L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

Consiglio di Stato, Sentenza|14 aprile 2022| n. 2855.

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa; l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione.

Sentenza|14 aprile 2022| n. 2855. L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

Data udienza 31 marzo 2022

Integrale

Tag- parola chiave Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Inottemperanza – Accertamento – Natura dell’atto – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10756 del 2015, proposto da
Lu. Da. Ri., rappresentato e difeso dall’Avvocato Da. Li. La., con domicilio eletto presso lo Studio Se. Sa., in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Sa. Ci. e Pi. Ma., con domicilio eletto presso lo Studio Sa. Ci., in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00483/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le richieste di passaggio in decisione sugli scritti depositate dalle parti;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 marzo 2022 il Cons. Marco Poppi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

FATTO e DIRITTO

In data 1 settembre 1985, l’odierno appellante presentava istanza di sanatoria edilizia ai sensi della L. n. 47/1985 riferita ad un fabbricato consistente in una “baracca in legno e lamiera ad uso ripostiglio” insistente su un’area di pertinenza della propria abitazione.
Il Comune di (omissis) negava la sanatoria con atto sindacale del 13 agosto 1991 cui seguiva, in data 9 settembre 1993, l’ingiunzione alla demolizione del manufatto.
Con nota del 1° marzo 2012, l’appellante comunicava all’amministrazione di aver ottemperato alla citata misura demolitoria ma di aver, altresì, provveduto alla costruzione, anche in questo caso senza titolo, di un ana fabbricato che chiedeva venisse sanato con applicazione di una sanzione commisurata alla consistenza dell’opera.
Accertata, in sede di sopralluogo, effettuato il 6 marzo 2012, la presenza all’interno della proprietà dell’appellante, di una “casetta” realizzata “prevalentemente” in legno con copertura in lamiera risultante dall’accorpamento di tre corpi di fabbrica per una superficie di complessivi mq. 75, e rilevato che il manufatto ricadeva in zona classificata dal P.R.G. come zona residenziale di completamento realizzata prima del 1941 “soggetta a PUA obbligatorio n. 49”, con ordinanza n. 120 del 22 maggio 2012, il Comune ordinava ex art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 (T.U.E.), la demolizione di quanto abusivamente realizzato, avvertendo che, in caso di mancata esecuzione del ripristino, “i beni e l’area di sedime, nonché, quella di pertinenza per complessivi mq. 951, così come individuata nella planimetria allegata” sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio disponibile comunale.

 

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

L’ordinanza, notificata all’appellante in data 25 maggio 2012, non veniva impugnata.
In data 24 agosto 2012, l’amministrazione accertava l’inottemperanza nel termine assegnato all’ordine di demolizione.
In data 18 settembre 2012, l’appellante, relativamente al manufatto in questione, presentava istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del T.U.E. che l’amministrazione respingeva con provvedimento del 14 novembre successivo ritenendo l’intervento in contrasto con l’art. 2 delle N.T.O. del P.I..
Anche detto diniego non veniva impugnato.
La demolizione del manufatto, ancora integro alla data del 28 gennaio 2013, veniva accertata a seguito del sopralluogo del 12 marzo successivo.
Con ordinanza n. 83 del 23 aprile 2013 il Comune, rilevata l’omessa demolizione del manufatto oggetto di contestazione tanto a seguito dell’ingiunzione n. 120/2012, quanto del diniego di sanatoria del novembre precedente dichiarava l’acquisizione del bene al patrimonio comunale dando atto che detta acquisizione “si è verificata automaticamente ex lege con l’inottemperanza allo scadere del termine di novanta (90) giorni”.
Il provvedimento (che individuava l’area oggetto di acquisizione indicandone la superficie in mq. 522,53 e gli estremi catastali – foglio (omissis), mappale (omissis) (parte), veniva impugnato innanzi al Tar Veneto con ricorso iscritto al n. 1055/2013 R.R., respinto con sentenza n. 483 del 16 maggio 2015.
L’appellante impugnava detta sentenza con appello depositato il 30 dicembre 2015 deducendone l’erroneità sotto plurimi profili.
Il Comune si costituiva in giudizio con memoria depositata il 14 giugno 2016, integrando l’esposizione in fatto dell’appellante e confutando nel merito le avverse censure.
In data 28 febbraio 2022, l’appellante depositava memoria conclusionale alla quale il Comune replicava con memoria del 9 marzo successivo.
Con depositi del 22 marzo 2022, le parti chiedevano il passaggio in decisione della causa senza discussione.
All’esito della pubblica udienza del 31 marzo 2022, la causa veniva decisa.
Con il primo motivo, l’appellante deduce “violazione di legge: violazione del combinato disposto degli artt. 36, comma 1, e 31, comma 3, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nonché dell’art. 97 comma 3° LR n. 61/1985, nell’interpretazione offerta dalla Giurisprudenza in subiecta materia; carenza ed erroneità della motivazione su di un profilo decisivo per la controversia” lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non riconosceva l’inefficacia dell’ordine di demolizione n. 120/2012 a seguito della presentazione dell’istanza di sanatoria.

 

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

L’appellante nega, inoltre, l’affermata tardività della propria istanza di sanatoria che sarebbe da considerarsi temperativa anche dopo la scadenza del termine di 90 giorni assegnato per l’esecuzione delle demolizioni e sino al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, ovvero, sino “all’irrogazione della sanzione amministrativa a carattere ablativo”.
A ulteriore sostengo dell’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, allega:
che l’ordinanza n. 120/2012 non recava “un’indicazione precisa dell’area da acquisire, facendo riferimento all’area di cui al Foglio n. (omissis), mappale n. (omissis) di complessivi mq. 951” e che solo in sede di adozione del dell’ordinanza impugnata (m. 83/2013) gli immobili oggetto di acquisizione venivano identificati come catastalmente “contraddistinti al Foglio (omissis), mappale (omissis) (parte – quindi non tutto, come indicato nell’ordine demolitorio n. d.r.)… per complessivi mq. 522,23”;
che l’amministrazione, con atto del 20 dicembre 2013, affermava che l’area in questione non fosse identificata catastalmente in modo univoco dando atto che il precedente 30 ottobre veniva approvato il frazionamento che identificava “in maniera specifica” l’area oggetto di effettiva acquisizione.
I citati atti, a parere dell’appellante, apporterebbero “modifiche sostanziali” all’ordinanza di demolizione n. 120/2012 e comproverebbero che l’esatta identificazione dell’area oggetto di acquisizione interveniva in un momento successivo alla presentazione dell’istanza di sanatoria.
L’imprecisa identificazione del bene da acquisire contenuta nell’ordine di demolizione non ottemperato avrebbe quindi inibito il perfezionarsi dell’effetto ablativo allo scadere del termine assegnato di 90 giorni.
Afferma, infine, l’appellante che, una volta intervenuto il diniego di sanatoria il Comune avrebbe dovuto adottare una nuova ordinanza di demolizione “attesa la sopravvenuta inefficacia della precedente”.

 

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

Il motivo è infondato.
L’art. 31, comma 1, del TUE dispone che l’amministrazione “accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso… ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”.
Ai sensi del richiamato comma 3 “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.
Ai fini del perfezionamento della fattispecie acquisitiva rilevano, pertanto, l’adozione della misura ripristinatoria e la mancata esecuzione della stessa.
Ciò premesso deve evidenziarsi che sono pacifiche le seguenti circostanze:
– l’appellante realizzava un manufatto abusivo del quale l’amministrazione ordinava la demolizione entro un termine assegnato;
– l’ordinanza non veniva ottemperata;
– relativamente a detto manufatto veniva presentata istanza di sanatoria, a termine assegnato ormai spirato, che veniva respinta;
– tanto l’ordine di demolizione quanto il diniego di sanatoria non venivano impugnati.
Quanto alla natura dell’atto impugnato, la giurisprudenza, con posizione consolidata, ha già avuto modo di affermare che “l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa; l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è infatti una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione; ne consegue, data la natura dichiarativa dell’accertamento dell’inottemperanza, che la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 24 luglio 2020, n. 4725)”(Cons. Stato, Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7008).
L’effetto acquisitivo deve, quindi, ritenersi perfezionato allo scadere del termine assegnato di 90 giorni, spirato il 23 agosto 2012, con la conseguenza che al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (18 settembre 2012), in capo all’appellante difettava la qualità di proprietario legittimato a proporla.
In ogni caso, la tempestiva presentazione dell’istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria non avrebbe determinato, come affermato dall’appellante, l’inefficacia della misura demolitoria con necessità, da parte dell’amministrazione, di procedere all’adozione di una nuova ingiunzione.

 

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione

Sul punto, deve riconoscersi che in giurisprudenza si è talvolta affermato – sulla scorta di un insegnamento maturato con riferimento all’applicazione dell’art. 44 della legge n. 47 del 1985 che invero non si applica al caso di specie – che la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità determini l’inefficacia della misura demolitoria facendo sorgere, in capo all’Amministrazione, l’obbligo di rivalutare l’abuso pervenendo ad una nuova pronunzia, con conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse dell’originaria impugnazione (Cons. St., Sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1540).
In altre occasioni si è, invece, sostenuto che la pendenza dell’istanza determini una situazione di inefficacia della misura impugnata solo temporanea, destinata a cessare una volta definito il procedimento di sanatoria (Cons. Stato, Sez. II, 19 febbraio 2020 n. 1260).
L’orientamento al quale la Sezione si è uniformata è conforme alla posizione da ultimo richiamata che riconosce all’istanza di sanatoria – specie ove si tratti di istanza ai sensi dell’art. 36 t.u. edilizia sempre esperibile dagli interessati al fine di far valutare la natura solo formale dell’abuso edilizio ed a differenza del condono edilizio ove il rigetto può avvenire anche a distanza di anni dalla presentazione dell’istanza e comportare la necessità di riesaminare la demolizione adottata prima del condono – il solo effetto di impedire temporaneamente che la misura repressiva venga portata ad esecuzione.
La definizione del procedimento in senso sfavorevole, con provvedimento espresso o per silenzio, determinerà la “riespansione” dell’originario ordine di demolizione che riacquisterà efficacia senza necessità di ricorrere all’adozione di ulteriori provvedimenti.
Tale posizione è da ritenersi maggiormente coerente con il principio di certezza delle situazioni giuridiche che, come già affermato dalla Sezione, subirebbe un vulnus qualora si riconoscesse al privato sanzionato la possibilità, mediante la semplice reiterazione di istanze di sanatoria, di precludere il dispiegamento degli effetti propri della misura impugnata innescando “un procedimento ricorsivo senza fine perché il soggetto sanzionato potrebbe rinnovare (senza limitazioni di alcun genere) la domanda a seguito della riadozione di quel provvedimento” (Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 1432).
Nessuna riedizione del provvedimento demolitorio era, pertanto, necessaria in ragione della sola presentazione dell’istanza di accertamento di conformità .
Quanto alla individuazione dell’area oggetto di acquisizione, deve ritenersi che l’amministrazione vi abbia adempiuto con il provvedimento impugnato ove risultano indicate tanto l’estensione quanto l’identificazione catastale dell’immobile.
La circostanza che l’estensione ivi indicata differisca (peraltro, in senso favorevole all’appellante) da quella specificata nell’ordinanza n. 120/2021, non riveste portata viziante atteso che, come già evidenziato, è l’atto di acquisizione che deve necessariamente contenere il dato in questione e non l’ingiunzione di demolizione della quale non costituisce un elemento necessario.
Come, infatti, affermato dalla stessa giurisprudenza sopra richiamata “la mancata indicazione dell’area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l’indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione” (Cons. Stato, Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7008).
Con il secondo motivo, l’appellante deduce la “assoluta inesistenza della motivazione su di un profilo rilevante della controversia. Violazione di legge: violazione dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241” lamentando, in particolare, la mancata specificazione delle ragioni per le quali si assumeva “la tardività dell’istanza di sanatoria presentata dal signor Dalla Rizza e l’inidoneità della medesima a determinare l’inefficacia del precedente ordine demolitorio”.
La doglianza è infondata.
Il provvedimento impugnato:
– richiamava, riassumendone i contenuti, l’ordine di demolizione n. 120/2012 specificando che in detta sede “si avvertiva” che, in caso di inottemperanza, i beni e l’area di sedime “sarebbero stati gratuitamente acquisiti di diritto al patrimonio disponibile del Comune di (omissis)”;
– dava atto che veniva accertata in esito a sopralluogo, con verbale del 28 agosto 2012, l’omessa demolizione dei manufatti abusivi nel termine assegnato, specificando la data (23 agosto 2012) in cui detto termine spirava;
– indicava la data di presentazione dell’istanza di sanatoria (18 settembre 2012) evidenziando che interveniva “successivamente, quindi, al citato verbale di accertamento” dell’inottemperanza alla misura demolitoria;
– chiariva che “la citata domanda tardiva di permesso di costruire in sanatoria” non rendeva inefficace l’ordine di demolizione precisando che l’acquisizione dell’area “si [era, ndr] verificata automaticamente ex lege con l’inottemperanza allo scadere del termine di novanta (90) giorni (23.08.2012)”.
Dai suesposti contenuti si evince chiaramente che l’istanza di sanatoria doveva ritenersi tardiva poiché intervenuta al verificarsi dell’evento (spirare del termine) cui la legge ricollega il verificarsi dell’effetto traslativo.
Deve, pertanto, ritenersi che l’atto impugnato consenta la comprensione dei presupposti di fatto e di diritto sui quali si fonda, in coerenza con il precetto di cui all’art. 3 della L. n. 2241/1990.
Con il terzo motivo, l’appellante deduce la “erroneità della motivazione della sentenza sotto il profilo della violazione dell’art. 21 septies della Legge n. 241/1990” lamentando l’illegittimità della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui non riteneva fondata la dedotta nullità /inesistenza dell’atto impugnato per difetto della sottoscrizione della copia notificata.
Il TAR avrebbe errato ritenendo che la presenza della sottoscrizione autografa nel documento originale consentisse di derubricare a “mera irregolarità ” il difetto di sottoscrizione della copia notificata.
La censura prima ancora che infondata, non è sorretta da un concreto interesse.
A tacere della circostanza che l’amministrazione documenta la sottoscrizione del provvedimento originale mediante deposito di copia, l’atto impugnato, come ampiamente illustrato, è meramente dichiarativo di un effetto già determinatosi ex lege.
Ne consegue che l’accoglimento della censura non potrebbe che comportare la riadozione di un atto dai medesimi contenuti emendato della rielevata irregolarità .
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 3.000,00 oltre oneri di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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