Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 4 gennaio 2019, n. 89.

La massima estrapolata:

In ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione di attività, la violazione del termine di sette giorni per le comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 introdotto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 44, determina l’illegittimità del licenziamento e la sanzione del pagamento dell’indennità risarcitoria, per effetto dell’espresso richiamo dell’art. 24 della predetta legge all’art. 4 citato, operato al fine di consentire il controllo sindacale sull’effettività della scelta datoriale.

Ordinanza 4 gennaio 2019, n. 89

Data udienza 13 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18873-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), unitamente agli Avvocati (OMISSIS) dai quali sono congiuntamente e disgiuntamente rappresentati e difesi giusta delega in atti.
– ricorrenti –
contro
ENFAP Ente Nazionale Formazione e Addestramento Professionale, Comitato Regionale Sicilia, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, unitamente all’Avvocato (OMISSIS) dal quel e’ rappresentato e difeso, giusta procura in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 452/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 23/05/2017 R.G.N. 1161/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2018 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

RILEVATO

che, con la sentenza n. 452/2017, la Corte di appello di Palermo ha confermato la pronuncia del 21.4.2017 del Tribunale della stessa citta’ con la quale, in riforma della precedente ordinanza del 27.1.2016, era stata respinta la domanda di declaratoria di illegittimita’ dell’atto di recesso datoriale, comminato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dall’ENFAP all’esito di una procedura di licenziamento collettivo, con missiva del 14.10.2014;
che avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti lavoratori affidato a dieci motivi;
che l’ENFAP -Ente Nazionale Formazione e Addestramento Professionale- Comitato Regionale Sicilia, ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articoli 4 e 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere errato la Corte di appello nell’affermare che l’inosservanza dei termini e delle procedure previsti dalla L. n. 223 del 1991, articolo 4 non determina l’inefficacia dei licenziamenti intimati in quanto la suddetta statuizione si poneva in contrasto con la modifica legislativa di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 12 operata dalla L. n. 92 del 2012; 2) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9 e articolo 5, comma 3, come modificati dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 44, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale irrilevante la violazione del termine di sette giorni, entro il quale, dalla comunicazione dei recessi, andava trasmesso l’elenco dei lavoratori licenziati alle competenti autorita’ ed uffici, sebbene l’articolo 4, comma 12 prevedesse espressamente l’inefficacia della comunicazione in ipotesi di mancata osservanza del detto termine; 3) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9, come codificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 44, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito ritenuto superflua la comunicazione dell’elenco dei lavoratori all’Ufficio Provinciale del lavoro sulla base del presupposto, rivelatosi fallace, dell’avvenuto licenziamento di tutto il personale; 4) l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere considerato la Corte di appello che il licenziamento non aveva coinvolto in termini assoluti tutto il personale: fatto questo pacifico e risultante documentalmente; 5) l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ la violazione dell’articolo 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte di appello ritenuto di potere ovviare alla incompletezza della comunicazione L. n. 223 del 1991, ex articolo 4, comma 9, con la produzione di nuovi documenti effettuati dall’ENFAP in sede di reclamo; 6) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, commi 5, 6, 7 e 12 e dell’articolo 5, comma 3 e ss, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte territoriale considerato rilevante la violazione dei termini prescritti dalle suindicate disposizioni a fronte della statuizione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 12 che prevede come sanzione la inefficacia dei licenziamenti; 7) l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere rilevato la Corte di appello che il recesso datoriale era stato intimato oltre il termine di gg. 120 dalla data di conclusione della procedura di mobilita’, in violazione dei termini di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 4; 8) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9 e dell’articolo 5 e ss, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l’onere di specificazione dei criteri di scelta, indipendentemente dalle contestazioni dei prestatori di lavoro, poteva ritenersi assolto in considerazione della mera indicazione ed elencazione dei