Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 5 maggio 2016, n. 1824

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso per revocazione numero di registro generale 9985 del 2015, proposto da:
Consorzio Si. a r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Lu. To., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Lo. Vi. in Roma, via del (…);
contro
Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Lu. Ad., con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
nei confronti di
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania Molise – Unità Operativa di Caserta, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), è legalmente domiciliato;
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 05070/2015, resa tra le parti, concernente affidamento del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani nel territorio di (omissis).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Im. s.r.l. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati To., Ad. e l’avvocato dello Stato, Vi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con provvedimento 17/12/2014 n. 10106, il Comune di (omissis) ha aggiudicato al Consorzio Si. a r.l. il servizio di igiene urbana.
La Im. s.r.l., seconda classificata, ha quindi impugnato davanti al TAR Campania – Napoli il provvedimento di aggiudicazione.
Il Consorzio Si., con ricorso incidentale, ha, a sua volta, contestato l’ammissione alla gara della ricorrente principale.
Il TAR, con sentenza 13/3/2015 n. 1555, ha accolto ambedue le impugnazioni ed ha, pertanto, integralmente annullato la gara.
Entrambe le parti hanno, quindi, impugnato la detta pronuncia.
Con sentenza 6/11/2015 n. 5070, questa Sezione, respinto l’appello proposto in via incidentale da Consorzio Si., ha accolto quello principale della Im..
Ritenendo la sentenza d’appello frutto di errori di fatto, il Consorzio Si. l’ha impugnata chiedendone la revocazione.
A dire del ricorrente gli errori revocatori che inficiano la sentenza sarebbero i seguenti.
1) Con memoria depositata in data 24/9/2015, l’odierno ricorrente aveva eccepito l’improcedibilità dell’appello in quanto la Im., per effetto di sopraggiunti provvedimenti interdittivi antimafia, non poteva più ottenere l’affidamento di contratti pubblici.
L’eccezione è stata respinta sul presupposto che non fosse stato provato il sopraggiunto difetto di interesse alla decisione.
Così facendo, tuttavia, il giudice non ha tenuto conto del fatto che era stato documentalmente provato che le misure interdittive antimafia a carico della Im. erano valide ed efficaci, come emergeva anche dall’allegata ordinanza del TAR Campania – Napoli, n. 1599/2015.
La Im., peraltro, non ha comprovato l’assenza di pericoli di infiltrazioni mafiose e del resto il TAR Campania – Napoli, con ordinanza n. 1838/2015, ha respinto l’istanza di sospensione dei provvedimenti interdittivi avanzata dalla medesima società.
2) L’odierno istante aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso principale proposto in primo grado poiché non recava alcuna indicazione, nè in ordine alle amministrazioni intimate, né riguardo alla paternità del provvedimento gravato.
L’eccezione è stata respinta rilevando che gli elementi identificativi delle parti, nei confronti delle quali il ricorso veniva proposto, era desumibile dalla relata di notifica stesa in calce al ricorso medesimo.
Il giudice non si è, però, accorto che la relata stesa sulla copia del ricorso notificato al Consorzio Si., diversamente da quella contenuta nel ricorso depositato al TAR, non recava l’indicazione completa dei soggetti nei confronti del quale il ricorso era stato notificato.
I requisiti di cui all’art. 40 c.p.a. devono, invero, sussistere in tutte le copie dei ricorsi notificate.
3) L’odierno ricorrente aveva censurato la mancata esclusione dalla gara della Im. per l’omessa dichiarazione dei requisiti di moralità del procuratore speciale sig. Fr. Di. Ma..
Il motivo è stato respinto in considerazione della mancata prova del concreto ruolo da costui svolto nell’ambito della società. In particolare è stata ritenuta non decisiva la visura camerale prodotta in giudizio, in quanto dalla medesima emergeva che i poteri al medesimo attribuiti erano confinati al settore della gestione del personale.
Sennonché, dal certificato prodotto risultava come il Di. Ma. fosse indubbiamente un procuratore speciale dotato di ampi poteri che consentivano di configurarlo come un amministratore di fatto.
E’, quindi, evidente l’errore in cui è incorso il Collegio giudicante.
4) Il giudice d’appello ha censurato la sentenza impugnata perché, a suo dire, il TAR, nel pronunciare sui requisiti soggettivi di moralità del legale rappresentante della Im., si sarebbe inammissibilmente sostituito all’amministrazione, compiendo una valutazione a quest’ultima riservata.
Ma tale conclusione è frutto di un errore di fatto in quanto il TAR si è limitato a censurare il giudizio emesso dalla stazione appaltante senza sconfinare negli ambiti di merito a questa riservati.
