L’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio

Consiglio di Stato, Sentenza|26 febbraio 2021| n. 1644.

L’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.

Sentenza|26 febbraio 2021| n. 1644

Data udienza 22 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Energia – Fonti rinnovabili di energia – Impianto fotovoltaico – Ammissione alle tariffe incentivanti ex D.M. 19 febbraio 2007 – Decadenza e restituzione – Impugnazione – Rigetto – Ricorso per revocazione – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9714 del 2019, proposto da Ma. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cr. Au. To., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
il Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Fi., Lu. Ma., An. Pu., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio St. Fi. in Roma, via (…);
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona dei rispettivi Ministri e del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
nei confronti
Un. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 6118 del 9 settembre 2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A., del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Ministero dello Sviluppo Economico, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi ai sensi del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in l. n. 176 del 18 dicembre 2020, il consigliere Emanuela Loria;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Consiglio di Stato, Sezione Quarta, con la sentenza n. 6118 del 9 settembre 2019, ha respinto l’appello proposto dalla Ma. S.p.A., per la riforma della sentenza del T.a.r. per il Lazio – sede di Roma, n. 985 del 29 gennaio 2018, con la quale, a sua volta, è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici – GSE prot. n. 13444 del 10 febbraio 2016, di decadenza dell’impianto fotovoltaico gestito dalla società Ma. ed ubicato in Comune di (omissis) dalle tariffe incentivanti di cui al d.m. 19 febbraio 2007; con il provvedimento impugnato era stata inoltre disposta la restituzione degli incentivi nelle more erogati, quantificati in Euro 1.961.264,24.
La Ma. S.p.A., con il presente ricorso per revocazione, ha dedotto la presenza di un errore di fatto desumibile dagli atti o documenti di causa.
In particolare:
– il giudice di appello avrebbe “completamente travisato la circostanza relativa all’avvenuto “spostamento”, ad opera della odierna ricorrente, di alcuni elementi dell’impianto a seguito di operazioni “ordinarie” di manutenzione (effettuate al solo fine di ottenere la licenza di esercizio e che prescindono, quindi, dal già intervenuto completamento dell’impianto), traendone l’erronea conclusione dell’asserita incompletezza dello stesso alla data del 31.12.2010.”.
– la diversa posizione di alcuni componenti dell’impianto rispetto a quanto attestato dalle fotografie inviate dalla Ma. all’atto della richiesta degli incentivi in oggetto sarebbe dovuta unicamente alla esecuzione di mere attività dirette ad ottenere la licenza di entrata in esercizio (come è effettivamente avvenuto) entro la data del 30 giugno 2011 e, quindi, ad attività finalizzate al soddisfacimento del secondo dei requisiti previsti dalla normativa di settore, vale a dire quello del rispetto della data di entrata in esercizio dell’impianto;
– tali attività, per contro, non avrebbero riguardato il completamento dell’impianto, nella definizione datane dall’art. 2-sexies d.l. 25 gennaio 2010, n. 3, come modificato dall’art. 1-septies, comma 1, del d.l. 8 luglio 2010, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 agosto 2010, n. 129, posto anche che tutte le componenti erano ivi già presenti ed installate e che successivamente alla data del 31 dicembre 2010 è intervenuta una mera variazione della loro collocazione per fini differenti da quelli di realizzazione/ultimazione dell’impianto.
– la circostanza dello spostamento “fisico” dei componenti sarebbe, quindi, di per sé inidonea a far discendere il mancato completamento dell’impianto entro il termine perentorio previsto dalla legge, poiché la rilevanza dello spostamento (diversamente da quanto assunto in punto di fatto dal Consiglio di Stato) assurgerebbe esclusivamente ad aspetti afferenti alla entrata in esercizio e dunque non rileverebbe ai fini dell’effettivo completamento.
