circostanziato e determinato a carico della persona accusata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi devono essere rigettati.
2.Il giudice dell’udienza preliminare, pur muovendo dalla premessa della natura calunniosa del contenuto della denuncia proposta dalla (OMISSIS), ha ritenuto la condotta scriminata dall’esercizio del diritto di difesa, ai sensi dell’articolo 51 c.p..
3.Dalla ricostruzione in fatto risulta che (OMISSIS) in data 16 agosto 2016 aveva presentato una formale denuncia per calunnia contro il (OMISSIS) e proprio la presentazione della denuncia formale e’ stata valorizzata nel ricorso del Pubblico Ministero ed in quello del Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno quale elemento non solo idoneo a comprovare la consapevolezza dell’accusa strumentale mossa dalla (OMISSIS) al suo accusatore ma, soprattutto, perche’ ritenuta integrare una specifica iniziativa diretta a riversare sul proprio accusatore accuse di calunnia, iniziativa che dimostra di per se’ la esorbitanza della strategia difensiva della (OMISSIS). Nella denuncia – e anche questo aspetto e’ stato valorizzato sia nella sentenza impugnata che nel ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Salerno la (OMISSIS) aveva tacciato espressamente di falsita’ e calunniosita’ le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), benche’, secondo la sentenza impugnata, si trattasse di una generica contestazione della veridicita’ delle accuse che le erano state rivolte, in carenza della allegazione di elementi idonei a sostenere l’ipotesi, implicitamente prospettata, della loro falsita’.
4.Il tema posto dalla sentenza impugnata e dai ricorsi attiene alla perimetrazione del rapporto, in caso di dichiarazioni rese dall’imputato, tra diritto di difesa e accuse calunniose in danno del proprio accusatore.
5.Sia la sentenza impugnata che i ricorrenti richiamano, traendone opposte conclusioni nell’applicazione al caso concreto, il pacifico insegnamento giurisprudenziale di questa Corte (Sez. 6, n. 1333 del 16/01/1998, Barbato, Rv. 210648; Sez. 2, n. 2740 del 14/10/2009, dep. 2010, Zolli, Rv. 246042) secondo cui nel corso del procedimento instaurato a suo carico, l’imputato puo’ negare, anche mentendo, la verita’ delle dichiarazioni a lui sfavorevoli ed in tal caso l’accusa di calunnia, implicita in tale condotta, integra un’ipotesi di legittimo esercizio del diritto di difesa e si sottrae percio’ alla sfera di punibilita’ in applicazione della causa di giustificazione prevista dall’articolo 51 c.p..
6. L’aspetto problematico attiene, prima ancora che alla individuazione del limite entro il quale l’imputato, nel negare la verita’ delle dichiarazioni accusatorie a proprio carico, eserciti lo jus defendendi, garantito dall’articolo 24 Cost. sicche’ l’implicita accusa di falsa testimonianza o calunnia nei confronti del suo accusatore costituisce una conseguenza non voluta e soltanto indiretta dell’atteggiamento difensivo prescelto dall’agente, al piano astratto del rapporto tra fattispecie ovvero il delitto di calunnia e il diritto di difesa.
Sul piano della teoria generale del reato, infatti, il problema non si risolve su quello della rilevanza o irrilevanza dell’animus defendendi, aspetto, questo, che risulta fuorviante dal momento che la sua natura, prettamente soggettiva, lo rende inidoneo ad escludere il reato di calunnia ovvero ad individuare, gia’ sul piano oggettivo, la liceita’ o illiceita’ della dichiarazione falsa, a contenuto accusatorio, resa dall’imputato nel processo.
Si e’ osservato in dottrina che il problema del rapporto del reato di calunnia, come per altre figure di delitto contro l’amministrazione della giustizia, con il diritto di difesa e’ un problema di rapporto tra fattispecie oggettive: la figura legale del delitto di calunnia e l’ambito tipico del diritto di difesa, quale si evince dal complesso dell’ordinamento giuridico. E, secondo gli schemi concettuali della teoria del reato, la soluzione del problema puo’ essere cercata su un duplice piano ovvero quello del tipo di reato e quello di eventuali scriminanti oggettive, dunque di una scriminante che funge da causa di giustificazione di comportamenti conformi al tipo; l’esercizio del diritto di difesa, si ragiona, in determinati condizioni vale a legittimare taluni tipi di dichiarazioni, oggettivamente implicanti un pericolo per la tutela dell’innocenza e, percio’ appunto, ricondotte al tipo delittuoso di calunnia, mediante la corrente interpretazione estensiva del concetto di denuncia. Non si e’, dunque, in presenza di un rapporto tra regola e deroga ma in una situazione di conflitto di interessi tra la tutela dell’innocenza, di fronte a dichiarazioni accusatorie mendaci, e la garanzia della difesa di cui e’ contenuto essenziale e vincolabile quello di negare l’addebito.
