Le immagini che non contengono semplicemente la esibizione di corpi

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 8 ottobre 2019, n. 6854.

La massima estrapolata:

Le immagini che non contengono semplicemente la esibizione di corpi, prevalentemente di donne parzialmente o totalmente nudi, ma che si accompagnano, invece, a pose ed atteggiamenti dei personaggi che richiamano e talvolta simulano anche in maniera provocatoria rapporti sessuali valgono a configurare tali trasmissioni come pornografiche.

Sentenza 8 ottobre 2019, n. 6854

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7905 del 2017, proposto da
La. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Gi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 9452/2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Ga. Gi. e l’avvocato dello Stato Ma. St. Me.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Con ricorso al T.A.R. per il Lazio, la società La. S.p.A. ha impugnato la delibera 73/16/CSP del 19 aprile 2016 con cui le è stata contestata la violazione delle disposizioni contenute nell’articolo 36 bis, comma 1 lett. g), del D.lgs. n. 177/05.
La condotta illecita sanzionata atteneva ai messaggi pubblicitari diffusi, in fascia notturna, nelle reti della società appellante, relativi alla propaganda televisiva di taluni servizi telefonici con sovrapprezzo a contenuto erotico reputati allusivi di attività relative alla sfera sessuale e la cui visione doveva ritenersi, perciò, pregiudizievole ai minori.
1.1 – Con il primo motivo, la società si doleva del mancato rispetto da parte dell’AGCOM del principio della immediata contestazione dell’illecito sancito dall’art. 14 della legge n. 689/81 e del termine di 90 giorni stabilito dalla delibera n. 136/06/CONS entro il quale l’atto di contestazione doveva essere notificato al trasgressore dal completo accertamento del fatto.
1.2 – Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva il mancato rispetto da parte dell’AGCOM delle norme giuridiche e dei principi stabiliti per definire la natura pornografica di scene o programmi audiovisivi e di conseguenza l’errata valutazione della trasmissione di propaganda oggetto dell’accertamento.
1.3 – Infine, la società allegava che da molti anni la stessa e le altre emittenti locali trasmettevano la stessa propaganda di servizi telefonici a sovrapprezzo, o altre trasmissioni aventi contenuti simili, senza subire alcuna contestazione; ciò avrebbe ingenerato in tutti gli operatori del settore la convinzione di agire lecitamente e quindi l’AGCOM avrebbe creato una situazione giuridica favorevole alla trasmissione di questa propaganda di servizi.
2 – Il T.A.R. per il Lazio, con la sentenza n. 9452 del 2017, ha rigettato il ricorso.
3 – Con l’appello avverso tale pronuncia si ripropone il motivo relativo al mancato rispetto da parte dell’AGCOM del principio della immediata contestazione dell’illecito sancito dall’art. 14 della legge n. 689/81 e del termine di 90 giorni stabilito dalla delibera n. 136/06/CONS entro il quale l’atto di contestazione doveva essere notificato al trasgressore dal completo accertamento del fatto.
3.1 – In particolare, l’appellante contesta la sentenza del T.A.R. laddove, nel motivare il rigetto del primo motivo del ricorso, ha affermato che l’Autorità ha rispettato il termine di 90 giorni dalla data dell’accertamento entro cui avrebbe dovuto notificare alla ricorrente la contestazione.
Tale assunto sarebbe erroneo poiché la notizia dei presunti illeciti era pervenuta all’AGCOM sin dall’agosto 2015 e, quindi, la notificazione alla ricorrente dell’atto di contestazione in data 3 dicembre 2015 era avvenuta ben oltre il suddetto termine di 90 giorni.
Secondo l’appellante, risulterebbe violato anche il termine di 150 giorni entro il quale l’Autorità avrebbe dovuto adottare il provvedimento finale, dal momento che la deliberazione n. 73/16/CSP, sebbene datata 16 aprile 2016, risulta notificata via PEC solo in data 01 giugno 2016.
4 – La censura è infondata.
L’art. 5 (terzo comma) del Regolamento sanzioni prevede che “Ai sensi dell’art. 14 della legge n. 689/81, l’atto di contestazione deve essere notificato al trasgressore nei termini di 90 giorni dall’accertamento”.
L’art. 14, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, stabilisce che “Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni dall’accertamento”.
Le norme citate individuano chiaramente il momento di decorrenza del termine di novanta giorni per la notifica della contestazione nell'”accertamento”.
La giurisprudenza ha chiarito che può dirsi perfezionato l’accertamento quando l’autorità procedente ha acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata.
In altri termini, il termine per la contestazione dell’infrazione – non decorre dalla sua consumazione – ma dal completamento dell’attività di verifica di tutti gli elementi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari per l’individuazione in fatto degli estremi di responsabilità amministrativa.
