Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 5 agosto 2020, n. 4933.
La massima estrapolata:
Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), D.L. 269/2003, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili se ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) le opere siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso.
Sentenza 5 agosto 2020, n. 4933
Data udienza 14 maggio 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Intervento di restauro e risanamento conservativo – Qualificazione lavori come opere di ristrutturazione edilizia – Diniego sanatoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5699 del 2019, proposto dai signori Fr. Te. e An. Te. Cl., rappresentati e difesi dagli avvocati Fr. La., Si. Co. e Gi. La. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato Le. Fi. (Studio Ca.) in Roma, piazza (…) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Na. e Ma. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, 21 maggio 2019 n. 802, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza della Sezione 29 agosto 2019 n. 4119 con la quale è stata accolta l’istanza cautelare presentata dagli appellanti;
Esaminate le ulteriori memorie depositate con documenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 14 maggio 2020 (svolta secondo la disciplina prevista dall’art. 84 comma 5, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello i signori Fr. Te. e An. Te. Cl. hanno chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, 21 maggio 2019 n. 802, con la quale è stato respinto il ricorso (n. R.g. 5699/2019) proposto al fine di vedere annullata l’ordinanza n. 21 del 21 novembre 2016, con la quale il responsabile Ufficio tecnico comunale del Comune di (omissis) ha denegato la richiesta sanatoria relativamente ad alcune opere consistenti nelle “opere di restauro e di risanamento conservativo realizzate nell’ambito di vani interni preesistenti all’edificio (di proprietà Te.) senza alcuna alterazione dello stato esteriore dei luoghi con la loro diversa utilizzazione, nell’ambito della medesima categoria funzionale. Interventi oggi assimilabili alla DIA ai sensi dell’art-2 della L.R. n. 19/2001”, esprimendo parere negativo al rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003, n. 326, disponendo nel contempo, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la demolizione delle opere ed il ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, con la comminatoria, in caso di mancata demolizione, dell’acquisizione dell’area di sedime al patrimonio comunale.
2. – La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:
– i signori Fr. Te. e An. Te. Cl. sono proprietari di un complesso edilizio sito in località (omissis) nel Comune di (omissis), denominato “Ca. de. Ma.”, risalente al XIX secolo che costituisce uno dei più antichi e suggestivi complessi immobiliari della Costa di (omissis);
– il compendio immobiliare è articolato in tre fabbricati ad uso residenziale composti ciascuno da una serie di manufatti con tetto a volta, mentre nel fondo agricolo persistono, inoltre, antichi depositi all’epoca utilizzati per l’originaria coltivazione dei limoni;
– acquistato il compendio immobiliare e verificato lo stato di pessima conservazione dello stesso, i proprietari effettuavano un intervento complessivo di restauro e risanamento, reso non facile a causa dell’avanzato stato di degrado in cui versavano gli immobili, con particolare riferimento agli antichi corpi di fabbrica in struttura in muratura in pietrame, con coperture a volta;
– in seguito a detto intervento di restauro e risanamento conservativo, in data 23 marzo 2004, i sopracitati comproprietari presentavano al Comune di (omissis), istanza di condono edilizio, ai sensi del d.l. 269/ 2003, convertito nella l. 326/2003 (recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), relativamente al vano sottoposto alla terrazza prospiciente il fabbricato autonomo dal principale e concernente “lavori di restauro e risanamento conservativo” (così, testualmente, nella pratica prot. n. 1216/04 prot. 06/22104));
– nello specifico l’intervento edilizio oggetto di richiesta di sanatoria era relativo ad all’esecuzione di opere di restauro e di risanamento conservativo realizzate nell’ambito di vani interni preesistenti all’edificio senza alcuna alterazione dello stato esteriore dei luoghi con la loro diversa utilizzazione nell’ambito della medesima categoria funzionale;
– ancor più precisamente, in seguito ad un intervento edilizio di recupero e di risanamento conservativo (in una originaria zona controroccia interclusa) eseguito in virtù di una DIA presentata dai proprietari nel 2000 venne alla luce un vano (probabilmente interrato e così rimasto negli anni), di talché i proprietari presentavano istanza di sanatoria per realizzare opere di restauro e risanamento conservativo all’interno del vano preesistente venuto alla luce (posto nell’intercapedine di controroccia, sottoposto al terrazzo prospiciente la porzione di edificio a sua volta già composta da un piano terra e formato da un vano e accessori e sanato con la sanatoria n. 03/2001 sopra richiamata);
– l’intervento di recupero del vano ritrovato veniva realizzato nel pieno rispetto del preesistente stato esteriore dei luoghi, con la sola attribuzione allo stesso di una funzione abitativa, senza alcuna superfetazione del preesistente, lasciato inalterato anche con riferimento alle originarie altezze esterne ed interne;
– con riferimento alla richiesta di condono edilizio i competenti uffici del Comune di (omissis), rilevavano l’avvenuta che gli interventi edilizi oggetto di sanatoria ricadono su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico per effetto del D.M. del 15 settembre 1960 (del Ministro per la pubblica istruzione e del Ministro per la marina mercantile, con il quale è stato sottoposto a tutela paesaggistica, ai sensi della l. 29 giugno 1939, n. 1497, l’intero territorio del Comune di (omissis)) nonché la sussistenza, nella medesima area di un vincolo idrogeologico apposto con provvedimento risalente agli anni ’30;
– sulla scorta di quanto sopra i predetti uffici comunali ritenevano l’insussistenza dei presupposti per poter condonare l’intervento edilizio, trattandosi di nuova edificazione con aumento di volumetria eseguita senza titolo in zona sottoposta a vincolo, anche perché, all’esito di un sopralluogo effettuato dai Carabinieri della Stazione di (omissis), è stata accertata la realizzazione di un ulteriore piano presso il fabbricato ubicato sul lato Ovest del fabbricato principale non presente nella documentazione di cui al rogito notarile di acquisto, ingiungendo quindi ai proprietari di ripristinare lo stato dei luoghi mediante demolizione delle opere abusive con i conseguenti ammonimenti in caso di inadempienza.
