Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 21 maggio 2019, n. 13644.

La massima estrapolata:

L’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, nonché il nesso tra l’uno e l’altra, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la lesione fisio-psichica del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

Sentenza 21 maggio 2019, n. 13644

Data udienza 12 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4389/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 850/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 08/08/2013 R.G.N. 257/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Il (OMISSIS) il dipendente della societa’ (OMISSIS), (OMISSIS), mentre era addetto alle mansioni di forgia, nel reparto attrezzeria e stava martellando per staccare una lettera di metallo da uno stampo, veniva colpito all’occhio destro da un corpo estraneo. La domanda di risarcimento del danno avanzata lavoratore nei confronti dell’azienda datrice di lavoro veniva respinta dal Giudice del lavoro del Tribunale di Busto Arsizio e tale sentenza veniva impugnata dal lavoratore, che ribadiva la responsabilita’ contrattuale ex articolo 2087 c.c., dell’appellata: a) per mancata adozione delle misure di prevenzione, con particolare riferimento all’inadeguatezza degli occhiali protettivi messi a disposizione dall’azienda, inidonei ad evitare il rischio di penetrazione dei corpi estranei nocivi; b) per mancata informazione e formazione del dipendente sui rischi connessi alle mansioni; c) per mancata adozione di altre, diverse misure di protezione.
2. La Corte di appello di Milano respingeva l’appello sulla base – in sintesi – dei seguenti argomenti:
– l’appellante aveva fatto generico richiamo alle disposizioni di legge senza individuare quale specifica disposizione sarebbe stata violata, idonea a prevenire rischi di lesione, tenuto conto che la societa’ aveva fornito al lavoratore gli occhiali protettivi;
– dall’istruttoria era emerso che nessuno dei testi, pur lavorando in azienda, era presente al momento dell’incidente, in quanto tutti i dipendenti erano impegnati in reparti diversi o comunque in luoghi distanti rispetto al banco attrezzeria dove avvenne l’infortunio, per cui il quadro probatorio non era da ritenere certo in merito alla circostanza che il lavoratore avesse effettivamente indossato gli occhiali al momento dell’infortunio;
– l’istruttoria non aveva consentito di avvalorare la tesi secondo cui gli occhiali protettivi forniti sarebbero stati inidonei a prevenire l’evento;
– innanzitutto, dal documento di valutazione dei rischi aziendali risultava rispettata l’intera procedura relativa alla scelta, all’acquisto, alla distribuzione e all’uso di dispositivi di protezione individuale e dei rischi propri di ciascuna mansione e reparto;
– specificamente, quanto all’attivita’ di addetto all’allestimento delle macchine di stampaggio presso il reparto forgia, al quale era in concreto adibito il ricorrente, era stato previsto il rischio di “proiezione di frammenti o particelle” connesso allo svolgimento della singola operazione consistente “nell’utilizzo di martello, mazza ecc. manutenzione stampi su machina” ed era stata individuata, quale specifica misura di prevenzione, con riferimento alla tipologia di rischio lavorativo, la fornitura di occhiali, l’addestramento in fase di assunzione e la formazione periodica sui rischi legati alla mansione specifica; tra i requisiti minimi degli occhiali protettivi in questione vi era anche l’idoneita’ a fornire adeguata “protezione laterale” e tale requisito sussisteva nella specie;
– gli occhiali protettivi in uso presso la societa’ risultavano conformi alla direttiva Europea 89/686/EEC e soddisfacevano i requisiti richiesti dalla normativa di prodotto EN 166-199, in quanto predisposti per offrire adeguata protezione contro “impatti meccanici” di particelle o schegge di metallo;
– risultava comprovato dai documenti acquisiti al giudizio che il lavoratore aveva ricevuto l’addestramento inerente i rischi della mansione e aveva altresi’ partecipato a un corso di formazione riguardante tra l’altro il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale;
– a norma del Decreto Legislativo n. 475 del 1992, gli occhiali di protezione devono essere progettati e fabbricati in modo da non provocare rischi o altri fattori di disturbo nelle condizioni prevedibili di impiego ed ostacolare il meno possibile i gesti da compiere, le posizioni da assumere e la percezione sensoriale, dovendo rispondere a requisiti di comfort e di efficacia;
– in conclusione gli occhiali forniti dalla societa’ risultavano adeguati a prevenire il rischio di proiezione di schegge o particelle di metallo durante un’attivita’;
– non era condivisibile l’assunto del lavoratore secondo cui gli occhiali forniti in dotazione avrebbero dovuto garantire una protezione “a chiusura ermetica o stagna del viso”, essendo invece condivisibile l’osservazione di parte appellata secondo cui i dispositivi di protezione individuale con caratteristiche costruttive abnormi, che avvolgano eccessivamente la parte del corpo da proteggere, rischierebbero paradossalmente di ridurre il campo visivo e creerebbero sporgenze o irregolarita’ tali da ostacolare i movimenti e sarebbero forieri di rischi ulteriori rispetto a quelli che sarebbero destinati a prevenire;
– il dovere di prevenzione che grava sul datore di lavoro ex articolo 2087 c.c., non puo’ giungere ad imporre l’adozione di ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, occorrendo pur sempre che l’evento sia riferibile a colpa del datore per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati.
3. Per la cassazione di tale sentenza il lavoratore propone ricorso affidato a quattro motivi. Resistono con controricorso la (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a..
4. Hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c., il ricorrente e la (OMISSIS) s.p.a., gia’ (OMISSIS) s.p.a., incorporante (OMISSIS) s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 1374 e 2087 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 3) in riferimento al riparto degli oneri probatori della responsabilita’ contrattuale per avere la sentenza dato rilevanza alla circostanza che il ricorrente non avesse fornito la prova piena di avere indossato gli occhiali protettivi nel momento dell’infortunio, omettendo di considerare la priorita’ logica di stabilire se gli occhiali forniti fossero idonei a scongiurare il danno.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2087 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la sentenza omesso di considerare che, accanto ad una colpa specifica consistente nella violazione di norme, regolamenti, ordini o discipline, esiste altresi’ una colpa generica, consistente nella inosservanza di quelle regole di diligenza e di prudenza idonee ad evitare o diminuire il danno rispetto alle quali pure deve conformarsi l’operato aziendale.
3. Il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Si assume l’erroneita’ della valutazione di avere ritenuto che gli occhiali forniti dalla societa’ (OMISSIS) fossero idonei ad evitare incidenti, laddove alcuni testi avevano riferito che gia’ in altre occasioni si era verificato il ferimento degli occhi con schegge fuoriuscite da materiali caldi e che per evitare tali rischi sarebbe stata necessaria una maschera a protezione integrale del viso, che pero’ l’azienda non aveva fornito.
4. Con il quarto motivo si denuncia nullita’ della sentenza per omessa motivazione in relazione alla violazione del principio del contraddittorio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), poiche’ il giudice di appello non si era pronunciato sulla richiesta di ammissione dei mezzi di prova e specificamente sul rinnovo della prova testimoniale e sull’ammissione della CTU medico-legale, accertamenti finalizzati ad appurare se, al momento dell’infortunio, il ricorrente indossasse gli occhiali protettivi della societa’ e se essi si fossero rivelati inidonei ad impedire il danno.
5. Il primo motivo, che verte sulla presunta violazione delle regole sul riparto degli oneri probatori in tema di responsabilita’ ex articolo 2087 c.c., e’ infondato.
5.1. Premesso che l’articolo 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, in quanto la responsabilita’ del datore di lavoro – di natura contrattuale – va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalita’ materiale tra l’inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex articolo 1218 c.c..