7. Le piu’ risalenti pronunce in materia, per escludere la configurabilita’ del legittimo esercizio del diritto di difesa, e, quindi, della causa di giustificazione di cui all’articolo 51 c.p., individuano il criterio distintivo nel contenuto dell’accusa, nel senso di ritenere integrato il delitto di calunnia quando la condotta dell’imputato non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico ma risolva all’accusatore, di cui conosce l’innocenza, accuse specifiche e idonee a determinare la possibilita’ dell’inizio di un indagine penale nei suoi confronti (Sez. 6, n. 9929 del 5/11/2002, dep. 2003, Tummarello, Rv. 223946). Affermazione, questa che, variamente declinata, e’ pervenuta all’affermazione del principio secondo cui sussiste il delitto di calunnia quando l’imputato non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere l’accusatore – di cui pure si conosce l’innocenza – nella incolpazione specifica, circostanziata e determinata di un fatto concreto, sicche’ da cio’ derivi la possibilita’ dell’inizio di una indagine penale da parte dell’autorita’ (Sez. 6, n. 18755 del 16/04/2015, Scagnelli, Rv. 263550), tanto anche nel caso in cui la falsa accusa sia lanciata contro terzi dei quali l’imputato conosca l’innocenza (cfr. Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, P.G., P.C. e Knox, Rv. 25567). Risulta evidente, da queste massime, che la giurisprudenza non individua il criterio di decisione nell’animus defendendi, ma sulla base di altri parametri ovvero con riferimento alla tipologia di dichiarazione nei quali l’animus si sia estrinsecato: dichiarazioni di un certo contenuto sono lecite altre delittuose.
8. Ai fini della individuazione del criterio distintivo tra le due fattispecie, altre decisioni di questa Corte, hanno individuato il criterio di giustificazione nel rigoroso rapporto funzionale tra l’accusa formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione a suo carico, affermando che non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che, in sede d’interrogatorio di polizia giudiziaria a suo carico, definisca falso il rapporto soltanto per quanto attiene alla veridicita’ della denunzia in esso contenuta. Egli, pertanto, non e’ punibile a titolo di calunnia in danno dell’autore di detto rapporto, stante la presenza di una causa di esclusione della pena ex articolo 51 c.p., in forza del legittimo esercizio del diritto di difesa, purche’ questo si svolga quale necessario strumento di confutazione dell’imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l’accusa (implicita o esplicita) formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti (Sez. 6, n. 8253 del 02/05/1984, Bottini, Rv. 165988), principio via via riaffermato nel corso degli anni (Sez. 6, n. 13309 del 20/11/2003, dep. 2004, Scarfone, Rv. 229238), e valorizzato in una piu’ recente decisione che, ai fini della realizzazione di un equilibrio accettabile nella prospettiva del diritto di difesa garantito dall’articolo 24 Cost., ribadisce la centralita’, nella ricostruzione dell’interprete sul piano dei rapporti tra le fattispecie, sulla individuazione della stretta correlazione funzionale tra il falso addebito e la confutazione dell’accusa a proprio carico. Si e’, cosi’, affermato che in tema di calunnia, non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che affermi falsamente davanti all’autorita’ giudiziaria fatti tali da coinvolgere altre persone, che sa essere innocenti, nella responsabilita’ per il reato a lui ascritto, purche’ la mendace dichiarazione costituisca l’unico indispensabile mezzo per confutare la fondatezza dell’imputazione, secondo un rigoroso rapporto di connessione funzionale tra l’accusa (implicita od esplicita) formulata dall’imputato e l’oggetto della contestazione nei suoi confronti, e sia contenuta in termini di stretta essenzialita’ (Sez. 6, n. 14042 del 02/10/2014, dep 2015, P.G. in proc. Lizio, Rv. 262972).
Il caso tipico d’applicazione del principio e’ quello della negazione (mendace) della verita’ dell’accusa che, per converso, significa allegazione della falsita’ delle dichiarazioni accusatorie, integrante gli estremi oggettivi costitutivi della calunnia.
Il nesso di stretta correlazione funzionale, secondo questa esegesi, deve essere valutato con riferimento al caso concreto e non vi e’ motivo per non estendere le considerazioni innanzi svolte, con riferimento all’accusa rivolta verso terzi, anche all’accusa rivolta contro il proprio accusatore.