5) Con la sentenza qui impugnata è stato respinto il motivo con cui il Consorzio Si. aveva contestato la carenza, in capo all’amministratore della Im., del requisito di cui all’art. 38, lett. f), del D.Lgs. n. 163/2006, sulla base della considerazione che non era stata fornita “alcuna concreta allegazione di situazioni di fatto idonee a integrare neppure questa causa escludente”.
La pronuncia è, però, inficiata da errore di fatto, in quanto le circostanze fattuali idonee a dimostrare la carenza del requisito di che trattasi erano rappresentate dalla pacifica circostanza dell’esistenza del precedente penale a carico dell’amministratore della Im., riferendosi questo a reato commesso nell’esercizio della professione.
6) Il ricorrente Consorzio aveva lamentato che l’offerta della Im. avrebbe dovuto essere esclusa in quanto incerta e ambigua, in conseguenza dalla mancata indicazione degli oneri di sicurezza c.d. esterni, non soggetti a ribasso.
Il giudice d’appello ha respinto il motivo rilevando che, trattandosi di oneri il cui importo è stabilito dalla stazione appaltante, non potevano sorgere dubbi sul fatto che il ribasso proposto dovesse essere riferito all’importo a base di gara, esclusi i detti oneri.
Anche sotto questo profilo la pronuncia si fonda su un errore di fatto, atteso che conferisce carattere di certezza ad un’offerta che di tale carattere è priva.
Il giudicante, incorrendo in un errore di fatto, avrebbe, inoltre, ritenuto un mero obiter dictum l’affermazione concernente l’obbligo di indicare in offerta gli oneri di sicurezza da interferenza, fatta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3/20015.
7) Il Consorzio Si., iscritto al detto Albo Nazionale Gestori ambientali, ma non per tutte le categorie richieste dal bando, ha sopperito alla relativa carenza mediante avvalimento ed essendo la gara precedente all’introduzione del comma 1 bis, dell’art. 49, del D. Lgs. n. 163/2006, che ha vietato il ricorso all’avvalimento in relazione “al requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali”, il medesimo doveva considerarsi in possesso del requisito in parola.
La Sezione, richiamando un proprio precedente, ha accolto il motivo con cui la Im. aveva dedotto come il Consorzio Si. fosse carente del requisito dell’iscrizione al detto Albo, ma ciò ha fatto sulla base di un fraintendimento delle circostanze oggetto di causa.
Infatti, come poc’anzi rilevato, il Consorzio Si. essendo iscritto al detto Albo, ben poteva ricorrere all’avvalimento per sopperire alla categoria mancante.
La circostanza era stata specificamente evidenziata dall’odierno ricorrente, ma il giudice, sul punto, ha omesso di pronunciare.
Per il caso in cui il Collegio dovesse ritenere di non aderire alla tesi qui prospettata, secondo cui nell’offerta economica è obbligatoria l’indicazione degli oneri di sicurezza da interferenza, si chiede la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria.
Per resistere al ricorso si sono costituiti in giudizio, sia la Im., sia il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Con successive memorie tanto il ricorrente quanto la Im., hanno meglio chiarito le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 10/3/2016, la causa, è stata trattenuta in decisione.
L’odierno ricorso per revocazione è inammissibile.
In punto di diritto occorre premettere che l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395 n. 4, c.p.c., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, 14/5/2015 n. 2431).
L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (Cons. Stato, Sez. IV, 13/12/2013, n. 6006).
Pertanto, mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale – senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, Sez. III, 24/5/2012, n. 3053) – esso, invece, non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (Cons. Stato, Sez. V, 11/12/2015 n. 5657; Sez. IV, 26/8/2015 n. 3993; Sez. III, 8/10/2012, n. 5212; Sez. IV, 28/10/2013, n. 5187; Sez. V, 11/6/2013, n. 3210; Sez. VI, 2/2/2012, n. 587; Cass. Civ., Sez. I, 23/1/2012, n. 836; Sez. II, 31/3/2011, n. 7488).
Alle luce dei consolidati principi di diritto poc’anzi illustrati, deve escludersi che nel caso di specie sussitano gli elementi tipici dell’errore di fatto che giustificano e legittimano la proposizione del ricorso per revocazione.
