Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

Consiglio di Stato, Sentenza|16 febbraio 2022| n. 1143.

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici, tra cui quelle relative alla dotazione della pianta organica, sono caratterizzate da un alto tasso di discrezionalità, il quale riflette la posizione di primazia che la legge assegna alla parte pubblica nel governo di tale materia.

Sentenza|16 febbraio 2022| n. 1143. Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

Data udienza 27 gennaio 2022

Integrale
Tag- parola chiave: Attività amministrativa – Organizzazione degli uffici – Dotazione della pianta organica – Scelte – Ampia discrezionalità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2792 del 2021, proposto da Fr. Fa. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Bi. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia ope legis, in Roma, via (…);
nei confronti
Di Do. Ri. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione prima n. 3292/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’interno;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2022 il Cons. Pier Luigi Tomaiuoli e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 3292 del 2021, depositata in data 17 marzo 2021 e non notificata, il TAR Lazio, Roma, Sezione I quater, respingeva il ricorso e i motivi aggiunti proposti da Fr. Fa. ed altri, volti all’annullamento del decreto del Ministero dell’interno 23 luglio 2020 e relativi allegati; nonché del decreto del Ministro dell’interno 13 novembre 2020, recante la graduazione dei nuovi posti di funzione dei dirigenti di seconda fascia dell’Area funzioni centrali dell’amministrazione civile dell’interno individuati dal decreto ministeriale 23 luglio 2020.
Il TAR Campania premetteva che, con il decreto del 23 luglio 2020, il Ministero dell’interno aveva proceduto all’individuazione dei posti di funzione in esecuzione della rideterminazione della dotazione organica del personale dirigente di seconda fascia dell’area funzioni centrali dell’amministrazione civile dell’interno. Tale provvedimento costituiva l’esito del processo di spending review avviato a partire dal d.l. n. 95 del 2012, che ha previsto per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, una riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di livello non generale in misura non inferiore al 20 per cento di quelli esistenti, rimettendo alle singole amministrazioni l’individuazione della misura concreta della riduzione, nonché le modalità e criteri per realizzarla, premurandosi solo di garantire che fosse mantenuta “l’invarianza dei servizi ai cittadini”. In attuazione di tale previsione, il d.P.C.m. 22 maggio 2015 aveva provveduto alla rideterminazione della dotazione organica del personale dirigente di seconda fascia dell’area funzioni centrali dell’amministrazione civile dell’interno, stabilendo la necessità di provvedere al taglio di 24 posti complessivi. Conseguentemente, con d.P.C.m. 11 giugno 2019, n. 78, era stato adottato il regolamento recante l’organizzazione degli uffici centrali di livello dirigenziale generale del Ministero dell’interno; la Tabella A, in particolare, aveva rideterminato la dotazione organica complessiva, rinviando (art. 10, comma 2) a ulteriori decreti ministeriali – da adottare entro 8 mesi decorrenti dall’entrata in vigore del medesimo regolamento – “l’individuazione e la definizione dei compiti degli uffici e dei posti di funzione di livello dirigenziale non generale, nonché la loro distribuzione nelle strutture di livello dirigenziale generale dell’amministrazione”. A conclusione di tale iter era stato dunque adottato il provvedimento impugnato, con specifico riferimento ai “posti funzione di livello dirigenziale non generale da attribuire ai dirigenti di seconda fascia dell’Area funzioni centrali dell’Amministrazione civile dell’Interno, nell’ambito delle strutture centrali e periferiche del Ministero dell’Interno, e le relative funzioni” (art. 1).

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

Proseguiva il giudice di primo grado, rilevando che, come si legge nelle premesse, il Ministero aveva ritenuto di dover ridurre il numero degli uffici dirigenziali di livello non generale di complessivi 26 posti (in esecuzione dell’art. 8-quater, comma 1, del d.l. n. 53 del 2019, c.d. decreto sicurezza bis) provvedendo, di fatto, alla soppressione di sette posti di funzione di dirigente di seconda fascia in sede centrale e di 19 posti in sede periferica (nelle Prefetture e nelle Questure). Conseguentemente, l’impugnato decreto del 23 luglio 2020, aveva sostituito il precedente d.m. 24 dicembre 2012 (successivamente modificato dal d.m. 5 agosto 2014), rideterminando i posti funzione di dirigente di seconda fascia e ridisegnando completamente i relativi compiti. La riduzione dei posti in sede periferica si era sostanziata nella soppressione di n. 21 posti funzione presso le Prefetture c.d. di media grandezza, unitamente ad un posto funzione nella Questura di Venezia; in particolare, nell’ambito di 21 Prefetture, si era passati dalla presenza di due servizi (il Servizio contabilità e gestione finanziaria e il Servizio amministrazione, servizi generali e attività contrattuale) ad un unico ufficio (l’Ufficio contabilità, gestione finanziaria, attività contrattuale e servizi generali), destinato ad assumere i compiti prima ripartiti tra i due servizi, con l’aggiunta di una ulteriore funzione costituita dal recupero delle spese di custodia dei veicoli sequestrati.
Il TAR Campania aggiungeva che i ricorrenti ricoprivano la carica di dirigenti non generali presso le Prefetture di Torino, Brescia, Firenze, Cagliari, Bari, Catanzaro, Lecce, Catania, Reggio Calabria, Foggia e Ancona, ossia di Prefetture che, insieme ad altre, erano destinate ad essere incise in via diretta dalla ricordata riorganizzazione degli uffici, con la conseguenza che, secondo i ricorrenti, “quando sarà individuato il Dirigente a capo dell’unico posto funzione residuale, quest’ultimo si troverà a svolgere un’ampia varietà di compiti, tutti molto gravosi e, sino a quel momento, condivisi”.

