La vetustà dell’opera non ha rilievo

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 28 agosto 2020, n. 5276.

La massima estrapolata:

La vetustà dell’opera non ha rilievo poiché la repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisce attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e dell’immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è sempre prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera.

Sentenza 28 agosto 2020, n. 5276

Data udienza 7 luglio 2020

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Repressione – Attività vincolata – Vetustà dell’opera – Rilevanza – Insussistenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 1486 del 2011, proposto dal sig. Ug. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Ri. e con domicilio eletto presso l’avv. An. De An. in Roma, via (…),
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe., An. Pu., Gi. Ta., Ga. Ro. e An. Ca., e con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gr. & As.i S.r.l. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 2051/2010, resa tra le parti e concernente ordine di ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Giancarlo Luttazi nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 25 giugno 2020, n. 70;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con atto d’appello notificato al Comune di Napoli in data 8 febbraio 2011 e depositato il 25 febbraio 2011 il sig. Ug. Ca. ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 2051/2010, depositata il 20 aprile 2010, la quale ha respinto, con condanna alle spese, il ricorso n. 118/2009, proposto dall’appellato per l’annullamento, con gli atti connessi, della disposizione dirigenziale n. 901 del 10 ottobre 2008, avente ad oggetto l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi relativamente alle opere realizzate alla via Giulio Cesare n. 156 (attività commerciale di ristorazione), e consistenti in un manufatto verandato di mq. 7,00 adibito a zona lavapiatti.
L’ordine di ripristino reca la seguente motivazione:
“Viste le risultanze dell’istruttoria tecnica completata il 29-09-08, da cui si evince che l’intervento eseguito rientra nella tipologia della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, c. 1, lett e.1 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 06 giugno 2001, n. 380 e succ. modifiche e integrazioni);
Visto l’art. 33 del Testo Unico citato;
Vista la legge regionale 28 novembre 2001, n. 19 successive modifiche e integrazioni”.
L’appello indirizza alla pronuncia del Tar e al provvedimento da essa ritenuto privo dei vizi denunciati in primo grado le censure che, in applicazione del principio di sinteticità di cui all’art. 3 del codice del processo amministrativo, sono esposte e valutate nella parte in diritto della presente sentenza.
Il Comune di Napoli si è costituito per resistere in data 11 marzo 2011 e, con ulteriori difensori, in data 4 novembre 2019 e in data 20 aprile 2020.
In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 1 marzo 2016 parte appellante ha depositato, in data 15 aprile 2016, domanda di fissazione di udienza.
L’appellante ha depositato in data 7 febbraio 2020 una memoria ex art. 73 del codice del processo amministrativo.
Il Comune di Napoli ha depositato una memoria pure in data 7 febbraio 2020.
L’appellante ha depositato: una memoria di replica in data 14 febbraio 2020; un’istanza di passaggio in decisione in data 6 marzo 2020; in data 3 luglio 2020 note di trattazione ed istanza per la decisione del ricorso.
La causa è stata trattenuta in decisione in data 7 luglio 2020, ai sensi della normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal citato art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 25 giugno 2020, n. 70.