Partendo dal primo dei prospettati errori di fatto, occorre osservare che il giudice ha escluso la sussistenza della dedotta improcedibilità dell’appello, che sarebbe scaturita dalla sopraggiunta interdittiva antimafia, rilevando che:
a) “secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale, ai fini della dichiarazione d’improcedibilità di un ricorso per sopravvenuta carenza di interesse la sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno, per il ricorrente, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, della pronuncia del Giudice; con l’ulteriore precisazione che la relativa indagine deve essere condotta dal giudicante con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d’improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda (v. ad es. C.d.S., IV, 24 ottobre 2012 n. 5450; V, 10 settembre 2012, n. 4773).
b) il provvedimento con cui era stata applicata la misura interdittiva era ancora sub iudice;
c) il Consorzio non era “pervenuto nello specifico a dimostrare una sopraggiunta condizione di totale inutilità della sentenza invocata dall’avversaria”.
Il ricorrente obietta che il giudicante non si sarebbe reso conto che i provvedimenti interdittivi a carico della Im., benché impugnati erano validi ed efficaci, ma ciò può, al più, costituire un errore di giudizio, non certo un errore di fatto.
Insussistente è l’asserito errore di fatto dedotto col secondo motivo.
Si afferma in sentenza: “Il Tribunale ha ritenuto, al contrario, che dalla lettura complessiva dell’atto introduttivo emergessero i dati necessari per l’identificazione degli elementi essenziali della causa, e questa valutazione merita di essere condivisa.
Il ricorso indicava difatti in modo compiuto gli estremi dell’appalto oggetto di controversia e anche quelli del provvedimento aggiudicatorio impugnato. Quanto all’identità della Stazione appaltante, pur se l’art. 40 C.P.A. esige che il ricorso rechi gli elementi identificativi delle parti nei cui confronti viene proposto, esattamente il T.A.R. ha osservato come il detto elemento fosse pur sempre desumibile dal testo della relata di notifica stesa in calce al ricorso medesimo: ed è pacifica in giurisprudenza (cfr. ad es. Sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5662; V, 8 luglio 2014, n. 3459; 30 marzo 1994, n. 197) la necessità di una completa disamina dell’atto introduttivo ai fini dell’individuazione dei suoi contenuti, disamina che quindi s’impone anche prima di poter concludere per la carenza in esso di elementi essenziali”.
Il giudice ha, quindi ritenuto sufficienti, ad integrare l’elemento mancante, le indicazioni contenute nella relata di notifica stesa sull’originale, espressamente pronunciandosi sul punto, il chè esclude la configurabilità del denunciato errore di fatto.
Il terzo e quinto motivo possono essere esaminati in un unico contesto.
Con riguardo agli asseriti errori di fatto a cui le due censure fanno riferimento, la sentenza reca la seguente motivazione.
“10a Il Consorzio con il suo successivo mezzo incidentale torna a dedurre la mancanza di una dichiarazione sostitutiva di onorabilità resa ai sensi dell’art. 38 d.lgs. cit. con riferimento alla posizione del procuratore speciale della IM. sig. Fr. Di. Ma..
La censura è però infondata, non essendo stato allegato alcun elemento atto a permettere una configurazione del suo concreto ruolo nella società, ossia dei poteri sostanziali attribuitigli, alla stregua di quelli di un amministratore di fatto, condizione reputata necessaria dalla giurisprudenza più autorevole (C.d.S., Ad.Pl. 16 ottobre 2013, n. 23) per estendere la soggezione anche dei semplici procuratori al regime degli obblighi sanciti dall’art. 38 cit..
L’appellante si è limitato, invero, a richiamare in modo generico l’ampiezza dei poteri di rappresentanza e firma del sig. Di. Ma., facendo rinvio alle pagg. 6-7 della visura CCIA allegata. Queste, tuttavia, danno conto di poteri che, per il fatto di essere confinati al ristretto settore della gestione del personale, sono inidonei a sorreggere la censura.
10b Parimenti infondato è il rilievo della pretesa esistenza della causa di esclusione di cui alla lett. f) dello stesso art. 38, posto che il Consorzio, al di là di un richiamo agli astratti principi regolatori della materia, non ha fornito concreta allegazione di situazioni di fatto idonee a integrare neppure questa causa escludente”.
Come è evidente, il giudice si è espressamente pronunciato sulle doglianze ritenendo gli elementi probatori addotti insufficienti a dimostrare la sussistenza dei lamentati vizi, il ché esclude la configurabilità dell’errore di fatto.
Palesemente inammissibile è il quarto motivo di ricorso, col quale il ricorrente, lungi dall’evidenziare un errore di fatto, si limita a criticare l’interpretazione che il giudice d’appello ha dato della pronuncia di primo grado, nella parte in cui questa si occupa dell’incidenza della condanna penale dell’amministratore della Im. sui requisiti di moralità, pretendendo di sostituire, all’interpretazione data dal giudice, la propria.
Ed invero, l’attività esegetica rientra nell’alveo proprio dell’esercizio del potere giurisdizionale e, come tale, non è suscettibile di sindacato con il ricorso per revocazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20/7/2011, n. 4305).
Nemmeno il sesto motivo può trovare condivisione.
Sul punto l’impugnata sentenza d’appello afferma: “…il Collegio deve subito osservare che il ribasso offerto senza la specificazione sulla cui omissione si appunta la doglianza del Consorzio non può che essere inteso alla luce della previsione della lex specialis, già ricordata, indicativa dell’importo a base d’asta ammesso a ribasso: l’offerta dell’IM. deve, pertanto, essere riferita al (solo) importo soggetto a ribasso in forza della legge di gara.
D’altra parte, non vi è alcuna norma che imponga ai concorrenti (tantomeno, a pena di esclusione) di riprodurre nella loro offerta la quantificazione degli oneri di sicurezza c.d. esterni già effettuata dall’Amministrazione, un precetto simile non comparendo né nella disciplina positiva, né nella specifica lex specialis.
Il disciplinare esigeva, semmai, nella sua pag. 10, un’apposita dichiarazione delle concorrenti riflettente i “costi di sicurezza aziendali”: ma non è a questi che la censura in esame si riferisce (l’offerta economica di IM. presentava inoltre puntualmente la precisazione, parimenti richiesta al punto cit., che il ribasso proposto era “al netto del costo del personale e degli oneri per l’attuazione dei piani di sicurezza”).
Né l’adempimento ulteriore preteso dal Consorzio presenterebbe utilità di sorta, proprio per la ragione che la determinazione degli oneri di sicurezza c.d. esterni compete alla Stazione appaltante (contrariamente a quanto vale per gli oneri c.d. interni o aziendali), che vi procede impartendo un’indicazione di cui i concorrenti non possono far altro che tenere conto all’atto della formulazione delle loro offerte.
Le radicali differenze che investono la natura degli oneri di sicurezza dell’uno e dell’altro tipo (ben scolpite dalla stessa Adunanza Plenaria) escludono, invero, che la regola della necessaria indicazione da parte delle concorrenti degli oneri aziendali, i quali sono appunto loro individualmente propri, possa essere estesa anche agli oneri c.d. esterni, giacché la definizione di questi ultimi compete appunto, per converso, alla sola Amministrazione, chiamata a fissarli a monte della procedura, e su di essi le concorrenti non dispongono di alcun potere dispositivo, sicché anche una loro eventuale indicazione sul punto sarebbe solo pedissequamente riproduttiva di quella posta a base della procedura.
L’art. 86, comma 3-bis, d.lgs. n. 163/2006, dove stabilisce che il “costo relativo alla sicurezza” debba essere “specificamente indicato”, si rivolge al tempo stesso, infatti: per gli oneri c.d. esterni, alla Stazione appaltante, che chiama appunto a provvedere a siffatta indicazione in occasione della predisposizione della gara d’appalto; per gli oneri c.d. interni, alle singole concorrenti in sede di offerta.
10d4 Non può infine condividersi la tesi che l’omessa riproduzione dell’importo degli oneri di questo secondo tipo da parte degli offerenti possa generare di per sé un’indeterminatezza dell’offerta, o farne venir meno un elemento essenziale (cfr., invece, Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348).
Dal momento, infatti, che è la lex specialis a stabilire, quantificando gli oneri di sicurezza c.d. esterni, il valore economico rispetto al quale, di riflesso, i ribassi di gara verranno ammessi, non è possibile dubitare (di regola almeno) che i ribassi presentati in concreto senza precisazioni debbano essere riferiti proprio all’ammontare ammesso a ribasso dalla stessa legge di gara.
Non solo, quindi, non vi è indeterminatezza dell’offerta individuale, ma la precisazione in discussione non è nemmeno necessaria all’interpretazione della medesima, che deve essere comunque letta alla luce della vincolante indicazione della lex specialis sull’ammontare ammesso a ribasso.
Del resto, l’art. 86, comma 3-ter, d.lgs. cit. stabilisce espressamente, come pure inequivocabilmente, che “Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta”, precetto che alle imprese, operatori professionali, non sarebbe consentito ignorare.
10d5 Neanche questo motivo dell’originario ricorso incidentale, pertanto, può essere accolto”.
Alla luce della trascritta motivazione, risulta evidente l’assenza del dedotto error facti.
E’ appena il caso di aggiungere, che nessuna rilevanza può essere attribuita, ai fini di causa, all’interpretazione data dal giudicante alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3/2015, trattandosi, per l’appunto, di questione di interpretazione, come tale inidonea, per definizione, a configurare un vizio revocatorio.
