L’impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell’Amministrazione

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 17 luglio 2020, n. 4600.

La massima estrapolata:

«L’impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell’Amministrazione deve intendersi nel senso che la ricerca all’esterno deve seguire l’accertamento del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione e, quindi, anche tra i funzionari direttivi di categoria D, in caso di vacanza in organico di personale dirigenziale. In questo senso depone l’uso del plurale “ruoli” sicché, la norma va riferita sia al ruolo dirigenziale (che va sondato in via principale) che a quello del personale direttivo (che va preso in considerazione in via subordinata), anche al fine di ridurre le spese dell’Amministrazione evitando, ove possibile, il ricorso a professionalità esterne, in linea con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa».

Sentenza 17 luglio 2020, n. 4600

Data udienza 18 giugno 2020

Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Amministrazione regionale – Conferimento incarichi dirigenziali – Avvisi di ricerca di personale esterno – soglie percentuali della dotazione organica – Art. 19, D.Lgs. n. 165/2001 – Combinato disposto del comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e del comma 7 dell’art. 20 della legge regionale n. 6 del 2002 – Mancata verifica possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione tra personale dirigenziale e direttivo – Illegittimità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2409 del 2015, proposto da
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…);
contro
Di. – Di. La., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Gi. De. Bo. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
Si. De. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ar. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
Al. Ba. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Fe. Gh., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Associazione Co. Onlus – Ce. pe. i Di. de. Ci., Co. La. – non costituiti in giudizio;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Ba. Fr. Bu. ed altri rappresentati e difesi dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Ci. En. Lo., rappresentato e difeso dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

sul ricorso numero di registro generale 2410 del 2015, proposto da
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…);
contro
Di. – Di. La., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Re. Ro. ed altri, rappresentati e difesi dell’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
nei confronti
Lu. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Si. Cr. e Gi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Si. Cr. in Roma, viale (…);
An. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Sa. Be. e Sa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fr. Sa. Be. in Roma, via (…);
Si. De. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ar. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
Ti. Bi., rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Be. e Fr. Sa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fr. Sa. Be. in Roma, via (…);
Pa. Ci., Pi. Ma., rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Vi. Fe. e Eu. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);
Cl. Sc., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co. e Fa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale (…);

e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Arch. Pa. Co., rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Pr. e Fa. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fa. Pr. in Roma, via (…);
ad opponendum:
Ci. En. Lo., in persona del legale rappresentante pro tempore ed altri, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Do. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

per la riforma
quanto al ricorso n. 2409 del 2015:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I ter, n. 3658 del 2015, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 2410 del 2015:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I ter, n. 3670 del 2015, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Di. – Di. La. ed altri;
di Re. Ro. ed altri;
Visti gli appelli incidentali spiegati da Di. – Di. La. ed altri;
Visti gli atti di intervento ad opponendum di Ci. En. Lo. ed altri;
di Ci. En. Lo. ed altri, che hanno spiegato anche appello incidentale;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale proposto da An. Ma. ed altri;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum di Pa. Co.;
Viste le memorie delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020, tenuta con le modalità di cui agli artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, comma 1, d.l. n. 28 del 2020, come da verbale, il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Pe. e To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la Di. – Di. La. e i dottori Gi. de. Bo. ed altri, nella qualità di dirigenti di ruolo della regione Lazio, hanno impugnato gli atti con i quali la Regione ha approvato gli avvisi di ricerca di personale esterno per l’affidamento degli incarichi di Direzione di Aree e/o Uffici dirigenziali, nonché dei relativi provvedimenti di conferimento degli incarichi dirigenziali, a soggetti esterni all’amministrazione regionale, unitamente ai loro atti presupposti, connessi e consequenziali (tra i quali, ove necessario, la D.G.R. n. 53/2013; la D.G.R. n. 62/2013; la D.G.R. n. 148/2013; il R.R. n. 2/2013; il R.R. n. 3/2013, il R.R. n. 5/2013; il R.R. n. 6/2013; il R.R. n. 8/2013; il R.R. n. 9/2013, il R.R. n. 11/2013; e, in parte qua, il Regolamento Regionale n. 1/2002 e s.m.i.), oltre alle disposizioni 9 agosto 2013, n. B03618, e 28 agosto 2013, n. B03732, adottate dal Dipartimento Programmazione Economica e Sociale.
Con la sentenza n. 3658 del 2015 l’adito tribunale ha:
– declinato la propria giurisdizione con riferimento all’impugnativa degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali;
– accolto il ricorso e i motivi aggiunti nella parte diretta a contestare gli avvisi pubblici di ricerca di soggetti esterni.
