Corte di Cassazione, civile, Sentenza|31 agosto 2022| n. 25646.

L’atto notorio in relazione al contenuto ha un’efficacia indiziaria

L’atto notorio fa fede, fino a querela di falso, solo con riferimento all’attestazione dell’ufficiale rogante di aver ricevuto le dichiarazioni in esso contenute dai soggetti indicati, previa loro identificazione, mentre, in relazione al contenuto delle dichiarazioni, esso ha un’efficacia meramente indiziaria, salvo che la legge preveda diversamente, sicché l’atto notorio, diversamente dalla dichiarazione sostitutiva, non può contenere una confessione stragiudiziale liberamente valutabile ex art. 2735 c.c.

Sentenza|31 agosto 2022| n. 25646. L’atto notorio in relazione al contenuto ha un’efficacia indiziaria

Data udienza 28 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: SUCCESSIONI E DONAZIONI – RINUNZIA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18122/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1366/2017 depositata il 24/03/2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/04/2022 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO;
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona della Dott.ssa DE RENZIS Luisa, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

L’atto notorio in relazione al contenuto ha un’efficacia indiziaria

FATTI DI CAUSA

La presente causa riguarda la successione di (OMISSIS), cui sono stati chiamati i figli (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS). (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno dichiarato di rinunciare all’eredita’, che e’ stata accettata, in loro rappresentazione, dai minori (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS)) e (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS)).
(OMISSIS) ha chiamato in giudizio i fratelli e i due minori accettanti, rappresentati dai genitori, chiedendo accertarsi l’inefficacia della rinuncia, in quanto intervenuta quando i chiamati avevano gia’ accettato l’eredita’. Il primo giudice ha accolto la domanda sulla base del rilievo che, nell’atto di notorieta’ ricevuto da notaio ai fini della successione, al quale erano intervenuti (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), gli attestanti avevano dichiarata che i chiamati si erano immessi nel possesso dei beni, derivandone da cio’, non essendo stato fatto l’inventario nei termini, l’acquisto della qualita’ di erede ex articolo 485 c.c.. A quanto dichiarato nell’atto di notorieta’, il Tribunale ha riconosciuto il valore di confessione stragiudiziale fatta alla parte, idonea in quanto tale a dare la prova del fatto che aveva determinato l’acquisto dell’eredita’.
La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza, riconoscendo la correttezza della qualificazione, in termini di confessione stragiudiziale fatta alla parte, delle attestazioni rese dinanzi al notaio, in quanto avevano lo scopo “di individuare gli eredi del sig. Mignola, di chiarire chi fosse nel possesso dei beni ereditari e che la successione era regolata quanto ai beni immobili dal testamento pubblicato in pari data e quanto ai beni mobili dalla devoluzione per legge”(pag. 4 della sentenza impugnata). Sulla base di cio’ la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante l’esito delle prove orali. In base a tale esito gli appellanti intendevano accreditare l’assunto che i fatti dichiarati nell’atto di notorieta’ non corrispondessero al vero.
Per la cassazione della sentenza (OMISSIS), in proprio e unitamente al coniuge (OMISSIS) quale legale rappresentante del minore (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nel frattempo divenuto maggiorenne, hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso, con il quale ha eccepito che (OMISSIS) ed (OMISSIS) avevano prestato acquiescenza alla sentenza, essendosi recati, dopo la pronuncia della sentenza impugnata presso la figliale della BPER Banca per chiudere la cassetta di sicurezza di cui era titolare il de cuius, previa constatazione del relativo contenuto e sottoscrizione del modulo di disdetta.
La controricorrente ha depositato memoria.