nominativi dei lavoratori, delle mansioni e dell’anzianita’ di servizio, dovendosi, invece, avere riguardo al fatto che fosse stata o meno effettuata da parte del datore di lavoro una valutazione comparativa tra le singole posizioni dei prestatori di lavoro; 9) la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 15 e ss, per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello non necessario il coinvolgimento della Direzione Regionale del Lavoro, nella procedura in esame, pur riguardando l’eccedenza unita’ produttive indicate in diverse province della stessa regione e in piu’ regioni, sul presupposto di una delega di tutte le funzioni in materia alla Direzione Provinciale del Lavoro perche’, secondo i ricorrenti, comunque la Direzione Regionale sarebbe dovuta essere la destinataria delle varie comunicazioni, a prescindere da chi fosse interessata, per rapporti interni, a seguire le successive fasi; 10) l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che I’ENFAP era stato riaccreditato, come risultava provato dai rapporti di convenzione con la Regione Sicilia e dallo inserimento dello stesso nel catalogo dell’offerta formativa, di talche’ erano venuti meno i presupposti del licenziamento e del giustificato motivo oggettivo;
che il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilita’.
E’ infondato relativamente al principio richiamato nella gravata sentenza, in riferimento alla circostanza che il mancato rispetto dei termini previsti dalla L. n. 223 del 1991, articolo 4 per l’espletamento delle varie fasi della procedura non comporta l’illegittimita’ e l’inapplicabilita’, ai singoli lavoratori interessati, dei provvedimenti conclusivi, atteso che tale effetto non e’ previsto da alcuna disposizione legislativa e perche’ i detti termini non sono posti a tutela dei lavoratori (cfr. Cass. 10.2.2009 n. 3261): e sotto questo profilo la nuova disciplina di cui alla legge n. 92 del 2012 non ha apportato modifiche su detto specifico aspetto. E’, invece,
inammissibile, per genericita’ della doglianza, li’ dove approssimativamente si fa riferimento al mancato rispetto dei termini previsti dal citato articolo 4 quando, invece, come si vedra’ nell’esame del motivo che segue, la censura deve essere specifica in relazione al termine che si assume asseritamente violato;
che il secondo motivo e’, invece, fondato: la Corte territoriale, relativamente alla comunicazione all’Ufficio Regionale del Lavoro dell’elenco dei lavoratori licenziati, ha affermato che l’eccepita violazione del termine di sette giorni previsto dalla L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9 era priva di pregio laddove si verteva in ipotesi di cessazione dell’attivita’ datoriale e del conseguentemente licenziamento di tutto il personale non determinando la eventuale inosservanza la possibilita’ di una concreta ripresa dell’attivita’ lavorativa.
Tale assunto contrasta con il principio di legittimita’ (cfr. Cass. 22.11.2016 n. 23736) cui si intende dare seguito, secondo il quale, invece, in ipotesi di licenziamento collettivo per cessazione di attivita’, la violazione del termine di sette giorni per le comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, articolo 4, comma 9 introdotto dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 44, determina l’illegittimita’ del licenziamento e la sanzione del pagamento dell’indennita’ risarcitoria, per effetto dell’espresso richiamo dell’articolo 24 della predetta legge all’articolo 4 citato, operato al fine di consentire il controllo sindacale sull’effettivita’ della scelta datoriale. L’assimilazione della cessazione di attivita’, infatti, alle ipotesi di licenziamento collettivo per “riduzione o trasformazione di attivita’ o di lavoro” e’ coerente con quanto emergeva dai lavori preparatori della legge (atteso che il testo approvato dal Senato conteneva l’espressa previsione della inapplicabilita’ della normativa in esame alle ipotesi di cessazione dell’attivita’ di impresa per provvedimento dell’Autorita’ giudiziaria”, ma questa limitazione venne poi soppressa nel testo approvato dalla Camera dei Deputati). Va, poi, anche sottolineato che la cessazione dell’attivita’ e’ inserita in quella complessa concertazione attraverso cui la normativa sulla mobilita’ tende a ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione dell’impresa sull’occupazione (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 6 del 1999);
che, pertanto, il secondo motivo deve essere accolto, rigettato il primo e assorbita la trattazione degli altri, e la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione che, alla stregua del suddetto principio, dovra’ procedere ad un nuovo esame, mediante anche un accertamento in fatto, precluso in questa sede, onde verificare se effettivamente la comunicazione sia stata (quando e in che modo) inviata al competente Ufficio, provvedendo anche sulla determinazione delle spese di lite del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo e assorbiti gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

Avv. Renato D’Isa

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