La valutazione di impatto ambientale

Consiglio di Stato, Sentenza|12 aprile 2021| n. 2949.

La valutazione di impatto ambientale si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all’utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione-zero, investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell’opera da realizzare); l’autorizzazione integrata ambientale – introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – è invece atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e incide quindi sugli aspetti gestionali dell’impianto (Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2012, n. 5292).

Sentenza|12 aprile 2021| n. 2949

Data udienza 30 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Gestione del ciclo dei rifiuti – Discarica – Autorizzazione – VIA – Natura dell’istituto – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4052 del 2013, proposto da
EX. S.p.A. (in liquidazione), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Ch. Ca., elettivamente domiciliata in Roma, alla Via (…), presso lo studio dell’avvocato Fr. Ga. Sc.
contro
– Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Ettore Volpe, Beatrice Croppo, domiciliata in Roma, piazza (…), presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione;
– Provincia di Udine, in persona del Presidente pro tempore della Giunta provinciale, non costituita in giudizio;
– Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Zg., Lu. Ma. ed An. Ma., con domicilio eletto presso questi ultimi, in Roma, alla Via Confalonieri, n. 5;
– Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
– A.S.L. n. 5 – “Bassa Friulana”, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;
– Agenzia Regionale Protezione Ambiente (A.R.P.A.) – Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;
nei confronti
– Comitato Spontaneo De. To.
– Lista Civica In. In.
– Associazione “Co. FV.”
– Fo. Gi.
– Pa. Al.
– Bo. An.
– Or. Fr.
– Zu. An. Ma., in proprio e quale referente del gruppo di 122 cittadini del Comune di (omissis) indicato nel provvedimento impugnato in primo grado
– Bu. An.
– La. Si.
– Ma. Vi.
– Sc. Da.
– Sp. Pa.
– Ni. St., in proprio e quale referente del gruppo consiliare di Rinnovamento
– Ge. No. S.p.A., in persona del legale rappresentante
non costituiti in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, n. 124 del 1° marzo 2013, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Friuli-Venezia Giulia e del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Espone la società appellante – controllata dalla Provincia di Udine e statutariamente costituita per lo svolgimento di tutte le attività inerenti alla gestione del ciclo dei rifiuti – di aver presentato, in data 18 settembre 2009, richiesta di ampliamento della discarica sita nel Comune di (omissis), località (omissis), per il conferimento dello scarto finale del processo di trattamento del rifiuto indifferenziato dei suoi impianti nei Comuni di Udine e San Giorgio di Nogaro.
Il diniego, opposto dalla Regione alla anzidetta istanza (deliberazione di Giunta n. 1781 del 2009), formava oggetto di annullamento da parte del T.A.R. Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 113 del 2011).
Seguiva una seconda richiesta, a fronte della quale l’avviato iter procedimentale scontava il negativo avviso, sotto il profilo della valutazione di impatto ambientale, da parte di taluni soggetti ammessi ad intervenire.
La Commissione V.I.A. regionale riteneva, quindi, non superati i profili di incompatibilità ambientale relativi alle ricadute economico-sociali del progetto, alle prospettate alternative progettuali, alla gestione dei materiali da scavo, alle interferenze con le acque superficiali, alla viabilità, all’impatto sulla qualità dell’aria e sul suolo, sottosuolo e acque sotterranee.
Sulla base di tale parere, con delibera di Giunta regionale 31 maggio 2012, n. 943, la Giunta regionale deliberava la valutazione negativa dell’impatto ambientale del progetto proposto.
2. Con ricorso N.R.G. 315 del 2012, proposto innanzi al T.A.R. Friuli Venezia Giulia, EX. S.p.A. chiedeva l’annullamento del provvedimento anzidetto.
L’adito Tribunale ha respinto il ricorso e condannato EX. al pagamento delle spese di lite, in ragione di Euro 6.000,00 in favore della Regione e di Euro 3.000,00 in favore del Comune di (omissis).
3. Avverso tale pronuncia, EX. ha interposto appello, lamentando quanto di seguito sintetizzato.
In primo luogo, il Tribunale, pur dando atto dell’incompletezza degli svolti accertamenti istruttori, per come enunciata nella delibera regionale gravata, non ha tuttavia ritenuto inficiata, sotto il profilo della contraddittorietà, la conclusione, pure in essa contenuta, in ordine alla incompatibilità ambientale del presentato progetto.
Quanto al primo motivo indicato nella V.I.A. negativa (prevalenza dei benefici per le popolazione locali conseguenti all’approvazione del progetto, a fronte dello svolgimento di analisi costi-benefici), viene rilevato come la pertinente disposizione (art. 4 del D.P.C.M. 27 dicembre 1988), in quanto fondata su altro D.P.C.M. (n. 377 del 1988) abrogato, non sarebbe operante quanto alla vicenda procedimentale in esame.
Avrebbe, quindi, errato il Tribunale ne ritenere che lo studio di impatto ambientale (S.I.A.) presentato dall’odierna appellante sia lacunoso, in quanto privo dell’analisi costi-benefici.
