La vicinitas non rappresenta un dato decisivo

Consiglio di Stato, Sentenza 26 ottobre 2020, n. 6521.

La vicinitas non rappresenta un dato decisivo per riconoscere l’interesse ad agire (che nel giudizio di legittimità davanti al giudice amministrativo si identifica con l’interesse ad impugnare), nel senso che di per sé non è sufficiente, dovendosi dimostrare che l’intervento costruttivo contestato abbia capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sul fondo del ricorrente (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278)

Sentenza 26 ottobre 2020, n. 6521

Data udienza 25 giugno 2020

Tag – parola chiave: Locali commerciali – Permesso di costruire – Area sprovvista della rete fognaria comunale – Concreto interesse all’impugnazione del permesso di costruire – Proprietari di fabbricati antistanti all’area interessata – Impugnazione del titolo edilizio – Legittimazione – Sussiste – Nozione di vicinitas – Modificazione del piano regolatore – Zone omogenee

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4714 del 2019, proposto dal signor Et. Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la società An. Sc. 19. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e il signor Sa. Sc., rappresentati e difesi dall’avvocato Fr. Iz., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gr. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, Sezione seconda, n. 612 del 20 marzo 2019, resa tra le parti, concernente il permesso di costruire n. 10/2018 rilasciato dal Comune di (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della società An. Sc. 19. Im., del signor Sa. Sc. e del Comune di (omissis);
Visto il ricorso incidentale proposto dalla società An. Sc. 19. Im. e dal signor Sa. Sc.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2020, svoltasi in video conferenza ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società An. Sc. 19. Im. e il signor Sa. Sc., in qualità di proprietari di fabbricati adiacenti, hanno impugnato al Tar per la Calabria, sede di Catanzaro, il permesso di costruire n. 10/2018 rilasciato dal Comune di (omissis) al signor Et. Gi. il 15 ottobre 2018 per la realizzazione di un locale ad uso commerciale di mc 270,90.
1.1. Secondo i ricorrenti il permesso rilasciato consentiva un intervento edilizio in un’area sprovvista della rete fognaria comunale, mentre il Piano Strutturale Comunale prescriveva per la stessa zona un vincolo assoluto di inedificabilità sino alla realizzazione delle reti di collettamento.
Inoltre, nell’area, derivata da un precedente frazionamento, era stata già utilizzata la volumetria residua disponibile, con conseguente violazione dell’art. 155 del Regolamento Edilizio Strutturale Comunale (“L’utilizzazione totale o parziale della capacità edificatoria di una determinata area, avvenuta sulla base di un atto autorizzativo, implica che in ogni richiesta successiva di altre concessioni che comportino l’utilizzazione di un indice edificatorio, che riguardi in tutto o in parte le medesime superfici indipendentemente da qualsiasi frazionamento o passaggio di proprietà, si debba tener conto di quanto già realizzato, anche precedentemente al vigente P.S.C., nel calcolo della capacità edificatoria totale realizzabile”).
1.2. In relazione ai documenti prodotti in giudizio dall’Amministrazione intimata e dal controinteressato, i ricorrenti hanno poi proposto motivi aggiunti con cui hanno precisato ed integrato il gravame, contestando che:
– le prescrizioni della V.A.S., che prevedono l’inedificabilità delle aree sprovviste delle opere di collettamento, non potevano essere poste nel nulla in forza degli impegni assunti dal soggetto richiedente il permesso di costruire
– lo scarico dell’impianto di depurazione previsto in progetto non era assistito dalla necessaria autorizzazione da parte dell’Amministrazione provinciale;
– la documentazione tecnica versata in atti dall’amministrazione e dal controinteressato confermava la fondatezza del secondo motivo del ricorso introduttivo, dal momento che è attribuita al controinteressato la totalità della volumetria residua, anziché una quota proporzionale al suo diritto di proprietà;
– il calcolo della volumetria residua è stato effettuato senza scomputare l’area destinata a zona di rispetto stradale;
– il rapporto tra volumi tecnici e volume consentito superava la percentuale massima prevista dal Regolamento Edilizio.
