L’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche, non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 5 ottobre 2018, n. 5731.

La massima estrapolata:

L’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche, non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.

Sentenza 5 ottobre 2018, n. 5731

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5695 del 2012, proposto da:
Ma. Co., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ma. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. VI n. 6902/2011, resa tra le parti, concernente diffida di demolizione e rimessa in pristino.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 settembre 2018 il Consigliere Oswald Leitner e udito, per il ricorrente, l’avvocato Fr. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ordinanza 10/04/2007 prot. 6056 (notificata il 17/04/2007) il Dirigente del Settore Urbanistico del Comune di (omissis) ha così testualmente statuito:
“vista la annotazione relativa all’accertamento tecnico eseguito a cura dell’Ufficio Circondariale Marittimo Guardia Costiera di (omissis) per occupazione abusiva di suolo demaniale in località (omissis) del Comune di (omissis), per aver realizzato un manufatto in cemento adibito a giardino di circa 60 mq, si diffida Co. Fo., nato il (omissis) ad (omissis) e residente in Catanzaro via (omissis), a voler provvedere ai sensi dell’art. 35 T.U. dell’Edilizia approvato con D.P.R. 06-06-2001, alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi delle opere in premessa, entro e non oltre 30 gg. dalla notifica della presente”.
Avverso tale provvedimento il sig. Fo. Co. ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per la Calabria che ha accolto la domanda di sospensione.
Con sentenza n. 583/2010, depositata il 28-04-2010, il T.A.R. ha quindi respinto il ricorso.
Essendo defunto il sig. Fo. Co., l’odierno ricorrente, sig. Ma. Co., nella sua qualità di erede, ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, che ha respinto il gravame con la sentenza oggetto della presente impugnativa per revocazione.
Nella sua sentenza, il Consiglio di Stato esponeva che nella sentenza di primo grado “si ritenevano non forniti elementi di prova, circa il carattere non demaniale dell’area occupata e si ravvisava la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 35 del T.U. dell’Edilizia n. 380/2001.
Avverso la predetta sentenza veniva proposto l’atto di appello in esame (n. 105/11, notificato il 13.12.2010), nel quale si ribadiva, viceversa, l’inapplicabilità della predetta norma, dovendo rilevarsi nella fattispecie non realizzazione di interventi edilizi ma, eventualmente, occupazione di suolo pubblico, in rapporto alla quale sarebbe stata ammissibile solo un’ordinanza di sgombero, a norma dell’art. 54 del codice della navigazione (previa delimitazione dei confini, a norma dell’art. 32 del medesimo codice), senza alcuna competenza del Comune al riguardo. I manufatti realizzati, inoltre, avrebbero avuto il carattere di mere pertinenze ed accessori, rispetto ad un immobile ad uso abitativo, debitamente autorizzato a norma dell’art. 55 del codice della navigazione e per il quale sarebbe stata necessaria la costruzione di un muro di contenimento, dato il dislivello esistente rispetto all’arenile.
Premesso quanto sopra, con sentenza interlocutoria n. 4804/11 del 24.8.2011 il Collegio riteneva necessario acquisire dall’Amministrazione appellata, in via istruttoria, i seguenti documenti:
a) descrizione dello stato dei luoghi, corredata di materiale fotografico;
b) documentata relazione, circa gli elementi di fatto e di diritto considerati dall’Amministrazione in ordine alla ravvisata natura demaniale del terreno, circostante un’abitazione che – essendo stata autorizzata a norma dell’articolo 55 del codice della navigazione – deve presumersi realizzata a trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio di terreni elevati sul mare.
In esito a tale fase interlocutoria il Comune di (omissis) depositava, in data 4 e 17 ottobre 2011, la nota n. prot. 5/1429 del 31.1.2008 della Capitaneria di Porto di Crotone, sezione Demanio/Ambiente – Contenzioso, nonché documentazione fotografica attestante lo stato dei luoghi, con successiva integrazione documentale il 22.11.2011. Nella nota sopra citata, in primo luogo, si dava comunicazione del deferimento all’Autorità giudiziaria di Catanzaro del signor Co. Lu. (non identificabile con l’attuale appellante, ma proprietario di abitazione limitrofa a quella di cui trattasi, unitariamente progettata ed autorizzata) – ai sensi degli articoli 54/1161 cod. nav. – per occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo su un’area di mq. 68 circa, adibita a terrazzo. Successivamente (chiarita la distinzione fra le due proprietà, oggetto di analoghe contestazioni) veniva depositata “annotazione relativa ad accertamento tecnico” a carico del signor Co. Fo. (dante causa dell’attuale appellante), in data 7.11.2005: accertamento conseguente all’ispezione di cui alla nota n. prot. 13719 del 26.11.2004 dell’Agenzia del Demanio di Catanzaro ed attestante l’occupazione di una porzione di area demaniale marittima; detta annotazione risulta accessoria ad un verbale di ispezione – redatto in pari data, alla presenza del signor Co. Fo., dal medesimo ufficiale di polizia giudiziaria e già depositato in primo grado di giudizio – in cui si dà atto di avere “constatato e verificato….occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, per una superficie di 60 mq. circa, adibito a giardino, recintato mediante un muro di calcestruzzo ed al ciglio superiore con blocchetti di cemento, altro mt. 2,5 circa”. Detto verbale veniva espressamente qualificato comunicazione di avvio del procedimento, finalizzato all’emanazione di ordinanza di sgombero.
