L’attività di acquisizione di informazioni da parte del dipendente in violazione della legge non rientra nella tutela del whistleblowing.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 26 luglio 2018, n. 35792

La massima estrapolata:

L’attività di acquisizione di informazioni da parte del dipendente in violazione della legge non rientra nella tutela del whistleblowing.

Sentenza 26 luglio 2018, n. 35792

Data udienza 21 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antoni – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/09/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA MARINELLI che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito il difensore:
NESSUNO E’ COMPARSO.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Bologna ha dichiarato l’improcedibilita’, ai sensi dell’articolo 131 bis cod. pen., del reato di cui all’articolo 615 ter c.p., per il quale il tribunale in sede aveva affermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS).
La corte territoriale ha ritenuto integrato l’illecito accesso al sistema informatico dell’Istituto Comprensivo di (OMISSIS), in cui l’imputato si era introdotto utilizzando l’account e le password di altra dipendente e mediante il quale aveva elaborato un falso documento di fine rapporto a nome di persona che non aveva mai prestato servizio presso l’amministrazione, cancellandolo subito dopo la compilazione, reputando non conducente – in punto di esclusione dell’antigiuridicita’ del fatto tipico – l’asserita funzione di sperimentazione della vulnerabilita’ del sistema, prospettata dal ricorrente.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla valutazione dell’antigiuridicita’ della condotta, per avere la corte territoriale omesso di motivare in ordine all’esclusione della rilevanza penale del fatto in conseguenza della finalita’ di denuncia che ha ispirato l’accesso. Sul ricorrente, persona incarica di pubblico servizio, gravava l’obbligo di segnalazione di condotte illecite di cui fosse venuto a conoscenza nell’esercizio del servizio, con conseguente sussistenza della causa di giustificazione di cui all’articolo 51 c.p..
Con il secondo motivo, denuncia mancanza di motivazione in relazione alla richiesta del beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
2. Nel riproporre la prospettazione avanzata nei motivi d’appello, il ricorrente deduce la sussistenza della causa di giustificazione, anche in forma putativa, dell’adempimento del dovere, fondato sul vincolo di fedelta’ che lega il pubblico dipendente all’amministrazione derivante dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articoli 54 e 54 bis, disposizioni che prevedono obblighi di informazione finalizzati alla prevenzione di fenomeni illeciti, quali la corruzione, a cui e’ correlata la non punibilita’, sotto il profilo disciplinare e antidiscriminatorio, del dichiarante.
3. Siffatta deduzione appare, all’evidenza, infondata.
3.1. Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 54 bis, introdotto dal Decreto Legislativo n. 190 del 2012, articolo 1, comma 51, nel testo aggiornato dalla L. 30 novembre 2017, n. 179, articolo 1, recante disciplina della “segnalazione di illeciti da parte di dipendente pubblico”, intende tutelare il soggetto, legato da un rapporto pubblicistico con l’amministrazione, che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell’esercizio del pubblico ufficio o servizio.
L’istituto, che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale (da cui deriva anche il termine whistleblowing), si conforma strutturalmente all’articolo 361 c.p., ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all’ambito di operativita’, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto della corruzione.
La segnalazione in esame risponde, difatti, ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnalata illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme piu’ incisive di contrasto alla corruzione.
In riferimento al primo profilo, l’ultima parte del comma 1 dell’articolo 54 bis, prevede che il dipendente virtuoso non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante. Quanto ai destinatari della comunicazione, la stessa puo’ essere rivolta all’autorita’ giudiziaria ordinaria, alla magistratura contabile ed al superiore gerarchico del segnalatore. In riferimento all’oggetto, la formula riferita al contesto di acquisizione della notizia (“di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”) esprime che il fatto oggetto di segnalazione possa riguardare – a fini di tutela del dipendente – solo informazioni acquisite nell’ambiente lavorativo.
Alle condizioni date, l’articolo 54 bis, commi 2 e 4, prevedono un articolato sistema di protezione dell’anonimato del segnalante, in una prospettiva palesemente incentivante, escludendo la materia dalla normativa in tema di accesso civico e dall’ambito di applicazione della L. n. 241 del 1990, e limitando la rivelazione dell’identita’ ai soli casi di indispensabilita’ per la difesa dell’incolpato.
Con l’orientamento n. 40 dell’ANAC, il sistema e’ stato esteso anche mediante la previsione di informativa in favore del responsabile anticorruzione che viene, in tal modo, a potenziare il ruolo centrale, nell’ambito della singola organizzazione pubblica, in materia di prevenzione e contrasto alla corruzione.