Il GSE, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità del rimedio revocatorio esperito dalla Ma. S.p.A. nonché l’inammissibilità dell’intervento di Un. S.p.a. e ha comunque rilevato l’infondatezza del ricorso, concludendo per il rigetto dell’appello.
Si è costituito il Ministero dell’Economia, chiedendo che il ricorso per revocazione sia dichiarato inammissibile e comunque che l’appello sia respinto nel merito.
Alla camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito quali sono i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto “revocatorio”, distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione (ex multis, tra le pronunce più recenti di questa Sezione: 29 ottobre 2020, n. 6621; 11 maggio 2020, n. 2952; 27 marzo 2019, n. 2024; 6 dicembre 2018, n. 6914; 7 novembre 2018, n. 6280; 5 novembre 2018, n. 624; 4 gennaio 2018, n. 35; 2 novembre 2016, n. 4586; 28 giugno 2016, n. 2883, 17 febbraio 2015, n. 961; 8 gennaio 2013, n. 4).
In particolare, occorre considerare che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come d’altra parte sancito dalla stessa lettera dell’art. 395, quarto comma, c.p.c., non sussiste il vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.
Pertanto, sono qualificabili come vizi logici e quindi come errori di diritto quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (ex multis: Cons. Stato, IV, 29 ottobre 2020, n. 6621; Cons. Stato, IV, 12 maggio 2020, n. 2977; Cons. Stato, III, 24 ottobre 2018, n. 6061; Cons. Stato, IV, 12 settembre 2018, n. 5347; Cons. Stato, IV, 4 gennaio 2018, n. 35; Cons. Stato, V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
L’errore di fatto revocatorio, invece, si configura come un “abbaglio dei sensi”, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa.
Insomma, l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa.
In particolare, l’errore di fatto – idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c. – deve rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata o mancata percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così esistente un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
Inoltre, l’errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.
Infine, il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta utilizzabile anche a fronte di una mancata pronuncia su domande o eccezione costituenti il thema decidendum; tale condizione, tuttavia, perché possa ritenersi sussistente la fattispecie, deve conseguire all’esame della motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa è riferibile soltanto all’ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non a quella in cui, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr., sul punto, Cons. Stato, IV, 29 ottobre 2020, n. 6221; Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2020 n. 225).
3. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso per revocazione proposto dalla Ma. S.p.A. è inammissibile.
La ricorrente in revocazione ha dedotto l’esistenza del vizio revocatorio essenzialmente dal fatto che la sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare lo spostamento, la sostituzione e la modifica di alcuni elementi dell’impianto essenziali al completamento funzionale dello stesso, come attività che riguardano la conclusione dell’impianto da effettuarsi entro e non oltre il 31 dicembre 2010 e non soltanto come attività di messa in esercizio dello stesso e come attività di manutenzione ordinaria.
Le argomentazioni svolte dalla ricorrente non colgono nel segno.
La sentenza di questa Sezione n. 6118 del 2019 ha espressamente statuito che:
“In primo luogo, ai sensi dell’art. 1-septies d.l. n. 105 del 2010 per l’ammissione ai benefici incentivanti di cui al d.m. 19 febbraio 2007 l’interessato deve dimostrare l’avvenuto completamento dell’impianto entro il 31 dicembre 2010.
Con tale dizione, evidentemente, la legge intende riferirsi all’ultimazione definitiva della configurazione dell’impianto, comprensiva dell’allaccio alla rete e di tutti i componenti, siano essi essenziali od accessori: l’interessato, in altra prospettiva, ha l’onere di provare che l’impianto, alla data del 31 dicembre 2010, aveva già raggiunto il suo assetto strutturale definitivo.
Ciò, nella specie, non è per tabulas avvenuto La stessa parte ricorrente ha invero sostenuto, con nota trasmessa via p.e.c. al Gestore in data 25 febbraio 2015, che:
