L’errore di fatto che può essere posto a base di una domanda di revocazione

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 3 giugno 2020, n. 3470.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto che può essere posto a base di una domanda di revocazione è configurabile solo in relazione all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, con riferimento alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice.

Sentenza 3 giugno 2020, n. 3470

Data udienza 21 maggio 2020

Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Impugnazioni straordinarie – Revocazione – Errore di fatto – Configurabilità – Ipotesi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8921 del 2019, proposto dall’-OMISSIS-
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Ve. Bi. e con domicilio digitale come da “P.E.C.” da Registri di Giustizia
contro
Ministero dell’Interno e Questura di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici della stessa, in Roma, via (…)
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. -OMISSIS- del 1° marzo 2019, con cui è stato respinto l’appello proposto dal sig. -OMISSIS- nei confronti della sentenza del T.A.R. Lombardia, sede di Milano, Sezione Prima, n. -OMISSIS- del 15 gennaio 2015, recante la reiezione del ricorso con motivi aggiunti R.G. n. -OMISSIS-, proposto dal medesimo sig. -OMISSIS-
per la riforma
della succitata sentenza di appello e l’accoglimento del ricorso di primo grado R.G. n. -OMISSIS- e dei relativi motivi aggiunti
e, per l’effetto, per l’annullamento
del decreto del Questore di Milano del 10 luglio 2012, con cui è stata inflitta all’-OMISSIS- della Polizia di Stato -OMISSIS- la sanzione disciplinare della pena pecuniaria di 2/30 dello stipendio, del decreto del Questore di Milano del 26 marzo 2012, notificato il 4 aprile 2012, con il quale è stata inflitta al citato dipendente la sanzione disciplinare del richiamo scritto, e del decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della P.S. del 17 agosto 2012, con cui è stato rigettato il ricorso gerarchico avverso la sanzione del richiamo scritto.
Visti il ricorso per revocazione ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 21 maggio 2020 il Cons. Pietro De Berardinis, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020 cit.;
Visto l’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso al T.A.R. per la Lombardia – Milano R.G. n. -OMISSIS- il sig. -OMISSIS-, -OMISSIS- della Polizia di Stato, impugnava i decreti del Questore di Milano del 26 marzo 2012 e del 10 luglio 2012, tramite i quali gli erano state inflitte le sanzioni disciplinari, rispettivamente, del richiamo scritto e della pena pecuniaria di 2/30 dello stipendio.
Con ricorso per motivi aggiunti il sig. -OMISSIS- impugnava, altresì, il decreto del Capo della Polizia del 17 agosto 2012, recante il rigetto del ricorso gerarchico proposto dal medesimo -OMISSIS- nei confronti della suindicata sanzione del richiamo scritto.
In punto di fatto, va da subito evidenziato che le sanzioni disciplinari sono state irrogate per essersi il ricorrente rifiutato per due volte di compilare il rapporto informativo, rispettivamente per l’anno 2010 e per l’anno 2011, nella parte relativa alle informazioni personali del dipendente (“frontespizio”). Tali mancanze si sono verificate in data 4 febbraio 2012 (informazioni per l’anno 2010) e ancora in data 4 aprile 2012 (informazioni per l’anno 2011), cosicché dopo il richiamo scritto al dipendente è stata inflitta, per recidiva, la sanzione della pena pecuniaria.
Il comportamento sanzionato è stato, dunque, quello del “rifiuto di rendere informazioni personali rilevanti ai fini del rapporto d’impiego con l’Amministrazione”.
Il ricorso di primo grado veniva integralmente respinto dal T.A.R. Lombardia – Milano con sentenza della Sezione I^, n. -OMISSIS- del 15 gennaio 2015, avverso la quale il dipendente proponeva appello, rubricato al n. -OMISSIS- di R.G..
Quali motivi di appello, lo -OMISSIS- deduceva l’eccesso di potere per violazione della circolare n. 233-11/9807/b.p.1 del 23 settembre 1996 e del d.m. n. 6 del 1996 e la violazione di legge con riferimento agli artt. 24 e 97 Cost..
Con sentenza n. -OMISSIS- del 1° marzo 2019 la Sezione ha respinto l’appello, ritenendo comprovata la violazione dei doveri comportamentali interni alla P.A. da parte del dipendente.
Ritenendo che la sentenza di appello sia affetta da errore di fatto, lo -OMISSIS- chiede, pertanto, con il ricorso in epigrafe, presentato ai sensi degli artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4, c.p.c., la revocazione di detta sentenza e l’accoglimento del ricorso in appello e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, l’annullamento dei provvedimenti impugnati nel giudizio di primo grado.