3. – I signori Te. e Cl. impugnavano l’ordinanza n. 21 del 21 novembre 2016 adottata dal Comune di (omissis) chiedendone l’annullamento perché viziata sotto diverse angolature, in punto di fatto ed in punto di diritto.
Il Tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso proposto valorizzando la circostanza che sull’area in questione insistono sia un vincolo idrogeologico (peraltro risalente) sia un vincolo paesaggistico, rispetto ai quali i ricorrenti in primo grado non sono stati in grado di dimostrare la precedente realizzazione degli interventi edilizi oggetto di domanda di condono rispetto all’epoca di impressione dei vincoli.
I signori Te. e Cl. propongono ora appello nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, 21 maggio 2019 n. 802, chiedendone la riforma in quanto errata e chiedendo l’accoglimento del ricorso a suo tempo proposto in primo grado.
Sotto il profilo del paventato errore presente nella sentenza qui oggetto di appello gli appellanti, con un unico e complesso motivo di appello, sostengono che:
– in primo luogo il primo giudice, pur avendo disposto, con ordinanza collegiale istruttoria n. 2004/2018, il deposito della documentazione utile a poter dimostrare la preesistenza delle costruzioni rispetto all’epoca di impressione del vincolo paesaggistico sull’area in questione, non ha poi tenuto conto della copiosa documentazione fotografica con la quale tale dimostrazione era ampiamente offerta dagli attuali appellanti. Dalle fotografie depositate è possibile, comunque, risalire con certezza al momento della realizzazione (anni ’50) del vano oggetto del giudizio (all’epoca utilizzato come deposito) e quindi in epoca precedente rispetto a quella di impressione del vincolo paesaggistico;
– erroneamente poi il primo giudice ha considerato oggetto dell’istanza di condono una nuova costruzione, quanto l’opera in questione atteneva al recupero di un vano ritrovato e si compendiava, quindi, in un mero mutamento della destinazione d’uso di quel vano, senza alterazione di volumi e superfici, nell’ambito di lavori di recupero e risanamento conservativo di un antico complesso immobiliare risalente al 1800.
Ai suddetti specifici motivi di appello, i signori Te. e Cl. aggiungevano la riproposizione delle censure dedotte in primo grado in virtù delle quali l’ordinanza n. 21/2016 era contestabile per “evidente carenza di istruttoria e dei presupposti, con conseguente difetto di motivazione”, per “la genericità con cui il responsabile comunale si è limitato a richiamare i vincoli asseritamente esistenti sulla zona” nonché per la “erronea qualificazione dell’abuso edilizio”.
4. – Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado,
5. – Il ricorso in appello non si presenta fondato.
Nella realtà l’oggetto del presente giudizio attiene alla legittimità dell’ordinanza del Comune di (omissis) n. 21/2016 con la quale è negato ai signori Te. e Cl. l’accoglimento della domanda di condono edilizio con riguardo alle “opere di restauro e di risanamento conservativo realizzate nell’ambito di vani interni preesistenti all’edificio (di proprietà Te.) senza alcuna alterazione dello stato esteriore dei luoghi con la loro diversa utilizzazione, nell’ambito della medesima categoria funzionale. Interventi oggi assimilabili alla DIA ai sensi dell’art-2 della L.R. n. 19/2001”. In altri termini, come rammentano più volte gli appellanti nell’atto introduttivo del presente giudizio di secondo grado, si tratta della richiesta di condono di un vano “ritrovato” in seguito a lavori assentiti con DIA del 2000 e che, verosimilmente, era rimasto negli anni nascosto per effetto di interramenti.