 

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Riferiva poi il primo giudice che – secondo la prospettazione dei ricorrenti – il pregiudizio derivante dagli atti impugnati sarebbe, in verità, ben più complesso del solo svolgimento di molte funzioni. L’apparato amministrativo facente capo al Ministero dell’interno presenta una struttura articolata, composta da due sotto-strutture: l’amministrazione centrale, da un lato, e quella relativa agli uffici territoriali periferici (UTG), ossia le Prefetture, dall’altro. Sia presso l’amministrazione centrale, sia presso le Prefetture, il personale dirigenziale è assegnato a due macro-carriere: quella prefettizia e quella contrattualizzata. La carriera dirigenziale, poi – sia prefettizia sia contrattualizzata – si compone di due ulteriori sottocategorie: dirigenti di prima fascia e dirigenti di seconda fascia. La dotazione organica delle due carriere (precedente all’adozione dei decreti impugnati) si evince dalla tabella di cui al d.P.C.m. n. 78 del 2019. In particolare, la dotazione organica della carriera prefettizia si compone di 139 Prefetti, 700 Viceprefetti e 572 Viceprefetti aggiunti, per un totale 1411 posti di funzione. La dotazione organica relativa alla carriera contrattualizzata si compone, invece, di 4 dirigenti di prima fascia e 197 dirigenti di seconda fascia, per un totale di 201 posti di funzione. La mera lettura di tali numeri darebbe immediata evidenza dello squilibrio in essere nell’organico tra le due carriere. Ciò risulterebbe ancora più evidente nelle Prefetture, ove per la carriera contrattualizzata è previsto solo il dirigente di seconda fascia (i 4 dirigenti di prima fascia risulterebbero tutti presso l’amministrazione centrale), a fronte della presenza del Prefetto e di numerosi posti di funzione riservati a dirigenti della carriera prefettizia. Stante l’inscindibile connessione tra le due carriere – che, di fatto, svolgono funzioni complementari all’interno delle medesime strutture – il d.P.C.m. n. 78 del 2019 prevedeva la riorganizzazione tanto dell’una quanto dell’altra carriera. Si sarebbe, dunque, dovuto procedere con un intervento a più ampio respiro, non circoscritto ai soli dirigenti contrattualizzati e in grado di garantire un più razionale disegno di ripartizione e attribuzione delle diverse competenze. Tuttavia, mentre per la carriera contrattualizzata si era effettivamente proceduto alla ridefinizione (previo taglio del numero) dei posti funzione, ciò non sarebbe accaduto – per lo meno non ancora – per la carriera prefettizia, che negli uffici periferici avrebbe dovuto prevedere la soppressione di 5 posti di Viceprefetto e di 46 posti di Viceprefetto aggiunto.

 

