Le norme regolamentari devono essere immediatamente impugnate

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 13 novembre 2019, n. 7796.

La massima estrapolata:

Le norme regolamentari devono essere immediatamente ed autonomamente impugnate, in osservanza del termine decadenziale, solo laddove esse siano suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto, mentre, nel caso di volizioni astratte e generali, suscettibili di ripetuta applicazione e che esplichino effetto lesivo solo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo, la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, la quale sarebbe peraltro inammissibile per difetto di una lesione attuale e concreta, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l’atto presupposto.

Sentenza 13 novembre 2019, n. 7796

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1517 del 2010, proposto da
Me. de. Ac. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ca. Di Gi. e Da. An., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Di Gi. in Roma, piazza (…);
contro
Comune di Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Au. Do. Ma. e Ga. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ga. Pa. in Roma, viale (…);
Provincia di Genova, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 03075/2009, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Genova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2019 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati An. e Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- La Me. de. Ac. s.p.a., ora Ir. Ac. s.p.a. (successore a titolo universale dell’Acquedotto Ni. e dell’Acquedotto De Fe. Ga.) ha interposto appello nei confronti della sentenza 4 novembre 2009, n. 3075 del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. I, che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso avverso la nota 20 novembre 2000 del Comune di Genova, Settore Tributi, recante reiezione dell’istanza di rimborso del canone, nonchè avverso l’art. 39, comma 4, del regolamento Cosap approvato con deliberazione consiliare n. 28 in data 24 febbraio 2000 e per l’accertamento dell’infondatezza della pretesa comunale di commisurare il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche al numero degli utilizzatori finali dell’acqua potabile (anziché al numero delle utenze formalmente attivate).
La società Me. de. Ac. è proprietaria della rete e degli impianti per l’erogazione dell’acqua potabile nel territorio del Comune di Genova e dunque delle condotte che attraversano il sottosuolo distribuendo l’acqua sino al tombino con coperchio (c.d. bocchetta), da cui partono le tubazioni condominiali. Il contratto per la fornitura dell’acqua potabile è stipulato tra l’appellante ed il condominio (e non già con i singoli condomini).
Il Comune di Genova, con deliberazione consiliare n. 28 del 24 febbraio 2000, ha istituito il canone OSAP; l’art. 39, punto IV, del regolamento stabiliva che per le “occupazioni realizzate -con condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto- da aziende di erogazione di pubblici servizi e per quelle realizzate nell’esercizio strumentale ai servizi medesimi” il canone è pari a lire 1.000 (poi elevato a lire 1.250) “per ogni utente, inteso nella fattispecie quale utilizzatore finale del servizio, per cui ove per motivi contrattuali l’utenza venga gestita a livello centralizzato (ex condomini, centralini multiutenze) il numero di utenze di cui alla tariffa in questione deve essere sempre ragguagliato alla singola unità abitativa e/o aziendale”.
Espone l’appellante che tale criterio contrasta con l’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997 e con la circolare esplicativa del Ministero delle Finanze (n. 32/E in data 28 febbraio 2000), successiva al regolamento, in quanto commisura il canone OSAP non già al numero delle utenze formalmente attivate, ma al numero dei destinatari finali del servizio.
Con la nota del 30 aprile 2000 il Comune di Genova, Ufficio Tosap, ha chiesto il pagamento delle prime due rate del canone in conformità del regolamento.
Con istanza in data 31 ottobre 2000 l’allora Acquedotto, contestando la legittimità del regolamento, ha chiesto il rimborso delle rate versate in eccesso nell’anno 2000; tale istanza è stata respinta con l’impugnato provvedimento in data 20 novembre 2000 da parte dell’amministrazione comunale.
2. – Con il ricorso in primo grado l’allora Acquedotto De Fe. Ga. ha impugnato la nota comunale del 20 novembre 2000, nonché gli atti presupposti, tra cui le note del 20 settembre 2000, 13 aprile 2000 e 5 ottobre 1999, deducendo, tra l’altro, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., nonché degli artt. 52 e 63 del d.lgs. n. 446 del 1997, chiedendo altresì l’accertamento dell’infondatezza della pretesa del Comune di commisurare il canone al numero degli utilizzatori finali dell’acqua potabile.
3. – La sentenza appellata, intervenuta a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato, IV, 26 maggio 2009, n. 4645 che ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo rinviando al primo giudice l’esame del merito, ha dichiarato il ricorso inammissibile per tardiva impugnazione della nota in data 13 aprile 2000, prot. n. 6800, richiedente il pagamento ritenuto indebito mediante il richiamo della norma regolamentare (l’art. 39, comma 4) per l’applicazione del canone per l’occupazione degli spazi ed aree pubbliche (approvato con deliberazione consiliare 24 febbraio 2000, n. 28); se dunque il regolamento non doveva considerarsi direttamente lesivo della situazione giuridica dedotta in giudizio, tale era invece la comunicazione applicativa della norma locale che non è stata tempestivamente gravata. Non può dunque, ad avviso della sentenza, ritenersi ammissibile l’impugnazione del diniego di rimborso dell’indebito, senza la tempestiva impugnazione del precedente atto applicativo, anche in ragione del fatto che l’atto gravato in principalità vede denunciati solo vizi in via derivata.