Le ragioni che sostengono l’appello dei signori Te. e Cl. sono prevalentemente rivolte ad affermare l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata e l’erroneità della sentenza di primo grado con la quale il primo giudice ha dimostrato di non saper cogliere la illegittimità di detta ordinanza per effetto dell’errata acquisizione della consapevolezza della non preesistenza delle opere condonabili rispetto all’epoca di impressione del vincolo paesaggistico.
Il provvedimento impugnato in primo grado, tuttavia, segnala anche, in modo decisivo che, per effetto dei lavori realizzati nel corso degli anni ed all’esito di quel che è emerso durante un sopraluogo dei Carabinieri della Stazione di (omissis), effettuato in data 15 luglio 2016, era stata realizzata una “porzione di un fabbricato autonomo dal principale posto sul lato ovest verso Praiano che oggi si sviluppa su due livelli”, oggetto della domanda di condono (poi denegato). Sempre nella ordinanza 21/2016 gli uffici comunali rilevano come di tale porzione di fabbricato non si fa menzione nel rogito di trasferimento rogato dal notaio Pl. Va. Ga. del 22 luglio 1999 rep. n. 29319 ove si legge che il “(…) secondo fabbricato al primo livello sottostrada, posto nel lato ovest, rispetto al corpo di fabbrica principale, è composto da un piano terra, formato da un vano, accessori con terrazza, con ingresso autonomo ed accessibile attraverso una scala esterna che si diparte dal terrazzo ubicato al piano terra del fabbricato principale (…)”.
Orbene il suddetto corpo di fabbrica, all’esito dei lavori realizzati ed oggetto di richiesta di condono, è ora composto da due piani collegati tra di loro da una scala, con evidente aumento di volumetria e tali lavori, certo non sono preesistenti all’imposizione del vincolo paesaggistico né consentono, in area vincolata, di essere soggetti a condono.
Nel presente giudizio di appello e nel giudizio di primo grado, in particolare attraverso le relazioni tecniche di parte depositate, non vengono prodotti elementi probatori utili dagli odierni appellanti a superare tale contestazione chiaramente centrale nel provvedimento 21/2016 impugnato in primo grado
6. – D’altronde, come è noto, la giurisprudenza ferma di questo Consiglio di Stato, rispetto alla quale la Sezione non ha ragione di discostarsi, afferma che:
– ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. 269/2003, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili se ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) le opere siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso (cfr., per tutti, Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425, 11 dicembre 2018 n. 6991, 16 agosto 2017 n. 4007 e 18 maggio 2015 n. 2518);
– parimenti fermo è il principio per cui non possono essere comunque sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque d’inedificabilità, anche relativa (cfr. così pure Cons, Stato, Sez. II, 15 ottobre 2019 n. 703).
Ne consegue che la non presenza del vano oggetto di istanza di condono nella planimetria di cui al rogito di acquisto del diritto di proprietà del complesso, costituisce di per sé dimostrazione della non condonabilità dell’intervento edilizio in questione in ragione delle specifiche regole fissate dal legislatore con il condono del 2003.
7. – Tale ragione di infondatezza dell’appello travolge anche le ulteriori censure proposte in primo grado e riproposte in secondo grado dagli appellanti, in quanto non specificamente attinenti alla questione sopra evidenziata e rispetto alla quale dunque, non sarebbero in grado, anche in ipotesi di fondatezza, di superare l’elemento ostativo al condono che sorregge il provvedimento n. 21/2016 e del quale si è sopra detto.
In proposito va ancora una volta rammentato che, in presenza di atti plurimotivati, ovvero fondati su una pluralità di autonomi motivi (come appare evidente con riferimento al provvedimento n. 21/2016), per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni, pertanto il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento elemento (cfr., per tutti, Cons. Stato, Sez. VI 27 luglio 2015 n. 3663 nonché, tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2020 n. 2403, Sez. III, 4 ottobre 2019 n. 6722, Sez. IV, 19 marzo 2019 n. 1793).
8. – In ragione delle suesposte osservazioni l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, 21 maggio 2019 n. 802 che ha respinto il ricorso di primo grado n. R.g. 78/2017.
Le spese di giudizio del grado di appello seguono la soccombenza, per il noto principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., di talché le stesse vanno imputate a carico degli appellanti, signori Fr. Te. e An. Ma. Cl. ed in favore della parte appellata, Comune di (omissis), nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 5699/2019, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Salerno, 21 maggio 2019 n. 802.
Condanna i signori Fr. Te. e An. Ma. Cl. a rifondere le spese del secondo grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 14 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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