3.2. Cosi’ sinteticamente delineata la disciplina invocata dal ricorrente quale fonte di un dovere giuridico a cui l’imputato avrebbe inteso ottemperare, emerge, all’evidenza, come la normativa citata si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attivita’ illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attivita’ investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge.
Siffatta evidente limitazione dell’articolato normativo alla tutela del segnalatore e – soprattutto – la mancata previsione di un obbligo informativo non consente di ritenerne la configurazione neanche in forma putativa, non profilandosi come scusabile alcun errore riguardo l’esistenza di un dovere che possa giustificare l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto – peraltro illecitamente carpite in quanto custodite ai fine di tutelarne la segretezza – da parte di soggetto non legittimato.
In tal senso, l’insussistenza dell’invocata scriminante dell’adempimento del dovere e’ fondata sui medesimi principi che, in tema di “agente provocatore”, giustificano esclusivamente la condotta che non si inserisca, con rilevanza causale, nell’ iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale, concretizzandosi prevalentemente in un’attivita’ di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui (ex multis Sez. 4, Sentenza n.47056 del 21/09/2016Ud. (dep. 09/11/2016) Rv. 268998, N. 11634 del 2000 Rv. 217253, N. 31415 del 2016 Rv. 267517).
3.3. Sussiste, pertanto, l’antigiuridicita’ del reato contestato, correttamente ricostruito e razionalmente giustificato nella sentenza impugnata.
4. E’, invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
4.1. Con l’atto di appello, l’imputato aveva richiesto la concessione del beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p., nel certificato penale a richiesta dei privati in ordine al quale la corte territoriale ha omesso di provvedere.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, art 3, comma 1, lettera f), indica – tra gli atti soggetti ad iscrizione nel casellario giudiziale – i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilita’, o disposto una misura di sicurezza, nonche’ – in seguito alla novella introdotta con Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, – quelli che hanno dichiarato la non punibilita’ ai sensi dell’articolo 131 bis c.p..
Ai sensi dell’articolo 25, del medesimo D.P.R., siffatta iscrizione non e’ riportata nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato quando sia relativa (lettera f-bis) ai provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilita’ ai sensi dell’articolo 131 bis c.p., se la relativa iscrizione non e’ stata eliminata.
4.2. Nel caso in esame, la corte territoriale ha omesso di motivare in riferimento alla richiesta del beneficio di cui all’articolo 175 c.p., e siffatta lacuna e’ censurabile in sede di legittimita’ in quanto, sebbene il beneficio sia rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice sulla base della valutazione delle circostanze di cui all’articolo 133 c.p., pur senza una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Sez. 2, Sentenza n.1 del 15/11/2016 Ud. (dep. 02/01/2017) Rv. 268971), e’ pur tuttavia necessaria l’ostensione di un minimum giustificativo della sua negazione.
Deve essere, pertanto, annullata senza rinvio la sentenza d’appello che ha immotivatamente disatteso la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p., proposta con specifico motivo di gravame.
5. A siffatto errore puo’ porsi rimedio, in questa sede, ai sensi dell’articolo 619 c.p.p., comma 2, e articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), nella formulazione modificata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, dovendosi applicare il beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p., omessa dal giudice di merito, che non involge alcun apprezzamento di fatto.
Il richiesto beneficio puo’ essere, difatti, concesso sulla base degli elementi emergenti dalla sentenza di secondo grado, avuto riguardo all’incensuratezza dell’imputato, alla ritenuta particolare tenuita’ del fatto ed alla valutazione di episodicita’ della condotta gia’ formulata dal giudice di merito.
Ed invero la possibilita’, riconosciuta alla Corte di cassazione, di applicare il beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p., sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo ad un annullamento senza rinvio, e’ circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza necessita’ dell’esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimita’ (Sez. 3, Sentenza n. 792 del 25/05/2017 Ud. (dep. 11/01/2018) Rv. 271829, N. 21049 del 2004 Rv. 229233, N. 24742 del 2010 Rv. 247747, N. 38972 del 2014 Rv. 261407, N. 25625 del 2016 Rv. 267217).
6. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio in riferimento alla omessa statuizione riguardo il beneficio della non menzione della declaratoria ex articolo 131 bis c.p., ai sensi dell’articolo 175 c.p., con conseguente concessione del medesimo, in accoglimento del secondo motivo di ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione che concede.

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