Per ottenere la riforma di detta sentenza ha proposto appello principale la Regione Lazio, che ha dedotto l’erroneità della sentenza appellata per i seguenti motivi:
il presunto difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, ritenendo che il ricorso di primo grado fosse esclusivamente volto all’annullamento degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali;
la presunta inammissibilità degli interventi ad adiuvandum spiegati in primo grado;
il presunto difetto di legittimazione attiva della Di. – Di. La.;
la presunta erroneità della sentenza impugnata con riguardo ai due motivi accolti, in quanto il TAR del Lazio avrebbe errato nel calcolo della percentuale (e quindi del numero) di incarichi attribuiti e attribuibili all’esterno, nonché nella declaratoria di incompetenza del Segretario Generale;
Per resistere all’appello si sono costituiti in giudizio gli originari ricorrenti nel giudizio di primo grado.
La Di. La. ed i signori Gi. De. Bo. ed altri hanno proposto anche appello incidentale contro i capi della sentenza che hanno dichiarato il difetto di giurisdizione sugli atti di conferimento dell’incarico dirigenziale e respinto le censure avverso il regolamento che disciplina la procedura per il conferimento degli incarichi, riproponendo, altresì, le eccezioni e i motivi assorbiti in primo grado.
Hanno proposto intervento ad opponedum la Ci. En. Lo. ed un gruppo di funzionari direttivi della Regione Lazio, puntualmente indicati in epigrafe, aventi i requisiti per la partecipazione a procedure concorsuali per il conferimento della qualifica dirigenziale.
Si sono costituiti in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello anche i seguenti consiglieri regionali: Si. De. ed altri.
Si sono, altresì, costituiti in giudizio chiedendo, invece, l’accoglimento dell’appello i controinteressati nel giudizio di primo grado: i dottori Al. Ba. ed altri.
Con ulteriore ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la Di. – Di. La. e ventinove funzionari regionali nominativamente indicati in epigrafe hanno impugnato gli atti succitati, con i quali la regione Lazio ha approvato gli avvisi di ricerca di personale esterno per l’affidamento degli incarichi di Direzione di Aree e/o Uffici dirigenziali, nonché dei relativi provvedimenti di conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione regionale, unitamente ai loro atti presupposti, connessi e consequenziali.
Con la sentenza n. 3670 del 2015 l’adito tribunale ha, nuovamente:
declinato la propria giurisdizione con riferimento all’impugnativa degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali;
accolto il ricorso e i motivi aggiunti nella parte diretta a contestare gli avvisi pubblici di ricerca di soggetti esterni.
Per ottenere la riforma di detta sentenza ha proposto appello principale la regione Lazio, che ha dedotto:
il presunto difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo;
la presunta inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato in primo grado;
il presunto difetto di legittimazione attiva della Di. – Di. La.;
la presunta erroneità della sentenza impugnata con riguardo ai tre motivi accolti, in quanto il TAR del Lazio avrebbe errato (i) nel calcolo del numero di incarichi attribuiti all’esterno e (ii) nell’accertamento della mancata adozione del Piano triennale del fabbisogno, nonché (iii) nel ritenere che l’impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell’Amministrazione debba essere intesa nel senso che la ricerca all’esterno deve seguire l’accertamento del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione e, quindi, anche tra i funzionari direttivi di categoria D.
Hanno proposto appello incidentale avverso la sentenza n. 3670 del 2015 anche alcuni controinteressati nel giudizio di primo grado (in particolare, i signori An. Ma. ed altri). Gli stessi hanno, innanzitutto, riproposto le eccezioni di difetto di giurisdizione e di legittimazione attiva già proposte in primo grado.
Nel merito, la difesa dei controinteressati contesta:
l’interpretazione della normativa in materia di conferimento di incarichi dirigenziali fornita in sentenza dal TAR del Lazio e le premesse argomentative poste dal giudice di primo grado a sostegno dell’accoglimento del motivo di ricorso con il quale gli appellati hanno dedotto il superamento dei limiti numerici previsti dalla normativa vigente ratione temporis;
il mancato rilievo, ai fini della controversia in oggetto, dell’omessa adozione del documento di programmazione triennale ed annuale e, comunque, l’avvenuta adozione dello stesso;
l’omessa pronuncia sulla presunta inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato in primo grado.
l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha proceduto ad una interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2, comma 49, della legge regionale n. 7/2014.
Per resistere all’appello si sono costituiti in giudizio gli originari ricorrenti nel giudizio di primo grado.
La Di. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto anche appello incidentale contro i capi della sentenza che hanno dichiarato il difetto di giurisdizione sugli atti di conferimento dell’incarico dirigenziale e respinto le censure avverso il regolamento che disciplina la procedura per il conferimento degli incarichi, riproponendo, altresì, le eccezioni e i motivi assorbiti in primo grado.
Hanno proposto intervento ad opponedum la Ci. En. Lo. ed un gruppo di funzionari direttivi della Regione Lazio, pure indicati in epigrafe, aventi i requisiti per la partecipazione a procedure concorsuali per il conferimento della qualifica dirigenziale.
Ha proposto intervento ad adiuvandum l’Architetto Pa. Co., titolare di un incarico dirigenziale nella qualità di esterno.