Quanto, poi, alle problematiche connesse all’inserimento territoriale dell’impianto, l’eventuale introduzione di varianti alla vigente strumentazione urbanistica rientrerebbe, esclusivamente, nelle prerogative della competente Autorità (non ricadendo, al riguardo, alcun onere sulla proponente).
Né il giudice di prime cure si sarebbe pronunziato, in riferimento alla pretesa mancata indicazione, nel S.I.A., di idonee alternative progettuali (compresa l’opzione zero, invece esclusa dalla proponente, in quanto inidonea a risolvere i problemi di smaltimento dei rifiuti): in proposito, sottolineandosi come il presentato studio di fattibilità proponesse una molteplicità di siti alternativi per l’installazione dell’impianto (in conformità a quanto previsto nell’Allegato VII della Parte seconda del D.Lgs. n. 152 del 2006): la mancata approvazione provinciale di quest’ultimo non potendosi, secondo la tesi di parte, ascrivere a responsabilità di EX..
Escluso, poi, che alcun principio di “rotazione dei siti” sia evincibile dall’applicabile disciplina, parte appellante contesta la mancata considerazione del contesto agricolo circostante (caratterizzato dalla presenza, nel raggio di due chilometri, di talune aziende vitivinicole e da vigneti di pregio), attesa l’indimostrata nocività riveniente dall’ampliamento della preesistente discarica proposto da EX..
Quanto, poi, al piano di gestione delle terre e delle rocce da scavo, il progetto di reimpiego, di cui all’art. 186 del Codice dell’Ambiente, distingue i materiali, per i quali sia previsto il riutilizzo in loco, rispetto a quelli reimpiegabili altrove, previa caratterizzazione.
Con riferimento all’impatto sulle acque superficiali, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ritenuto che il progetto di trattamento delle stesse avrebbe dovuto essere indicato già in sede di V.I.A.; così come non condivisibile sarebbe il giudizio, espresso dal T.A.R. con riferimento alla sostenibilità ambientale del traffico determinato dal nuovo impianto, in relazione all’affermata carenza di una specifica analisi del traffico nel progetto presentato dall’appellante.
Né la censura, in primo grado dedotta, relativa all’impatto sulla componente aria, sarebbe stata adeguatamente delibata dal Tribunale di primo grado, atteso che sarebbe privo di fondamento l’addebito, rivolto ad EX., di non aver fornito dati sulla emissione delle polveri e di altri materiali (non meglio precisati) nell’atmosfera durante lo stadio di cantiere dell’impianto in ampliamento.
Sul punto, l’appellante evidenzia di aver proposto una valutazione riguardate la realizzazione dei nuovi lotti della discarica (attività da svolgersi in contemporanea con la coltivazione dei precedenti lotti), in modo che la disamina della fase gestionale (attività di abbancamento e trattamento dei rifiuti) avrebbe tenuto conto di quella di escavazione, con rilevazione estesa al più elevato impatto sull’aria.
Nell’osservare come l’appellata sentenza non si sia pronunciata in merito alle stime del biogas prodotto dall’impianto (pur effettuate sulla base di identica metodologia, rispetto a quelle impiegata da A.R.P.A.), anche con riferimento all’impatto odorigeno, EX. sostiene che il livello stimato sia inferiore a quello minimo di riferimento.
Viene, ulteriormente, contestato quanto dal Tribunale affermato riguardo alle garanzie ambientali contro i rischi per il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee; in proposito sottolineandosi come nel realizzando impianto non verranno trattati rifiuti putrescibili e, comunque, le indagini di processo siano estranee alla valutazione di carattere preventivo propria della V.I.A.
Con riferimento alla redazione del modello di propagazione areale degli inquinanti in falda, viene sottolineato come, a fronte di una eventuale contaminazione dell’ambiente circostante, le procedure da porre in essere attengono pur sempre alla fase gestionale e non avrebbero potuto essere esposte in corso di V.I.A.
Viene, poi, contestata l’affermazione resa dal giudice di prime cure, riguardo alla indicazione della quota del fondo discarica ed alla insufficienza delle indicazioni fornite da EX. con riferimento alla adeguatezza delle quote di impermeabilizzazione enunciate in progetto.
Assume parte ricorrente che la procedente Autorità sia incorsa in una disparità di trattamento, laddove, ai fini dell’approvazione di altro progetto (presentato da Fr. Ju. Ap. per l’ampliamento della discarica di Maniago), non sono state richieste la valutazione comparativa a mezzo di analisi costi-benefici e la rappresentazione cartografica di tutti i vincoli di legge e di piano, né pretesi altri adempimenti, invece ritenuti indispensabili da parte di EX.; ulteriormente sottolineandosi come condotta analogamente difforme sia stata tenuta dalla Regione con riferimento al progetto presentato da Ge. No..
Contesta, inoltre, l’inoperatività della previsione di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 alle procedure in tema di V.I.A., sostenuta dal T.A.R. in relazione alla specialità del relativo procedimento.
Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
4. In data 27 giugno 2013, si è costituito in giudizio, con memoria di mero stile, il Comune di (omissis); il quale, in vista della trattazione della controversia, ha depositato in atti (alla data del 9 marzo 2021) dettagliata memoria recante confutazione dei motivi di censura introdotti dalla parte appellante.
5. L’Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio il 15 luglio 2013, ha analiticamente controdedotto alle doglianze articolate con l’atto introduttivo; ed ha, ulteriormente, depositato (alle date del 26 febbraio e 9 marzo 2021), ulteriori memorie, con le quali viene ribadita l’infondatezza del proposto mezzo di tutela e richiesta la reiezione dello stesso.
6. In vista della trattazione nel merito del ricorso, EX. S.p.A. ha depositato in atti (alla data del 9 marzo 2021) conclusiva memoria di replica, con la quale, ribadite le argomentazioni già esposte con l’atto introduttivo, ha insistito per l’accoglimento del proposto appello.
7. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 30 marzo 2021.

DIRITTO

1. È necessario, preliminarmente alla disamina dei motivi di censura articolati con l’appello all’esame, ripercorrere gli essenziali tratti motivazionali della gravata sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia.
1.1 In primo luogo, va rilevato come la negativa Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) a fondamento della determinazione regionale 31 maggio 2012, n. 943, dia conto della mancata indicazione, ad opera della proponente (odierna appellante) EX. delle ricadute economiche del progetto (e cioè, dei benefici per la comunità locale che esso comporterebbe), per insufficienza, sul punto, dello Studio di Impatto Ambientale – SIA (che non avrebbe definito, mediante opportuni indicatori ed indici, come sia possibile superare la destinazione funzionale rurale impressa ai fondi, su cui si intende intervenire, da parte del Comune di (omissis), mediante la propria strumentazione urbanistica).
Sul punto, il giudice di primo grado ha ritenuto che “la VIA non può ridursi a una verifica tecnica astratta sulla compatibilità ambientale ma si sostanzia in un’analisi comparativa approfondita circa il raffronto fra utilità socio-economica attesa e sacrificio ambientale, di cui il proponente deve farsi carico, se vuole ritenere un risultato utile”; ulteriormente osservando che “per le lacune del SIA, limitatamente a tale aspetto, non può imputarsi all’amministrazione, vista peraltro inutili le richieste di integrazioni sul punto, se essa giunge, sulla scorta delle motivazioni addotte dalla Commissione VIA alla conclusione che, in un tessuto così delicato, per le varie particolarità che lo caratterizzano sotto l’aspetto urbanistico e socio economico, non si può escludere che l’impatto dell’opera sia significativo”.
Ed ha, ulteriormente, confutato l’irrilevanza, argomentata dalla parte ricorrente, assunta dalla pianificazione urbanistica dei luoghi interessati dalla procedura di VIA, atteso che “l’art. 12, 2° comma, lett. b) del DPGR 8.7.1996 n. 0245/Pres, che contiene il regolamento di esecuzione delle norme regionali in materia di valutazione di impatto ambientale impone… di verificare la conformità del progetto agli strumenti urbanistici ed agli eventuali piani generali o di settore e ai vincoli esistenti”; rilevando, conclusivamente sul punto, come “un ulteriore difetto del SIA era di non considerare la sua non conformità al piano regolatore comunale, al fine dell’esame della necessità di intervenire con una variante”.
1.2 Il T.A.R. ha, poi, disatteso le doglianze dalla ricorrente dedotte con riferimento:
– all’ulteriore elemento ostativo, integrato nella mancanza, nel SIA, dell’esame di ulteriori alternative progettuali, ivi compresa l’opzione zero (rispetto al quale, EX. assume di aver indicato, fin dall’inizio della procedura, sul suo sito internet, ben 31 siti, dei quali cinque erano stati indicati come preferibili per la collocazione dell’impianto di smaltimento in discussione);
– alla violazione, da parte della stessa proponente, del criterio preferenziale della preesistenza di un invaso, già indicato nell’art. 10 delle norme di attuazione del programma provinciale dei rifiuti (rispetto al quale, la ricorrente di primo grado ha sostenuto che la scelta di cave dimesse sarebbe un mero fattore preferenziale, che deve essere bilanciato con gli altri elementi rilevanti per la scelta del sito);
– alla mancata considerazione, parimenti constatata dalla procedente Amministrazione regionale, del fatto che, nel raggio di 5 km dalla localizzazione proposta per la discarica, vi sarebbero ben 9 aziende vitivinicole e 5 vigneti di pregio (al riguardo, sostenendosi da parte dell’appellante la derogabilità del vincolo di distanza, ai sensi dell’art. 13 della L.R. n. 13/1998; e, in ogni caso, contestandosi il carattere indimostrato del danno sofferto da tali colture patirebbero danno per la mera esistenza di una discarica, in ampliamento di quella già esistente).
Il giudice di prime ha, in proposito, osservato che “la stessa ricorrente, nella memoria di replica, si richiama alla propria “expertise tecnica” come fonte dei criteri scelti per l’ubicazione e della relativa valutazione di adeguatezza dei siti, confermando con ciò che essi erano inaccessibili alla Regione, anche se ne fornisce ora alcuni, sottolineando “l’ontologica diversità ” degli interessi di EX. da quello dell’interesse pubblico, che deve invece guidare le scelte dell’ente”.