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Il TAR Campania proseguiva affermando che – sempre secondo la prospettazione dei ricorrenti – il decreto del 23 luglio 2020 costituirebbe l’epi di un più ampio percorso di drastica riduzione dei dirigenti contrattualizzati presso le Prefetture e di un contestuale e continuativo incremento ed aggravio delle relative attribuzioni, mediante il trasferimento delle stesse dalla carriera prefettizia (che rappresenta l’87,5% del personale) a quella contrattualizzata (costituente il rimanente 12,5%). Con d.m. 4 dicembre 2003 erano stati individuati gli uffici di livello dirigenziale non generale da attribuire ai dirigenti dell’area 1 di seconda fascia nelle Prefetture, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001. Il successivo d.m. 28 marzo 2007 era intervenuto a modifica del precedente, prevedendo un solo posto funzione esclusivamente per le Prefetture non capoluogo di Regione (c.d. Prefetture minori), mentre per le altre (di medie e grandi dimensioni) erano stati contemplati due o tre posti funzione. Dunque, nel 2007 vi sarebbe stata piena consapevolezza che, in ragione della dimensione, della complessità del territorio e dei carichi di lavoro riferibili a ciascuna Prefettura, dovesse esservi una diversificazione di regime e una conseguente (specie per quelle più grandi) suddivisione dei compiti. Tuttavia, già nel 2014 era stata operata una prima riduzione: il d.m. 5 agosto 2014, in sostituzione del d.m. 28 marzo 2007, aveva provveduto, infatti, ad una riduzione di 24 posti di funzione di seconda fascia dell’Area 1, di cui 4 posti dirigenziali in sede centrale e 20 posti dirigenziali in sede periferica. Contestualmente, si era verificato un incremento dei compiti assegnati ai due servizi ricoperti dai dirigenti contrattualizzati: con il d.m. del 2007, infatti, erano state assegnate ai dirigenti contrattualizzati di tutte le Prefetture ulteriori e diverse competenze precedentemente riconducibili agli uffici della carriera prefettizia (gestione del personale contrattualizzato, attività contrattuali in senso lato, accasermamento, fondi edifici di culto, etc.). Tale fenomeno di crescita delle competenze poste in dote ai dirigenti contrattualizzati delle Prefetture sarebbe stato ulteriormente implementato nel 2011, in conseguenza delle criticità connesse alla gestione dei flussi migratori, con immediate ricadute sugli uffici dirigenziali inseriti nelle Prefetture impegnate in prima linea nella cura dei contratti di appalto per i centri di accoglienza, nella rendicontazione delle spese e nelle molteplici attività connesse. L’esito finale di tale processo sarebbe l’impugnato decreto, che, nel dare concreta attuazione all’ultima riduzione dei posti di funzione della dirigenza contrattualizzata, avrebbe lasciato presso la quasi totalità delle Prefetture (ad eccezione di Roma, Milano, Napoli e Palermo) un unico dirigente contrattualizzato, oberandolo di compiti prima condivisi o comunque non svolti.
Nel corso del giudizio il Ministero adottava il decreto 13 novembre 2020, recante la graduazione dei posti funzione individuati dal decreto 23 luglio 2020. In particolare, il decreto graduava gli incarichi conferiti ai dirigenti di seconda fascia in tre fasce economiche, sulla base dei livelli di responsabilità e di rilevanza degli incarichi assegnati. I ricorrenti, già collocati nella prima fascia economica, si trovavano, dunque, a percepire il medesimo emolumento economico, pur dovendo svolgere il doppio delle funzioni sinora svolto (circostanza, questa, determinata dal d.m. 23 luglio 2020). Avverso tale decreto, i ricorrenti proponevano motivi aggiunti, facendo valere l’illegittimità derivata dall’atto già impugnato con il ricorso introduttivo, trattandosi di un atto esecutivo/attuativo della riorganizzazione effettuata con il primo decreto.

 

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Tutto ciò premesso in fatto, il TAR Lazio rigettava il primo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti lamentavano che la procedura di adozione dell’impugnato decreto del 23 luglio 2020 avrebbe frustrato il sistema di garanzie previsto dall’ordinamento nei confronti dei lavoratori posti alle dipendenze della pubblica amministrazione e che si sostanzia nel coinvolgimento delle associazioni sindacali proprio nella fase propedeutica all’adozione di provvedimenti finalizzati alla riorganizzazione dell’apparato amministrativo.
Riteneva il primo giudice, infatti, che il Ministero resistente aveva “correttamente azionato gli istituti della partecipazione, fornendo dapprima la dovuta “informazione” e, successivamente, attivando il “confronto” con le organizzazioni sindacali”; che, quanto al lamentato mancato coinvolgimento dell’Organismo paritetico previsto dal CCNL di settore, esso è una soltanto “delle possibili articolazioni della partecipazione”; che, quanto alla censura relativa alla sostanziale differenza della versione definitiva dell’impugnato d.m. rispetto a quella sottoposta all’attenzione delle organizzazioni sindacali, l’amministrazione aveva provveduto a modificare l’originaria impostazione della “Tabella 19” al solo fine di eliminare ogni possibile dubbio interpretativo e di rendere ancor più chiaro il corredo di competenze di ciascun incarico dirigenziale, ed inoltre le novità presenti nel testo approvato erano state comunque illustrate dall’amministrazione nel corso della riunione con le organizzazioni svoltasi in data 20 luglio 2020.
Il TAR Lazio rigettava, poi, la seconda e terza censura, con cui i ricorrenti lamentavano, rispettivamente: 1) la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e l’eccesso di potere nelle forme sintomatiche della carenza di istruttoria e del difetto di motivazione, poiché non sarebbe stata percepibile “alcuna logica perseguita nell’adozione del provvedimento impugnato e poichè il provvedimento impugnato, “quale vero e proprio atto amministrativo (pur nelle forme di un atto di alta amministrazione), avrebbe dovuto rendere pienamente intellegibile l’iter motivazionale che ha condotto alla sua adozione”; 2) l’illogicità dell’operato dell’amministrazione, che avrebbe rideterminato unilateralmente soltanto l’organigramma concernente i dirigenti contrattualizzati, rinviando sine die l’intervento atto a ridisegnare la struttura del personale prefettizio, in assenza di una visione strategica, che avrebbe dovuto essere sottesa ad un così rilevante intervento di riorganizzazione strutturale, specie in considerazione della stretta connessione tra le carriere dei prefetti e dei dirigenti contrattualizzati, come dimostrato anche dal travaso di funzioni operato nel tempo da una carriera all’altra.
Secondo il primo giudice, infatti, gli atti impugnati sarebbero necessariamente attuativi di precedenti disposizioni di legge che avevano disposto il taglio di unità dirigenziali e non presenterebbero evidenti illogicità o contraddittorietà ; sotto altro profilo, anche il numero delle posizioni prefettizie sarebbe stato ridotto dal legislatore, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti.