Con sentenze nn. 1365 e 1367 del 27 marzo 2017 la Sezione ha, tra l’altro, accolto gli appelli della Regione e gli appelli incidentali degli assegnatari degli incarichi, ritenendo fondato, in particolare, il motivo diretto a contestare la sussistenza della giurisdizione amministrativa in favore del giudice ordinario, dinanzi al quale ha rimesso le parti.
Avverso tali sentenze ricorrevano per la cassazione gli appellati, chiedendo l’annullamento e/o la riforma delle statuizioni impugnate e per l’effetto la declaratoria della sussistenza della giurisdizione amministrativa in materia.
Con sentenze nn. 29080 e 29081 del 2018 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite accoglieva i ricorsi e statuiva la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, annullando le sentenze con rinvio al Consiglio di Stato in diversa composizione.
La Di. e i gli altri funzionari in epigrafe riassumevano i giudizi al fine di veder confermate le sentenze di parziale accoglimento nn. 3658 e 3670 del 2015 rese dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ed il conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado.
La regione Lazio proponeva, allora, due ricorsi ex art. 391- bis c.p.c. innanzi alla Corte di Cassazione per la revocazione delle sentenze delle Sezioni Unite nn. 29080 e 29081 del 2018.
Tali ricorsi venivano dichiarati inammissibili con ordinanze a Sezioni Unite nn. 5906 e 5907 del 2020.
Successivamente le parti depositavano memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’udienza del 18 giugno 2020, tenuta con le modalità di cui agli artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, comma 1, d.l. n. 28 del 2020 come da verbale, gli appelli venivano trattenuti in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene, preliminarmente, di riunire i due ricorsi in appello in considerazione dell’evidente connessione soggettiva ed oggettiva.
In accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa della regione Lazio, dà anche atto della tardività delle memorie di merito della Di., depositate alle ore 18.06 del 18 maggio 2020 a fronte dell’udienza fissata per il 18 giugno 2020, e ne dispone lo stralcio.
Inoltre, per la Regione la cessazione degli effetti degli originari provvedimenti di conferimento degli incarichi e la mancanza di una specifica impugnazione anche dei nuovi provvedimenti di rinnovo degli stessi avrebbe inequivocabilmente determinato la sopravvenuta carenza di interesse. Pertanto, i presenti giudizi sarebbero improcedibili, con ogni dovuta conseguenza processuale sui ricorsi originariamente promossi.
Né a fondare un asserito interesse potrebbe essere la proponibilità in futuro di un ricorso sul risarcimento del danno atteso che, ai fini dell’operatività del precetto di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. è indispensabile che la domanda risarcitoria sia stata già proposta nello stesso giudizio, o in altro separato. A ciò si aggiunga che controparte ha genericamente indicato la sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale asseritamente subito dagli originari ricorrenti.
Al contrario, per la Di. Di. La. e gli altri appellati sussisterebbe ancora l’interesse ad una pronuncia nel merito, atteso che: oggetto del presente giudizio non sono gli atti di conferimento di incarico, ma gli avvisi di ricerca di professionalità e gli atti ad essi presupposti; almeno per tre Direzioni regionali – rispetto alle sette oggetto del presente giudizio – sono stati nuovamente impugnati gli avvisi adottati nel 2018 e sono ancora sub iudice; che gli odierni appellati persone fisiche, possono – nei termini di cui all’art. 30 del c.p.a. – proporre domanda risarcitoria per perdita di chance per illegittima pretermissione dal conferimento degli incarichi per cui è causa, per essere stati gli stessi affidati – in carenza dei presupposti di legge – a soggetti esterni all’amministrazione.
Il Collegio non ignora che sul tema si registra un contrasto tra l’orientamento più recente, per il quale l’art. 34, comma 3, c.p.a. non può essere interpretato nel senso che, in seguito ad una semplice generica indicazione della parte e in mancanza di una specifica domanda in tal senso, il giudice debba verificare la sussistenza di un interesse a fini risarcitori, anche perché, sul piano sistematico, diversamente opinando, perderebbe di senso il principio dell’autonomia dell’azione risarcitoria enucleato dall’art. 30 dello stesso c.p.a. e verrebbe svalutato anche il principio dispositivo che informa il giudizio amministrativo e che preclude la mutabilità ex officio del giudizio di annullamento, una volta azionato (cfr. Cons. Stato, III, 29 gennaio 2020, n. 736; IV, 17 gennaio 2020, n. 418; III, 8 gennaio 2018, n. 5771) e quello tradizionale, per il quale, ai sensi dell’art. 34 comma 3, c.p.a., l’improcedibilità del ricorso non fa venir meno l’interesse ad una decisione che dichiari ed accerti l’illegittimità del provvedimento impugnato, in vista della proposizione della autonoma domanda risarcitoria: si tratterebbe, invero, di una regula iuris che si connette al più grande principio di effettività della tutela giurisdizionale ed al corollario che da tale principio deriva, costituito dall’ammissibilità di azioni di accertamento anche atipiche (cfr. Cons. Stato, V, 28 febbraio 2018, n. 1214; IV, 5 dicembre 2016, n. 5102; IV, 16 giugno 2015, n. 2979; V, 28 luglio 2014, n. 3997; V, 24 luglio 2014, n. 3957).