DIRITTO

Nessuna delle censure d’appello è fondata.
1.1 – L’appellante contesta in primo luogo al Tar di aver erroneamente ritenuto irrilevante che il provvedimento gravato abbia richiamato quale riferimento normativo l’art. 3, lettera e.1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, disposizione concernente gli interventi di nuova costruzione (e specificamente la “costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”), anziché l’art. 3, lettera d, del medesimo d.P.R. n. 380/2001, riguardante le “ristrutturazioni edilizie”.
La sentenza appellata sarebbe erronea sul punto perché da quel richiamo deriverebbero conseguenze di compromissione del diritto di difesa del ricorrente sia sul piano giuridico sia sul piano concreto.
L’appello rileva in proposito che per le ristrutturazioni edilizie senza titolo vi è la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria.
Ma trattasi appunto di possibilità : l’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 prevede in primo luogo come sanzione alla ristrutturazione edilizia sine titulo la sanzione demolitoria; e correttamente la sentenza appellata ha osservato che l’atto impugnato, pur dopo l’errato riferimento normativo delle premesse, ha poi irrogato la sanzione demolitoria di cui al citato art. 33, espressamente citata dal provvedimento.
Quest’ultimo pertanto risultava agevolmente (peraltro con facile interpretazione in favore dell’interessato) come sanzione edilizia per ristrutturazione senza titolo e non come più grave sanzione per abusiva “costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati”.
1.2 – L’appello lamenta altresì, riproponendo – con addebito al Tar di erronea pronuncia – la censura di primo grado secondo cui sarebbe stato pretermesso l’accertamento della sussistenza di un interesse pubblico rilevante, attuale e concreto alla rimozione dell’opera; ciò sia in considerazione della sua vetustà e modestia, sia per il ritenuto diritto del proprietario a vedersi applicata in alternativa la sanzione pecuniaria. Con riferimento a quest’ultimo profilo (sanzione pecuniaria) il Tar sarebbe incorso altresì in omessa pronuncia.
Anche questo assunto è infondato.
La vetustà dell’opera non ha rilievo poiché la repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisce attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e dell’immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è sempre prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera (v. per tutte Cons. Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304). La modestia dell’opera appare comunque valutata, perché il manufatto è stato ritenuto non abuso di “nuova costruzione” ma meno rilevante abuso di “ristrutturazione”.
Quanto alla possibile sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria si osserva che nella fattispecie non risultano i relativi presupposti (impossibilità di ripristino; motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale) indicati dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001; circostanza questa indicata, seppur sinteticamente, dalla sentenza appellata (“la sanzione applicabile è quella demolitoria, come stabilito dall’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001”).
Relativamente alla pure asserita necessità di motivare circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’opera assunta come abusiva si osserva che – data la sopra indicata immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, ripristino prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera natura – l’onere motivazionale è soddisfatto, come avvenuto nel caso di specie, con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività dell’intervento ed alla sicura assoggettabilità di esso al regime dei titoli abilitativi (v. la citata pronuncia di questo Consiglio di Stato n. 3304/2020, che richiama anche sul punto la pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 9; pronunce espressione di un condiviso e recente indirizzo, e dunque tali da superare le pronunce di segno opposto richiamate dall’appello).
1.3 – Da respingere è anche l’assunto dell’appellante secondo il quale il Comune avrebbe errato nell’indicazione della sanzione applicabile, anche perché prevista in una normativa sopravvenuta rispetto alla data di realizzazione dell’abuso. Si osserva infatti che per le sanzioni edilizie ripristinatorie, in quanto finalizzate a ristabilire l’assetto urbanistico violato e compromesso dall’abuso, bisogna far riferimento alla normativa edilizia vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento repressivo, data la natura permanente (evidenziata anche dall’appellata sentenza) dell’abuso edificatorio che la sanzione è diretta ad eliminare (v. per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2020, n. 3352).
1.4 – Va respinta anche la censura d’appello, posta in via subordinata, che afferma la natura pertinenziale dell’opera in argomento.
Si osserva che la tematica è stata considerata dal Tar, il quale ha respinto la relativa censura rilevando correttamente che qualora, come nel caso specie, il manufatto sia incorporato ad immobile principale di cui ormai costituisca una parte integrante, non risponde alla nozione di pertinenza urbanisticamente rilevante, nozione che postula indefettibilmente l’individualità fisica e strutturale del manufatto destinato a servizio od ornamento di quello principale, sicché l’abuso in esame va considerato un ampliamento dell’immobile preesistente.
L’appello ignora questa argomentazione, affermando che l’intervento realizzato rientra fra quelli di natura pertinenziale sia per le dimensioni contenute, sia per l’aumento di volume inferiore al 20% del volume dell’immobile principale (come previsto dall’art. 3, comma 1, lettera e.6, del d.P.R. n. 380/2001), sia per l’evidente legame strumentale rispetto all’immobile cui accede e cui è inscindibilmente connesso.
La censura risulta dunque, a fronte dell’ignorato e corretto rilievo del Tar, inammissibile e comunque infondata.
1.5 – Da ultimo l’appello lamenta, testualmente, quanto segue: “[…] devono contestarsi le evidenti violazioni procedurali in cui è incorsa l’amministrazione procedente, sia con riguardo all’omessa partecipazione al procedimento degli altri comproprietari dell’immobile, sia per ciò che concerne la mancata comunicazione di avvio del procedimento al sig. Ca., sia, infine, per la carente istruttoria condotta, dimostratasi assolutamente insufficiente ai fini di una corretta individuazione del momento in cui si ritiene perpetrato l’abuso e del conseguente regime applicabile.
Tali violazioni procedimentali, incidono nel loro complesso, in maniera determinante, per quanto già rilevato nel ricorso in prime cure, sulla legittimità dell’ordinanza demolitoria.
A fronte, tuttavia di una così ampia violazione della legge sul procedimento amministrativo, il TAR adito in prime cure, ancora una volta tenta di minimizzare, ovvero giustificare, le dedotte inefficienze del Comune, e ciò malgrado, queste ultime abbiano determinato un’effettiva e concreta compromissione del diritto del ricorrente, ed attuale appellante, alla partecipazione al procedimento che lo riguardava.
E’ infatti, evidente, e le risultanze incongruenti dell’istruttoria malamente condotta dal Comune, ne sono un esempio, che la partecipazione del privato ai procedimenti amministrativi prevista dal Capo III della L. 241/90, è sempre necessaria, anche in relazione ad accertamenti che precedono provvedimenti vincolati, potendo assumere rilievo, proprio grazie al contributo del privato, circostanze ed elementi tali da indurre l’amministrazione a recedere dall’emanazione di provvedimenti, gravemente sanzionatori, come la demolizione”.
Queste asserzioni ribadiscono e richiamano alcune delle censure già formulate in primo grado, ma non contestano le relative statuizioni, di motivato rigetto, del Tar, alle quali si rinvia.
Non può ritenersi specifica contestazione di quelle motivate statuizioni del primo giudice il rilievo “il TAR adito in prime cure, ancora una volta tenta di minimizzare, ovvero giustificare, le dedotte inefficienze del Comune, e ciò malgrado, queste ultime abbiano determinato un’effettiva e concreta compromissione del diritto del ricorrente, ed attuale appellante, alla partecipazione al procedimento che lo riguardava”. Le censure debbono pertanto dichiararsi inammissibili.
2.- L’appello, in conclusione, va respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al rimborso, in favore dell’appellato Comune di Napoli, delle spese del presente grado di giudizio, e le liquida in 3.000,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 25 giugno 2020, n. 70; con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere, Estensore
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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