In questa prospettiva, il delicato rapporto tra l’esercizio del diritto di difesa e l’incriminazione della calunnia, di cui la condotta presenta il tratto tipico, non si gioca sul terreno dell’articolazione del discorso o dell’attivita’ difensiva, quanto, piuttosto, si concentra nella individuazione dei connotati di essenzialita’ ed ineluttabilita’ che, una volta maturata, da parte dell’interessato, una scelta di contestazione dell’accusa, deve caratterizzarne l’attivita’ decettiva.
Si e’, del resto osservato approfondendo la rilevanza del collegamento o nesso funzionale tra la condotta di calunnia e l’esercizio del diritto di difesa, che non assume decisiva rilevanza, al fine di ritenere slegata la dichiarazione accusatoria dall’esercizio del diritto di difesa, che la falsa dichiarazione accusatoria, per essere scriminata, sia generica (Sez. 6, n. 1767 del 11/12/2012, dep. 2013, Grasso, Rv. 254041), non accompagnata, cioe’, da elementi fattuali circostanziali tali da farla apparire come vera (Sez. 6, n. 26019 del 13/06/2008, Cogliani, Rv. 240930), ovvero che dalle dichiarazioni discenda la “possibilita’ di inizio di un procedimento penale”, atteso che se il fatto oggetto della falsa incolpazione fosse strutturalmente inidoneo ad originare un procedimento penale, il reato di calunnia di per se’, oggettivamente, non sussisterebbe e, quindi, il tema della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa non avrebbe ragione di porsi.
9. Ad avviso del Collegio, seguendo tale linea interpretativa, il discrimen oggettivo tra attivita’ consentita e condotta calunniosa non scriminata va dunque individuato nella essenzialita’, ineluttabilita’ e continenza della scelta di contestazione dell’accusa. L’affermazione infondata di colpa a carico di altri, sia essa esplicita od implicita, deve risultare in sostanza priva di ragionevoli alternative quale mezzo di negazione dell’addebito, a prescindere dal grado della sua specificazione e fermo restando il divieto di ogni attivita’ decettiva che esuli dall’enunciazione della falsa accusa “essenziale” che, nelle modalita’ esecutive, deve essere contrassegnata da una stretta “continenza”. Certamente tale correlazione funzionale non sussiste per ogni ipotesi d’accusa che possa giovare alla tesi difensiva e parimenti va anche escluso che la condotta difensiva possa spingersi fino alla creazione o simulazione di elementi di conferma dell’accusa mendace (cfr. da ultimo, Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013 – dep. 18/06/2013, P.G., P.C. e Knox, Rv. 255678).
10. Nel caso di specie, la denuncia di falsita’ e calunniosita’ delle accuse a proprio carico proposta dalla (OMISSIS), trova ragionevole e logico fondamento nella decisione di negare il proprio coinvolgimento in attivita’ concussive in danno dell’accusatore e di professare la propria innocenza, ma non si e’ tradotta ne’ nella enunciazione di ulteriori circostanze di fatto per connotare di falsita’ le accuse del (OMISSIS) ne’ nella descrizione di circostanze atte a coinvolgere, in relazione alle sponsorizzazioni delle attivita’ calcistiche del figlio della (OMISSIS), con un ruolo diverso, le persone indicate dal (OMISSIS) come veicolo delle proposte concussive.
Dalla ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata, pervenuta all’assoluzione perche’ il fatto non sussiste, si evince, per vero con qualche contraddizione, che il contenuto della denuncia e’ consistito in una mera esposizione dei fatti denunciati dal (OMISSIS) e della loro riconducibilita’ alla (OMISSIS) che si era limitata ad affermarne la falsita’ per inferirne la infondatezza, dell’accusa a suo carico ma senza allegare alcun elemento idoneo a sostenere l’ipotesi della loro falsita’ e, dunque, in evidente rapporto di necessarieta’ con la tesi della propria innocenza.
Ne’ il ricorso del Procuratore generale (che rispetto a quello del Pubblico Ministero si sofferma piu’ a lungo su questo aspetto) e’ piu’ preciso dal momento che ravvisa la specificita’ e determinatezza dell’accusa mossa dalla (OMISSIS) nella circostanza che la denunciante aveva riportato le dichiarazioni rese dal suo accusatore cosi’, prosegue il Procuratore generale, veicolando specifiche circostanze (oltre che di tempo e di luogo), di persona con riferimento a circostanze individualizzanti in cui si attribuivano, a determinati soggetti, comportamenti e condotte. Si tratta, tuttavia, di affermazioni del tutto generiche che nulla aggiungono per descrivere specificamente il contenuto calunnioso della denuncia dal momento che si risolvono nella mera riproposizione delle dichiarazioni rese dal suo accusatore, delle quali la (OMISSIS) negava genericamente la fondatezza.