In omaggio al principio di effettività della tutela giurisdizionale, nonché in considerazione dell’andamento dei presenti giudizi, si ritiene di aderire all’orientamento tradizionale, che depone per l’esame nel merito delle censure dedotte.
La sentenza impugnata n. 3658 del 2015, relativamente alle censure attinenti gli atti di riorganizzazione presupposti a quelli con i quali la Regione Lazio ha deciso di ricercare all’esterno i soggetti ai quali conferire gli incarichi dirigenziali, ha ritenuto:
– che l’Amministrazione regionale non fosse tenuta ad informare l’Organizzazione Sindacale prima dell’adozione delle determinazioni attinenti l’organizzazione degli uffici e che, comunque, la violazione delle prerogative sindacali esuli dalla cognizione del giudice amministrativo;
– che, tenuto conto del limite di sindacabilità delle determinazioni regionali in tema di riorganizzazione delle Direzioni Regionali, le determinazioni censurate non presenterebbero i censurati profili di illogicità ed irragionevolezza.
Relativamente alle censure attinenti il procedimento di conferimento, l’esito delle selezioni interne, e gli avvisi con i quali sono state indette le selezioni esterne per la copertura degli incarichi dirigenziali in oggetto, la sentenza ha accolto i motivi di ricorso con i quali gli odierni appellati hanno dedotto:
– il superamento dei limiti previsti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione;
– l’incompetenza del Segretario Generale a compiere l’istruttoria della selezione interna.
Le ulteriori censure proposte in primo grado dagli odierni appellati sono state, invece, dichiarate assorbite.
Con la sentenza n. 3670 del 2015 il TAR ha ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse a ricorrere della Di. – Di. La. e dei funzionari direttivi appellati, proposta dai controinteressati Lu. Ma. ed altri.
Nel merito delle censure attinenti il procedimento di conferimento, l’esito delle selezioni interne e gli avvisi con i quali sono state indette le selezioni esterne per la copertura degli incarichi dirigenziali in oggetto, la sentenza impugnata ha accolto, ritenendole fondate, le censure con le quali gli odierni appellati hanno dedotto:
– il superamento dei limiti previsti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione;
– la mancata programmazione triennale ed annuale del fabbisogno delle risorse umane;
– il mancato rispetto della procedura volta alla ricognizione delle professionalità interne, nella parte in cui tale ricognizione non è stata rivolta anche ad individuare la sussistenza di funzionari direttivi (quali gli odierni appellati) in possesso dei requisiti richiesti.
Il Tribunale amministrativo regionale ha, invece, respinto la censura con la quale è stata contestata l’incompetenza del Segretario Generale della Giunta Regionale a svolgere attività nell’ambito dell’istruttoria e della procedura di selezione esterna finalizzata al conferimento di incarichi dirigenziali, per la presunta mancata impugnazione di un atto presupposto (il regolamento regionale n. 1/2002).
Le ulteriori censure proposte in primo grado dagli odierni appellati sono state, invece, implicitamente assorbite.
Il Collegio, in relazione alle eccezioni proposte dalle numerose parti contrapposte ed alle varie censure dedotte con gli appelli principali e incidentali, formula le seguenti statuizioni:
Con riferimento all’eccezione di inammissibilità dei ricorsi e dei motivi aggiunti di primo grado perché proposti in via cumulativa da Di. – sindacato dei dirigenti e dei funzionari direttivi delle regioni italiane – e da dirigenti di ruolo della regione Lazio (nel primo giudizio) e da Di. e funzionari direttivi (nel secondo giudizio), in considerazione della mancanza di un interesse omogeneo di tutti gli iscritti al sindacato alla proposizione degli stessi, la stessa è inammissibile per carenza d’interesse.
Ed invero, proprio in considerazione del fatto che i ricorsi di primo grado sono stati proposti, oltre che dalla Di. – Di. La., anche da tre dirigenti regionali e da 29 funzionari direttivi che, avendo presentato domanda di assegnazione degli incarichi per cui è causa, si sono visti pretermettere dalla decisione di conferire gli stessi a soggetti esterni all’Amministrazione, e non potendo dubitarsi che i tre predetti dirigenti e i ventinove funzionari direttivi abbiano legittimazione attiva al ricorso, ne consegue l’inammissibilità dell’eccezione di difetto di legittimazione della Di. per carenza di interesse, non potendo la stessa in ogni caso portare all’annullamento delle sentenze appellate.