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

La sentenza gravata parimenti respingeva la censura di violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e di eccesso di potere nelle forme sintomatiche della carenza di istruttoria e del difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, censura incentrata sul rilievo che gli atti impugnati non solo non avrebbero esplicitato i criteri seguiti dall’amministrazione nel dar vita al progetto di riforma, ma avrebbero anche vistosamente disatteso quelli indicati dal legislatore.
Secondo il TAR Lazio, l’accorpamento dei due servizi in 21 delle 25 sedi prefettizie di medio-grandi dimensioni, volta ad attuare l’obbligatoria riduzione del numero dei posti di funzioni dirigenziali, sarebbe la formalizzazione di un modello organizzativo già vigente nella gran parte delle Prefetture. Ne deriverebbe “un assetto complessivamente più uniforme, omogeneo ed equilibrato, tenuto conto che la precedente distribuzione periferica dei posti di funzione dei dirigenti di seconda fascia appariva oggettivamente sovradimensionata in alcune realtà territoriali “di media grandezza” (si pensi, ad esempio, alle sedi di Lecce, Campobasso, Potenza o Salerno), rispetto ad altre che, pur avendo analoga se non equipollente dimensione, contavano di un solo ufficio dirigenziale”; né rileverebbe la circostanza di fatto che in molte sedi, a fronte di vacanze dell’ufficio oggi accorpato, i compiti erano attribuiti a dirigenti della carriera prefettizia, dal momento che “tali situazioni eccezionali non possono essere assunte a fondamento di rivendicazioni finalizzate ad evitare responsabilità afferenti a materie normativamente estranee alla competenza dei dirigenti di livello non generale della carriera prefettizia”.
Il TAR Lazio, infine, rigettava il motivo di ricorso volto a fare valere la illegittimità degli impugnati decreti in relazione alla legge n. 190 del 2012 e al Piano nazionale anticorruzione, finalizzato, quest’ultimo, a garantire una concreta ed effettiva separazione delle funzioni attive di matrice economico-finanziaria, da un lato, e quelle attinenti ai profili amministrativi e di controllo, dall’altro.
Si legge nella sentenza gravata che “il profilo relativo alla concentrazione di incarichi attivi e di controllo può essere – ed è stato – risolto con modalità diverse dalla duplicazione degli uffici e, in particolare, per il tramite della separazione delle attività relative alle procedure contrattuali (con atti firmati dal Prefetto o dal Vicario) e l’incarico di responsabile del procedimento (il R.U.P. è individuato nella distinta figura del dirigente di seconda fascia o in altro funzionario). Lo stesso può essere affermato per le procedure contabili, con la differenza tra direttore dell’esecuzione (soggetto diverso dal dirigente di seconda fascia) e gestore del contratto (dirigente di seconda fascia)”. Sarebbero state adottate, dunque, misure organizzative idonee a prevenire il rischio.
Avverso la predetta sentenza hanno interposto appello i ricorrenti in primo grado, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia per i motivi che saranno illustrati appresso.
Nel giudizio d’appello si è costituito il Ministero dell’interno, aderendo alla motivazione del primo giudice ed instando per il rigetto del gravame.
Con decreto presidenziale n. 1524 del 25 marzo 2021, è stata rigettata l’istanza di misure cautelari monocratiche spiegata dalla parte appellante, sui rilievi che: 1) “in questa sede di delibazione sommaria, la ben articolata motivazione della sentenza appellata resiste alle censure dei ricorrenti, con particolare riguardo alla derivazione della complessa riorganizzazione dirigenziale da una puntuale prescrizione normativa primaria, per la cui attuazione – salvi gli approfondimenti rimessi al Collegio – il confronto con le organizzazioni sindacali sembra correttamente svolto”; 2) “salva una più ampia delibazione collegiale – le misure riorganizzative contestate non appaiono irragionevoli o immotivate, e che non è possibile in sede giurisdizionale una valutazione censoria su profili del merito delle scelte compiute”; 3) “quanto al paventato periculum in mora”, “l’Amministrazione appellata ben potrà – al di là della data fissata per l’indicazione di sedi di eventuale nuova destinazione – graduare nel periodo temporale la effettiva attuazione delle ipotizzate misure di spostamento di dirigenti, ben sapendo che l’effetto di una eventuale pronuncia giurisdizionale, cautelare o di merito, sarebbe l’obbligo di immediato ripristino delle situazioni precedenti con oneri organizzativi, logistici e problemi funzionali non indifferenti”.
Con ordinanza n. 2008 del 16 aprile 2021, è stata rigettata anche l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza gravata, in ragione dell’assenza di un pregiudizio grave ed irreparabile.
All’udienza del 27 gennaio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Con un primo motivo di gravame gli appellanti lamentano la violazione del d.lgs. n. 165 del 2001, laddove, in ordine alle determinazioni per l’organizzazione degli uffici, prevede la necessità di informazione dei sindacati, ovvero le ulteriori forme di partecipazione, ove previsti nei contratti collettivi (art. 5), e laddove prevede che “i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipazione” (art. 9); nonché, la conseguente violazione dell’art. 4 del CCNL, relativo al personale dell’Area dirigenziale “Funzioni centrali” per il triennio 2016-2018, siglato in data 9 marzo 2020, secondo cui “L’informazione è il presupposto per il corretto esercizio delle relazioni sindacali e dei suoi strumenti” e “consiste nella trasmissione di dati ed elementi conoscitivi, da parte dell’Amministrazione, ai soggetti sindacali di cui all’art. 7 comma 2 al fine di consentire loro di prendere conoscenza della questione trattata e di esaminarla. L’informazione deve essere data nei tempi, nei modi e nei contenuti atti a consentire ai soggetti sindacali di cui all’art 7 comma 2, di procedere ad una valutazione approfondita del potenziale impatto delle misure da adottare ed esprimere osservazioni e proposte”.