– il gruppo di misura ed i relativi cavi sarebbero stati spostati dall’originaria ubicazione nei mesi di maggio e giugno 2011 su prescrizione dell’Agenzia delle Dogane, che, “ai fini dell’ottenimento della licenza di esercizio”, avrebbe imposto lo spostamento del gruppo di misura al fine di installare, nella posizione da questo sino ad allora occupata, un numero di contatori pari alle unità immobiliari presenti nell’edificio;
– il quadro di parallelo inizialmente installato sarebbe stato provvisorio e sarebbe poi stato sostituito con quello definitivo, consegnato in ritardo dal fornitore e posizionato nel diverso alloggiamento poi riscontrato in sede di sopralluogo;
– durante l’installazione del quadro di parallelo definitivo sarebbe stata spostata anche la piastra collettrice di terra, inizialmente posta nell’alloggiamento ove poi è stato posizionato il menzionato quadro di parallelo.
E’ evidente, pertanto, che alla data del 31 dicembre 2010 l’impianto non aveva ancora affatto raggiunto la configurazione definitiva.
Inoltre, parte ricorrente non ha documentalmente comprovato l’assunta prescrizione resa dall’Agenzia delle Dogane, che peraltro, nel corso del giudizio di prime cure (cfr. memoria depositata in data 10 maggio 2016), ha espressamente negato di aver rivolto siffatta prescrizione.
Di converso, pure nell’ottica defensionale coltivata da parte ricorrente si avrebbe un’ulteriore conferma dell’incompletezza dell’impianto alla data del 31 dicembre 2010, che sarebbe stato privo dei requisiti necessari per ottenere la licenza di esercizio tanto da dover essere oggetto di una modifica strutturale.
Peraltro, non consta che la ricorrente abbia comunicato al Gestore l’effettuazione di tali interventi, la cui qualificazione come manutenzione ordinaria, oltretutto, si scontra con la assai recente installazione dell’impianto, all’epoca non ancora entrato in funzione.
Né può sostenersi che gli interventi operati dopo il 31 dicembre 2010 integrassero una modifica marginale e sostanzialmente ininfluente: invero, le procedure curate dal Gestore al fine dell’attribuzione dei benefici incentivanti non ammettono la figura del “falso innocuo” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28 luglio 2017, n. 3765).”
Pertanto, la questione circa l’inquadramento dello spostamento/aggiustamento dell’impianto dopo la data del 31 dicembre 2020 ha costituito uno dei punti controversi del giudizio e la sentenza impugnata ha affrontato tale questione (insieme a tutte le altre sottoposte al giudizio del Collegio) ed è giunta a conclusioni di segno contrario e incompatibile con le prospettazioni della parte.
Di talché, costituirebbe un eventuale errore di diritto, e non di fatto, l’avere ritenuto che la configurazione definitiva dell’impianto, da qualificare come completamento dello stesso, sia avvenuta dopo la data del 31 dicembre 2010.
Ciò rappresenta, secondo le coordinate ermeneutiche prima esposte, un dato dirimente, che non consente di ritenere ammissibile il ricorso per revocazione.
In definitiva, costituiscono vizi logici e, quindi, errori di diritto quelli consistenti nella dedotta erronea interpretazione e valutazione dei fatti, per cui già in radice l’assunto della parte non si presta ad essere considerato indice di un vizio revocatorio.
In altri termini, i vizi dedotti tendono a determinare l’apertura di un inammissibile ulteriore grado di giudizio, per cui non rientrano nel perimetro dei vizi revocatori.
4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono, come di regola, il criterio della soccombenza e sono liquidate, come dispositivo, a favore del GSE; sono compensate per quanto riguarda il Ministero dell’Economia e Finanze.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione n. 9714/2019, lo dichiara inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila) a favore del GSE, oltre accessori come per legge se dovuti; compensa le spese quanto al Ministero dell’Economia e Finanze.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 svoltasi ai sensi del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito in l. n. 176 del 18 dicembre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Emanuela Loria – Consigliere, Estensore

 

 

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