Il Collegio ritiene di respingere anche l’eccezione di assunta genericità degli appelli proposta da Di. ai sensi dell’art. 101 c.p.a., atteso che dall’esame degli atti proposti dalla Regione si evincono con sufficiente idoneità sia i fatti posti alla base della controversia che le censure dedotte avverso le sentenze appellate.
Si ritiene, inoltre, di respingere anche l’eccezione di inammissibilità degli interventi ad adiuvandum in primo grado dei consiglieri regionali e dell’associazione Co. per carenza di legittimazione, sia perché la ricerca di professionalità è stata effettuata sul solo ruolo dei dirigenti della Giunta e non anche su quello del Consiglio Regionale, sia in relazione alla sussistenza dell’indubbio interesse alla legittimità dell’assegnazione degli incarichi dirigenziali nella Regione in capo agli stessi.
Nel merito, la regione Lazio e gli appellanti incidentali destinatari degli incarichi conferiti deducono l’erroneità delle sentenze appellate, che avrebbero ritenuto condivisibili le censure dedotte nei ricorsi di primo grado con riferimento all’illegittimo sforamento delle soglie percentuali entro cui sarebbero conferibili incarichi dirigenziali a personale esterno e all’illegittimità dell’istruttoria della selezione interna, volta ad individuare le professionalità idonee a ricoprire gli incarichi dirigenziali conferendi, che è stata svolta dal Segretario Generale (organo di natura squisitamente fiduciaria del vertice politico dell’Amministrazione) e non dal Responsabile del Ruolo, come invece previsto nell’allegato H al R.R. n. 1/2002 (cfr. la sentenza n. 3658 del 2015), nonché riguardo anche all’illegittimo conferimento di incarichi dirigenziali in assenza della propedeutica programmazione triennale e all’illegittimità connessa alla circostanza che gli incarichi dirigenziali sono stati conferiti dopo un interpello interno volto alla valutazione delle professionalità esistenti, limitato però, in modo asseritamente illegittimo, ai ruoli dirigenziali e non anche ai funzionari direttivi di categoria D quali sono i ricorrenti (cfr. la sentenza n. 3670 del 2015).
Per la Di. e gli altri appellati, nonché per gli appellanti incidentali estromessi dagli incarichi conferiti, le sentenze di primo grado sarebbero da condividere, salvo la statuizione contenuta nella sentenza n. 3670 relativa all’inammissibilità della censura concernente l’assunta incompetenza del Segretario Generale.
Sulle censura concernente il presunto difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo si richiamano integralmente le sentenze della Cassazione nn. 29080 e 29081 del 2018.
Il Collegio ritiene di esaminare, per prima, la censura relativa all’erroneità delle statuizioni del primo giudice in ordine all’assunta incompetenza del Segretario Generale sull’istruttoria della selezione interna.
In proposito, si rileva, innanzitutto, che sia nel ricorso introduttivo che nei motivi aggiunti che sono stati decisi con la sentenza n. 3670 del 2015, il regolamento regionale n. 3/2013, che ha modificato il punto 33 dell’allegato H al regolamento regionale n. 1/2002, è stato ritualmente e tempestivamente impugnato.
Il punto 33 della lett. F dell’allegato H al regolamento regionale n. 1/2002, modificato dall’art. 4, comma 1, lett. g), del regolamento regionale n. 3 del 2013, secondo cui “il Segretario generale valuta le domande in termini di rispondenza ai requisiti richiesti e le segnala al presidente della Giunta al quale spetta individuare la candidatura prescelta” rimette, sostanzialmente, all’organo politico il potere di individuazione del dirigente, sottraendo il medesimo potere al dirigente responsabile, che è invece da ritenersi obiettivamente in grado di assicurare una valutazione più tecnica dei requisiti necessari per l’attribuzione dell’incarico, in coerenza con i noti principi di separazione tra politica e amministrazione, ai sensi dell’art, 97 della Costituzione.
Anche se compete alla Giunta la scelta discrezionale del dirigente da nominare, è indubbio che tutta l’attività prodromica a tale scelta sia di puro carattere gestionale, trattandosi di vagliare oggettivamente il possesso, in capo ai dirigenti interni, dei requisiti per il conferimento degli incarichi da assegnare.
La legge regionale n. 6 del 2002 prevede uno specifico divieto per il Segretario generale di svolgere tali attività, laddove, all’art. 12, prescrive che: “il Segretario generale non può esercitare funzioni amministrative e gestionali, né interferire sulle attività delle strutture organizzative di cui all’art. 11”, e cioè, proprio quelle delle direzioni regionali.
La norma (punto 33 della lett. F dell’allegato H al regolamento regionale n. 1/2002, modificato dall’art. 4, comma 1, lett. g) del regolamento regionale n. 3 del 2013) configura, dunque, sostanzialmente, una deliberazione preparatoria a carattere costitutivo del Segretario generale, che estromettendo il capo del personale, stila una graduatoria che deve essere approvata dal presidente della Giunta regionale.