11.Risulta del resto evidente, secondo la prospettazione fattane dai ricorrenti, che la possibilita’ di configurare il delitto di calunnia a carico della (OMISSIS) e’ fatta discendere dalla circostanza che l’imputata aveva intrapreso la via dell’autonoma denuncia penale.
Come ha correttamente rilevato il Procuratore generale nella sua requisitoria tale opzione interpretativa non e’ condivisibile poiche’ il confine tra cio’ che e’ legittimo e cio’ che, invece, e’ illegittimo viene ad essere individuato nel livello di manifestazione dell’iniziativa difensiva e collegato ad un comportamento esterno, che, cioe’, la dichiarazione della persona imputata non sia stata resa nell’ambito del procedimento a proprio carico attraverso l’interrogatorio, una memoria o altro scritto difensivo, ma sia stata frutto di una iniziativa ulteriore, quale quella dell’autonoma denuncia di reato. Anche in questa ipotesi, affinche’ sia integrata la condotta materiale del delitto di calunnia, e’ necessario che ci si trovi in presenza non solo di accuse specifiche e idonee a determinare la possibilita’ dell’inizio di un’indagine penale nei confronti della persona accusata, ma altresi’, nella decritta ottica della verifica di un nesso funzionale tra accusa ed esercizio del diritto di difesa, di fronte ad accuse non essenziali e ineluttabili quale mezzo di negazione dell’addebito.
E, se e’ vero che, nel caso in esame, tali dichiarazioni sono state valutate dal Pubblico Ministero che le ha iscritte nel registro di notizie di reato poi richiedendo l’archiviazione, non da cio’ consegue che le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) integrino ex se un atto di accusa, suscettibile di dare luogo alla condotta di calunnia che, come anticipato, involge un apprezzamento ulteriore correlato non solo al contenuto della notizia di reato ma, ai fini della ricorrenza del reato, della continenza ed essenzialita’ delle modalita’ espressive utilizzate ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
Tanto cio’ e’ vero che questa Corte esaminando sotto altra prospettiva – ovvero la necessita’ di iscrizione e richiesta di archiviazione della denuncia per calunnia presentata dall’indagato contro il suo accusatore – ha ritenuto che in tale evenienza, l’eventuale denuncia per calunnia presentata dall’indagato, fondata sulla sola circostanza che le accuse nei suoi confronti sono false, non puo’ essere considerata automaticamente una notizia di reato, spettando, invece, al P.M. la valutazione se qualificare l’atto in questione come una mera difesa e come tale inserirla nel fascicolo principale o se procedere all’iscrizione nel registro notizie di reato, risultando di conseguenza necessario, in quest’ultimo caso, richiedere al Gip l’eventuale archiviazione. (Sez. 6, n. 45206 del 16/07/2013, P. O. in proc. Curaggi e altro, Rv. 257381). Il fatto denunciato, ovvero il “non accadimento” di una data vicenda, e’ lo stesso fatto per il quale, il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale, ritenendolo vero sicche’ non si e’ in presenza della denuncia di un diverso fatto costituente reato ma, semplicemente, della richiesta di procedere per la stessa vicenda diversamente interpretata (dall’imputato) e, quindi, qualificata ai fini del giudizio.
12.Il criterio di stretta correlazione funzionale esige che, anche se esercitato in sede di autonoma denuncia di reato e non in atti del procedimento a proprio carico, il falso addebito sia formulato in termini che non eccedano l’utilita’ (ed anzi l’essenzialita’) per una efficace confutazione dell’accusa che, nel caso in esame, si e’ risolta nell’affermazione della falsita’ della dichiarazione del (OMISSIS) affermazione che, a ben vedere, costituiva l’unico e necessario mezzo di confutazione dell’accusa oggetto della contestazione nei confronti della (OMISSIS).
E, tale criterio, conduce alla conferma della sentenza impugnata e della lettura adottata dal giudice territoriale secondo il quale la (OMISSIS), a fronte delle accuse, non poteva, nell’esercizio del diritto di difesa, che negare la veridicita’ e fondatezza delle accuse.
Nel quadro probatorio dato, la mera negazione dell’accusa, senza concomitante indicazione della falsita’ delle accuse, avrebbe integrato una difesa platealmente inefficace in carenza di affermazioni o attivita’ eccedenti la mera enunciazione dell’unica ipotesi alternativa alla conferma dell’addebito elevato contro la (OMISSIS) e che questa ha individuato nella falsita’ delle propalazioni a suo carico: si risolve, dunque, in un contenuto di difesa, minimo ed indefettibile, non realizza la condotta di calunnia sol perche’ risoltosi in una iniziativa autonoma di denuncia penale.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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