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

Secondo gli appellanti, erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto sufficiente ed adeguata la partecipazione delle organizzazioni sindacali al procedimento di adozione del decreto impugnato con il ricorso in primo grado (il d.m. 23 luglio 2020), perché : a) le osservazioni dei sindacati non avrebbero trovato formale riscontro da parte dell’amministrazione; b) contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, non vi sarebbe stata alcuna “relazione di sintesi degli incontri con i sindacati”; c) l’amministrazione non avrebbe esternato i criteri e i principi direttivi informanti la rimodulazione della pianta organica; d) la bozza di decreto di rideterminazione della medesima pianta organica, priva di relazione illustrativa, sarebbe stata inviata solo 7 giorni prima del decreto e sarebbe stata diversa da quella poi adottata; in particolare, nella bozza di decreto figurava solo la soppressione dell’ufficio Servizio amministrazione, servizi generali e attività contrattuale, ma non il suo accorpamento con il restante Ufficio contabilità e gestione finanziaria, con conseguente devoluzione ad esso delle sue funzioni, ora gravanti sull’unico dirigente; inoltre, nella bozza consegnata ai sindacati non era presente l’indicazione della competenza relativa alla gestione del personale contrattualizzato; mancava, altresì, la competenza in tema di recupero delle spese di custodia dei veicoli sequestrati; e) non è vero, come sostenuto dal TAR, che l’Organismo paritetico, regolato dall’art. 6 CCNL e non consultato nella vicenda per cui è causa, sia uno strumento facoltativo per la concertazione; esso, infatti, secondo la citata norma del CCNL, è “tenuto a riunirsi ogniqualvolta l’amministrazione manifesti un’intenzione di progettualità organizzativa innovativa, complessa, per modalità e temi di attuazione”, sicché la sua audizione sarebbe stata necessaria.
2.- Con un secondo motivo di gravame, gli appellanti lamentano che il giudice di primo grado abbia errato nel ritenere che i decreti impugnati siano meramente attuativi dei precedenti d.P.C.m. e di scelte normative pregresse. Le fonti normative richiamate dal TAR si sarebbero infatti limitate a prevedere la necessità della rimodulazione, ma non avrebbero indicato le modalità della sua attuazione. Una riforma del genere, pur concretando atti di alta amministrazione, avrebbe richiesto l’esplicitazione, anche di dettaglio, di criteri guida, atti a dimostrare un’adeguata istruttoria (come quella espletata per la riforma della carriera prefettizia, per la quale sarebbe stata redatta una adeguata relazione illustrativa), criteri che neanche si evincerebbero dalla lettura dell’impugnato decreto ministeriale 23 luglio 2020. Quest’ultimo indicherebbe uffici e servizi, senza alcun canone distintivo, senza analizzarne caratteristiche e dimensioni, e senza alcun ragionamento – ancorché implicito – relativo agli obiettivi e alle funzioni ad essi demandati.