Ne consegue l’illegittimità della succitata previsione, per l’indebita commistione tra l’attività di indirizzo e quella di gestione che comporta.
Riguardo alla censura concernente l’erroneità dell’accoglimento da parte del giudice di prime cure delle censure dedotte con riferimento all’illegittimo sforamento delle soglie percentuali entro cui sarebbero conferibili incarichi dirigenziali a personale esterno, il Collegio ritiene condivisibili le statuizioni delle sentenze appellate.
L’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 disciplina l’attribuzione degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione. Per le disposizioni della stessa norma, per la prima fascia dirigenziale è possibile disporre il conferimento dell’incarico a soggetti esterni nei limiti del 10% della relativa dotazione organica, ed entro il limite dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia; identica previsione è contenuta nell’art. 20, comma 7, della legge regionale n. 6/2002.
Dall’esame della documentazione versata in atti e, precisamente, del documento di “organizzazione della Giunta Regionale” alla data dell’1 settembre 2014 risulta che le posizioni di prima fascia all’interno del ruolo della Giunta regionale erano 17, il che avrebbe consentito alla Regione di assegnare al massimo due incarichi all’esterno, mentre dagli atti impugnati si evince che, in violazione dei succitati limiti numerici previsti dalla legge, al di fuori del personale interno sono stati attribuiti ben sei incarichi apicali. Le posizioni di seconda fascia erano, invece, 240, il che avrebbe consentito alla Regione di assegnare al massimo 19 incarichi all’esterno, mentre dagli atti impugnati si evince che, in violazione dei succitati limiti numerici previsti dalla legge, al di fuori del personale interno sono stati attribuiti ben 42 incarichi di seconda fascia.
La Regione Lazio, richiamando la nota del Dipartimento della Funzione Pubblica 0023637 p-4.17.1.7.4 del 22 maggio 2013, e l’art. 20, comma 7, della legge regionale n. 7/2002, come modificato dalla legge regionale n. 7/2014, deduce che la censura si baserebbe sull’erroneo presupposto che alle Regioni si applichino le percentuali previste dall’art. 19, commi 5-bis e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 per la dirigenza di prima e seconda fascia, mentre la contrattazione collettiva del comparto Regioni ed Enti locali prevede, invece, una qualifica dirigenziale unica e, quindi, sarebbe inapplicabile la disciplina di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 nella parte in cui prevede limiti diversi per il conferimento di incarichi di prima e di seconda fascia. Per calcolare i limiti numerici in questione, occorrerebbe, dunque, far riferimento all’intera dotazione organica dei dirigenti regionali, applicando per tutti la più contenuta percentuale dell’8% prevista dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 per la seconda fascia.
Deve convenirsi con le sentenze appellate in ordine alla non condivisibilità della tesi della difesa regionale, in ragione della normativa vigente al momento dello svolgimento della procedura interna ed al momento dell’avvio della selezione del soggetto esterno, in omaggio al principio tempus regit actum. Non può ritenersi applicabile, dunque, una normativa entrata in vigore successivamente.
Neppure è ammissibile effettuare la somma dell’aliquota prevista per il procedimento di reclutamento dei dirigenti esterni (art. 19, comma 6) con quella prevista per il reperimento di personale in comando o distacco proveniente da altra amministrazione (art. 19, comma 5-bis), trattandosi di procedure ontologicamente eterogenee che devono seguire ciascuna un’apposita istruttoria.
Più specificamente, l’art. 19, comma 5-bis, del d.llgs. n. 165/01 si riferisce al conferimento di incarichi dirigenziali “a dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui all’articolo 23, purché dipendenti delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ovvero di organi costituzionali, previo collocamento fuori ruolo, aspettativa non retribuita, comando o ana provvedimento secondo i rispettivi ordinamenti”, dunque presuppone che il soggetto sia comandato da altra amministrazione, ovvero sia posto in posizione di fuori ruolo per incarichi dirigenziali di pari livello e senza alcuna evidenza pubblica.
Nel caso di specie, invece, gli avvisi di ricerca all’esterno ed i relativi conferimenti di incarico, anche per livelli diversi, sono avvenuti ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001, previo avviso di selezione, con la conseguenza che i limiti percentuali applicabili sono soltanto quelli fissati nella medesima disposizione, nonché nell’art. 20, comma 7, della legge della regione Lazio n. 6 del 2002.