L’atto notorio in relazione al contenuto ha un’efficacia indiziaria

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione di acquiescenza, formulata dalla controricorrente relativamente alla sentenza impugnata con ricorso per cassazione, e’ infondata. L’eccezione allude evidentemente a un’ipotesi di acquiescenza tacita. L’acquiescenza e’ tacita quanto risulta da atti incompatibili con la volonta’ di avvalersi dell’impugnazione: l’incompatibilita’ va intesa nel senso delle ingiustificabilita’ dell’atto al di fuori dell’accettazione, essendo la stessa esclusa dove sussistano piu’ possibili imputazioni dell’atto (Cass. n. 23539/2021; n. 2413/2018; n. 21385/2012; n. 5119/2994).
Una tale incompatibilita’, nella specie, non e’ ravvisabile gia’ in linea di principio alla luce della documentazione prodotta a sostegno dell’eccezione, il cui esame, seppure processualmente ammissibile (Cass. n. 3934/2016), non evidenzia l’esistenza di atti antagonisti rispetto all’impugnazione. D’altronde, l’assunto su cui e’ fondata l’eccezione, e cioe’ che l’intervento all’apertura eli una cassetta di sicurezza intestata a persona deceduta (articolo 1840 c.c., comma 2), implichi la avvenuta assunzione della qualita’ di erede dell’intestatario, non rispecchia il reale significato dell’atto, inteso piuttosto a consentire all’interessato “di verificarne il contenuto” (come giustamente evidenzia la stessa controricorrente nel formulare l’eccezione). Non e’ un caso, infatti, che il medesimo comportamento, gia’ eccepito in controricorso nella impropria prospettiva dell’acquiescenza, sia poi utilizzato dalla controricorrente nella memoria a ulteriore conferma del proprio interesse ad agire per fare accertare l’avvenuto acquisto ereditario dei fratelli, ad evitare “il conseguente protrarsi della situazione di incertezza e di pregiudizio, oltre che di danno anche morale, che e’ in re ipsa per la Dott.ssa (OMISSIS)”.
2. Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 100 c.p.c., rimproverandosi alla Corte d’appello di non aver rilevato d’ufficio il difetto di interesse rispetto all’azione proposta, tenuto conto che la rinuncia aveva solo determinato il subentro dei discendenti dei chiamati, rimanendo invariata la posizione della coerede, che nessuna utilita’ avrebbe pertanto ricavato dall’accertamento dell’inefficacia della stessa rinuncia.
Il motivo e’ inammissibile. Si deve dare per acquisito che la questione del difetto di interesse della coerede a fare accertare l’inefficacia della rinuncia dei primi chiamati, in quanto intervenuta quanto questi avevano gia’ acquistato l’eredita’, non fu sollevata dinanzi al giudice di primo grado, che ha provveduto sul merito, accogliendo la domanda e dichiarando l’inefficacia della rinuncia. La parte soccombente ha impugnato la decisione relativamente alla sola statuizione di merito, senza sollevare la questione pregiudiziale del difetto di interesse, implicitamente riscontrato in senso positivo dal primo giudice. La Corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado. La questione del difetto di interesse e’ sollevata inammissibilmente per la prima volta in questa sede.
Nella giurisprudenza della Corte, l’interesse a fare accertare l’inefficacia della rinuncia, in quanto effettuata dopo l’accettazione, e’ riconosciuto incondizionatamente rispetto ai creditori del rinunciante (Cass. n. 15663/2020; n. 6275/2017). Non risulta, pero’, che la coerede (OMISSIS), nel richiedere l’accertamento dell’inefficacia della rinuncia, abbia accampato l’esistenza di crediti verso i rinuncianti. Non sono neanche persuasivi, al fine di sostenere l’interesse ad agire, gli argomenti che la controricorrente ha speso nella memoria, nella parte in cui e’ richiamata la propria qualita’ di legittimaria e l’eventualita’ che i rinuncianti avessero ricevuto donazione dal de cuius: la rinuncia all’eredita’ da parte del donatari non sottrae la donazione alla riunione fittizia e alle sue conseguenze. Ai fini del calcolo della quota disponibile ai sensi dell’articolo 556 c.c., sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualita’ di congiunto, erede o di estraneo del donatario (Cass. n. 14193/2022). Inoltre, quando (come nel caso in esame) opera la rappresentazione, la posizione del coerede e’ immutata anche ai fini della collazione: ex articolo 740 c.c., il discendente che succede per rappresentazione deve conferire “cio’ che e’ stato donato all’ascendente, anche nel caso in cui abbia rinunciato all’eredita’ di questo” (cfr. articolo 564 c.c., per l’imputazione e x s e) (cfr. Cass. n. 40038/2021). Tali rilievi, pero’, non forniscono argomento per sostenere che il coerede, in quanto tale, sia per definizione carente di interesse a fare accertare l’inefficacia della rinuncia del chiamato in concorso, come invece si sostiene con il ricorso.
Deve infatti riconoscersi che l’interesse del coerede potrebbe nascere dalle piu’ varie situazioni, impensate ed impensabili, legate alla peculiarita’ di ogni singola vicenda: in questa materia l’interesse ad agire non si presta a essere definito a priori in base a formule astratte. La questione sollevata con il primo motivo finisce cosi’ per implicare valutazioni in fatto prima non effettuate. Il che rende inammissibile la questione nella presente sede di legittimita’, in applicazione del principio secondo cui nel giudizio di cassazione non consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fato non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 14477/2018; n. 2193/2020).