Ed ha ritenuto che “proprio l’obbligatoria valutazione di tale interesse che la Regione deve perseguire e che il proponente deve tenere sempre presente, quando deve presentare un progetto da sottoporre alla VIA, che è, com’è noto, un procedimento che misura la compatibilità ambientale di opere potenzialmente idonee a incidere sull’ambiente, fornendo all’amministrazione, che tale compatibilità deve tutelare, elementi che concernono non i suoi propri interessi soltanto, ma il modo di contemperarli con le esigenze ambientali e ciò in modo trasparente anche per chi è chiamato a tutelarle e non limitandosi a fornire dati misurati solo sul proprio particolare utile, da cui l’amministrazione stessa dovrebbe dedurre se essi configurino una soluzione accettabile in ordine alla tutela dell’ambiente”.
1.3 Con riferimento, poi, alla censura articolata con terzo motivo di ricorso (con il quale, è stato contestato che la Regione possa pretendere, già in fase di SIA, la minuta elencazione dei siti presso i quali allocare le terre e le rocce residuanti dallo scavo dell’invaso della discarica, specificando ciò che si riutilizzerà nel sito della stessa e ciò che sarà smaltito all’esterno), il Tribunale ne ha escluso la condivisibilità, “in quanto l’art. 186, 2° comma, del D. Lgs. n. 152/2006… dopo aver elencato al comma precedente le condizioni di possibile reimpiego delle terre e rocce da scavo, fra cui la dimostrazione che da esse non derivi contaminazione, impone, ove essa avvenga nell’ambito di una procedura di VIA, la previa redazione di un apposito progetto, il quale ne elenchi i tempi e le modalità, che dev’essere approvato dall’autorità preposta al procedimento”; ed ha rilevato che “nel caso in esame il Servizio VIA ha chiesto, in ordine all’elaborato presentato al riguardo dalla proponente specifiche integrazioni, cui non è stata data risposta, onde esso non è tuttora approvato”.
1.4 Con riferimento, poi, alla “inadeguatezza” della documentazione presentata dalla proponente in ordine all’impatto sulle acque superficiali (Ri. Sl.) il giudice di prime cure ha osservato che “le integrazioni richieste alla proponente in ordine allo scarico dell’impianto di trattamento dei percolati nel Ri. Sl., miravano a verificarne l’idoneità e ad assicurarsi che non determinasse alterazioni e rispettasse l’obbligo di legge relativo ai limiti di emissione dello scarico e alle eventuali misure di mitigazione, ma il silenzio della proponente non ha consentito di valutare positivamente l’impatto”.
Parimenti inaccoglibili sono state, poi, ritenute le doglianze relative alla viabilità ; con le quali la proponente, osservando la particolarità della situazione in cui la nuova discarica progettata andrebbe in parte a sovrapporsi e per il resto a sostituirsi alla precedente, ha sostenuto che le misure di traffico preesistenti ben potrebbero essere prese a parametro di quelle future, senza necessità di maggiormente analitica motivazione.
A fronte della constatabile inesistenza di un’analisi di questo specifico progetto in ordine alle ricadute sul traffico che andrà a svilupparsi (non potendosi operare un mero rinvio a quello generato dalla discarica precedente, già da tempo chiusa), il T.A.R. ha osservato che “la valutazione che, al momento, il traffico generato dalla discarica esistente era sostenibile non esclude che esso non possa esserlo più nella successiva fase di esercizio della nuova discarica”; ritenendo, conseguentemente, che “la carenza di informazioni su questo punto… può essere rilevata da diversi pareri infra procedimentali, ad esempio da quello dell’ARPA e la richiesta di integrazioni, finalizzata ad ottenerle, era pienamente giustificata, diversamente da quanto sostenuto dalla proponente”.
1.5 Quanto alla superfluità del richiesto modello di propagazione areale di eventuali inquinanti filtrati nelle falde freatiche, parimenti sostenuta dalla ricorrente di primo grado, il T.A.R.:
– preliminarmente ribadito che “la… VIA… è un procedimento con cui si valutano preventivamente i possibili impatti di un impianto, prima che esso sia posto in esercizio, rappresentandosi anche l’insorgenza dei più probabili inconvenienti e malfunzionamenti”,
– ha rilevato che “l’inquinamento delle acque sotterranee da parte di una discarica, nonostante il fondo sia protetto da pacchetti di impermeabilizzazione, sono tra i più comuni, particolarmente quando gestiscono anche rifiuti putrescibili… in quanto essi danno facilmente origine a percolati che danno origine a un elevato e diversificato tipo di inquinanti”;
per l’effetto ritenendo “del tutto ragionevole che l’ente autorizzatore voglia conoscere le misure che verranno adottate in tali malaugurate ipotesi e, trattandosi di VIA, voglia conoscerle preventivamente all’esercizio dell’impianto, né è da meravigliarsi che suggerisca l’adozione del metodo comunemente usato per valutare la consistenza di tali pericoli, quello di propagazione areale, specie considerando, come ammesso dallo stesso proponente nella documentazione di SIA il sito dove sarà realizzata la discarica e dove ne insiste una precedente, in parte tombata, è stato oggetto di infiltrazioni di liquido, che hanno formato oggetto di indagini ed altresì la necessità di prevedere il pericolo di inquinamenti in falda è confermato dalla particolare conformazione geologica, che incide sul regime delle acque sotterranee alle spalle della discarica, ulteriore motivo di prevedere gli effetti di un inquinamento della falda”.