Dal combinato disposto dell’art. 19, del d.lgs. n. 165 del 2001, dalla legge regionale n. 6 del 2002, del regolamento regionale n. 1 del 2002 e dell’allegato H al citato regolamento regionale n. 1/2002, si ricavano i succitati limiti quantitativi per l’utilizzo di risorse esterne all’Amministrazione per ricoprire incarichi apicali, che dovevano ricomprendere anche quelli di diretta collaborazione, parificati dalla costante giurisprudenza contabile a quelli dirigenziali. Ciò risulta, del resto, confermato dalla deliberazione n. 24 del 2013 della Corte dei Conti per il Lazio in sede di controllo, avente ad oggetto “valutazioni sulla relazione di fine legislatura della Regione Lazio”, che, nel paragrafo “Violazione del principio di ragionevolezza e logicità dell’agire amministrativo nell’applicazione di norme regionali e regolamentari”, ha rilevato che: “Con riferimento alle modalità di calcolo dei dirigenti esterni, residuano le perplessità circa le motivazioni addotte dalla Regione sulle modalità di applicazione della norma regionale (articolo 20, comma 7. L r. 6/2002) e delle norme regolamentari (Giunta regionale: art. 162 comma 6; Consiglio regionale: art. 106, comma 5), stante l’esistenza, di fatto, nell’assetto organizzativo dirigenziale della Regione Lazio, di dirigenti di 1^ e 2^ fascia, come riconosciuto dalla stessa Amministrazione con propri provvedimenti. L’applicazione della distinzione del ruolo dirigenziali in 1^ e 2^ fascia limitata ai soli aspetti economici (retribuzione di posizione) ed al conferimento degli incarichi dirigenziali, e non estesa anche alla determinazione della percentuale di incarichi affidabili ai soggetti esterni all’Amministrazione, oltre che essere in contrasto con la citata normativa regionale e regolamentare della stessa Regione Lazio, in mancanza della esplicitazione del ragionamento logico-giuridico che ne sta alla base, si prospetta come in violazione del principi di ragionevolezza e logicità dell’agire amministrativo e può comportare ricadute dirette sulla voce ‘spesa di personalè del bilancio regionale”.
Il Collegio condivide anche le statuizioni del primo giudice in ordine all’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2, comma 49, della legge regionale n. 7/2014, che prevede che: “in sede di prima applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 20, comma 7, della Lr. n. 6/2002, come modificato dal comma 48, lett. f), n. 5, sono, in ogni caso, salvaguardati gli incarichi dirigenziali in essere, nonché quelli le cui procedure di conferimento sono già state avviate alla data di entrata in vigore della presente legge”, dovendo tale norma essere valutata in considerazione delle novità introdotte con la legge regionale n. 7/2014 ed, in particolare, della soppressione delle due fasce del ruolo dirigenziale e dell’introduzione della qualifica dirigenziale unica e dell’unico limite dell’8% della dotazione organica per il conferimento degli incarichi dirigenziali a soggetti esterni. Deve essere, dunque, consentito il mantenimento dei soli incarichi dirigenziali (conferiti e conferendi entro il 15 luglio 2014) nel limite del 10% della prima fascia e dell’8% della seconda fascia, non essendo, quindi, precluso al giudice amministrativo valutare la legittimità dei conferimenti adottati oltre tali limiti percentuali.
Con riferimento al motivo concernente l’assunta erroneità della sentenza n. 3670 per avere ritenuto illegittimo il conferimento di incarichi dirigenziali in assenza della propedeutica programmazione triennale, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 13 della legge regionale n. 6 del 2002, deve ribadirsi, preliminarmente, che sussiste un indubbio interesse alla decisione della censura in relazione al rinnovo della procedura che conseguirebbe all’annullamento degli atti impugnati.
Dalla documentazione versata in atti risulta che la deliberazione n. 396 del 6.8.2012, che stabiliva il programma triennale ed annuale del fabbisogno del personale per il triennio 2012-2014, era riferita alla sola dirigenza ed è stata redatta dal D.I. di Ca. e non dagli organi di vertice dell’Amministrazione regionale.
Ne consegue la perfetta condivisibilità della sentenza appellata, anche nella parte in cui afferma che il provvedimento n. 396 del 6.8.2012: “- oltre ad essere stato adottato con riferimento alla sola dirigenza -, è stato redatto dal D.I. di Ca. (anziché dagli organi di vertice dell’Amministrazione regionale) e risulta essere stato annullato con determinazione del Direttore Risorse Umane e Sistemi informativi n. G08419 dell’11.6.2014 (recante l'”Annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241/90, delle Determinazioni del Direttore del Dipartimento Istituzionale e Territorio nn. A6904 del 13.12.2010; A07640 del 25.7.2012” mediante le quali era stato conferito l’incarico di studio per l’individuazione dei fabbisogni della Giunta della Regione Lazio all’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale). Tale annullamento d’ufficio è basato sulla circostanza che “la documentazione prodotta dal DIAM nell’espletamento dell’incarico di studio per l’individuazione dei fabbisogni della Giunta Regionale e del successivo incarico di aggiornamento conferito con determinazione n. A07640 del 25.7.2012 presenta un contenuto non innovativo, tale da non giustificare l’affidamento a soggetto esterno all’Amministrazione” e, pertanto, “sussistono le preminenti ragioni di interesse pubblico, connesse alle obiettive esigenze di tutela dell’erario, per procedere all’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art21 nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241” in quanto “l’interesse pubblico all’annullamento prevale sugli interessi dei soggetti destinatari dei provvedimenti stante il contenuto meramente ricognitivo dell’opera di consulenza prestata”.