L’appellante, a sua volta, segnalava la sostanziale inottemperanza alle richieste istruttorie, contenute nella citata sentenza n. 4804/11 e depositava documentazione, fra cui licenza edilizia n. 257 del 23.12.1971, nulla osta alla costruzione della Capitaneria di Porto ex art. 55 cod. nav. e verbali di delimitazione demaniale, ribadendo il carattere di pertinenza necessaria all’abitazione del giardino di cui trattasi, previsto nella concessione originariamente assentita e non ricadente in area demaniale, risultando la costruzione autorizzata, ai sensi dell’art. 55 del codice della navigazione, in quanto ubicata nei 30 metri dall’area demaniale e non all’interno della stessa”.
Su tali presupposti fattuali, il Consiglio di Stato, con detta sentenza 28-11-2011, n. 6902 ha premesso che “tenuto conto delle opposte argomentazioni delle parti, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento”, ritenendo che “in esito all’istruttoria, infatti, il Comune di (omissis) ha prodotto documentazione sufficientemente esaustiva, anche al di là del termine assegnato: termine, tuttavia, non perentorio, essendo contraria a principi di economia processuale l’inibita acquisizione di dati conoscitivi – in parte, peraltro, già risultanti dagli atti – ove ritenuti utili per la decisione, ferme restando le esigenze di difesa, nella fattispecie soddisfatte con ampia discussione dei dati stessi nell’udienza in data odierna (cfr., per il principio, Cons. St., sez. VI, 6.4.2007, n. 1560 e 10.3.2011, n. 1538).
Dalla documentazione sopra indicata, in particolare, emerge l’accertamento del carattere demaniale di una porzione di terreno, antistante all’abitazione dell’attuale appellante, che sarebbe stata da quest’ultimo abusivamente occupata; tale accertamento, effettuato in contraddittorio con l’interessato, costituisce il presupposto del provvedimento impugnato, emesso ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’edilizia, riferito – per quanto qui interessa – ad interventi senza titolo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici).
In tale contesto il provvedimento stesso – il cui contenuto potrebbe apparire non del tutto chiaro, in quanto riferito ad un “manufatto in cemento adibito a giardino”, ma che viene meglio specificato, “per relationem”, nell’atto presupposto in precedenza riportato – costituisce mera diffida (come tale, del resto, formalmente definita e prevista dalla norma), in ordine ad interventi edilizi, in effetti di modesta entità, concretizzati nella realizzazione di un muro di contenimento e di una scala in cemento, retrostante ad un cancello in ferro, con funzione rispettiva di recinzione e di passaggio verso l’abitazione; detti interventi, d’altra parte, appaiono tutt’altro che privi di rilevanza, ove finalizzati a conglobare alla proprietà privata una porzione di terreno demaniale, non suscettibile di formare oggetto di diritti di terzi, a norma dell’art. 823 cod. civ. e dell’ulteriore legislazione in materia di demanio marittimo. Anche ove realizzate da moltissimo tempo, quindi, le opere sopra indicate non potrebbero insistere su area demaniale, con conseguente sussistenza dei presupposti per la relativa rimozione in base al citato Testo Unico, le cui disposizioni si affiancano a quelle concernenti lo sgombero dell’area, in base alla procedura che si affermava avviata nel ricordato verbale di ispezione del 7.11.2005 (sulla potestà concorrente del Comune, in materia di abusi edilizi su area demaniale cfr. anche Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giurisd., 14.4.1998, n. 199).
Emerge da quanto sopra, in ogni caso, che oggetto principale del contendere non sono i modesti manufatti contestati, ma la natura demaniale del terreno, ostativa di qualunque pur minimo intervento senza titolo da parte di soggetti privati.
Il carattere demaniale della piccola porzione di terreno di cui trattasi, in effetti, è contestata dall’appellante, di cui non risulta però alcuna attivazione dopo la verifica in contraddittorio, intervenuta nel 2005 e le cui successive allegazioni non appaiono, al riguardo, di chiara e incontrovertibile lettura; una rinnovata verificazione nella presente sede giudiziale, d’altra parte, sarebbe eccedente rispetto ai limiti dell’accertamento incidentale, previsto per il giudizio amministrativo dall’art. 8 della legge 1034/1971, speculare all’art. 5 della legge n. 2248/1865, all. E), non potendo detto accertamento consistere nella soluzione di controversie affidate all’Autorità giudiziaria ordinaria, con conseguente circoscrizione del sindacato giurisdizionale in questione al contenuto oggettivo degli atti, che siano fonte costitutiva o anche meramente ricognitiva di un diritto, senza possibile estensione a controversie al riguardo sussistenti o da proporre in altre sedi competenti (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 27.2.2008, n. 713, nonché, per quanto riguarda la competenza del giudice ordinario per l’accertamento dei confini del demanio marittimo, Cass. civ. SS.UU. 11.3.1992, n. 2956 e 18.4.2003, n. 6347; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giur., 25.5.1998, n. 322).
Non possono ritenersi esaustivi, pertanto, gli elementi indiziari forniti dall’appellante, circa la conformità dell’intero intervento edilizio – ivi compreso il muro di contenimento con sovrastante giardino – al progetto regolarmente assentito, previa autorizzazione ex art. 55 cod. nav.; il Comune resistente, infatti, sottolinea l’omessa produzione di elementi di prova, circa l’effettiva estensione ed i confini dell’area di proprietà, insistente su un lotto che, in base a visura catastale prodotta (particelle nn. (omissis)) sarebbe di estensione pari a mq. 537,00 e non a mq. 610 come dichiarato.
Allo stato degli atti, in conclusione, il Collegio ritiene che sussistessero i presupposti per la legittima emanazione della diffida impugnata, quale momento di una procedura complessa, che può conoscere ulteriori fasi di verifica circa la reale collocazione del confine demaniale e che certamente implicherà nuovi provvedimenti e più dettagliata definizione degli interventi, che l’Amministrazione ritenga di dover disporre per il ripristino dell’area demaniale marittima in discussione”.
Avverso tale sentenza, il sig. Ma. Co. ha proposto ricorso per revocazione, articolando due motivi di ricorso.
Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.
All’udienza del 27-09-2018, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce che nella sentenza reclamata si afferma che si è deciso “tenuto conto delle opposte argomentazioni delle parti”, ma ciò non potrebbe condividersi considerato che (per evidente errore di fatto) la sentenza non ha esaminato atti e motivi aventi carattere determinante al fine della decisione.
Sia in primo che in secondo grado, infatti, era stata dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione degli articoli 7 e 8 della L. n. 241/1990, per difetto di avviso di inizio del procedimento.
Secondo l’appellante, sussisterebbero i presupposti per la deduzione dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 c.p.c., posto che tale errore risulterebbe dagli atti e documenti di causa, per cui la decisione sarebbe fondata sulla presupposizione dell’avviso, la cui verità è incontrastabilmente da escludersi.
Né, peraltro, la valutazione di tale fatto avrebbe costituito un punto deciso sul quale perciò la sentenza avrebbe avuto modo di pronunciare, considerato che la sentenza reclamata (pur in presenza di specifico atto di appello) ha completamente omesso di considerare e finanche menzionare la dedotta inesistenza del detto avviso del procedimento.
2. Il motivo di ricorso per revocazione non risulta meritevole di accoglimento.
Nella specie, infatti, deve ritenersi che il motivo di doglianza relativo al mancato invio dell’avviso di inizio del procedimento sia da considerarsi implicitamente assorbito, avendo il Consiglio di Stato respinto il ricorso nel merito, adducendo motivazioni che attengono alla natura demaniale della striscia di terreno in argomento. Invero, si è in presenza di un implicito assorbimento ogniqualvolta che il ricorso sia fondato su più motivi ed il rigetto di uno soltanto dei quali è da solo determinante per il respingimento del gravame. Ne segue, che nella specie non è ravvisabile il denunciato errore revocatorio ex art. 395, n. 4 c.p.c., avendo il Consiglio di Stato anche dato atto che “anche ove realizzate da moltissimo tempo, quindi, le opere sopra indicate non potrebbero insistere su area demaniale, con conseguente sussistenza dei presupposti per la relativa rimozione in base al citato Testo Unico, le cui disposizioni si affiancano a quelle concernenti lo sgombero dell’area, in base alla procedura che si affermava avviata nel ricordato verbale di ispezione del 7.11.2005 (sulla potestà concorrente del Comune, in materia di abusi edilizi su area demaniale cfr. anche Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giurisd., 14.4.1998, n. 199)”.
3. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce che la sentenza non avrebbe considerato e valutato l’esistenza della richiamata licenza edilizia n. 257 del 23-12-1971 acquisita agli atti del giudizio, per come dà atto la stessa narrativa della sentenza sull’iter del giudizio d’appello.
Tale omesso esame avrebbe particolare rilevanza, considerato che la sentenza reclamata di limita in motivazione ad affermare la natura demaniale della fascia di terreno in questione senza assolutamente fare cenno al fatto che, esistendo la concessione, manca in maniera assoluta il presupposto di una sanzione edilizia, potendo la natura demaniale costituire solo titolo per una sanzione demaniale diversa di competenza dell’autorità demaniale ed avente una distinta ed autonoma oggettività .
Nella specie, la sentenza reclamata assumerebbe solo l’esistenza di un’opera costituente un episodio di occupazione di suolo demaniale, sicché difetterebbe uno dei due presupposti della sanzione edilizia ex art. 35 T.U. Edilizia che richiede, oltre che la esistenza di un suolo demaniale, anche l’esistenza di opere realizzate senza permesso di costruire.
Pertanto sarebbe rilevante la considerazione dell’esistenza della licenza edilizia (che risulta provata in atti), per cui sussisterebbe l’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4 c.p.c., posto che tale errore risulterebbe dagli atti e documenti della causa, per cui la decisione è fondata sulla presupposizione dell’inesistenza di assenso amministrativo, presupposto la cui verità è incontrastabilmente da escludersi.
Resterebbe, poi, il fatto che, sempre con riferimento al titolo edilizio, la fattispecie sarebbe rilevante solo per il muro di contenimento (perché solo questo costituisce opera edilizia). Pertanto, sarebbe viziata da errore la statuizione che conferma la condanna alla demolizione anche del giardino e di quant’altro diverso dal muro e cioè dell’unica opera edilizia in quanto è sola suscettibile di sanzione ex art. 35 del T.U. Edilizia.
4. Il motivo di ricorso non merita accoglimento.
L’errore di fatto deducibile per revocazione, infatti, deve:
a) derivare da errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere come documentalmente provato un fatto in realtà escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere ad un punto controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 10 gennaio 2013, n. 1 e numerose altre, tra cui Cons. Stato, IV, 14 maggio 2015, n. 2431; id., V, 5 maggio 2016, n. 1824).
In sintesi, l’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006), non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; id., 12 gennaio 2017, n. 1296; id., 6 aprile 2017, n. 1610; id., 21 agosto 2017, n. 4047).
Siffatta confusione tra errore revocatorio ed errore di giudizio si rinviene nel caso di specie.
Nella sentenza reclamata, infatti, si dà atto della produzione della licenza edilizia n. 257 del 23-12-1971, esponendo che – secondo l’appellante – nulla osterebbe alla costruzione della Capitaneria di Porto ex art. 55 cod. nav. e verbali di delimitazione demaniale, ribadendo il carattere di pertinenza necessaria all’abitazione del giardino di cui trattasi, previsto nella concessione originariamente assentita e non ricadente in area demaniale, risultando la costruzione autorizzata, ai sensi dell’art. 55 del codice della navigazione, in quanto ubicata nei 30 metri dall’area demaniale e non all’interno della stessa.
Nella specie, quindi, non può affermarsi che il decisum sia derivato da errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere come documentalmente provato un fatto in realtà escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato.
Ciò comporta che, nel caso in esame, potrebbe semmai ravvisarsi un error in iudicando, non avendo il giudicante ricollegato alla licenza edilizia gli effetti che – secondo il ricorrente – ne deriverebbero.
Una rivalutazione degli effetti della licenza nella vicenda oggetto di causa, però, non è ammissibile in questa sede, non risolvendosi il giudizio per revocazione in un terzo grado di giudizio.
5. Conclusivamente, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.
6. Nulla per le spese, non essendosi il Comune di (omissis) costituito in giudizio.
7. Il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso per revocazione rimane a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Nulla per le spese.
Il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso per revocazione rimane a carico del ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

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