Corte di Cassazione, civile, Sentenza|16 settembre 2024| n. 24795.
L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
In tema di scioglimento del matrimonio, l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.
Sentenza|16 settembre 2024| n. 24795. L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
Data udienza 3 luglio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Famiglia – Matrimonio – Scioglimento – Divorzio – Obblighi – Verso l’altro coniuge – Assegno – In genere assegno divorzile – Funzione compensativo – Perequativa – Contributo fornito ai bisogni della famiglia – Prova del coniuge richiedente – Contenuto – Conseguenze.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere-Rel.
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8309/2023 R.G. proposto da:
Sa.Ma., elettivamente domiciliato in Co.Co. (omissis), presso lo studio dell’avvocato BE.UM., N. (omissis), presso lo studio dell’avvocato #(DE SANTIS STANISLAO)omissis) che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1111/2022 depositata il 06/10/2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza 03/07/2024 dal Consigliere LAURA TRICOMI;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale ANNA MARIA SOLDI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Udito, per il ricorrente, l’Avvocato BA.EM., su delega scritta, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e per il controricorrente l’Avvocato ST.DE., che ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
RILEVATO CHE
1.- Sa.Ma. ha presentato ricorso per cassazione con tre mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro pubblicata il 6 ottobre 2022, resa in giudizio divorzile. Ca.Be. ha replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Cosenza, con sentenza n.689/2021, quanto alle statuizioni accessorie, aveva posto a carico dell’ex marito l’assegno divorzile di Euro 2.000,00= in favore di Sa.Ma. e il mantenimento in via diretta della figlia Sa.Ma.(nata il omissis) ed aveva assegnato alla ex moglie la casa familiare in comproprietà tra i due coniugi, affinché vi abitasse con la figlia.
La Corte di appello, accogliendo il gravame proposto da Ca.Be., ha revocato l’assegno divorzile sul rilievo che la ex moglie non aveva allegato e dimostrato di versare in una condizione di inadeguatezza dei propri mezzi di sostentamento e di impossibilità a procurarseli oggettivamente che potesse giustificarne l’attribuzione.
Quindi, aveva disposto che la casa familiare avrebbe continuato ad essere assegnata a Sa.Ma. fino a che la figlia non avesse raggiunto una propria indipendenza economica, in ragione dei principi normativi e giurisprudenziali che subordinano il provvedimento di assegnazione della casa familiare esclusivamente alla presenza ed all’interesse di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
É stata disposta la trattazione in pubblica udienza.
La causa, rinviata a nuovo ruolo in accoglimento dell’istanza del difensore di Ca.Be. che aveva rappresentato un impedimento giustificato, è stata fissata per l’odierna udienza pubblica.
La Procura Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
CONSIDERATO CHE
2.1.- Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in ordine alla funzione assistenziale e compensativa dell’assegno di divorzio L. 898/1978 art. 5 comma 6.
La ricorrente ricorda che l’assegno divorzile assolve plurime funzioni, assistenziale e perequativo-compensativo, in attuazione del principio di solidarietà che conduce al riconoscimento di un contributo all’esito dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi in relazione all’ autosufficienza economica in concreto e non in astratto.
Quindi, critica la decisione impugnata, lamentando che la Corte territoriale non abbia valorizzato la durata della convivenza matrimoniale di diciotto anni, durante la quale l’ex marito aveva beneficiato delle attenzioni e delle cure prestate dalla moglie a lui stesso, alla figlia e alla casa familiare ed aveva potuto dedicarsi alla sua realizzazione professionale col conseguente aumento dei propri redditi (ascendenti alla somma di Euro. 165.000,00 annui).
Si duole, inoltre, che la Corte di merito non abbia tenuto conto -circostanze esaminate dal giudicante di primo grado – del sacrificio delle proprie aspettative professionali consistito nel mancato conseguimento della laurea in Farmacia, nonostante i molti esami superati, che le avrebbe consentito di proseguire l’attività paterna, in ragione delle maggiori incombenze familiari e deduce che la progressione negli esami di profitto (ben diciotto su ventuno) era proseguita fino a collocarla “fuori corso”, giammai interrompendosi se non col matrimonio stesso.
Sostiene che il provvedimento qui impugnato è venuto meno completamente all’applicazione del principio affermato dalle SS.UU. n. 18287/2018, che consente il riconoscimento di un assegno di mantenimento in funzione “assistenziale” se un coniuge sia privo di mezzi adeguati e vi sia l’impossibilità di procurarseli proprio in funzione delle scelte di conduzione della vita familiare condivise dai coniugi attraverso sacrifici e rinunce professionali e reddituali, circostanze che la ricorrente sostiene di avere dimostrato e che la Corte d’Appello avrebbe pretermesso.
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Deduce, inoltre, una erronea comprensione della concreta funzione “perequativa” dell’assegno e si duole che la Corte territoriale abbia considerato le garanzie da lei prestate in favore dello studio legale Ca.Be. e di società facenti capo al marito non come indice del contributo offerto dalla stessa nel corso del matrimonio, ma come indice della sua autosufficienza economica, senza considerare che la sua partecipazione in una delle società facenti capo al marito era minima, ammontando al 7%.
2.2.- Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), deducendo che il fatto controverso il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte distrettuale riguarda il contributo fornito dalla ricorrente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio personale del coniuge.
La ricorrente dopo avere prospettato, secondo il modello del vizio evocato, l’omesso esame della durata della convivenza matrimoniale, del contributo alla vita familiare da lei fornito e delle garanzie prestate, si duole che la Corte territoriale abbia da ciò tratto la dimostrazione dell’adeguatezza dei mezzi finanziari in capo ad essa, senza considerare che tali garanzie gravano ancora sul patrimonio immobiliare della ricorrente e la espongono ai creditori sociali e che ella percepisce come unico reddito dalla locazione degli immobili di cui è proprietaria, Euro 9.600,00 annui lordi, esclusa l’entrata derivante dalla corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, mentre Ca.Be. percepisce un reddito netto di Euro 165.000,00 annui.
Si lamenta, inoltre, che, oltre che della modestia delle entrate, non si sia tenuto conto dell’età avanzata e delle patologie certificate in relazione alla valutazione di capacità lavorativa e in relazione all’impossibilità da parte dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e alla necessità di compensarlo per il particolare contributo che dimostri di aver dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale.
2.3.- Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 337 septies c.c., nonché dell’art. 345 c.p.c.
A parere della ricorrente, nell’assegnare la casa di abitazione familiare in proprietà comune e indivisa fra gli ex coniugi all’unica figlia della coppia, la Corte distrettuale non ha provveduto all’accertamento della condizione di indipendenza economica o meno in capo alla beneficiata, e, nel caso avesse ritenuto sussistente il presupposto, a stabilire il mantenimento diretto dalla figlia attraverso l’apposito assegno previsto dalla legge.
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Secondo la ricorrente, la statuizione pregiudica il suo diritto sulla casa di abitazione, che è in comproprietà tra i coniugi.
3.- Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente perché il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove, come nel caso di specie, nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. n. 8950 del 18/03/2022) ed il ricorso risponde a detti requisiti.
4.1.- Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti.
4.2.- La Corte d’Appello, dopo avere esposto alcuni recenti arresti di legittimità a partire da Cass. Sez. U. n. 18287/2018 ed il principio secondo cui “i criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, della l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno” (Cass. n. 32398/2019), ha escluso la sussistenza del diritto alla percezione dell’assegno divorzile in favore di Sa.Ma., sul rilievo che questa non aveva allegato e dimostrato di versare in una condizione di inadeguatezza dei propri mezzi di sostentamento e di impossibilità di procurarseli oggettivamente, che potesse giustificarne l’attribuzione.
A tal fine ha valorizzato la circostanza che questa è proprietaria di immobili da cui trae un reddito di circa Euro 9.500,00 annui, è titolare di conto corrente, possiede quote della società Gosad del valor di Euro 1.413,32; è titolare di un fondo pensione e di un veicolo (Ford Ranger) acquistato nel 2018.
L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
Ha, quindi, ha affermato che l’appellata non versa certamente in una condizione di grave difficoltà economica, dal momento che le entrate da lei percepite, e considerate al netto delle detrazioni, non sono irrisorie ed è inoltre pacifico, che l’appellata detenesse una quota presso la società Ed., poi ceduta all’ex marito e anche presso la società Re..
Ha ritenuto, quindi, rilevante la circostanza che Sa.Ma. avesse prestato la propria garanzia in favore dello studio legale Ca.Be. e ne ha dedotto che ciò fosse indice di una consistenza patrimoniale tale da consentirle di pagare in caso di inadempienza del debitore garantito.
Ha affermato che non è provata la connessione tra l’abbandono degli studi universitari ed il matrimonio contratto nel 1991, risalendo all’anno accademico 1982/1983, e che non emerge un nesso tra l’aggravamento delle sue condizioni di salute e l’eventuale incidenza sulla capacità di produrre reddito e di sostentamento.
Ha, infine, valorizzato l’utilità conseguente all’assegnazione della casa familiare a Sa.Ma. come suscettibile di valutazione economica in ragione del risparmio di spesa a titolo locatizio e ne ha tratto ulteriore argomento per escludere il diritto all’assegno divorzile.
4.3.- Tali affermazioni del giudice di merito, pur se introdotte dai principi già enunciati da questa Corte e che si intendono ribadire con le precisazioni rese opportune dalla fattispecie in esame, non conseguono alla retta applicazione degli stessi e la statuizione sul punto va cassata.