A supporto del gravame, il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
1) errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., risultante dagli atti e documenti di causa, poiché la sentenza da revocare si baserebbe sull’erroneo presupposto di fatto dell’esistenza a carico del dipendente di un obbligo, a cui egli si sarebbe sottratto, di compilare per il 2010 e il 2011 il “frontespizio” del rapporto informativo, mentre in realtà tale obbligo non esisterebbe. Sarebbe erroneo, altresì, il presupposto per il quale la pregressa conoscenza delle informazioni da parte dell’Amministrazione non rileva in sede di compilazione del rapporto informativo;
2) errore di fatto ex art. 395, n. 4, c.p.c., risultante dagli atti e documenti di causa, perché la sentenza da revocare si sarebbe basata sull’erroneo presupposto dell’assenza di un onere della P.A. di porre a disposizione del personale le istruzioni per la redazione dei rapporti informativi.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Milano, con atto di costituzione meramente formale.
All’udienza del 21 maggio 2020, svoltasi con le modalità di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente, -OMISSIS- -OMISSIS-, domanda la revocazione della sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS- del 1° marzo 2019, con cui è stato respinto il suo appello avverso la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I^, n. -OMISSIS- del 15 gennaio 2015. Quest’ultima ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dal predetto -OMISSIS- per l’annullamento delle sanzioni disciplinari della decurtazione di 2/30 dello stipendio e del richiamo scritto, inflittegli dal Questore di Milano (nonché del decreto del Capo della Polizia-Direttore del Dipartimento della P.S. che ha respinto il suo ricorso gerarchico avverso il reclamo scritto).
La decisione di cui lo -OMISSIS- chiede la revocazione ha respinto l’appello, considerando accertata la violazione dei doveri comportamentali da parte dell’-OMISSIS-.
In particolare, secondo la sentenza d’appello il dipendente non può invocare la circostanza che i dati che egli avrebbe dovuto dichiarare nel cd. frontespizio erano già conosciuti dall’Amministrazione, poiché la dichiarazione espressa dell’esistenza di certi dati ad opera del dipendente – richiesta dal tenore letterale del modulo da compilare – ha un valore ben diverso dalla conoscenza che di tali dati l’Amministrazione, di fatto, già avesse.
Né – aggiunge la pronuncia – l’interessato può, a sua discolpa, lamentare che la P.A. non gli avrebbe messo a disposizione i testi normativi da cui si evince l’esistenza dell’obbligo, a suo carico, di fornire i predetti dati, sia perché si tratta di norme che egli aveva l’onere di conoscere, sia perché la mancata fornitura di tali testi non può comunque giustificare la sua decisione di non sottostare all’obbligo di compilazione del modulo, tenuto conto della qualifica da lui rivestita di -OMISSIS- della Polizia di Stato.
Lo -OMISSIS-, nel contestare la sentenza d’appello, deduce, a supporto della revocazione, che la stessa sarebbe affetta dai seguenti errori di fatto, rilevanti ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c.:
a) in primo luogo la sentenza si baserebbe sull’erroneo presupposto di fatto dell’esistenza a carico del dipendente dell’obbligo, a cui lo stesso si sarebbe sottratto, di compilare per gli anni 2010 e 2011 il “frontespizio” del rapporto informativo, laddove, invece, tale obbligo non esisterebbe, identificandosi il soggetto compilatore, anche per quanto riguarda il cd. frontespizio, esclusivamente nel dirigente dell’Ufficio o del Reparto di appartenenza;
b) la sentenza impugnata sarebbe, inoltre, viziata da un ulteriore errore di fatto, consistente nell’avere essa presupposto che la pregressa conoscenza delle informazioni, da parte dell’Amministrazione di appartenenza, non rilevi in sede di compilazione del rapporto informativo;
c) infine, la sentenza si baserebbe sull’erroneo presupposto di fatto che non sussista alcuno specifico onere dell’Amministrazione di mettere a disposizione del personale le istruzioni per la redazione dei rapporti informativi, mentre un onere di tal natura risulterebbe dalla circolare esplicativa del 23 luglio 1996, versata in atti.
Così riportati i motivi del ricorso per revocazione, osserva il Collegio che gli stessi sono affetti da un duplice profilo di inammissibilità :
1) da un lato, infatti, il ricorrente tende a travestire da errori di fatto quelli che costituirebbero – se la sentenza di appello vi fosse realmente incorsa – veri e propri errori di diritto;
2) inoltre, le doglianze dedotte nel ricorso per revocazione hanno ad oggetto profili su cui la sentenza di appello si è specificamente pronunciata.
Nella vicenda in esame, pertanto, difettano taluni requisiti che, per giurisprudenza costante, devono sussistere ai fini dell’esperibilità della revocazione per errore di fatto, rimedio di natura straordinaria (cfr. C.d.S., Sez. III, 20 maggio 2020, n. 3201).
Ed invero, secondo la giurisprudenza consolidata, “l’errore di fatto che può essere posto a base di una domanda di revocazione è configurabile solo in relazione all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, con riferimento alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice” (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. III, 20 marzo 2020, n. 1978 e 4 febbraio 2020, n. 885; Sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 947 e 29 gennaio 2020, n. 711).
Come ricordato anche di recente dalla Sezione (21 novembre 2019, n. 7938), l’errore revocatorio “è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice; si versa pertanto nell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo; se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita”.
Va poi sottolineato che, per costante giurisprudenza, l’errore di fatto, idoneo a fondare un giudizio di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., deve avere ad oggetto un fatto che non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza da revocare ebbe a pronunciare (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 24 marzo 2020, n. 2047; Sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1195; Sez. V, 2 dicembre 2019, n. 8245; Sez. III, 2 novembre 2019, n. 7479).
Orbene, con riferimento al profilo di inammissibilità sopra riportato sub 1), si osserva che, anzitutto, la prima questione sollevata dal ricorrente – relativa alla negazione, da parte sua, dell’esistenza di un obbligo a carico del dipendente di compilare il “frontespizio” del rapporto informativo – è questione non di fatto, ma di diritto.
Infatti, l’individuazione di un obbligo del dipendente di compilare il “frontespizio” del citato modulo, o l’addossamento di un simile obbligo unicamente a carico del dirigente dell’Ufficio o Reparto di appartenenza, è quesito legato alla ricognizione dei doveri che è tenuto ad osservare il -OMISSIS- pubblico, appartenente alla Polizia di Stato, in dipendenza di tale appartenenza: la risposta al quesito discende, dunque, dall’interpretazione delle disposizioni normative che disciplinano i suddetti doveri, con il ché è chiaro che si tratta di questione di puro diritto e non di fatto.
Analogamente, alla perimetrazione dei doveri che fanno capo al -OMISSIS- della Polizia di Stato si ricollega anche la tematica della rilevanza, o meno, della pregressa conoscenza da parte della P.A. delle notizie che il dipendente è tenuto a fornire nel rapporto informativo, poiché si tratta di vedere se detta conoscenza abbia o no il valore di esimente, tale da legittimare omissioni nella redazione del rapporto. Anche questa è, pertanto, questione di diritto e non di fatto.
Infine, è certamente questione di diritto quella dell’esistenza o meno di un onere della P.A. di mettere a disposizione del personale le istruzioni per la redazione del rapporto, come ammette, del resto, il medesimo ricorrente, il quale invoca la circolare del 23 luglio 1996, così implicitamente riconoscendo che si tratta di un problema di interpretazione di detta circolare.
Quanto, poi, al profilo di inammissibilità sopra riferito sub 2), è sufficiente sottolineare che i pretesi errori lamentati dal ricorrente investono in tutti i casi punti controversi sui quali la sentenza, di cui si chiede la revocazione, si è pronunciata esplicitamente.
Come si evince dalle stesse doglianze del ricorrente, infatti, la sentenza ha esplicitamente affermato: a) la sussistenza di un obbligo dell’-OMISSIS- -OMISSIS-, quale -OMISSIS- appartenente alla Polizia di Stato, di compilare il cd. frontespizio; b) l’irrilevanza della pregressa conoscenza, da parte della P.A., delle informazioni che il -OMISSIS- avrebbe dovuto indicare nel “frontespizio”; c) la non scusabilità della mancata messa a disposizione, ad opera della P.A., dei testi normativi disciplinanti l’obbligo e le modalità di redazione del “frontespizio” da parte del -OMISSIS-.
Ne segue che, anche qualora gli errori di cui si duole il ricorrente investissero profili di fatto – il che non è, per quanto detto poc’anzi -, ugualmente il ricorso per revocazione sarebbe inammissibile, non avendo esso ad oggetto punti su cui la sentenza non si sia pronunciata.
In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza (III^), così definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione intimata delle spese del giudizio, che liquida in via forfettaria in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità del ricorrente.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2020, tenutasi, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Pietro De Berardinis – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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