1.3. Sia il Comune che il signor Gi. hanno tuttavia eccepito l’inammissibilità del ricorso in ragione della mancata allegazione di un interesse effettivo e concreto all’accoglimento dello stesso.
2. Il Tar di Catanzaro, con la sentenza in forma semplificata indicata in epigrafe, dopo avere respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse (sulla base del requisito della cd. vicinitas), lo ha accolto con riferimento alla circostanza che nell’area era già stata sfruttata buona parte della volumetria consentita.
2.1. In particolare, il Tar ha rilevato che le particelle oggetto di edificazione erano estese mq 2.184 e derivavano dal frazionamento della originaria particella n. (omissis) estesa mq 7370, a cui era stata in precedenza asservita la p.lla (omissis) (quale parte inedificata di un unico comparto) estesa mq 882, per una volumetria complessiva esprimibile da entrambe le particelle, secondo l’indice di fabbricabilità vigente (0,25 mc/mq), di mc 2063. Sull’area riferibile alla originaria p.lla n. (omissis) insistono comunque tre fabbricati regolarmente assentiti, oltre ad un ulteriore volume abusivo, per una cubatura complessiva di mc 1.792,15. Di conseguenza, la volumetria massima residua realizzabile sull’area di cui alla originaria p.lla (omissis) (incrementata delle superficie della p.lla (omissis)) sarebbe stata pari a mc 2.063 – mc 1792,15 = mc 270,85. La predetta volumetria non poteva però essere integralmente sfruttata dal signor Gi., che ne poteva disporre soltanto nei limiti della propria quota della p.lla (omissis), pari al 29,6 %.
2.2. In sintesi, il Tar ha respinto l’eccezione di difetto di interesse ad agire dei ricorrenti in applicazione del principio secondo cui il requisito della vicinitas è sufficiente a suffragare sia la legittimazione che l’interesse ad agire in materia di impugnativa di titoli edilizi; ha respinto le censure, articolate nel primo motivo del ricorso principale e nel primo motivo aggiunto, incentrate sulla assenza di indispensabili opere di urbanizzazione primaria (impianto smaltimento acque reflue e depurazione); ha accolto le censure articolate con il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo aggiunto, incentrate sulla erroneità del computo della volumetria in concreto assentibile; ha assorbito il terzo e quarto motivo aggiunto ed ha compensato le spese di lite.
3. Contro la predetta sentenza ha quindi proposto appello il signor Gi., prospettando i seguenti motivi di censura.
3.1. Inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ed interesse ad agire dei ricorrenti.
3.1.1. I ricorrenti in primo grado sostengono che il terreno interessato dal permesso di costruire impugnato sarebbe antistante agli immobili di loro proprietà. In realtà, i compendi interessati non sono “confinanti” e neanche “antistanti”, né contigui. Tra di loro corre un’ampia strada statale e accanto alla stessa anche una strada vicinale comunale. Dal confine della proprietà dell’appellante fino alla strada statale vi è una distanza di almeno 35 metri. Inoltre, i due compendi insistono su due separate e distinte zone urbanistiche individuate con comparti separati e come tali delimitati.
3.1.2. Anche sotto il profilo della concorrenzialità commerciale, la struttura degli originari ricorrenti è una grande struttura edilizia e commerciale (ristorazione, pizzeria ed albergo), mentre la costruzione progettata dall’appellante è un fabbricato di ridotte dimensioni destinato a macelleria, attività del tutto distinta rispetto a quella degli appellati.
3.1.3. Quindi, al di là del criterio legittimante dello stabile collegamento con le aree limitrofe, il Tar avrebbe dovuto esaminare il concreto interesse all’impugnazione del permesso di costruire assentito, mancando una lesione della posizione giuridica degli appellati sia sul piano urbanistico, sia su quello commerciale.
3.2. Il Tar erroneamente ha ritenuto di accogliere il ricorso ritenendo fondate le tesi urbanistiche sulla volumetria utilizzata.
3.2.1. Per l’appellante, l’ammissibilità e la legittimità di un permesso di costruire sono regolate in base alla disciplina urbanistica vigente per il lotto di cui alla progettata costruzione all’epoca della richiesta e del rilascio del permesso, senza che si possa andare a “ripescare” pregresse discipline superate e assorbite da nuovo strumento urbanistico vigente. La zonizzazione urbanistica in cui
rientra il lotto di cui è causa, alla luce del vigente strumento urbanistico entrato in
vigore il 13 febbraio 2018 e applicato per il permesso di costruzione rilasciato successivamente, è costituita da un comprensorio ben delimitato e regolato come Ambito Residenziale consolidato – A.R.C. 3- e le cui norme tecniche di attuazione prevedono un indice fondiario volumetrico di 0,25 mc/mq. (indice così ridotto rispetto a quello maggiore rispetto al precedente strumento urbanistico). Il che significa, trattandosi di indice fondiario, che ogni fondo (“appezzamento di terreno immobiliare di proprietà”) e ogni area urbanistica (“porzione di suolo che nell’ambito della pianificazione di un territorio è destinata alla costruzione di edifici sia civili sia industriali”) rientrante nel territorio zonizzato gode del corredo di fruibilità previsto dall’indice fondiario volumetrico predetto.
Inoltre, il comprensorio costituito dal delimitato ambito ARC 3 all’atto dell’avvento del predetto strumento urbanistico non risultava e non risulta costituito da una unica proprietà in comunione o in condomino, ma da quattro aree fondiarie autonome, ossia fondi proprietari separati anche se costituti da più particelle catastali (proprietà Ri., Ga., A.R.. e Gi.), con
conseguente dotazione rispettiva ai fini urbanistici ed in particolare ai fini della volumetria (0,25 mc/mq per ciascuna proprietà).
3.2.2. In sostanza, l’accertamento della volumetria disponibile ai fini edificatori doveva essere condotto con riferimento a ciascun lotto di terreno oggetto dell’intervento costruttivo, per cui, se una parte del lotto è stato già edificata, la volumetria già utilizzata va detratta da quella in astratto disponibile, anche nel caso in cui l’originaria unica area, dopo un primo intervento edilizio, sia suddivisa in due o più porzioni e indipendentemente dall’alienazione di queste ultime a soggetti terzi rispetto all’originario concessionario. La volumetria complessivamente riconducibile ai fabbricati già realizzati ed a quello autorizzato all’appellante sarebbe perciò pari a mc 2.015,25 (inferiore alla massima assentibile di mc 2.063).
4. La società An. Sc. 19. Im. e il signor Sa. Sc. si sono costituiti in giudizio ed hanno depositato un appello incidentale il 22 giugno 2019 con il quale hanno contestato il capo 6.2 della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto che non fosse fondato il motivo proposto in primo grado e relativo alla circostanza che l’area interessata dall’edificazione assentita con il permesso di costruire n. 10/2018 fosse sprovvista di rete fognaria comunale. Con lo stesso ricorso incidentale hanno poi riproposto i motivi assorbiti dalla stessa sentenza (violazione degli artt. 10, comma 5, e 191 del Regolamento Edilizio Urbanistico del Piano Strutturale Comunale).
4.1. Gli stessi appellati hanno poi depositato ulteriori scritti difensivi, rispettivamente il 22 giugno 2019, l’8 luglio 2019, il 6 marzo 2020, il 19 marzo 2020, documenti il 27 febbraio 2020 e una memoria, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020, il 22 giugno 2020.
5. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio il 6 luglio 2019, chiedendo l’accoglimento dell’appello, ed ha depositato ulteriori memorie il 22 luglio 2019, il 27 febbraio 2020 e il 15 maggio 2020.
6. L’appellante principale ha anch’esso depositato ulteriori documenti il 24 giugno 2019, il 25 giugno 2019, l’8 luglio 2019, il 9 marzo 2020, il 22 maggio 2020 e note di udienza, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020.
7. Nella camera di consiglio dell’11 luglio 2019 l’esame dell’istanza incidentale di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, è stato differito su richiesta delle parti, alla udienza pubblica di merito.
8. La causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 25 giugno 2020, senza che le parti abbiano richiesto l’esame dell’incidente cautelare.
9. Preliminarmente, il Collegio rileva l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità della costituzione del Comune di (omissis) formulata dagli appellati. Secondo questi ultimi, il Comune avrebbe potuto partecipare al giudizio solo nella veste di appellante principale o incidentale.
9.1. L’Amministrazione comunale, evocata in giudizio ai sensi dell’art. 95, comma 1, c.p.a., si è ritualmente costituita, limitandosi ad aderire all’appello principale senza proporre mezzi di impugnazione autonomi, domande nuove o nuove prove. La citata disposizione prevede infatti che siano parti del processo di appello tutte quelle del giudizio di primo grado, cosicché le stesse parti hanno il diritto di costituirsi purchè limitandosi a prestare adesione rispetto al gravame proposto da altri e senza ampliare il thema decidendum vel probandum (Cons. Stato, sez. V, n. 1771 del 2020, sez. IV, n. 4510 del 2016).
10. Ciò premesso, l’appello è fondato per le seguenti ragioni.
11. Nel primo motivo, parte appellante ribadisce l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado in ragione dell’insussistenza di un interesse concreto a ricorrere degli appellati. Il Tar ha invece ritenuto che “deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse al suo accoglimento, dal momento che, a prescindere dagli aspetti commerciali, nella specie è dirimente ed assorbente l’interesse dominicale dei ricorrenti che, in qualità di proprietari di fabbricati antistanti all’area interessata dal p.d.c., sono senza meno legittimati alla impugnazione del titolo edilizio”.
11.1. La tesi del giudice di primo grado non può essere condivisa. Alla luce della giurisprudenza di questa Sezione, ormai consolidata, (cfr. da ultimo sentenze nn. 1011 e 962 del 2020), gli originari ricorrenti, in considerazione delle specifiche circostanze dei luoghi, sono privi di interesse ad agire. I fondi su cui sorgono i rispettivi fabbricati (quello dell’appellante coincidente con le particelle 545, 785, 786, 787 e 788) sono infatti divisi da due strade e dunque non sono confinanti (cfr. estratto planimetria progettuale allegato sub 4 al ricorso di appello). In tale situazione, nessuna seria allegazione (e meno che mai prova) di danni alla sfera soggettiva degli appellati è stata effettuata (anche in relazione all’impianto per il trattamento per le acque che non è a cielo aperto, ma confluisce in quello pubblico).
11.2. In particolare, il requisito della vicinitas posto a base della sentenza impugnata (peraltro, nel caso di specie, non caratterizzata da una immediata contiguità delle aree interessate, con conseguente dubbio anche sulla legittimazione), non sembra da solo giustificare la proposizione del ricorso. La vicinitas, cioè lo stabile collegamento con la zona interessata dall’intervento, può infatti certamente ritenersi fondamento della legittimazione ad agire purché sia accompagnata anche dalla presenza di una lesione concreta ed attuale della posizione soggettiva di chi impugna il provvedimento. In altri termini, lo stabile collegamento con l’area interessata dall’intervento edilizio non è sufficiente a comprovare anche l’interesse a ricorrere che è invece derivante da un concreto pregiudizio per l’interessato.
11.3. La giurisprudenza ha chiarito a più riprese che la vicinitas non rappresenta un dato decisivo per riconoscere l’interesse ad agire (che nel giudizio di legittimità davanti al giudice amministrativo si identifica con l’interesse ad impugnare), nel senso che di per sé non è sufficiente, dovendosi dimostrare che l’intervento costruttivo contestato abbia capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sul fondo del ricorrente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278). Nella fattispecie in esame, come detto, una simile prova non viene fornita.
11.4. L’idea che la nozione di vicinitas – oltre a identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare la legittimazione a impugnare il provvedimento urbanistico o edilizio – ricomprenda in sé anche l’interesse a ricorrere è stata, infatti, superata dall’indirizzo secondo cui, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, deve essere concretamente indagato e accertato anche l’interesse ad agire. Questo indirizzo valorizza ragioni di coerenza con i principî generali sulle condizioni per l’azione nel processo amministrativo, nel cui novero rientrano distintamente, oltre alla legitimatio ad causam, il c.d. titolo (o legittimazione al ricorso) e l’interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5; 25 febbraio 2014, n. 9; successivamente, Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 5278 citata; per ultimo Sez. IV, 5 febbraio 2018, n. 707).
11.5. D’altra parte, se la distinzione fra i due indirizzi appena richiamati può non risultare sempre percepibile con evidenza, va considerato che nella odierna vicenda contenziosa non si rileva come il permesso di costruzione contestato potesse incidere in via immediata e diretta sulla sfera giuridica dei ricorrenti originari. Per questa ragione, la sussistenza della mera vicinitas non può costituire elemento sufficiente a comprovare contestualmente la legittimazione e l’interesse al ricorso, occorrendo invece la positiva dimostrazione, in relazione alla configurazione dell’interesse ad agire, di un danno (certo o altamente probabile) che attingerebbe la posizione di colui il quale insorge giudizialmente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 dicembre 2017, n. 5908).
12. In ogni caso, oltre ai profili di evidente inammissibilità del ricorso, risultano comunque infondate le doglienze dei ricorrenti così come prospettate in primo grado.
13. Innanzitutto non era d’ostacolo al rilascio del titolo edilizio la non preesistenza di un impianto di trattamento delle acque. Correttamente il Tar ha rilevato che, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.P.R n. 380/2001 (testo unico edilizia), il permesso a costruire è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del Comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all’impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento.
13.1. Nel caso di specie, l’appellante, nel progetto presentato, si è impegnato alla realizzazione delle stesse (sistema di smaltimento delle acque reflue e impianto depurativo), rendendo dunque coerente con le prescrizioni della V.A.S. la richiesta di permesso di costruire. L’ulteriore censura concernente il mancato rilascio della autorizzazione agli scarichi da parte dell’Amministrazione provinciale non è poi rilevante, posto che, ai sensi dell’art. 19, comma 4, della legge regionale della Calabria n. 10/1997, la stessa autorizzazione è propedeutica al rilascio del certificato di agibilità o di abitabilità e non del permesso di costruire.
13. Quanto alle censure sulla volumetria assentibile, va rilevato che le norme tecniche vigenti nel regolamento edilizio del Comune di (omissis) (artt. 10, comma 25, 155, 191, comma 7) devono essere interpretate alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato in punto di distinzione fra indice territoriale e fondiario, computo indice fondiario in caso di successione degli strumenti urbanistici, scomputo dalla base di calcolo indice fondiario delle porzioni terreno destinate a standard (cfr. Cons. Stato, sez. IV n. 5419 del 2017).
13.1. In particolare, come da tempo affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 32 del 2013) la “densità edilizia territoriale” è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il carico complessivo di edificazione che può gravare sull’intera zona. Viceversa, la “densità edilizia fondiaria” è riferita alla singola area e definisce il volume massimo su di essa edificabile. La differenza consiste nel fatto che la densità edilizia territoriale, riferendosi a ciascuna zona omogenea dello strumento di pianificazione, definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare su ciascuna zona, per cui il relativo indice è rapportato all’intera superficie della zona, ivi compresi gli spazi pubblici, quelli destinati alla viabilità. La densità edilizia fondiaria, invece, concernendo la singola area e definendo il volume massimo edificabile sulla stessa, implica che il relativo indice sia rapportato all’effettiva superficie suscettibile di edificazione ed è a tale indice che occorre fare concreto riferimento ai fini della individuazione della volumetria effettivamente assentibile con il permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 3/2009; Cass. civ., sez. I, n. 18841 del 2016).
13.2. In questo quadro, lo strumento urbanistico, proprio per le sue caratteristiche di strumento di pianificazione e delle sua possibilità di utilizzo, nel disporre le future conformazioni del territorio, considera le sole “aree libere”, tali dovendosi ritenere quelle “disponibili” al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (in quanto costituenti aree di sedime di fabbricati o utilizzate per opere di urbanizzazione), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione (in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati, onde consentirne lo sviluppo volumetrico). D’altra parte, diversamente opinando, ogni nuova pianificazione risulterebbe del tutto scollegata dalla precedente, potendo da questa prescindere, e di volta in volta riguarderebbe, senza alcuna contestualizzazione storica, una parte sempre più esigua del territorio comunale (cioè quella non ancora occupata da immobili e manufatti), valutata ex novo. In tal modo, la pianificazione urbanistica si ridurrebbe a considerare il territorio solo nella sua mera possibilità di edificazione, in quanto non ostacolata da presenze materiali, e non già come un bene da conformare per il migliore sviluppo della comunità, salvaguardando i diritti costituzionalmente garantiti degli individui che su di esso vivono e operano.
13.3. Di conseguenza, l’eventuale modificazione del piano regolatore, che come nel caso di specie ha regolato diversamente indici di fabbricazione, non può che interessare, nell’ambito della zona del territorio considerata dallo strumento urbanistico, le sole aree libere, nel senso sopra precisato, con esclusione, quindi, di tutte le aree comunque già utilizzate a scopo edificatorio, ancorché le stesse si presentino “fisicamente” libere da immobili. Al contrario, eventuali variazioni in senso restrittivo dei predetti indici si impongono ad aree per le quali, pur essendo in precedenza previsti indici più favorevoli, non siano state ancora utilizzate a fini edificatori.
Né vi è contraddizione tra le due precedenti ipotesi, poiché esse sono ambedue perfettamente coerenti con la esposta tesi della conformabilità delle sole aree libere. Ed infatti, nel primo caso, l’area non può definirsi libera, in quanto già utilizzata a fini edificatori, mentre nel secondo l’area è libera, posta la sua non ancora intervenuta utilizzazione.
Quanto affermato con riferimento alla successione nel tempo di diversi indici di fabbricabilità fondiari, deve trovare a maggior ragione applicazione nell’ipotesi di rilascio di successive concessioni edilizie e/o permessi di costruire nell’ambito della stessa area in costanza di indice di fabbricabilità, dovendosi considerare, al fine di sviluppare la volumetria assentibile, le sole aree da considerare libere, secondo i criteri innanzi descritti.
13.4. Nel caso in esame, l’area interessata dal permesso di costruire è rientrata, ai sensi del PRG del 2018, nel comprensorio “ambito residenziale consolidato ARC 3” con un indice fondiario volumetrico pari a 0,25 mc/mq. Il comprensorio è poi suddiviso in quattro aree fondiarie autonome, ossia fondi proprietari separati anche se costituiti da più particelle catastali (proprietà Ri., Ga., A.R.. e Gi.), con conseguente dotazione rispettiva ai fini urbanistici e ai fini della volumetria.
13.5. L’area fondiaria dell’appellante ha, in particolare, una superficie di mq. 2.184 e su di essa non esistono altre costruzioni. Relativamente, invece, all’asserito asservimento delle particelle che la costituiscono (nn. 545, 785, 786, 787 e 78), derivante da precedenti frazionamenti di altri lotti, va rilevato che, comunque, la nuova pianificazione del 2018 ha previsto per l’area il citato indice fondiario volumetrico pari a 0,25 mc/mq. Quest’ultimo valore poteva essere considerato, anche in superamento delle pregresse vicende dell’area, alla luce dei principi sopra evidenziati circa l’ambito di intervento del nuovo strumento urbanistico in relazione alle aree libere, tali dovendosi ritenere quelle disponibili al momento della pianificazione, e ancor più precisamente quelle che non risultano già edificate (cioè fisicamente libere), ovvero quelle che, nel rispetto degli standard urbanistici, risultano comunque già utilizzate per l’edificazione in quanto asservite alla realizzazione di fabbricati.
14. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va accolto e, per l’effetto, va riformata la sentenza impugnata con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse.
15. Di conseguenza, deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’appello incidentale proposto dalla società An. Sc. 19. Im. e dal signor Sa. Sc..
16. In ragione della particolarità della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello (n. 4741/2019), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto dalla società An. Sc. 19. Im. e dal signor Sa. Sc..
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza ex art. 84, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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