Neppure può ritenersi idoneo, a tal fine, il “Programma triennale del fabbisogno del personale della Giunta regionale del Lazio 2014-2016” adottato con DGR n. 139 del 25 marzo 2014, perché successivo al conferimento degli incarichi di cui si discute.
Il reclutamento esterno di dirigenti regionali risulta, dunque, avvenuto senza che la Regione abbia provveduto ad effettuare un’adeguata programmazione triennale ed annuale del fabbisogno di risorse umane.
In proposito pare utile richiamare una pronuncia di questo Consiglio, per le cui statuizioni il reclutamento del personale all’interno delle Amministrazioni deve avvenire nel rispetto delle procedure vigenti, e cioè sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale, mediante procedure che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno e con adeguata pubblicità della selezione (cfr. Cons. Stato, VI, 2228 del 2012).
Deve, infine, scrutinarsi la censura relativa alla dedotta erroneità delle statuizioni contenute nella sentenza n. 3670 riguardo alla ritenuta illegittimità connessa alla circostanza che gli incarichi dirigenziali sono stati conferiti dopo un interpello interno volto alla valutazione delle professionalità esistenti, limitato però, ai soli ruoli dirigenziali e non anche ai funzionari direttivi di categoria D.
Ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali, l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che gli incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’Amministrazione possono essere conferiti: – fornendone esplicita motivazione; – rendendo conoscibili al personale interno (mediante pubblicazione dell’avviso) il numero, la tipologia e i criteri per l’affidamento degli incarichi; – dopo aver accertato che la professionalità richiesta non sia rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione.
In particolare, ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001: “gli incarichi di cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna amministrazione (…) a tempo determinato ai soggetti indicati dal presente comma. (…) Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazione scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato”.
Per l’art. 20, comma 7, della legge regionale n. 6 del 2002, gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti con contratto a tempo determinato a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale “non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione (..) che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile (…) da concrete esperienze di lavoro maturate, per almeno un quinquennio, anche presso pubbliche amministrazioni, ivi compresa l’amministrazione regionale, nella posizione funzionale prevista per l’accesso alla dirigenza” con collocamento in aspettativa nel caso di assegnazione dell’incarico a dipendenti appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione.
Risultano da condividere, dunque, le statuizioni del primo giudice, per le quali: “A parere del Collegio, l’impossibilità di rinvenire professionalità nei ruoli dell’Amministrazione deve intendersi nel senso che la ricerca all’esterno deve seguire l’accertamento del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione e, quindi, anche tra i funzionari direttivi di categoria D, in caso di vacanza in organico di personale dirigenziale.
In questo senso depone l’uso del plurale “ruoli” sicché, la norma va riferita sia al ruolo dirigenziale (che va sondato in via principale) che a quello del personale direttivo (che va preso in considerazione in via subordinata), anche al fine di ridurre le spese dell’Amministrazione evitando, ove possibile, il ricorso a professionalità esterne, in linea con i principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa”.
In conclusione, ai sensi del combinato disposto del comma 6 dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e del comma 7 dell’art. 20 della legge regionale n. 6 del 2002, la ricerca all’esterno di professionalità deve seguire alla verifica del possesso dei requisiti richiesti in capo a soggetti già appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione e, quindi, anche tra i funzionari direttivi di categoria D.
Nella fattispecie all’esame del Collegio, al contrario, accertata l’impossibilita di ricoprire i posti attraverso dirigenti interni, il Direttore della Direzione regionale risorse umane ha pubblicato gli avvisi per il conferimento dell’incarico all’esterno.
Tale procedura deve ritenersi, dunque, viziata in quanto rivolta in via esclusiva nei confronti del personale dirigenziale, e non anche di quello direttivo.
Alla luce delle suesposte considerazioni: gli appelli principali riuniti della regione Lazio vanno respinti; l’appello incidentale proposto da Di. nel giudizio n. 2409 del 2015 va dichiarato improcedibile; gli appelli incidentali proposti da Di. e dai controinteressati estromessi dagli incarichi nel giudizio n. 2410 del 2015 vanno in parte accolti e per il resto dichiarati improcedibili; gli appelli incidentali proposti dagli assegnatari degli incarichi nel giudizio n. 2410 del 2015 vanno respinti.
In considerazione dell’andamento del giudizio e della complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese dei giudizi riuniti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli principali riuniti della regione Lazio, come in epigrafe proposti, li respinge; dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto da Di. nel giudizio n. 2409 del 2015; accoglie in parte e per il resto dichiara improcedibili gli appelli incidentali proposti da Di. e dai controinteressati estromessi dagli incarichi nel giudizio n. 2410 del 2015; respinge gli appelli incidentali proposti dagli assegnatari degli incarichi.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020, tenuta con le modalità di cui agli artt. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020 e 4, comma 1, d.l. n. 28 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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