Nell’osservare come “le reiterate richieste regionali di effettuazione di un’analisi modellistica, con un pretesto o con l’altro, sono state sempre eluse e tuttora non è stato fornito, dopo sei mesi dalla prima richiesta, alcun modello di dispersione degli inquinanti in falda e del pari vane sono risultate inevase ulteriori e diverse richieste da parte di ARPA”, il giudice di primo grado ha, ulteriormente, rilevato che “risultano… tuttora incerte le quote necessarie per la progettazione della discarica, in quanto fornite a più riprese con indicazioni sempre discordanti circa la profondità di scavo e la quota assoluta dell’invaso esistente, onde non è tuttora definita la quota di imposta della impermeabilizzazione di fondo, che l’ARPA intendeva conoscere attraverso i dati richiesti”.
1.6 Nell’escludere, poi, la condivisibilità della censura di disparità di trattamento (relativa all’accoglimento delle richieste di autorizzazione per le asseritamente analoghe discariche Friul Julia a Maniago e Ge. No. a Cordenons), attesa la mancata dimostrazione dell'”indispensabile presupposto di una simile censura, cioè l’identità di condizioni soggettive ed oggettive fra le varie discariche”, è stata disattesa anche “la ulteriore censura di sviamento di potere, che richiede la prova rigorosa, nel caso non fornita, del disfavore nei confronti dell’una e del favore nei confronti delle altre, nel caso non fornita”.
Da ultimo, riguardo alla pure dedotta violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, il T.A.R. ne ha escluso l’applicabilità “ai procedimenti speciali, come quello di VIA, che ha una propria disciplina di continuo dia collaborativo con il promotore, che viene costantemente informato ed invitato a controdedurre sulle osservazioni dell’amministrazione procedente”.
2. Quanto sopra premesso, vanno, in primo luogo, brevemente tratteggiate la connotazione, la funzione e le finalità della V.I.A. – per come decifrate a seguito di una imponente interpretazione giurisprudenziale – con riferimento al sottoposto thema decidendum (e, con esso, segnatamente alla latitudine espansiva del potere esercitabile in subiecta materia).
La giurisprudenza ha ripetutamente affermato (Cons. Stato, Sez. V, 31 maggio 2012, n. 3254 e 22 giugno 2009, n. 4206; Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361 e 5 luglio 2010, n. 4246; Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2851) che, alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero.
La natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità ), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico e rispettoso della ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa, “ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928; Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; Sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933).
Ciò, del resto, è del tutto coerente con la funzione stessa della valutazione di impatto ambientale che (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36), “è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo della personalità umana (Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 27 luglio 1985 n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati)”.
A tali fini, l’ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona, sottolineandosi che la Corte Costituzionale (sentenza 7 novembre 2007, n. 367), ha affermato che “lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, è di per sé un valore costituzionale”, da intendersi come valore “primario” (Corte Cost., sentenze nn. 151/1986; 182/2006), ed “assoluto” (sentenza n. 641/1987).
E’ stato anche sottolineato che proprio per le finalità cui è preordinata la valutazione di impatto ambientale, la disciplina relativa ha prefigurato un modello di istruttoria aperto ai contributi partecipativi dei soggetti portatori di interessi pubblici e privati coinvolti nell’opera, con la conseguenza che l’impegno motivazionale dell’autorità deliberante è tanto più pregnante, quanto più l’istruttoria abbia fatto emergere, mediante apporti partecipativi di soggetti, pubblici e privati, anche esponenziali di interessi collettivi, ricadute potenzialmente negative sul contesto ambientale ed insediativo interessato dall’iniziativa (Cons. Stato, Sez. V, 18 aprile 2012, n. 2234); fermo restando che l’Amministrazione, nel rendere il giudizio di valutazione ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa (Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1783).
Sono state inoltre delineate le differenze tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, evidenziandosi che:
– mentre la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all’utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione-zero, investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell’opera da realizzare),
– la seconda – introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all’azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e incide quindi sugli aspetti gestionali dell’impianto (Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2012, n. 5292).
La VIA implica dunque “una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero; in particolare, la natura schiettamente discrezionale della decisione finale e della preliminare verifica di assoggettabilità, sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende fisiologico che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste” (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928 e 2 ottobre 2014, n. 4928).
3. Le illustrate coordinate interpretative della ratio e della funzionalizzazione dell’istituto, consentono di escludere la fondatezza delle doglianze articolate con il mezzo di tutela all’esame.
3.1 Quanto alle censure relative alla richiesta dell’analisi costi-benefici (e, quindi, all’integrazione dello Studio di Impatto Ambientale – SIA con la specifica indicazione dell’impatto socio-economico del progettato intervento), va esclusa l’affermata “inefficacia” del D.P.C.M. 27 dicembre 1988 (abrogato, poi, dall’art. 26, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 104), atteso che l’art. 34, comma 1, del D.Lgs. 152/2006, come inserito dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (anteriormente, quindi, all’adozione dell’ordinanza di richiesta di integrazioni in data 28 marzo 2011), espressamente stabiliva che “resta ferma altresì, nelle more dell’emanazione delle norme tecniche di cui al presente comma, l’applicazione di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988”.
Se, conseguentemente, la richiesta di predisposizione di uno studio di fattibilità socio-economica si dimostra corrispondente al quadro normativo ratione temporis vigente, va, d’altro canto, sottolineato come il richiamato D.Lgs. n. 152 del 2006 preveda che:
– “la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica” (art. 178);
– ferma l’individuazione, per la gestione dei rifiuti, di una gerarchia di principi, integrati dalla prevenzione, dalla preparazione per il riutilizzo, dal riciclaggio, dal recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia e dallo smaltimento (comma 1), “nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica” (comma 2).
E va, ulteriormente, posto in evidenza come il comma 2 dell’art. 11 della legge regionale del Friuli Venezia Giulia, 7 settembre 1990, n. 43 prevedesse, che, fra gli altri elementi, lo studio di impatto ambientale dovesse recare, anche “la prospettazione del rapporto tra costi preventivati e benefici stimati” (lett. h).
Ne consegue la piena legittimità della richiesta di valutazione dell’incidenza socio-economica, da parte della procedente Amministrazione regionale, vieppiù ove si consideri che l’ampliamento della discarica, oggetto di domanda autorizzatoria da parte dell’odierna appellante, evidenziava la presenza di un duplice ordine di profili derogatori rispetto alla vigente disciplina in materia di tutela ambientale, rappresentati dalla distanza minima dalle coltivazioni pregiate (vigneti) e dalla distanza dai centri abitati (la località sede del Comune di (omissis), posta a metri 835; l’abitato di Clauiano, posto a metri 855 dal bordo della zona di deposizione dei rifiuti).
Ciò posto, la carenza della documentazione sul punto offerta dalla proponente non ha consentito, in sede di valutazione di impatto, la necessaria comparazione fra i benefici socio-economici auspicati per effetto del richiesto ampliamento della discarica e le conseguenze (eventualmente) negative riconducibili all’introduzione di esso nel contesto ambientale sede di realizzazione del progetto: per l’effetto, dovendosi escludere che l’appellata sentenza (così come la determinazione regionale avversata in prime cure dall’odierna appellante) si prestino a fondata censura.
3.2 Quanto alla esaminabilità, già in sede di VIA, dei profili di compatibilità urbanistica del progettato intervento (confutata dalla parte appellante, in ragione dell’affermata sussumibilità di siffatta valutazione nella fase propriamente autorizzativa dell’impianto), si osserva che il Regolamento di cui al D.P.G.R. n. 245 del 1996 includeva tra le finalità dell’istruttoria anche quella di “verificare la conformità del progetto agli strumenti urbanistici ed agli eventuali piani generali o di settore e ai vincoli esistenti”.
La carente considerazione, nell’ambito del SIA predisposto dall’appellante, dei profili di non compatibilità urbanistica del progettato intervento realizzativo – con riveniente esigenza di promuovere l’approvazione di una specifica variante al vigente P.R.G. del Comune interessato – integra, dunque, la presenza di ulteriore profilo di incompletezza dello studio anzidetto, ben suscettibile di refluire sulla valutazione negativamente ad esso riservata dalla procedente Amministrazione regionale.
3.3 Quanto alla scelta del sito individuato dalla proponente, non si dimostrano accoglibili le osservazioni formulate con il presente appello, atteso che la mancata ostensione, nello studio predisposto da EX., delle motivazioni a fondamento dei criteri di valutazione (nonché dei punteggi dalla stessa attribuiti a questi ultimi) non ha consentito alla procedente Amministrazione di apprezzare le conclusioni sul punto raggiunte dalla proponente (e, con esse, l’effettiva prevalenza sulle ipotizzate ubicazioni alternative, nonché sull’opzione-zero); non potendosi, come condivisibilmente osservato nell’appellata pronunzia, ritenere che siffatto onere dimostrativo potesse dirsi congruamente assolto mediante rinvio (di cui al paragrafo § 2.2 del SIA) ad uno studio eseguito da EX. nel 2006.
3.4 Escluso, poi, che facesse carico alla procedente Amministrazione offrire (come sostenuto nell’appello) elementi dimostrativi in ordina alla “nocività della discarica per le colture vitivinicole” (tale onere incombendo, invece, sulla proponente, soprattutto a fronte della connotazione derogatoria, in tema di distanza dalle anzidette colture, caratterizzante il progettato intervento), va ulteriormente rilevato, quanto al Piano terre e rocce da scavo, che:
– le integrazioni richieste – come correttamente osservato dal Tribunale – non sono state adeguatamente offerte dalla proponente stessa; in proposito, evidenziandosi come l’asporto dei materiali di scavo dal sito, indipendentemente dalla loro qualificazione, riverberi importanti conseguenze su questioni (traffico locale, percorsi seguiti, eventuali polveri sollevate) aventi significativa rilevanza ai fini della valutazione di impatto ambientale, segnatamente ove riguardanti sito posto all’interno di un contesto nel quale, come appunto nella fattispecie all’esame insistono colture pregiate ed abitazioni;
– la mancata indicazione della durata delle operazioni di asporto e delle destinazioni, almeno ipotetiche, dei materiali, non poteva consentire un adeguato apprezzamento del relativo impatto;
– la lamentata assenza di dati caratteristici attendibili, sul punto sostenuta da EX., non soltanto incontra labili profili di sovrapponibilità rispetto alla precedente esperienza di EX. sul medesimo sito; ma, ulteriormente, ben avrebbe potuto essere superata con l’effettuazione di sondaggi del terreno.
Quanto sopra, assume ancor più pregnante rilievo, ove si consideri che la specifica e dettagliata individuazione del programma di smaltimento delle rocce da scavo nell’ambito dello stesso progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, è direttamente presidiata dall’art. 186, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale stabilisce che “ove la produzione di terre e rocce da scavo avvenga nell’ambito della realizzazione di opere o attività sottoposte a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione ambientale integrata, la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi dell’eventuale deposito in attesa di utilizzo… devono risultare da un apposito progetto che è approvato dall’autorità titolare del relativo procedimento”.
Fra i requisiti, come sopra richiamati dal comma 2 dell’articolo in rassegna, il comma 1, da esso citato, annovera l’assenza, a seguito dell’impiego delle terre e rocce da scavo, di “rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate”, prescrivendone, altresì, l’impiego “nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette”.
Da ciò, l’esigenza di un articolato dettaglio, nella progettazione sottoposta a VIA, del relativo procedimento: con riveniente inidoneità della stessa ove, come nella fattispecie in esame, siano presenti vistose lacune, insuscettibili di condurre ad una esaustiva disamina delle soluzioni prospettate.
3.5 Omogenee considerazioni, rispetto a quelle esposte a proposito dello smaltimento delle rocce da scavo, ben possono essere individuate quanto all’ulteriore profilo carenziale del progetto, relativo all’impatto sulle acque superficiali (segnatamente, per quanto concerne l’omessa indicazione della caratterizzazione dei percolati, conseguibile attraverso opportuni accertamenti preordinati ad acquisire cognizione della relativa tipologia, in difetto della quale non appare agevolmente comprensibile quale possa essere la configurazione del trattamento in situ degli stessi).
Si dimostra, sul punto, incondivisibile la prospettazione di parte appellante, per cui la SIA sarebbe preordinata ad una mera verifica delle idoneità tecnica, e non anche della efficacia della soluzione prospettata (differibile, secondo quanto da EX. sostenuto, alla successiva fase di esercizio dell’impianto).
La valutazione di impatto ambientale, come definita dal comma 1, lett. c) dell’art. 5 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (nel testo ratione temporis vigente, sostituto poi dall’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 104) riguarda “l’alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimicofisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti”.
Non può, quindi, ritenersi estranea a siffatta valutazione la considerazione degli effetti derivanti dalla realizzazione (rectius: ampliamento) di una discarica (segnatamente: impatto dello scarico dei percolati depurati sulle acque di un finitimo corso d’acqua, nella fattispecie il Ri. Sl., elettivamente individuato quale sede di recapito delle stesse).
Se, conseguentemente, le richieste di approfondimento, sul punto espresse dalla procedente Amministrazione regionale, si rivelano coerenti con le finalità della VIA, deve ritenersi che una esaustiva risposta da parte della proponente non potesse non diffondersi sulla concreta praticabilità del trattamento dei percolati, nonché sulla sostenibilità del carico inquinante residuo (quantunque entro i limiti di legge) a fronte della capacità autodepurativa del Ri. Sl. (ovvero, della “capacità rigenerativa degli ecosistemi”, di cui al comma 3 dell’art. 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006).
3.6 Con riferimento, poi, ai dati dalla proponente forniti in materia di impatto sul traffico e la viabilità, la procedente Amministrazione regionale ha ritenuto insufficienti i dati forniti da EX., secondo la quale “i flussi di traffico, sovrapponendosi e sostituendo quelli dell’esistente impianto, non subirebbero mutamenti rilevanti”.
La valutazione di sostanziale invarianza indotta dall’ampliamento dell’impianto sui flussi veicolistici interessanti l’area – stigmatizzata dalla Regione, con giudizio, poi, confermato nell’appellata sentenza – dimostra significative carenze, ove si abbia riguardo alla mancata considerazione dei fattori rappresentati dalla intensità di flusso, dai percorsi e dalla distribuzione oraria; la cui significatività, nel quadro dell’indagine preordinata al rilascio della VIA, appieno rileva, ove si tengano presenti:
– non soltanto le problematiche relative alla gestione (ed al trasposto) dei materiali di scavo risultanti dalla fase di costruzione,
– ma anche il necessario “aggiornamento” dell’incidenza del traffico veicolare, con riferimento ad un’area, nella quale la precedente discarica (oggetto di ampliamento, alla luce del progetto presentato da EX.) era da tempo inattiva (con riveniente esigenza di rinnovata valutazione dei flussi di traffico, anche in relazione ad eventuali modificazioni intervenute nella rete viabilistica perimetrale).
3.7 Né l’appellata sentenza si presta a mende, quanto alla valutata carenza di indicazioni, da parte di EX., in ordine all’impatto assunto dall’intervento da quest’ultima progettato sul parametro aria.
I dati richiesti dall’Amministrazione procedente – riguardanti l’inquinamento dell’aria durante la fase di cantiere, prodotto dalla emissione di polveri e di altro materiale diffuso nell’atmosfera – non sono stati forniti.
La rilevabile ragionevolezza di una richiesta, volta a distinguere le emissioni pertinenti alla fase realizzativa (di cantiere), rispetto alla fase più propriamente gestionale della discarica, esclude la congruità di dati forniti (come nella fattispecie) unicamente con riferimento alla fase di esercizio.
L’onere dimostrativo sul punto incombente sulla proponente vieppiù rileva, ove si consideri, in presenza di una discordanza con i risultati di ARPA, la necessaria interlocuzione endoprocedimentale (che, secondo quanto emergente dagli atti di causa, l’organismo da ultimo citato non ha ricusato), segnatamente con riferimento al superamento del limite di impatto odorigeno rilevato dalla stessa Agenzia regionale in relazione ai parametri elaborati dalla Regione Lombardia (la cui scientifica attendibilità non viene, nel merito, confutata da EX.).
4. Esclusa, alla luce della condotta disamina, la concludenza dei profili di censura con i quali l’appellante ha contestato, con riferimento ai singoli punti di interesse, la gravata sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia (nella parte in cui quest’ultima, previa analitica disamina dei motivi di ricorso in primo grado proposti, ha ritenuto insussistenti le mende appuntate avverso la determinazione regionale di diniego di VIA), residuano all’esame del Collegio due ultimi punti, rappresentati:
– dall’affermata presenza di elementi di sviamento e/o di disparità di trattamento, integrati dal pregresso rilascio, da parte della stessa Amministrazione regionale, di VIA per progetti che rivelerebbero, rispetto a quello presentato da EX., significativi profili di sovrapponibilità ;
– dall’omissione del preavviso di rigetto, con riveniente (affermata) violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990.
4.1 Quanto al primo dei motivi da ultimo indicati, EX. assume a fondamento dell’articolata censura il rilascio di VIA in favore degli impianti di discarica realizzati da Friul Julia e da Geonova.
Osserva in proposito il Collegio, in primo luogo, come parte appellante abbia omesso di evidenziare la presenza di omogenee condizioni ambientali, relative alla localizzazione degli impianti di che trattasi, il cui (solo) positivo riscontro avrebbe potuto consentire di apprezzare la denunciata (ma indimostrata) difformità di metro valutativo da parte dell’Amministrazione regionale: non venendo, per l’effetto, in considerazione un essenziale elemento valutativo della denunziata tipologia inficiante, integrato dalla assoluta identità delle situazioni messe a confronto.
Ulteriormente, va sottolineato come anche la presenza di elementi di assimilabilità – si ribadisce, non riscontrabili, attesa la diversa localizzazione (e, conseguentemente, le non omogenee problematiche di compatibilità ambientale) – fra le discariche indicate da EX., comunque si dimostra inidonea ad asseverare l’assunto di parte appellante, circa la presenza di un contegno ingiustificatamente difforme, in quanto l’eventuale illegittimità di determinazioni assunte nei confronti di altri soggetti non qualifica, in termini di meritevolezza, la posizione di chi pretenda omogeneo trattamento.
4.2 Da ultimo, non si dimostra ravvisabile la violazione del parametro partecipativo, di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, atteso che la specialità del procedimento preordinato alla valutazione di impatto ambientale, nell’ambito del quale sono assicurate continue e diffuse prerogative di interlocuzione endoprocedimentale (nel caso di specie, positivamente attuate), esclude l’operatività della richiamata disposizione.
Nell’escludere, per l’effetto, che si sia consumato, in danno di EX., alcun vulnus partecipativo, anche tale censura deve essere disattesa.
5. L’infondatezza dei motivi di appello, come sopra esaminati, impone la reiezione di tale mezzo di tutela, con riveniente conferma della sentenza di primo grado.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante EX. S.p.A., in persona del legale rappresentante, al pagamento, in favore della Regione Friuli Venezia Giulia e del Comune di (omissis), delle spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura di Euro 2.000,00 (euro duemila /00) per ciascuna delle anzidette parti, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 30 marzo 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *