L’Amministrazione può dar luogo ad una rinnovata verifica del possesso dei requisiti di idoneità fisica e psichica

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 4 luglio 2019, n. 4594.

La massima estrapolata:

L’Amministrazione può dar luogo ad una rinnovata verifica del possesso dei requisiti di idoneità fisica e psichica, che devono permanere, in base ai parametri stabiliti dal D.M. n. 198 del 2003, per tutto il periodo di appartenenza al corpo della Polizia di Stato.

Sentenza 4 luglio 2019, n. 4594

Data udienza 9 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10743 del 2015, proposto dal sig. -OMISSIS–OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Ca. e Ri. Ta., con digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Ca. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Questura di Firenze, non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la sospensione cautelare dal servizio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2019 il Pres. Franco Frattini e uditi per le parti l’avvocato Fr. Pa., su delega dell’avvocato Ri. Ta. e l’avvocato dello Stato Br. De.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso proposto dinanzi al TAR Lazio, Sezione Prima Ter, l’appellante ha chiesto l’annullamento:
– del decreto n. -OMISSIS- del Capo della Polizia in data 10.06.13 con cui è stata disposta la sua riammissione in servizio a decorrere dalla notifica del provvedimento ed è stata altresì disposta la sua sottoposizione agli accertamenti volti a verificare la permanenza dei requisiti psico-fisici e attitudinali;
– in parte qua, il D.M. 30 giugno 2003 n. 198 “Regolamento concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale di cui devono essere in possesso i candidati per i concorsi per l’accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato e gli appartenenti ai predetti ruoli”.
Con successivi motivi aggiunti ha chiesto l’annullamento:
– del decreto del Capo della Polizia n. -OMISSIS- del 19 settembre 2013, notificato il 2 ottobre 2013, di trasferimento (condizionato all’esito degli accertamenti psico-fisici) dalla Questura di Firenze a quella di Genova, nonché di tutti gli atti al medesimo presupposti, consequenziali e/o connessi, se lesivi, tra cui la nota della Questura di Firenze n. -OMISSIS-, la nota n. -OMISSIS- del 17 giugno 2013 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza e la nota della Questura di Firenze n. -OMISSIS-del 1° agosto 2013;
– in parte qua, del decreto del Capo della Polizia n. -OMISSIS- del 31 ottobre 2013, notificato il 13 novembre 2013, recante sospensione dal servizio di polizia per la durata di sei mesi, nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali e comunque connessi, tra cui la relazione del funzionario istruttore del 17 giugno 2013 e la delibera del 26 settembre 2013 del Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di Firenze.
2. – Tali atti sono stati adottati nell’ambito di una complessa vicenda che ha interessato l’appellante quando prestava servizio in qualità di -OMISSIS-presso la Questura di Firenze.
Nel 2009 egli è stato sottoposto a procedimento penale per i reati di furto aggravato e di peculato; nell’ambito di detto procedimento è stata disposta nei suoi confronti la misura cautelare degli arresti domiciliati, con conseguente sospensione cautelare dal servizio disposta dal Questore di Firenze.
Con sentenza del Tribunale di Firenze n. -OMISSIS-è stato riconosciuto colpevole del reato di furto ed è stato invece assolto dall’imputazione di peculato.
Con sentenza della Corte di Appello di Firenze n. -OMISSIS-del 3 dicembre 2012, è stato infine assolto dal reato di furto con formula piena “per non aver commesso il fatto”.
Egli ha quindi chiesto la riammissione in servizio e la restituito in integrum, ma la Questura di Firenze – in data 30 aprile 2013 – gli ha contestato gli addebiti, dando inizio all’azione disciplinare.
In seguito alla proposizione del ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a., il Ministero ha adottato il decreto datato 10 giugno 2013, con il quale ha disposto la sua riammissione in servizio disponendo la verifica della permanenza dei requisiti psico-fisici ed attitudinali ai sensi dell’art. 2 del D.M. 198/03.
Con lo stesso decreto il Ministero ha anche mantenuto salvi e impregiudicati gli effetti del periodo di sospensione cautelare dal servizio.
3. – Detto provvedimento è stato impugnato con il ricorso introduttivo, nel quale il ricorrente ha dedotto, – in estrema sintesi, che l’Amministrazione:
– a seguito della sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, avrebbe dovuto disporre la revoca a tutti gli effetti della sospensione dal servizio ed avrebbe dovuto provvedere alla reintegra degli emolumenti illegittimamente trattenuti nel periodo di sospensione dal servizio;
– illegittimamente avrebbe disposto la verifica dei requisiti psico-fisici e attitudinali, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 198/03, non ricorrendone i presupposti.
4. – Avverso i successivi provvedimenti gravati con i motivi aggiunti, ha dedotto, in estrema sintesi, che:
– illegittimamente l’Amministrazione avrebbe disposto il suo trasferimento per incompatibilità ambientale, condizionandolo all’esito degli accertamenti psico-fisici;
– i presupposti su cui si fonda tale provvedimento sarebbero insussistenti.
– il provvedimento sanzionatorio assunto con decreto del Capo della Polizia del 31 ottobre 2013, sarebbe illegittimo sotto diversi profili di carattere procedimentale e sostanziale.
5. – Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso
6. – Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto appello chiedendone la riforma.
6.1 – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno chiedendo il rigetto dell’impugnativa.
6.2 – Entrambe le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno delle rispettive tesi.
7. – All’udienza pubblica del 9 maggio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
8. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
9. – Con il primo motivo di appello l’appellante censura il capo di sentenza con il quale il TAR ha ritenuto legittima la sua sottoposizione ad accertamenti psico-fisici.
A sostegno della sua impugnativa ha richiamato la decisione della Sesta Sezione del 1° febbraio 2010 n. 422), rilevando – inoltre – che la sottoposizione ad accertamenti psico-fisici non sarebbe giustificata neppure dal breve intervallo di tempo (di soli quattro anni) di sospensione dal servizio.
Sostiene, quindi, che i principi espressi nella sentenza appellata sarebbero generici, privi di effettivo contenuto argomentativo.
10. – La doglianza non può essere condivisa.
Correttamente il TAR ha richiamato il d.m. n. 198 del 2003 che sotto la rubrica “Accertamento dell’idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato” include la norma (art. 2 comma 3) che abilita l’amministrazione ad accertare l’idoneità (fisica, psichica ed attitudinale) del dipendente nelle ipotesi ivi contemplate, fra le quali è prevista quella correlata a “specifiche circostanze rilevate d’Ufficio dalle quali obiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio”.
Ha poi rilevato che “la logicità e razionalità di detta disposizione non è revocabile in dubbio ove si consideri che la personalità umana, in una prospettiva temporale, pur se mantiene una propria coerenza, è soggetta a mutamenti che danno luogo, sotto il profilo psicologico, ad un susseguirsi di momenti non solo evolutivi ma anche involutivi. Dunque, le dinamiche emotive, relazionali e gli eventi di vita che si susseguono nell’esperienza dell’individuo concorrono ineluttabilmente a determinarne atteggiamenti, aspettative e motivazioni che incidono, rafforzandola o riducendola, sulla disposizione verso alcuni tipi di impegni e difficoltà .
E tale esegesi, condivisa – come sopra anticipato in alcune pronunce del Giudice di appello – ha definitivamente, trovato conferma nel parere reso, sulla specifica questione di cui trattasi, dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato che, a livello esegetico, ha constatato che “la formulazione letterale della norma di cui all’art. 2 del d.m. n. 198/2003 non esclude affatto la possibilità di sottoporre il dipendente riammesso in servizio, in esecuzione di un giudicato amministrativo, anche ad accertamento attitudinale, oltre che psico-fisico, in costanza di rapporto” […].
“L’art. 2 condiziona, come sopra ricordato, la possibilità di rinnovare il giudizio di idoneità attitudinale ove sussistono “specifiche circostanze” che devono essere fatte oggetto di “adeguata motivazione”.
Orbene, ad avviso della Sezione, tale norma deve essere intesa nel senso che l’amministrazione può, durante lo svolgimento del servizio, disporre una verifica del possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali tutte le volte che vengano in rilievo elementi sintomatici che inducano a dubitare della permanenza dei requisiti stessi (cfr. in tal senso Cons.St. VI^ sez. nr. 422 del 2010) e di tali elementi dia adeguata contezza di fatto e motivazionale.
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha individuato le specifiche circostanze nel lungo periodo di tempo di inattività dal servizio, dovuta alla sospensione cautelare dal servizio.
Ritiene infatti il Collegio, che l’assenza per un non limitato periodo da un servizio che richiede continuità di impegno sul territorio, nei servizi di ordine pubblico e di repressione dei reati, il cui stesso svolgimento concorre allo sviluppo ed affinamento delle qualità professionali dell’operatore di polizia, può avere incidenza sui requisiti di idoneità fisica e psichica, quali accertati nel momento di ingresso nei ruoli della Polizia di Stato, e determinare una ricaduta degli stessi al di sotto della soglia di idoneità ordinariamente richiesta.
In tale ipotesi l’Amministrazione può dar luogo ad una rinnovata verifica del possesso dei requisiti di idoneità fisica e psichica, che devono permanere, in base ai parametri stabiliti dal D.M. n. 198 del 2003, per tutto il periodo di appartenenza al corpo della Polizia di Stato.
Le manifestazioni della struttura fisica e psichica inerenti al livello evolutivo, al controllo emotivo, alle capacità intellettive, al grado di socialità (tutti aspetti qualificati nella tabella 3 allegata al D.M. n. 198 del 2003 come rilevanti agli effetti della valutazione dell’attitudine al servizio), possono essere influenzate e condizionate nel tempo da diversi fattori e non costituiscono realtà innate e tantomeno immutabili (cfr. Cons. St. Commissione Speciale, n. 4787 del 29 ottobre 2010)”.
Il periodo di quattro anni nel quale l’appellante è stato lontano dal servizio costituiscono un intervallo di tempo sufficientemente lungo per poter eseguire un controllo sulla permanenza dell’idoneità fisica del dipendente prima della sua riammissione in servizio.
Del resto, come correttamente rilevato in sede cautelare da questa Sezione, la sottoposizione ad accertamenti sanitari non costituisce minimamente un vulnus alla posizione del dipendente, ma anzi costituisce una misura posta a tutela della sua stessa integrità fisica tenuto conto della particolare attività che viene svolta dal personale della Polizia.
Peraltro, gli esiti dell’accertamento dimostrano la correttezza della valutazione assunta dall’Amministrazione.
La doglianza va, quindi, respinta.
11. – Con il secondo motivo l’appellante censura il capo di sentenza con cui il TAR ha dichiarato improcedibile l’impugnazione proposta avverso il decreto di trasferimento per incompatibilità ambientale.
Tale statuizione è stata resa sulla base di due diversi presupposti:
– il rigetto dell’impugnazione avverso il decreto che aveva disposto gli accertamenti sul possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali
– la mancata impugnazione del provvedimento di inidoneità al servizio.
Secondo l’appellante tale provvedimento sarebbe lesivo in considerazione dei presupposti sui quali si fonda: ha infatti rilevato di aver formulato espressa riserva risarcitoria per i gravissimi danni subiti e di aver quindi interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto.
12. – La doglianza non può essere condivisa.
La lesività dell’atto discende dal suo contenuto decisorio e dagli effetti che produce sulla sfera dell’interessato: nel caso di specie, il trasferimento per incompatibilità ambientale, condizionato all’esito positivo degli accertamenti psico-fisici ed attitudinali, non ha avuto esecuzione in quanto l’interessato è stato dichiarato inidoneo al servizio e tale determinazione non è stata impugnata.
Ne consegue che l’atto non ha prodotto alcun effetto e, quindi, non ha arrecato alcuna lesione alla sfera giuridica dell’interessato.
Non rileva, infatti, la sola motivazione dell’atto a prescindere dal suo contenuto dispositivo.
In ogni caso, è sufficiente rilevare che le ragioni che avevano indotto l’Amministrazione a decretare il trasferimento per incompatibilità ambientale hanno poi comportato l’adozione della sanzione disciplinare, sicchè la legittimità di tali presupposti sarà oggetto di successiva disamina.
12. – Con il terzo motivo l’appellante censura il capo di sentenza che ha ritenuto legittima la scelta della P.A. di rimandare all’esito del procedimento disciplinare la regolamentazione degli effetti sul rapporto di impiego della sentenza di assoluzione.
Deduce l’appellante che con la sentenza del 7 gennaio 2013 la Corte di Appello di Firenze lo ha assolto “per non aver commesso il fatto” da tutti i capi di imputazione: l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere alla immediata ricostruzione ex tunc della sua posizione giuridica ed economica.
Invece solo con il decreto del 10 giugno 2013, impugnato in primo grado, egli è stato riammesso in servizio e tale atto non ha provveduto a revocare a tutti gli effetti il periodo di sospensione cautelare dal servizio e a ricostruire ex tunc la sua posizione giuridica ed economica.
13. – La doglianza non può essere condivisa.
Dispone l’art. 9 del D.P.R. 737/1981 relativo alla “sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale” che “Se il procedimento penale è definito con sentenza la quale dichiari che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti”.
Tale disposizione prevede, poi, che “Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione”.
Nel caso di specie l’Amministrazione ha fatto applicazione di tale disposizione, provvedendo all’instaurazione del procedimento disciplinare e rimandando all’esito di tale procedimento la regolamentazione degli effetti della sentenza di assoluzione sul rapporto di impiego.
La censura va, quindi, respinta.
14. – Con il quarto motivo lamenta l’appellante l’erroneità della sentenza per aver respinto la doglianza relativa alla tardività dell’avvio del procedimento disciplinare.
15. – La doglianza non può essere accolta.
La giurisprudenza è ferma nel ritenere che la disposizione recata dall’art. 9 comma 6 del D.P.R. n. 737/1981 si riferisca alla conoscenza, da parte dell’amministrazione, della sentenza penale definitiva, giacché, diversamente opinando, il pur doveroso esercizio del potere disciplinare rischierebbe di essere precluso per ragioni estranee all’amministrazione stessa (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2011, n. 3414; id., 13 luglio 2006, n. 4495).
Correttamente il TAR ha ritenuto che “il termine di cui all’art. 9, comma 6, in esame sia stato rispettato, atteso che la sentenza penale di assoluzione è divenuta irrevocabile in data 28 marzo 2013 ed il procedimento disciplinare è stato avviato il successivo 10 maggio 2013, con la notificazione della lettera di contestazione degli addebiti, dopo soli 43 giorni.
Né può applicarsi il termine di 40 giorni che riguarda il diverso caso della notificazione rituale della sentenza, che non ricorre nel caso di specie”.
La censura va, quindi, respinta.
16. – Con il quinto motivo lamenta l’appellante l’erroneità del capo di sentenza che ha respinto la doglianza di illegittima composizione del Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di Firenze, che ha proposto la sanzione disciplinare poi disposta con il decreto impugnato del 31 ottobre 2013.
Secondo l’appellante il primo giudice non avrebbe ben valutato la doglianza essendosi limitato a rilevare che la violazione denunciata (designazione come componente di un soggetto appartenente ad un sindacato di polizia non legittimato) non avrebbe avuto alcuna incidenza sulla determinazione finale e che, comunque, la disposizione violata sarebbe stata posta a tutela delle sole organizzazioni sindacali.
Secondo l’appellante, quindi, l’illegittima costituzione dell’organo avrebbe comportato l’illegittimità delle successive determinazioni, ivi compresa la sanzione disciplinare.
17. – La doglianza è inammissibile.
Dispone l’art. 16, comma 8, del D.P.R. n. 737/1981 che “Con decreto del questore è costituito, in ogni provincia, il consiglio di disciplina…..”.
La doglianza di illegittima composizione del Consiglio di disciplina della Questura di Firenze avrebbe dovuto essere dedotta avverso il decreto del Questore, che in applicazione del suddetto articolo, ne ha fissato la composizione.
Ne consegue che la doglianza, dedotta avverso la determinazione assunta dal Consiglio di disciplina nei suoi confronti, è inammissibile per mancata impugnazione dell’atto presupposto.
18. – Con il sesto, settimo, ottavo e nono motivo di appello l’appellante censura il capo di sentenza che ha respinto le doglianze proposte avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare.
18.1 – In particolare con il sesto motivo lamenta la violazione delle regole relative al giusto procedimento rappresentando che:
– il funzionario istruttore avrebbe acquisito nuove dichiarazioni testimoniali a suo carico senza consentirgli di esercitare il diritto di difesa;
– il Consiglio Provinciale di Disciplina avrebbe motivato la propria proposta di sanzione facendo riferimento a tali fatti sopravvenuti;
– tali ulteriori elementi avrebbero integrato l’originaria contestazione degli addebiti in violazione del diritto al contraddittorio e del principio di corrispondenza tra contestazione e sanzione disciplinare.
18.2 – Con il settimo motivo contesta, invece, le frequentazioni con soggetti controindicati.
19. – Le doglianze, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondate.
Correttamente il primo giudice ha rilevato che dall’atto di contestazione degli addebiti risulta che: “dagli accertamenti svolti in ambito investigativo sono emerse…. le sue frequentazioni con ambienti della malavita, per ragioni estranee alle esigenze di servizio. Tali frequentazioni, che riguardano molteplici pregiudicati, alcuni dei quali coimputati nello stesso procedimento penale sono contrassegnate dal carattere dell’abitualità, come risulta documentato agli atti del procedimento penale de quo nel periodo compreso tra il mese di aprile del 2008 ed il mese di marzo del 2009”. Proprio durante un incontro conviviale si è verificato il fatto-reato. Nell’atto di contestazione degli addebiti è anche indicato che “tali frequentazioni si collocano in un più ampio e complesso quadro di relazioni sociali (…) con molteplici persone nei confronti delle quali (…) il ricorrente manifesta interessi di natura sessuale o legati all’assunzione di sostanze stupefacenti (cocaina)”. Nell’atto di contestazione degli addebiti sono poi indicate le persone con le quali il ricorrente ha intrattenuto le suddette relazioni.
Questi stessi fatti sono stati valutati in sede disciplinare, come è agevole rilevare dalla semplice lettura della deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina, e costituiscono il presupposto in base al quale è stato adottato il provvedimento disciplinare.
La sanzione della sospensione dal servizio per sei mesi è stata infatti comminata “per aver mantenuto costanti ed abituali frequentazioni con ambienti della malavita e con persone di dubbia moralità per ragioni estranee alle esigenze di servizio. Ciò facendo (il ricorrente) violava i doveri sanciti dall’art. 12 punti 4 e 5 e dall’art. 13 ultimo capoverso del D.P.R. 25 ottobre 1985 n. 782 (….); il ricorrente “contravveniva il dovere di mantenere anche fuori dal servizio una condotta complessiva conforme alla dignità del proprio ruolo…”.
Peraltro l’abitualità della frequentazione con persone pregiudicate emerge in modo incontrovertibile dal numero dei contatti telefonici intercettati sulle utenze dei pregiudicati (n. 219 dal 1/6/2008 al 28/3/09), e la frequentazione con le prostitute e i transessuali risulta provata dalle dichiarazioni testimoniali rese da questi ultimi.
Il potere di acquisire dichiarazioni testimoniali rientra nelle previsioni di cui all’art. 19 del D.P.R. 737/81, ed il ricorrente ha potuto difendersi visionando gli atti dell’inchiesta e predisponendo le necessarie difese, che sono state esaminate in sede disciplinare”.
Le doglianze vanno, quindi, respinte.
20. – Con l’ottavo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per non aver ritenuto sussistente la violazione del principio di proporzionalità nella determinazione della sanzione.
I fatti che gli sono stati addebitati costituirebbero, al massimo, una mancanza di minima entità e, quindi, non giustificherebbero l’applicazione di una sanzione gravosa come quella irrogata.
21. – La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Giustamente il primo giudice ha ricordato che l’assoluzione dal reato di furto non comporta l’impossibilità per l’Amministrazione di valutare la condotta tenuta dal dipendente sotto l’aspetto disciplinare.
Ha poi sottolineato che la graduazione della sanzione rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione che è limitatamente sindacabile in sede di legittimità e che, nel caso di specie, tali vizi non sussistono.
E’ opportuno richiamare il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui “in relazione alle sanzioni disciplinari l’Amministrazione pubblica dispone di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti sicché, una volta valutati gli stessi l’accertamento della proporzionalità della sanzione all’illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell’Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o contraddittorietà (v. tra le tante Consiglio di Stato, sez. IV, 07/06/2017; n. 2752; sez. III, 13/05/2015, n. 2374; sez. III, 02/07/2014, n. 3324).
Ebbene, nel caso di specie, tali vizi non sussistono in quanto, come ha correttamente rilevato il primo giudice, il provvedimento finale “costituisce coerente espressione delle risultanze istruttorie e non riflette alcuna illogicità né travisamento dei fatti né ingiustizia manifesta, rivelandosi proporzionato alla gravità dei fatti, peraltro di immediata percezione, oltre che coerente alla disciplina di settore, non potendo dubitarsi della chiara idoneità degli addebiti a concretare palesi violazioni dei doveri di istituto”.
Infine, va respinto anche l’ultimo motivo con il quale l’appellante ha lamentato l’erroneità della decorrenza della sanzione disciplinare: la doglianza è infondata in quanto la decorrenza è stata correttamente fissata alla data dell’11 maggio 2009, data di inizio della sospensione cautelare, come ritenuto dal primo giudice.
22. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata con parziale diversa motivazione la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed i successivi motivi aggiunti.
23. – Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione appellata le spese processuali del grado, che liquida in euro 2.000 (duemila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente, Estensore
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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