4.4.- Le modifiche più significative apportate all’art. 5, comma 6, L. 898/1970 dall’art. 10, comma 1, L. 74/1987 attengono all’accorpamento nella prima parte della norma degli elementi di rilievo – quali “le condizioni dei coniugi”, il “reddito di entrambi” (relativi al criterio assistenziale), “il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” (attinente al criterio compensativo) e le “ragioni della decisione” (relative al criterio risarcitorio) – di cui il giudice deve “tenere conto”, anche in rapporto alla durata del matrimonio, nel disporre l’assegno di divorzio, quando l’ex coniuge che richieda l’assegno non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Questi indicatori prefigurano una funzione, oltre che assistenziale, anche perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che dà attuazione al principio di solidarietà posto a base del diritto del coniuge debole (Cass. Sez. U. n.18287/2018; Cass. n.35434/2023; Cass. n.4328/2024).
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4.5.- In particolare, le Sezioni Unite n.18287/2018, che hanno indicato un percorso interpretativo che tenga conto dell’esigenza riequilibratrice, hanno rimarcato che: – il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l’esistenza e l’entità dello squilibrio determinato dal divorzio, sia onerando le parti che potenziando i poteri officiosi attribuiti al giudice ai fini probatori, nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco; – all’esito di tale accertamento può venire in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro; – possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile; – in entrambe le ipotesi, in caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza.
In relazione a questo ambito, ove chiaramente è evincibile la distinzione tra “assegno strettamente assistenziale” ed “assegno adeguato”, le Sezioni Unite hanno puntualizzato che “l’adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti… dovendo procedersi all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.”.
4.6.- Sul tema dell’autoresponsabilità va ribadito, secondo quanto è stato chiarito di recente, che ” l’autoresponsabilità deve (…) percorrere tutta la storia della vita matrimoniale e non comparire solo al momento della sua fine: dal primo momento di autoresponsabilità della coppia, quando all’inizio del matrimonio (o dell’unione civile) concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzarla e le principali regole che la governeranno; alle varie fasi successive, quando le scelte iniziali vengono più volte ridiscusse ed eventualmente modificate, restando l’autoresponsabilità pur sempre di coppia. Quando poi la relazione di coppia giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale, di ciascuna delle due parti: entrambe sono tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità, anche quella più debole economicamente. Ma non si può prescindere da quanto avvenuto prima dando al principio di autoresponsabilità un’importanza decisiva solo in questa fase, ove finisce per essere applicato principalmente a danno della parte più debole” (Cass. n. 35434/2023).
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4.7.- Va aggiunto, come efficacemente chiarito da Cass. n. 21926/2019, che deve essere riconosciuto il diritto all’assegno divorzile, nell’ipotesi di effettiva e concreta non autosufficienza economica del richiedente, anche ove non possano essere valutati gli altri criteri, ancorché equiordinati, previsti nella norma, in virtù del rilievo primario dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari. Anche in tale ipotesi, tuttavia, è necessario procedere preliminarmente all’esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, non potendosi escludere che lo scioglimento del vincolo, specie se conseguente ad una durata limitata dell’unione matrimoniale, renda entrambi gli ex coniugi economicamente non autosufficienti.
Mentre, sul versante opposto si colloca la differente ipotesi – cui è riconducibile quella in esame nel presente giudizio – della conservazione di una condizione economico patrimoniale rilevante per entrambi gli ex coniugi, che determina un livello reddituale autonomo anche dopo lo scioglimento del vincolo.
In questa seconda ipotesi, secondo il parametro composito esplicitato dalle SS.UU. n. 18987/2018, occorre verificare, in primo luogo, se il divorzio abbia comunque prodotto, alla luce dell’esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità. Ove tale rilevante disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi, non solo quando la rinuncia a occasioni professionali da parte del coniuge economicamente più debole sia il frutto di un accordo esplicito intervenuto fra i coniugi, ma anche nelle ipotesi di conduzione univoca della vita familiare – che, salvo prova contraria, esprime una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi – a fronte del contributo, esclusivo o prevalente, fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, anche sotto forma di risparmio (Cass. n. 4328/2024).
È stato anche affermato che “L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare; l’assegno divorzile, infatti, deve essere anche adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.” (Cass. n. 35434/2023).
L’assegno divorzile va adeguato all’apporto fornito dal coniuge
4.8.- Alla luce delle pregresse considerazioni e della fattispecie in esame, vanno affermati anche i seguenti principi:
1) L’assegno di divorzio, che ha una funzione, oltre che assistenziale, compensativa e perequativa, presuppone l’accertamento, anche mediante presunzioni, che lo squilibrio effettivo e di non modesta entità delle condizioni economico-patrimoniali delle parti sia causalmente riconducibile, in via esclusiva o prevalente, alle scelte comuni di conduzione della vita familiare che il coniuge che richiede l’assegno ha l’onere di dimostrare.
2) Ove il coniuge richiedente l’assegno dimostri di avere contributo, in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in maniera esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli e/o mettendo a disposizione dell’altro coniuge sotto qualsiasi forma proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali al fine di contribuire ai bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, l’assegno deve essere riconosciuto ed adeguato in funzione perequativa, al contributo fornito dal richiedente e ciò, anche ove non sia provata la rinuncia da parte del richiedente a realistiche occasioni professionali-reddituali.
3) La mancata realizzazione professionale risulta incidere più propriamente sulla distinta funzione compensativa dell’assegno divorzile.
4) La determinazione dell’assegno divorzile in funzione perequativa assorbe anche l’eventuale profilo prettamente assistenziale.
4.9.- La decisione in esame, sotto diversi profili, non ha dato retta applicazione agli anzidetti principi.
In particolare:
– la funzione dell’assegno divorzile sembra essere stata inopinatamente circoscritta in quella “strettamente assistenziale”, laddove ne è stata esclusa la debenza perché la richiedente non versa in una condizione di “grave difficoltà economica”, senza che sia stata compiuta una valutazione della domanda in termini di “adeguatezza”, come sopra illustrati;
– non risulta accertato dalla Corte di merito se il divorzio abbia comportato uno squilibrio effettivo e di non modesta entità alla luce dell’esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, anche se, dagli elementi riportati in sentenza tale squilibrio sembrerebbe emergere (reddito parte richiedente, circa Euro 10.000,00 annui; reddito parte richiesta, circa Euro 165.000,00 annui);
– ove tale rilevante disparità venisse accertata, andrà verificato se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi, alla luce di un concetto di “autoresponsabilità” che deve aver presente l’intero andamento della vita matrimoniale e le scelte della ripartizione dei ruoli familiari espressamente o tacitamente condivise;
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– la prestazione di garanzie da parte della richiedente l’assegno non è stata collocata e valutata nell’ambito delle relazioni coniugali e delle scelte comuni riconducibili alla conduzione della vita familiare, né è stato valutato in che modo la prestazione delle garanzie gravi ancora sulla richiedente;
– la dedizione esclusiva alla cura della famiglia, che potrebbe essere conseguita anche ad una scelta comune tacitamente compiuta dai coniugi, non è stata presa in considerazione ai fini perequativi, anche a prescindere dalle rinunce di studio o professionali, ove non provate, che avrebbero potuto rilevare a fini più propriamente compensativi;
– la durata del matrimonio non è stata presa in considerazione;
– non è stata presa in esame la capacità di produrre reddito e di provvedere al proprio sostentamento della richiedente, salvo ad escludere, senza esplicitarne le ragioni, l’esistenza di un nesso causale tra ciò e l’aggravamento delle condizioni di salute;
– è stata valutato economicamente il beneficio conseguente all’assegnazione della casa familiare a Sa.Ma. nell’interesse della prole, senza considerare che l’immobile è già di proprietà della richiedente pro quota.
4.10.- Per tali ragioni la decisione impugnata va cassata in accoglimento dei primi due motivi, con rinvio alla Corte di merito che dovrà procedere al complessivo riesame della domanda di assegno divorzile alla luce dei principi sopra enunciati.
5-. Il terzo motivo è inammissibile perché il mancato raggiungimento della autosufficienza economica da parte della figlia è circostanza incontestata e la previsione del mantenimento diretto della figlia da parte di Ca.Be., aveva costituito statuizione resa in primo grado e non impugnata da Sa.Ma.
Per il resto, la censura tende ad un riesame del merito, mentre la statuizione risulta conforme ai principi in tema di assegnazione della casa familiare in ragione dell’interesse dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, in assenza di diverso accordo intercorso tra le parti, in questo caso nemmeno dedotto.
Invero, una volta verificatosi il raggiungimento dell’autosufficienza economica della figlia, il titolo di godimento collegato all’interesse della prole è destinato a cessare, ma non il diritto dominicale sul bene immobile in comproprietà, le cui vicende sono estranee al giudizio divorzile (Cass. n. 6979/2007; Cass. n. 16398/2007) e vanno separatamente regolate mediante l’eventuale scioglimento della comunione (Cass. Sez. U. n. 18641/2022; Cass. n.17843/2016).
6.- In conclusione, vanno accolti i motivi primo e secondo del ricorso, inammissibile il terzo; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento e la causa va rinviata alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione per il riesame alla luce degli indicati principi e per la liquidazione delle spese anche del presente grado.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
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P.Q.M.
– Accoglie i motivi primo e secondo del ricorso, inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione anche per le spese;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima Sezione Civile, il 3 luglio 2024.
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Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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