Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 7 settembre 2018, n. 21809.
La massima estrapolata:
Le risultanze del bilancio civilistico sono destinate a rilevare anche ai fini delle quantificazioni tributarie, salvo che non venga dimostrato che le medesime contravvengono ai postulati di corretta e veritiera rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica dell’impresa, statuiti dal codice civile. Pertanto, esclusivamente le risultanze del bilancio, ivi compresi i criteri utilizzati per la valutazione delle merci, acquisiscono rilevanza ai fini tributari e, di conseguenza, solo ciò che promana dal bilancio dispone delle prerogative necessarie per una corretta comprensione di ciò che nello stesso è stato rappresentato.
Ordinanza 7 settembre 2018, n. 21809
Data udienza 19 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2662 del ruolo generale dell’anno 2011 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. (OMISSIS), presso il cui studio in (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 200/20/2009, depositata in data 4 dicembre 2009;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 febbraio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la societa’ l’Avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. ricorre con dieci motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in epigrafe, con la quale e’ stata confermata la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla societa’ contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, erano stati quantificati maggiori redditi IRPEG e IRAP e una maggiore IVA, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 37-bis.
Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: con l’atto impugnato l’Agenzia delle entrate aveva quantificato i maggiori ricavi in quanto dalle verifiche effettuate era emerso che: la societa’ aveva venduto a societa’ controllate capsule da caffe’ ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, con palese comportamento antieconomico posto in essere a fini elusivi; erano stati disconosciuti costi per Euro 15.395,42 relativi a fatture, emesse da ditte di trasporto, prive di elementi idonei a verificare l’effettivita’ del servizio prestato; era stata applicata, non correttamente, l’IVA agevolata al 4 per cento anziche’ al 20 per cento su vendite di capsule di caffe’ a consumatori finali diversi da ospedali, case di cura e collettivita’ in genere; era stato maggiorato il reddito essendo stata rilevata una sottovalutazione pari a Euro 55.404,00 delle giacenze finali e rettificato il credito di imposta indicato nella dichiarazione IVA 2003; la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva respinto il ricorso, avendo ritenuto la non contrarieta’ a legge dell’avviso di accertamento e, in particolare: per quanto riguardava il disconoscimento dei costi per il trasporto, la mancanza di prove documentali idonee a dimostrare l’avvenuto trasporto; per quanto riguardava la sottovalutazione delle giacenze, che la giustificazione addotta dalla societa’ della presenza di merce scaduta non era stata supportata dai criteri seguiti per la valutazione; per quanto riguardava il credito di imposta, che l’Ufficio finanziario aveva riconosciuto il proprio errore sul punto; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la societa’ contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate.
La Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello della societa’ contribuente.
In particolare, in punto di fatto, ha ritenuto che, rispetto alla chiara e dettagliata esposizione di cui all’avviso di accertamento delle circostanze che avevano condotto l’Ufficio finanziario alla ripresa a tassazione, la societa’ contribuente aveva opposto ragioni solo verbali non suffragate da idonea documentazione e che, per quanto riguardava la questione della sottovalutazione delle merci, la societa’ contribuente aveva omesso di inserire nella nota integrativa al bilancio e nei verbali delle assemblee qualsiasi indicazione e motivazione della minore valutazione delle rimanenze finali, circostanza che legittimava l’esclusione di tale valutazione dalle risultanze contabili e fiscali operata dall’Ufficio anche se era stata accertata una qualche presenza di merce scaduta o in scadenza.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.r.l., affidato a dieci motivi di censura.
L’Agenzia delle entrate si e’ costituita con controricorso.
La societa’ ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del controricorso proposta dalla ricorrente con la memoria depositata ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ. in quanto lo stesso prende specifica posizione sui diversi punti di doglianza prospettati con il ricorso, in particolare sui dedotti vizi di motivazione e di violazione di legge, contestando espressamente le ragioni relative alla vendite sottocosto, alle spese per servizi di trasporto, all’applicabilita’ dell’Iva agevolata nonche’ al valore delle merci di magazzino.
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di appello tenuto conto, per quanto concerneva la questione della vendita sottocosto delle capsule da caffe’, della fattura di Euro 51.500,00 oltre IVA emessa dalla societa’ contribuente nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. per rimborso spese di telemarketing e, per quanto concerneva la questione del recupero di costi non inerenti relativi alle spese di trasporto, dell’elenco dei destinatari delle forniture.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere il giudice di appello motivato sulle ragioni per cui la fattura relativa alle spese di telemarketing, che proverebbe la ricezione di un ulteriore bonus e quindi l’ulteriore incrementarsi dello sconto delle capsule, non fosse idonea a dimostrare la sua incidenza sul prezzo finale delle capsule da caffe’. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla medesima censura di vizio della motivazione, sono infondati.