 

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3- Con il terzo motivo, gli appellanti sostengono che, quanto alle ragioni giustificative della riforma evidenziate dal TAR, il ritenuto sovradimensionamento degli uffici periferici sarebbe non comprensibile, visto che la categoria dei dirigenti contrattualizzati si articolava in sole due figure: i dirigenti a capo dei due servizi. Il punto di partenza era già quello di un forte squilibrio tra funzioni dei dirigenti prefettizi e dirigenti contrattualizzati, come si evince dai numeri delle piante organiche delle Prefetture analiticamente riportati in ricorso. L’accorpamento dei due servizi si tradurrebbe in un eccessivo aggravio in capo all’unico dirigente, titolare dell’ufficio residuo, il che sarebbe destinato a causare gravi scompensi, ritardi, danni all’amministrazione e responsabilità contabile e amministrativa dei dirigenti. Il primo giudice non avrebbe dovuto sminuire la circostanza di fatto che nella maggior parte delle Prefetture il Servizio contabilità vacante è affidato alla carriera prefettizia, perché tale circostanza andava considerata nella rimodulazione ottimale della pianta organica. In definitiva, non sarebbe chiaro perché il nuovo disegno della pianta organica, come sostiene il TAR, sarebbe “uniforme, omogeneo ed equilibrato”, e perché la pregressa distribuzione periferica sarebbe stata “oggettivamente sovradimensionata”.
4.- Con il quarto motivo di gravame, gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza impugnata, ove non ha considerato, quanto alle spese di custodia, che la “riconduzione di ulteriori materie sarebbe stata giustificabile solamente previa contestuale attuazione di un intervento equilibratore tra le due carriere che, come visto, non è mai avvenuto. Un incremento di competenze disposto unitamente alla soppressione di una posizione dirigenziale risulta del tutto incomprensibile e in aperta violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione. Si tratta di molteplici competenze e peraltro tutto il procedimento nei confronti del trasgressore (fulcro della procedura) è di esclusiva competenza dell’Area III – Depenalizzazione che – materialmente – detiene tutto il carteggio riferito (carriera prefettizia)”. Viceversa, nessuna particolare informazione sul trasgressore sarebbe in possesso del Servizio contabilità, “così come nessuna attività viene da questo svolta presso i ruoli dell’Agenzia delle Entrate/Riscossione (procedimento ricompreso nella declaratoria delle attività ricondotte in capo alla carriera prefettizia)”. Ancora, il trasgressore “si ritroverebbe, invece, dopo una procedura svolta totalmente da un ufficio diverso, a confrontarsi con nuovi funzionari che, tra l’altro, nulla saprebbero di tutta la precedente attività “. “Inconsistente (rectius, inintelligibile)” sarebbe anche l’affermazione secondo cui dall’attribuzione di tali attività ai dirigenti contrattualizzati deriverebbe una valorizzazione della categoria. Né potrebbe giustificare un simile trasferimento di competenze la mera previsione di una potenziale collaborazione prestata dagli uffici legali delle Prefetture; essa, per quanto “astrattamente possibile, non impedisce che la maggior parte del lavoro continui ad incombere sui dirigenti contrattualizzati e con essa anche i profili di responsabilità, che rimarranno loro “appannaggio” esclusivo”.
5.- Con il quinto motivo di ricorso, gli appellanti lamentano che il TAR abbia liquidato come non pertinente il richiamo all’art. 8-quater del d.l. n. 53 del 2019, che evoca il principio di maggiore funzionalità della riorganizzazione degli uffici, perché, per quanto dettato per l’istituzione del servizio presso la sede centrale, esso sarebbe richiamato dal decreto impugnato. In ogni caso, sarebbe mera esplicitazione dell’art. 97 Cost. e quindi principio generale dell’organizzazione amministrativa.

 

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6. – Con il sesto e ultimo motivo di gravame, gli appellanti lamentano l’erroneità della sentenza gravata, ove ha ritenuto superabile la dedotta violazione della disciplina sull’anticorruzione, fondata sul rilievo che il decreto impugnato determinerebbe un inammissibile generalizzato trasferimento alla dirigenza contrattualizzata delle funzioni centrali in quasi tutte le Prefetture (salvo le quattro di Milano, Roma, Napoli e Palermo) delle due materie della gestione contabile e dell’attività contrattuale (entrambe attività gestionali e di controllo), facendo così coincidere la figura del controllore con quella del controllato. Non sarebbe sufficiente a scongiurare questo rischio, il richiamo a misure organizzative solo “eventuali e futuribili”, perché il d.m. 23 luglio 2020 avrebbe dato vita ad un sistema incentrato sulla figura di un unico dirigente preposto alla cura di tutte le fasi attinenti alla procedura contrattuale che frustra i principi in materia di anticorruzione.
7.- Il primo motivo di appello è infondato.
Le articolate motivazioni del primo giudice resistono alle censure degli appellanti, non potendosi negare che il decreto ministeriale del 23 luglio 2020 sia stata proceduto da una procedura partecipativa che ha visto un adeguato coinvolgimento delle organizzazioni sindacali.
A quelle motivazioni, sopra illustrate ed alle quali si rimanda, devono aggiungersi le seguenti considerazioni.
Non può dubitarsi, innanzitutto, che le predette organizzazioni fossero al corrente della proposta di accorpamento e che esso, pertanto, non sia arrivato “a sorpresa” con il decreto impugnato, come emerge chiaramente dalla loro nota del 14 luglio, depositata in atti e contenente osservazioni allo schema di decreto inviato il 10 luglio, in cui le predette organizzazioni, in più punti, esprimono ferma contrarietà alla prospettata ipotesi di sopprimere in quasi tutte le Prefetture il “Servizio Amministrazione, servizi generali e attività contrattuali e di gestione del personale” con “accorpamento delle attività svolte” all’interno dell’unico “Servizio C.G.F”.
Il fatto, poi, che nella prima bozza non fossero espressamente indicate le competenze sulla gestione del personale contrattualizzato e sul recupero delle spese di custodia non inficia la complessiva effettività della partecipazione, soprattutto perché la prima è una mera esplicitazione di quelle già indicate, mentre la seconda è complementare rispetto a competenze già proprie.

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

Quanto all’aspetto temporale, la procedura di coinvolgimento delle associazioni sindacali si è concretamente dipanata dal 10 luglio (data di trasmissione della prima bozza di decreto) al 20 luglio 2020 (data della seconda riunione tra le parti), quindi in un termine congruo, anche alla luce della stessa previsione del CCNL (art. 5, comma 2), secondo cui il periodo di confronto non può essere superiore a quindici giorni.
Non rileva, poi, che le osservazioni dei sindacati non abbiano trovato “formale riscontro” da parte dell’amministrazione, né che non vi sia stata una “relazione di sintesi” degli incontri tra le parti, posto che si tratta di modalità di confronto che, per quanto auspicabili, non sono previste come necessarie.
Nemmeno rileva, ai fini della effettività della partecipazione delle organizzazioni sindacali, il fatto che l’amministrazione non abbia “formalmente esternato” i criteri e i principi direttivi informanti la rimodulazione della pianta organica, dal momento che tale circostanza non ha impedito ai sindacati, cui è stata inviata la bozza del d.m., di cogliere sin da subito i tratti fondamentali della rimodulazione, come è dimostrato dalla stessa, già citata, nota del 14 luglio.
Né, infine, può incidere sulla effettività della partecipazione e sull’informazione delle organizzazioni sindacali la mancata interlocuzione con l’Organismo paritetico, perché, al di là del rilievo che tale aspetto non è stato oggetto di alcuna doglianza durante il confronto, quella interlocuzione – come sottolineato dal primo giudice – è solo una delle modalità alternative in cui si estrinseca la dovuta partecipazione (ai sensi dell’art. 3, comma 5, del CCNL, secondo cui essa “si articola, a sua volta”, nei seguenti istituti: informazione, confronto e organismi paritetici di partecipazione, ognuno dei quali disciplinati separatamente dai successivi artt. 4, 5 e 6).
8.- Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di appello vanno esaminati congiuntamente, involgendo, a ben vedere, una contestazione di fondo della logicità e ragionevolezza della scelta dell’accorpamento degli uffici (e delle competenze).
Anche questi motivi non sono fondati.
E’ noto – e non è contestato neanche dagli appellanti – che le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici, tra cui quelle relative alla dotazione della pianta organica, sono caratterizzate da un alto tasso di discrezionalità, il quale riflette la posizione di primazia che la legge assegna alla parte pubblica nel governo di tale materia (tra le tante, C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1877; C.d.S., sez. III, 8 gennaio 2019, n. 175).
Nemmeno è in discussione che il d.l. 23 luglio 2020 e il successivo decreto impugnato con motivi aggiunti, che del primo costituisce attuazione, siano, a loro volta, attuativi di precedenti scelte normative, primarie e regolamentari, che traggono origine nel processo di spending review avviato dal d.l. n. 95 del 2012, il quale ha previsto per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, una riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di livello non generale in misura non inferiore al 20 per cento di quelli esistenti, rimettendo alle singole amministrazioni l’individuazione della misura concreta della riduzione, nonché le modalità e criteri per realizzarla.

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

Date queste (strette) coordinante di fondo, entrambe già messe in luce dal primo giudice, la rimodulazione operata dall’amministrazione, a seguito della già disposta riduzione degli uffici dirigenziali dei contrattualizzati (sia in sede centrale sia in sede periferica), si sottrae alle censure dei ricorrenti, perché la scelta di eliminare uno dei due posti funzione nelle amministrazioni periferiche c.d. di media grandezza (con esclusione, dunque, delle Prefetture di Roma, Milano, Napoli e Palermo), cui consegue il lamentato accorpamento di competenze, è di certo una opzione in sé non manifestamente illogica per dare seguito a quella riduzione dei posti dirigenziali; né sono state chiaramente prospettate, anche solo in via di esempio, né appaiono evidenti al Collegio soluzioni organizzative alternative manifestamente più razionali di quella adottata dall’amministrazione (tale non potendosi ritenere quella, solo ventilata in ricorso, di una attribuzione alla carriera prefettizia di competenze proprie della dirigenza contrattualizzata).
Anche la scelta di attribuire all’unico ufficio residuo la competenza sul recupero delle spese di custodia non appare manifestamente illogica o contraria all’art. 97 Cost., poiché, come correttamente rilevato dal primo giudice, essa si risolve nella “opportuna riconduzione di tali procedure ad un unico centro di responsabilità dirigenziale, per ragioni di economicità dell’azione amministrativa”; non appare sufficiente a scalfire questa considerazione il rilievo degli appellanti che “il procedimento nei confronti del trasgressore” è di competenza della carriera prefettizia, perché trattasi di fase distinta e precedente a quella relativa al recupero delle spese.
9.- Anche l’ultimo motivo di appello, con cui si lamenta l’erroneità della sentenza gravata, per non avere ritenuto gli atti impugnati illegittimi per violazione della normativa anticorruzione e, in particolare, delle previsioni del Piano nazionale anticorruzione (PNA), non è fondato.
Secondo gli appellanti, le misure indicate dal primo giudice non sarebbero sufficienti a scongiurare il rischio di sovrapposizione tra controllore e controllato, trattandosi di “misure organizzative solo eventuali e futuribili”.
La censura non coglie nel segno, dal momento che, ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 190 del 2012, il PNA costituisce atto d’indirizzo alle pubbliche amministrazioni ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, individua i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l’indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione
Esso, cioè, necessariamente rimanda a successive misure organizzative l’effettiva implementazione dei principi e delle misure ivi contemplati.
Sono poi corretti e non vengono superati dalle censure mosse in appello gli assunti del primo giudice, secondo cui: a) il rischio corruttivo “relativo alla concentrazione di incarichi attivi e di controllo può essere – ed è stato – risolto con modalità diverse dalla duplicazione degli uffici e, in particolare, per il tramite della separazione delle attività relative alle procedure contrattuali (con atti firmati dal Prefetto o dal Vicario) e l’incarico di responsabile del procedimento (il R.U.P. è individuato nella distinta figura del dirigente di seconda fascia o in altro funzionario)”; b) quanto al criterio di rotazione, esso può essere soddisfatto “con l’adozione di misure atte ad evitare che il soggetto non sottoposto a rotazione abbia il controllo esclusivo dei processi, specie di quelli più esposti al rischio di corruzione (come, ad esempio, nell’ottica del principio di trasparenza, modalità operative che favoriscano una maggiore compartecipazione del personale alle attività del proprio ufficio ovvero meccanismi di condivisione delle fasi procedimentali)”.

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

Queste ultime due misure, menzionate dal TAR Lazio, rientrano proprio tra quelle alternative alla rotazione che, secondo l’ANAC, possono essere adottate ove le dimensioni degli uffici, come nel caso di specie, non consentano l’avvicendarsi di posizioni dirigenziali, dal momento che esse chiamano in causa tutto il personale amministrativo e non solo quello dirigenziale (cfr. punto 5 dell’Allegato 2 – dedicato alla rotazione ordinaria del personale – al PAC del 2019).
10.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
10.- Le spese di lite vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della novità e della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022, con l’intervento dei magistrati:
Francesca Quadri – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere
Pier Luigi Tomaiuoli – Consigliere, Estensore

 

 

Le scelte attinenti all’organizzazione degli uffici

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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