A tale regola non si sottrae l’accertamento in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire, che deve essere si’ rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma non puo’ essere compiuto nel giudizio di legittimita’ qualora comporti una valutazione degli elementi di fatto in precedenza non effettuata, perche’ non richiesta, dal giudice di merito (Cass. n. 26632/2006).
2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso denunciano violazione e falsa applicazione degli articoli 2730 e 2735 c.c.. Si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe potuto ravvisare nella dichiarazione resa dinanzi al notaio in sede di atto di notorieta’ l’esistenza di una confessione stragiudiziale, in difetto dell’animus confitenti (secondo motivo), non avendo la dichiarazione altro scopo se non quello di accertare chi fossero i chiamati, perche’ non si dichiaravano fatti favorevoli alla controparte, i cui diritti ereditari non erano minimamente incisi della vicenda (terzo motivo), e perche’ la dichiarazione non fu fatta alla parte, ma a un terzo: essa, pertanto, non avrebbe potuto costituire, da sola, prova del possesso dei beni ereditari, integrando al limite elemento di prova soggetto alla libera valutazione del giudice (quarto motivo).
3. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati. L’atto di notorieta’ designa la dichiarazione di scienza relativa a fatti che alcuni soggetti affermano essere notoriamente a conoscenza di una cerchia piu’ o meno vasta di persone.
L’efficacia probatoria di tale atto, fino a querela di falso, riguarda soltanto l’attestazione dell’ufficiale rogante di avere ricevuto le dichiarazioni in esso contenute dai soggetti indicati, previa loro identificazione. Viceversa, per quanto riguarda il contenuto delle dichiarazioni, all’atto di notorieta’ viene attribuita un’efficacia meramente indiziaria (Cass. n. 29830/2011), salvo le ipotesi in cui la legge prevede diversamente. Al fine di snellire l’attivita’ dei pubblici ufficiali competenti, gia’ la L. 4 gennaio 1968, n. 445 in materia di documentazione amministrativa aveva peraltro equiparato all’atto di notorieta’ una dichiarazione sostitutiva resa direttamente e sottoscritta dall’interessato. Era stata pertanto eliminata la fase di ricezione della dichiarazione da parte del pubblico ufficiale, chiamato ad autenticare la sottoscrizione dopo avere ammonito il dichiarante circa la responsabilita’ penali derivanti dal mendacio.
In tema di prova civile, la confessione giudiziale o stragiudiziale richiede una esplicita dichiarazione della parte o del suo rappresentante in ordine alla verita’ di fatti ad essa sfavorevoli o favorevoli all’altra parte, e, pur potendo desumersi da un comportamento o da fatti concludenti, non puo’ consistere in una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva dei fatti in discussione, che e’ utilizzabile quale elemento meramente presuntivo od indiziario (Cass. n. 13212/2006; n. 6301/1992).
Nell’atto di notorieta’, diversamente dalla dichiarazione sostitutiva, la dichiarazione non e’ resa dall’interessato, ne’ rileva a questo fine l’attestazione del notaio rogante “di avere dato lettura dell’atto ai richiedenti e agli attestati, che lo hanno approvato e sottoscritto, riconoscendolo conforme alla loro volonta’”. Tale attestazione riguarda il fatto che il pubblico ufficiale, su richiesta di certi soggetti, ha ricevuto le dichiarazioni. Essa non vale a trasformare la dichiarazione resa dagli attestanti in una dichiarazione propria del richiedente. L’atto notorio non puo’ percio’ contenere una confessione stragiudiziale liberamente valutabile ex articolo 2735 c.c., comma 1, come invece si riconosce per la dichiarazione sostitutiva (Cass. n. 19708/2020; n. 27042/2011), perche’, appunto, la dichiarazione non e’ resa dalla parte interessata, ma da un terzo.
4. Si deve infine rimarcare che la Corte d’appello ha riconosciuto l’inefficacia della rinuncia all’eredita’ solo in conseguenza della supposta confessione del chiamato in merito al possesso dei beni ereditari, in mancanza di inventario nei termini previsti dall’articolo 485 c.c.. Non risulta minimamente che, prescindendo dalla confessione, la Corte di merito abbia accertato autonomamente una fattispecie di accettazione tacita o espressa posta in essere dai chiamati prima della rinuncia. I rilievi della controricorrente, circa l’esistenza di comportamenti idonei a giustificare ugualmente l’acquisto della qualita’ di erede, alludono a fatti e comportamenti non considerati dalla Corte d’appello, che non hanno avuto alcuna incidenza sulla decisione. L’accoglimento delle ragioni di censura sulla confessione impone percio’ la cassazione della sentenza, in quanto fondata esclusivamente sulla erronea supposizione di una prova legale di un fatto idoneo giuridicamente a portare all’acquisto della qualita’ di erede, prova legale rilavatasi inesistente. La causa, pertanto, deve essere rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo; dichiara inammissibile il primo motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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