Nel suo percorso motivazionale la pronuncia impugnata ha tenuto conto del fatto che l’ufficio aveva considerato, ai fini della valutazione della vendita sottocosto delle capsule da caffe’ alle societa’ partecipate, del bonus erogato dalla (OMISSIS) s.p.a., ritenendo comunque sussistente una vendita sottocosto.
Con riferimento alla fattura di Euro 51.500,00 oltre IVA emessa dalla societa’ contribuente nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. per rimborso spese di telemarketing, che parte ricorrente ritiene non considerata dal giudice di appello, non e’ dato rinvenire la decisivita’ della stessa ai fini della definizione della controversia. Dall’esame del ricorso, invero, si legge che si tratta di una fattura emessa dalla (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. per rimborso spese di telemarketing, circostanza che non consente di valutare tale documento, come invece asserito dalla ricorrente, quale contributo incidente sul prezzo di costo delle capsule da caffe’ e non sul costo delle spese di telemarketing solo in parte sostenute dall’ (OMISSIS) srl e dalle altre societa’ partecipate (vd. ricorso, punto 2) ricostruzione in fatto).
Dinanzi al contenuto stesso del documento in esame, di per se’ avente funzione unicamente di attestare il rimborso di spese per prestazioni eseguite dalla ricorrente (a nulla rilevando che lo stesso attiene a spese che dovra’ sostenere, in quanto pur sempre connesse a spese di telemarketing in relazione alle quali e’ stata emessa la fattura) non emerge in alcun modo la decisivita’ dello stesso al fine, perseguito dalla ricorrente, di giustificare una riduzione del prezzo di vendita delle capsule da caffe’.
Stesse considerazioni devono essere espresse per quanto riguarda la questione del recupero dei costi non inerenti relativi alle spese di trasporto, in relazione alla quale parte ricorrente lamenta la mancata considerazione dell’elenco dei destinatari delle forniture di trasporto oggetto di recupero.
La sentenza impugnata, invero, ha ritenuto che le fatture prodotte mancavano dei dati essenziali previsti per potere individuare l’effettivita’ del servizio prestato.
Di per se’, la produzione di un elenco di destinatari non implica che le fatture siano effettivamente riferibili ai medesimi ove la parte non documenti che, sulla base delle stesse fatture non si possa in qualche modo ricavare un qualche elemento che consenta di riferire le stesse ai soggetti di cui all’elenco prodotto.
La produzione dell’elenco, quindi, non risulta in alcun modo decisivo ai fini della valutazione della fondatezza del motivo di ricorso in esame.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 167 cod. proc. civ., per non avere ritenuto non contestato tra le parti, con riferimento alla dichiarata politica commerciale intrapresa dalla ricorrente di una maggiorazione del prezzo di vendita delle macchine da caffe’ a giustificazione della vendita sottocosto delle capsule da caffe’, il prezzo di vendita delle macchine da caffe’.
Il motivo e’ infondato.
Il fatto non contestato tra le parti attiene al prezzo di vendita delle macchine da caffe’ ma la questione di fondo, che il giudice di appello ha ritenuto di dovere valutare, e’ il fatto se la vendita delle macchine da caffe’ avveniva a un prezzo maggiorato al fine di coprire la vendita sottocosto delle capsule da caffe’.
Non provata, infatti, e non rientrante nei limiti dei fatti non contestati, e’ proprio la asserita maggiorazione della vendita delle macchine da caffe’ nell’ambito della politica economica perseguita dalla ricorrente e, in questo contesto, il giudice di appello ha espresso un apprezzamento di merito, ritenendola contraria alla prassi commerciale di settore, secondo cui normalmente il prezzo di vendita delle macchine da caffe’ e’ contenuto nell’ottica di una fidelizzazione della clientela per gli acquisti successivi delle capsule da caffe’.
Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per illogicita’ e insufficienza della motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla valutazione delle prove fornite dalla societa’ contribuente a sostegno della contestata inerenza delle fatture trasporto merci, in particolare per avere ritenuto che nessuna delle fatture prodotte conteneva i dati essenziali previsti dalle norme in materia.
Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione a un fatto decisivo per il giudizio, laddove non e’ stata resa alcuna pronuncia sulla prova documentale prodotta a sostegno della contestata inerenza delle fatture di trasporto delle merci, in particolare per non avere tenuto conto della documentazione prodotta consistente nell’elenco dei destinatari dei trasporti.
Entrambi i motivi, che possono esser unitamente considerati in quanto attengono alla medesima questione della non inerenza dei costi relativi alle spese di trasporto, sono infondati.
Il quinto motivo, in particolare, ripercorre le stesse argomentazioni gia’ seguite in relazione al primo motivo di ricorso relative alla mancata considerazione dell’elenco dei destinatari dei trasporti e, sotto tale profilo, ci si riportata a quanto sopra considerato in ordine alla infondatezza del motivo.
Per quanto attiene, poi, alla questione della illogicita’ e insufficienza della motivazione, di cui al quarto motivo, la stessa e’ infondata, posto che il giudice, con una valutazione non sindacabile in questa sede, ha espresso la propria valutazione in ordine alla non completezza delle fatture, prive dei dati essenziali, in particolare della indicazione dei soggetti destinatari ed ha, conseguentemente, ritenuto non provato quanto sostenuto da parte ricorrente.
In particolare, dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che il giudice di appello ha ritenuto che nessuna delle fatture prodotte (e tenute in considerazione dall’Ufficio) conteneva gli elementi essenziali per potere da esse evincere con certezza chi fossero i destinatari del trasporto, ritenendo implicitamente che ogni ulteriore documentazione non fosse idonea a superare l’incertezza assoluta dei dati ivi contenuti.
Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 civ., dell’articolo 2967 cod. civ., in ordine all’onere di prova gravante sull’Agenzia delle entrate dei fatti e documenti costitutivi della maggiore pretesa tributaria.
Il motivo e’ infondato.
Dinanzi alla prospettazione dell’Ufficio della non inerenza dei costi relativi alle spese per il trasporto, era onere della contribuente fornire prova documentale che consentisse di accertare con certezza che le fatture, seppure prive di specifica indicazione del destinatario, erano comunque state emesse nell’ambito dell’attivita’ propria della societa’ contribuente.
Sotto tale profilo, non e’ ravvisabile alcuna violazione del regime probatorio, avendo il giudice di appello correttamente ripartito l’onere della prova tra le parti e ritenuto non raggiunta la prova richiesta a carico della contribuente.
Con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), della Tabella A, parte 2, n. 38, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in relazione alla corretta applicazione dell’aliquota IVA agevolata al 4 per cento, per non avere ritenuto che i dipendenti di una determinata azienda indicati genericamente o nominativamente nelle fatture sono da considerarsi consumatori finali, con conseguente corretta applicazione della aliquota agevolata.
Con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata per illogicita’ e insufficiente motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione a un fatto decisivo e controverso per il giudizio in ordine all’eccepita mancanza di produzione di prove da parte della societa’ contribuente sul fatto che i clienti, intestatari delle fatture oggetto del recupero IVA, fossero gestori o rappresentanti di comunita’ di persone.
I motivi, che possono essere esaminati unitamente, in quanto attengono alla medesima questione della non applicabilita’ dell’IVA agevolata, sono infondati.
La pronuncia impugnata ha ritenuto, sul punto, che i clienti venivano identificati solo con il loro nominativo o con dizioni generiche e che parte ricorrente non ha dato prova che gli stessi abbiano agito quali rappresentanti o comunque gestori di comunita’ in favore della quale era stata compiuta la fornitura.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione della previsione di cui alla voce 38), Tabella A, parte 2, allegata al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, nel testo vigente ratione temporis, che regola le “somministrazioni di alimenti e bevande effettuate mediante distributori automatici collocati in stabilimenti, ospedali, case di cura, uffici e scuole, caserme ed altri edifici destinati alla collettivita’”, prevedendo per esse l’aliquota del 4%(percento).
Questa Corte ha precisato, sul punto, (Cass. civ. Sez. 5, Sent., 22 settembre 2017, n. 22093) che il tratto caratterizzante di tale disposizione e’ costituito dalla circostanza che i distributori in questione siano collocati in luoghi destinati alla collettivita’, dovendosi ritenere che l’applicazione dell’aliquota agevolata anzidetta trovi giustificazione nella funzione – per cosi’ dire – sociale, che contraddistingue la somministrazione di alimenti e bevande negli edifici contemplati dalla norma. Presupposti per l’applicazione della previsione in esame e’ che i distributori siano utilizzati da un numero indeterminato di individui e non per una ristretta cerchia di persone (dipendenti o collaboratori) che operano all’interno della struttura.
Correttamente, quindi, il giudice di appello ha ritenuto che occorreva darsi la prova, non fornita, che la fornitura venisse eseguita a favore dell’ente, pubblico o privato, e che, pertanto, venisse documentato che il nominativo di cui in fattura fosse il soggetto titolare del potere rappresentativo dell’ente.
Con il nono motivo si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in particolare, con riferimento alla questione del recupero a tassazione della sottovalutazione delle giacenze finali, per non avere tenuto conto della comunicazione di parziale svalutazione delle rimanenze trasmessa dalla societa’ contribuente entro i termini per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2005, circostanza che avrebbe potuto consentire la mancata indicazione della svalutazione operata nel bilancio o nella nota integrativa.
Con il decimo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2426 c.c., comma 1, n. 9) e Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 92, commi 1 e 2 in rapporto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 110, n. 6), per non avere considerato che era obbligo della societa’ effettuare, ai sensi del suddetto articolo 110, la comunicazione all’Agenzia delle entrate del mutamento del criterio di valutazione delle rimanenze di magazzino e che, di conseguenza, il suddetto adempimento sopperiva all’omessa indicazione della svalutazione delle merci nel bilancio redatto per il medesimo anno di imposta, in quanto, comunque, l’Agenzia delle entrate era, in tal modo, posta nelle condizioni di conoscere l’operato della societa’, a prescindere dalla dedotta irregolarita’ nella redazione del bilancio.
I motivi sono infondati.
Va, in primo luogo, osservato che sulla questione relativa alla sottovalutazione delle giacenze finali, il giudice di appello ha ritenuto che costituisse profilo fondamentale, ai fini della decisione, la circostanza che nella nota integrativa al bilancio e nei verbali delle assemblee era stata del tutto omessa qualsiasi indicazione e motivazione delle minori valutazioni delle rimanenze.
La ratio di tale decisione, quindi, risiede nell’avere ritenuto fondamentale la valutazione delle rimanenze compiuta in sede di bilancio ovvero nella nota integrativa da sottoporsi all’approvazione dell’assemblea, in tal modo, implicitamente, dando risposta alla contestazione della parte ricorrente, secondo cui l’omissione sopra indicata avrebbe potuto essere superata dalla mera presentazione di una “comunicazione di parziale svalutazione delle rimanenze al 30 giugno 2005”.
Sotto tale profilo, con specifico riferimento al nono motivo di ricorso, la pronuncia ha adeguatamente motivato sul punto, anche con riferimento, sebbene in modo implicito, alla questione prospettata, avendo dato rilievo, come detto, alla necessita’ che il valore delle rimanenze dovesse essere sempre individuato sulla base delle indicazioni risultanti dal bilancio ovvero dalla nota integrativa, debitamente approvati, non essendo quindi sufficiente la successiva comunicazione cui, invece, la ricorrente attribuisce rilevanza.
Il punto della decisione in esame, peraltro, risulta conforme a diritto, sicche’, sotto tale profilo, non e’ fondato il decimo motivo di censura.
In particolare, secondo parte ricorrente, la mancata indicazione nel bilancio di esercizio della intervenuta svalutazione del valore delle merci, nonche’, eventualmente, nella nota integrativa, sarebbe stata superata dalla successiva comunicazione, da essa compiuta, di cui all’articolo 110, comma 6, del Tuir.
Tale linea difensiva, tuttavia, non e’ corretta.
Il Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 110, comma 6, prevede che “In caso di mutamento totale o parziale dei criteri di valutazione adottati nei precedenti esercizi il contribuente deve darne comunicazione all’agenzia delle entrate nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato”.
La norma presuppone l’avvenuta modifica dei criteri di valutazione e prevede, di conseguenza, un obbligo di comunicazione, sicche’ non puo’ ad essa attribuirsi una valenza sostitutiva della necessaria specifica indicazione, in sede di redazione del bilancio e della nota integrativa, dei criteri di valutazione secondo quanto previsto dall’articolo 2426 cod. civ. nonche’, eventualmente, dei diversi criteri seguiti in considerazione della ritenuta riduzione del valore delle merci in rimanenza.
A tal proposito, questa Suprema Corte ha precisato che le risultanze del bilancio civilistico sono destinate a valere anche ai fini delle determinazioni fiscali, a meno che non si dimostri che le stesse contrastano “con i principi di corretta e veritiera rappresentazione della situazione patrimoniale ed economica dell’impresa stabiliti dal codice civile” (Cass. 23 novembre 2011, n. 23608; Cass. 23 luglio 2011, n. 16429), in tal modo ponendo in specifico rilievo che solo le risultanze del bilancio, ivi compresi i criteri indicati per la valutazione delle merci, debitamente approvato, assumono rilevanza ai fini fiscali, costituendo, quindi, quanto risultante dal bilancio, ove regolarmente tenuto, presupposto necessario ai fini della corretta considerazione di quanto in esso rappresentato.
Sotto tale profilo, non puo’ ritenersi che la comunicazione, cui fa riferimento la ricorrente, abbia valore al fine della corretta individuazione dei criteri di valutazione delle merci, non essendo stata la stessa preceduta dalla specifica indicazione in bilancio e nella nota integrativa, debitamente approvati dall’assemblea.
Per quanto sopra esposto, il ricorso e’ infondato, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 7.000,00 oltre spese prenotate a debito.
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