4.- Con il ricorso in appello la Me. de. Ac. s.p.a. ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, nella considerazione che la nota comunale del 13 aprile 2000 non ha carattere autoritativo, ma natura infraprocedimentale, al contrario del diniego di rimborso lesivo in quanto definitivamente applicativo del regolamento COSAP, che però è stato tempestivamente gravato; ha dunque reiterato i vizi dedotti in primo grado e non esaminati dalla sentenza appellata, volti a contestare l’applicazione contra ius del canone con riferimento al numero degli utilizzatori finali del servizio (impropriamente definiti utenti) anziché a coloro che usufruiscono di un allacciamento diretto (utenze contrattualmente attivate con il gestore).
5. – Si è costituito in resistenza il Comune di Genova concludendo per la reiezione del ricorso.
6. – All’udienza pubblica del 23 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Il primo motivo di appello critica la statuizione che ha dichiarato inammissibile il ricorso in ragione della tardiva impugnazione della nota comunale prot. n. 6800 in data 13 aprile 2000, assumendo come detta nota non abbia natura provvedimentale, ma meramente infraprocedimentale, melius informativa; l’unico reale provvedimento impugnabile, in quanto modificativo della sfera giuridica del destinatario, ad avviso di Me. de. Ac., deve ritenersi il diniego di rimborso di cui alla nota prot. n. 20812 in data 20 novembre 2000, rispetto alla quale il ricorso, notificato il 15 gennaio 2001, risulta tempestivo.
Il motivo, pur nella sua problematicità, non è fondato.
Occorre invero considerare che la disposizione contrastata dalla società appellante è quella della norma di cui all’art. 38, comma IV, del regolamento per l’applicazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui alla deliberazione del Consiglio comunale di Genova n. 28 del 24 aprile 2000, che determina le tariffe delle occupazioni permanenti nel senso che le “occupazioni realizzate -con condutture, impianti o qualsiasi altro manufatto- da aziende di erogazione di pubblici servizi e per quelle realizzate nell’esercizio strumentale ai servizi medesimi: lire 1.000- (euro 0,52)- con valore riferito al 1999- per ogni utente, inteso nella fattispecie quale utilizzatore finale del servizio, per cui ove per motivi contrattuali l’utenza venga gestita a livello centralizzato (es. condomini, centralini multiutenze) il numero di utenze di cui alla tariffa in questione deve essere sempre ragguagliato alla singola unità abitativa e/o aziendale. La tariffa verrà adeguata annualmente in rapporto all’aumento dell’indice ISTAT sul costo della vita, ragguagliato alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di adeguamento. Successivamente applicabile sarà quella base per le occupazioni permanenti di categoria corrispondente, ridotta del 50%”.
Tale essendo la disposizione regolamentare, adottata in preteso contrasto con la fonte primaria, di cui all’art. 63, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 446 del 1997, in combinato disposto con l’art. 52 dello stesso corpus legislativo, non può che ricordarsi il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui le norme regolamentari devono essere immediatamente ed autonomamente impugnate, in osservanza del termine decadenziale, solo laddove esse siano suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica di un determinato soggetto, mentre, nel caso di volizioni astratte e generali, suscettibili di ripetuta applicazione e che esplichino effetto lesivo solo nel momento in cui è adottato l’atto applicativo, la norma regolamentare non deve essere oggetto di autonoma impugnazione, la quale sarebbe peraltro inammissibile per difetto di una lesione attuale e concreta, ma deve essere impugnata unitamente al provvedimento applicativo di cui costituisce l’atto presupposto, in quanto solo quest’ultimo rende concreta la lesione degli interessi di cui sono portatori i destinatari, potendo, quindi, le norme regolamentari formare oggetto di censura in occasione dell’impugnazione dell’atto che ne fa applicazione.
L’atto applicativo della norma regolamentare è quello che, per primo, rende attuale la lesione in nuce prefigurata dalla volizione astratta, e dunque, nel caso di specie, proprio la nota della Direzione Risorse Finanziarie, Settore Tributi, Ufficio T.O.S.A.P., del Comune di Genova prot. n. 6801 in data 13 aprile 2000, la quale non si limita a comunicare che “entro il 30 aprile devono essere versate le prime due rate […] del canone in oggetto”, ma contiene in allegato i bollettini di c.c.p. per effettuare il pagamento, così dando inequivoca esecuzione (potrebbe dirsi, meccanica attuazione) all’atto presupposto.
Ne consegue che effettivamente tardiva è l’impugnazione del regolamento solo unitamente alla nota in data 20 novembre 2000, con la quale la stessa amministrazione ha respinto la richiesta di rimborso del canone medio tempore corrisposto, anche in virtù dell’atto applicativo del 13 aprile 2000.
Ciò in coerenza con la sentenza della Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato n. 4645 del 2009 che ha cassato con rinvio al primo giudice la sentenza declinatoria della giurisdizione del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria proprio nell’assunto che si verta al cospetto di una controversia nella quale oggetto del contendere è l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’an che sul quantum), essendo contestato l’illegittimo esercizio del potere regolamentare da parte del Comune di determinazione del canone attraverso l’individuazione di un presupposto asseritamente contra legem.
Si deve, del resto, considerare che, diversamente opinando, e cioè individuando il baricentro del ricorso nel diniego di rimborso, dovrebbe proprio dubitarsi della giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la controversia sarebbe relativa alla debenza del canone che il Comune pretende a fronte della presenza di un manufatto privato su suolo pubblico (in termini Cass., II, 15 novembre 2018, n. 29447, ma anche, indirettamente, Cass., SS.UU., 31 ottobre 2018, n. 33688) ed in questa prospettiva potrebbe astrattamente trovare spazio il meccanismo disapplicativo dell’atto regolamentare contrastante con la fonte legislativa.
2. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado.
Il che preclude ovviamente la disamina dei motivi di merito riproposti con l’appello.
3. – La peculiarità della questione giuridica trattata integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere

 

 

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