La giurisprudenza ha altresì precisato che compete al giudice valutare la congruità del tempo utilizzato per l’accertamento stesso, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso (cfr. Corte Cass. 18 aprile 2007, n. 9311; Corte Cass. 21 aprile 2009, n. 9454; Corte Cass. 13 dicembre 2011, n. 26734).
4.1 – Nel caso di specie, l’Associazione Italiana Radio Telecinespettatori aveva inviato all’Autorità – con nota acquisita in data 27 luglio 2015 – dieci segnalazioni di teleutenti riguardanti presunte violazioni della disposizione relative al divieto di trasmissione di scene pornografiche mandate in onda dall’emittente, nell’ambito di programmi di propaganda di servizi telefonici con numerazione a sovrapprezzo in data 23 e 26 giugno 2015, nonché in data 7, 8, 9, 17, 19, 20, 21 e 22 luglio 2015 in fascia oraria notturna.
In data 10 settembre 2015, il Comitato regionale per le comunicazioni (Co.re.com.) della regione Veneto, a seguito della richiesta del 30 luglio 2015, ha trasmesso all’Autorità la relazione, relativa gli esiti degli accertamenti eseguiti sui programmi trasmessi dall’emittente.
L’Autorità ha quindi proceduto alla contestazione della violazione, con la notificazione a mezzo posta elettronica certificata in data 3 dicembre 2015.
4.2 – Alla luce delle coordinante ermeneutiche innanzi ricordate, la suddetta scansione temporale degli incombenti posti in essere dall’Autorità non può considerarsi in violazione dell’art. 14 citato.
Invero, il momento dell’accertamento, ovvero del completamento della verifica dell’illecito, deve essere individuato nella data di ricevimento in Autorità della relazione redatta dal Co.re.com, soggetto incaricato di effettuare i riscontri del caso. A nulla rileva che l’Autorità avesse contezza della violazione già in data anteriore a tale momento, posto che, in conformità alla giurisprudenza già citata, ciò che rileva è l’ultimazione dell’attività di accertamento, come innanzi definita.
Da un altro punto di vista, la tempistica di tale accertamento, seppure la violazione contestata non sembra implicare complesse attività di indagine, appare comunque congrua, avendo richiesto poco più di un mese di tempo.
Del resto, l’appellante non ha fornito alcun principio di prova dell’inutilità dei passaggi procedimentali effettuati in relazione alla concreta fattispecie considerata.
4.3 – Deve essere disattesa anche la dedotta violazione del termine di 150 giorni entro il quale l’Autorità avrebbe dovuto adottare il provvedimento finale.
Il regolamento sanzioni dell’Autorità prescrive all’art. 6, comma 1, che il termine per l’adozione del provvedimento finale è di 150 giorni decorrenti dalla data di notificazione dell’atto di contestazione.
Pertanto, alla luce del chiaro tenore della norma citata, entro il prescritto termine di 150 giorni deve essere adottato – non notificato – il provvedimento finale.
Ne consegue che, considerando il 3 dicembre 2015 quale giorno della notifica dell’atto di contestazione, risulta rispettato il termine di cui all’art. 6 citato, essendo stata adottata la relativa delibera in data 19 aprile 2016.
La soluzione che precede risulta conforme alla giurisprudenza già espressasi su tale questione in un caso ana (Cons. St. n. 5982 del 2018: “il chiarissimo dato testuale della norma si riferisce al termine per la emanazione del provvedimento sanzionatorio e non a quello dell’avvenuta notifica, la quale attiene al momento dell’efficacia e non a quello in cui si perfeziona il provvedimento stesso”).
5 – Con il secondo motivo di appello si deduce la violazione di legge in riferimento agli artt. 34 e 36 bis del D.lgs. n. 177/05.
Secondo l’appellante, l’AGCOM avrebbe errato nel valutare come pornografiche le immagini trasmesse, in quanto non avrebbe tenuto conto del “comune senso del pudore” nella sua determinazione concreta e attuale secondo il divenire dei costumi e l’evoluzione del pensiero medio dei consociati nel momento storico in cui avviene il fatto incriminato.
5.1 – L’art. 34 del D.lgs. n. 177/05 vieta le trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, e in particolare i programmi che presentano scene di violenza gratuita o pornografiche salve le previsioni di cui al comma 3, applicabili unicamente ai servizi a richiesta.
L’articolo 36 bis, comma 1, lett. g) – la cui violazione è stata contestata con il provvedimento impugnato – dispone che “le comunicazioni commerciali audiovisive non arrecano pregiudizio fisico o morale ai minori. Non esortano pertanto i minori ad acquistare o locare un prodotto o un servizio sfruttando la loro inesperienza e credulità, né incoraggiano a persuadere i loro genitori o altri ad acquistare i beni o i servizi pubblicizzati, né sfruttano la particolare fiducia che i minori ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altre persone, né mostrano senza motivo minori che si trovano in situazioni pericolose”.
5.2 – Deve osservarsi che, dalle indagini svolte dall’Autorità, è emerso che, nel corso delle trasmissioni contestate – aventi ad oggetto la promozione di servizi di tipo interattivo con numerazione a sovraprezzo – le protagoniste non si limitano a mostrare il proprio corpo parzialmente o totalmente nudo, ma si esibivano “in pose ed atteggiamenti che richiamano o simulano, anche in maniera provocatoria, l’attività sessuale anche in gruppo, talvolta ostentando atti di autoerotismo e rapporti intimi tra persone dello stesso sesso”, puntualizzando altresì che tali rappresentazioni “risultano esorbitanti dalla riservatezza tipica delle manifestazioni relative alle vita sessuale e connotate da gratuità rispetto al contesto del programma nel quale sono state trasmesse, pur caratterizzato dalla promozione di servizi telefonici a contenuto erotico”.
5.3 – Tanto precisato, appare condivisibile la valutazione del Giudice di primo grado che ha ravvisato la fondatezza dell’accertamento, in quanto i programmi sono idonei ad arrecare pregiudizio fisico o morale ai minori.
In linea teorica, giova ricordare che si è al cospetto di un illecito amministrativo di pericolo presunto, giacché, secondo la previsione legislativa, alla realizzazione della condotta vietata si accompagna, tipicamente, la messa in pericolo del bene protetto, ovvero l’integrità fisica e morale dei minori, che il legislatore, ponendo il divieto assoluto di trasmissione di programmi aventi un determinato contenuto, ha inteso tutelare.
Non può inoltre dimenticarsi che il giudizio dell’AGCOM, per cui la diffusione di determinate scene sia idonea, a cagione della loro inesperienza, a pregiudicare il percorso di crescita fisica e morale dei minori “costituisce un profilo di valutazione discrezionale che il giudice amministrativo può sindacare nei soli limiti della manifesta irragionevolezza ed illogicità ” (cfr. Cons. St. n. 5982 del 2018).
5.4 – Alla luce delle considerazioni che precedono, non coglie nel segno il rilievo dell’appellante, secondo cui nel valutare come pornografiche le immagini trasmesse non si sarebbe tenuto conto del “comune senso del pudore” nella sua attuale determinazione.
Nel caso in esame, la trasmissione di dette scene è stata reputata illecita non tanto e non solo perché inquadrabili nel genere pornografico, ma perché atte a provocare un vulnus alla crescita morale e fisica dei minori.
Invero, nel precedente già citato (n. 5982 del 2018), la Sezione ha già argomentato nel senso che: “il messaggio erotico, simulato o meno poco importa in tal contesto, è senz’altro riferibile a quello pubblicitario, sì da indurre i minori ad acquistare il servizio telefonico così commercializzato e da far supporre in essi una stretta correlazione tra questi due messaggi. Se, quindi, così i minori possono esser sospinti a tal automatismo e ad acquistare i citati servizi telefonici, ciò ben può in astratto, stimolare… comportamenti guidati dall’inesperienza, pregiudicandone il loro processo di crescita fisica e morale (non solo nel campo sessuale, ma anche in quello della consapevolezza contro acquisti onerosi o incauti), soprattutto quando si tratti di immagini che simulavano il rapporto sessuale e che, come è emerso in sede di accertamento, facevano un riferimento esplicito e continuativo all’atto sessuale, quasi che quest’ultimo fosse immediatamente acquisibile mediante il solo acquisto dei servizi stessi”.
5.5 – Alla luce delle considerazioni che precedono, la valutazione dell’Autorità non pare aver travalicato i limiti della discrezionalità che gli è propria nei termini innanzi precisati, tanto più che la prospettazione dell’appellante risulta in ogni caso smentita dalla giurisprudenza penale, secondo cui: “le immagini che non contengono semplicemente la esibizione di corpi – prevalentemente – di donne parzialmente o totalmente nudi, ma che si accompagnano, invece, a pose ed atteggiamenti dei personaggi che richiamano – e talvolta simulano – anche in maniera provocatoria rapporti sessuali valgono a configurare tali trasmissioni come pornografiche” (Corte. Cass. n. 17825 del 2005); “la esibizione di corpi parzialmente o totalmente nudi, accompagnati a pose e atteggiamenti dei personaggi che richiamano o simulano, anche in maniera provocatoria, atti o attività sessuale, vale a configurare come pornografica la rappresentazione in quanto contraria al comune senso del pudore” (Corte Cass. n. 17284 del 2005).
L’Autorità ha anche sottolineato che a tali parametri si è ispirata la propria delibera del 22 febbraio 2007, n. 23/07/CSP (recante “Atto di indirizzo sul rispetto dei diritti fondamentali della persona e sul divieto di trasmissioni che presentano scene pornografiche”), con la quale si sono resi noti a tutte le emittenti radiotelevisive pubbliche o private, nonché ai fornitori di contenuti radiotelevisivi (eccezion fatta per quelli diffusi ad accesso condizionato con sistema di controllo specifico e selettivo), i criteri cui le stesse devono conformare i propri programmi, al fine di rendere effettivo il divieto di trasmissione di programmi contenenti scene pornografiche.
5.6 – Tenuto conto di tali conclusioni, non può risultare scriminante il fatto che il programma sia stato trasmesso in orario notturno, non essendone comunque preclusa la visione ad un pubblico minorenne, dovendosi al riguardo ricordare che anche al di fuori della cd. fascia protetta non vi è una indiscriminata liberalizzazione dei programmi che possono essere trasmessi, come confermato dal già citato art. 34.
6 – Deve essere rigettato anche il terzo motivo di appello, con cui si deduce la disparità di trattamento e la violazione del legittimo affidamento.
A tal fine, l’appellante rileva che nel giudizio di primo grado è stata prodotta la nota n. 29995 del 30 dicembre 2015, con la quale erano citati i principi già espressi dall’AGCOM con la nota n. 59220 del 19 novembre 2013 in merito alla non inquadrabilità della propaganda di servizi telefonici a titolo oneroso nella categoria della “comunicazione commerciale audiovisiva” disciplinata dall’art. 36 bis del d.lgs. n. 177/2005 e alla non obbligatorietà dell’avvertenza acustica e del simbolo visivo nel caso di trasmissioni di messaggi promozionali di servizi telefonici a carattere erotico in fascia oraria notturna (previsti, invece, per i programmi destinati a informare, intrattenere o istruire il grande pubblico).
6.1 – Come anticipato, le specifiche caratteristiche delle immagine trasmesse – per le quali vige un divieto anche a norma dell’art. 34 del D.lgs. n. 177/05 – implica la sostanziale irrilevanza della censura in esame.
Ne è conferma che lo stesso provvedimento impugnato, precisa che, nello specifico caso di specie, anche: “l’apposizione in sovrimpressione per l’intera durata della trasmissione di un bollino di colore rosso e di un’apposita dicitura per segnalare l’inidoneità del programma alla visione da parte dei minori non risulterebbe comunque accorgimento idoneo a precludere la visione della propaganda in esame al pubblico di minori e pertanto ad esonerare l’emittente da responsabilità per la trasmissione di scene pornografiche”.
6.2 – Da un altro punto di vista, in riferimento alla medesima questione, la Sezione, nel precedente già citato, ha già avuto modo di distinguere il concetto di “programma” (il cui scopo è di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico) da quello di “comunicazione commerciale audiovisiva” (che serve a promuovere le merci, i servizi o l’immagine di una persona fisica o giuridica che esercita un’attività economica); ed ha chiarito che, in linea di massima, la propaganda di servizi audiotex, quand’anche diffonda messaggi promozionali di servizi telefonici a carattere erotico in fascia oraria notturna, di per sé sola non soggiace, come i programmi veri e propri, all’obbligo dell’avvertenza acustica e del simbolo visivo, purché tale comunicazione sia prontamente riconoscibile, da parte dello spettatore, quale messaggio pubblicitario.
Tuttavia, la stessa pronuncia ha precisato che nel caso in cui vi sia il fondato rischio che tale connotazione sia confondibile, pur se a causa dell’inesperienza dello spettatore, allora la comunicazione commerciale audiovisiva cessa d’esser tale ed acquista rilievo (anche) sotto il profilo della violazione dell’obbligo imposto alle emittenti dall’art. 36-bis a salvaguardia degli spettatori. In tale evenienza l’Autorità, ove informata dell’anomalia della comunicazione commerciale, ha titolo per analizzare il contenuto della trasmissione ed a verificare il tenore del relativo messaggio, per accertare se essi possano rendersi pregiudizievoli per il pubblico minorenne.
6.3 – Per le ragioni esposte, non risulta ravvisabile alcuna lesione dell’affidamento, né alcun trattamento discriminatorio suscettibile di incidere sulla legittimità del potere esercitato.
Invero, ciò che rileva ai fini sanzionatori è solo l’integrazione degli estremi della violazione accertata, indipendentemente dalla prassi pregressa e dalla condotta degli altri operatori.
Per altro, l’appellante non ha allegato alcun elemento specifico atto a confrontare i programmi trasmessi da altre emittenti, restando così destituita di ogni riscontro la dedotta disparità di trattamento.
7 – In definitiva, l’appello deve essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore dell’Autorità, che si liquidano in Euro3.000, oltre eventuali accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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