Non sussiste, infine, nemmeno l’ultimo degli evidenziati errori di fatto.
Il giudice d’appello ha motivato l’accoglimento del motivo proposto della Im. ritenendo che dovesse: “… essere confermata la posizione che sullo stesso problema è stata assunta in occasione della recente decisione n. 2191 del 30 aprile 2015.
Con questa è stato invero condivisibilmente osservato quanto segue.
“Il bando della gara oggetto del presente giudizio è stato pubblicato in data 13 maggio 2011, quindi in un periodo temporale anteriore all’entrata in vigore dell’art. 34, comma 2, della legge n. 164- 2014, che ha modificato l’art. 49 del d.lgs. n. 163-2006, inserendovi un comma 1-bis del seguente tenore: “Il comma 1 non è applicabile al requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali di cui all’art. 212 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “.
Tale inserimento normativo non ha portata innovativa, poiché ha positivizzato un principio già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha sempre negato la potestà di avvalimento con riguardo ai requisiti cd. soggettivi.
L’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, differentemente dall’attestazione SOA, che costituisce un requisito oggettivo cedibile ed acquisibile mediante avvalimento, è previsto dall’art. 212, comma 5, d.lgs. n. 152-2006, il quale prevede che “L’iscrizione all’Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi”.
Tale iscrizione costituisce un titolo abilitativo autorizzatorio di natura personale e, come tale, non cedibile con lo schema del contratto di avvalimento.
Infatti, in tema di gare di appalto pubblico, anche se all’istituto dell’avvalimento deve ormai essere riconosciuta portata generale, resta salva, tuttavia, l’infungibilità dei requisiti ex artt. 38 e 39 del codice dei contratti, in quanto requisiti di tipo soggettivo, intrinsecamente legati al soggetto e alla sua idoneità a porsi come valido e affidabile contraente per l’Amministrazione, tra cui l’iscrizione camerale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 5 novembre 2012, n. 5595); nello stesso ordine di idee anche l’iscrizione qui in contestazione, quale elemento soggettivo infungibile proprio dell’impresa, non può ritenersi suscettibile di avvalimento.” (sentenza n. 2191/2015 cit.).
11c Una volta esclusa in radice, per quanto precede, l’applicabilità dello schema dell’avvalimento per ovviare alla lacuna del requisito dell’iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali, risulta logicamente superato e privo di rilievo l’aspetto della determinatezza del contenuto del contratto di avvalimento nondimeno concluso dal Consorzio”.
Il giudice, quindi, si è esplicitamente pronunciato sull’ammissibilità dell’avvalimento, ai fini di integrare la mancanza di iscrizione nella richiesta categoria dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali.
Né coglie, poi, nel segno la censura di omessa pronuncia.
L’omissione di pronuncia su domande o eccezioni delle parti, sebbene costituisca, di per sé, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c., o comunque difetto di motivazione, non elimina la rilevanza del processo causale che ha determinato l’evento omissivo e non esclude che l’omissione di pronuncia possa essere fatta valere non ex se, ma come risultato di un vizio della formazione del giudizio e, quindi, come errore di fatto revocatorio, atteso che, nel caso di omessa pronuncia, errore revocatorio e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non sono in relazione di alternatività, ma il primo è possibile fonte della seconda (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 24/5/2012, n. 3053; Sez. VI, 20/7/2011, n. 4305 e 29/1/2008, n. 241).
Il vizio di omessa pronuncia deve essere, però, accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul medesimo risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17/12/2012, n. 6455; Sez. VI, 6/5/2008, n. 2009).
Nel caso di specie, come emerge dal trascritto passaggio motivazionale, il giudice ha escluso “in radice” la possibilità di utilizzare lo schema dell’avvalimento per sopperire a carenze di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali e ciò copre sia l’ipotesi di totale assenza dell’iscrizione, sia quella della mancanza di iscrizione in una o più delle categorie richiesta dal bando di gara.
L’errore denunciato dal ricorrente, ove effettivamente sussistente, configurerebbe, quindi, un vizio del processo valutativo e dell’attività di interpretazione delle norme e non un errore di fatto.
Inammissibile è, infine, la richiesta di rinvio all’Adunanza Plenaria della questione concernente l’obbligo di indicare in offerta, gli oneri per la sicurezza da interferenza, trattandosi di problematica del tutto irrilevante ai fini di causa.
Spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo dichiara inammissibile.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della Im. s.r.l. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, liquidandole in € 5.000/00 (cinquemila) ciascuna, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 05 maggio 2016.

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