5.2. La Corte di appello non ha invertito l’onere probatorio, in quanto, diversamente da quanto affermato in ricorso, la sentenza ha incentrato il decisum sulla conformita’ degli occhiali forniti dalla societa’ alle prescrizioni di legge e alla normativa regolamentare che disciplina i mezzi di protezione individuale, nonche’ sulla adeguatezza del mezzo di protezione alla particolare lavorazione cui era stato adibito il lavoratore. Ha dunque ritenuto sussistente la prova dell’assenza di una colpa datoriale relativa alla inosservanza di cautele specifiche inerenti alla particolare mansione.
6. Il secondo motivo e’ inammissibile. La Corte di appello ha argomentato in merito alla conformita’ degli occhiali in dotazione (che il lavoratore aveva l’obbligo di indossare) alle prescrizioni normative e regolamentari, mentre il motivo si limita ad affermare l’inidoneita’ del dispositivo sulla base del solo rilievo dell’essersi verificato l’infortunio.
6.1. Per un verso, il denunciato error in iudicando non corrisponde ai canoni di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Tale vizio, giusta il disposto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. tra le tante, Cass. n. 16862 del 2013, n. 3010 del 2012; cfr. Cass. nn. 16132, 26048, 20145 del 2005, nn. 1108, 10043, 20100, 21245 del 2006 e n. 14752 del 2007). Nel caso in esame, non risultano operate specifiche e puntuali contestazioni alla soluzione interpretativa indicata dalla Corte di appello, mediante argomentazioni esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata sarebbero errate in merito alla conformita’ degli occhiali in dotazione alla normativa legale e regolamentare.
7. Per altro verso, dovendosi escludere – come gia’ detto – che la responsabilita’ del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’articolo 2087 c.c., configuri un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, in quanto detta responsabilita’ va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v. ex plurimis, Cass. 29 gennaio 2013 n. 2038), l’ambito di responsabilita’ datoriale di cui all’articolo 2087 c.c., non puo’ fondarsi sul mero presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell’evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova dell’inidoneita’ dei mezzi in concreto apprestati dal datore di lavoro (cfr. Cass. n. 12089 del 2013; cfr. in precedenza, Cass. 15350 del 2001).
7.1. Nel caso in esame, parte ricorrente omette di considerare che le risultanze istruttorie non avevano consentito di confermare la dinamica dei fatti nel senso dalla stessa prospettato, mentre per altro verso la riscontrata conformita’ regolamentare degli occhiali affermata dalla Corte di appello non risulta essere stata validamente censurata. In conclusione, la responsabilita’ datoriale non puo’ essere fatta derivare dalla sola circostanza che l’evento lesivo si era verificato, non potendo per cio’ solo ritenersi la sussistenza della prova della inidoneita’ del mezzo di protezione in dotazione.
8. Il terzo motivo e’ inammissibile, in quanto tende ad una rivisitazione del merito e delle risultanze istruttorie. Con il ricorso per cassazione la parte non puo’ rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici del merito poiche’ la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi e’ preclusa in sede di legittimita’ (v., da ultimo, Cass. n. 29404 del 2017). L’esame e la valutazione dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonche’ il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056 del 2016, n. 17097 del 2010). Nel caso in esame, la censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.
8.1. A cio’ aggiungasi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. sent. 8053 del 2014).
9. In ogni caso, infine, la Corte di appello non ha omesso l’esame delle caratteristiche tecniche degli occhiali di protezione forniti dalla societa’, ma ne ha escluso l’inidoneita’ lamentata dal ricorrente.
10. Il quarto motivo e’ infondato. Non e’ ravvisabile alcuna violazione del principio del contraddittorio, ne’ nullita’ della sentenza nel fatto che il giudice di appello non abbia dato ingresso alle istanze istruttorie richieste dalla parte ricorrente, ritenendo gia’ acquisita la prova in ordine alla conformita’ del mezzo di protezione a garantire una protezione dai rischi insiti nella specifica lavorazione cui era stato adibito il ricorrente.
11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna della parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 2.
12. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilita’ o di inammissibilita’ della stessa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *