La sentenza penale definitiva di non doversi procedere

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 9 marzo 2020, n. 1689.

La massima estrapolata:

La sentenza penale definitiva di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non osta all’avvio del procedimento disciplinare, né osta all’applicazione di una sanzione disciplinare, poiché tale preclusione sussiste nella sola ipotesi di identità materiale tra fatto penale e fatto disciplinare sanzionato, quando la sentenza di proscioglimento sia emessa perché il fatto non sussiste ovvero l’imputato non lo ha commesso.

Sentenza 9 marzo 2020, n. 1689

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10507 del 2014, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Fi. Ta., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza – Comando Interregionale dell’Italia Meridionale, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. della Campania, Sede di -OMISSIS-, Sezione Sesta, n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato An. Fi. Ta. e l’avvocato dello Stato Da. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Comandante del Comando Interregionale dell’Italia Meridionale della Guardia di Finanza, con provvedimento del 4 ottobre 2011, ha determinato, nei confronti dell’odierno appellante, M.O. in congedo assoluto, la perdita del grado per rimozione e lo ha posto a disposizione del Centro Documentale competente, come semplice soldato, a decorrere dall’11 novembre 1999, intendendosi così modificata la causa di cessazione dal servizio.
Il T.a.r. della Campania, con l’impugnata sentenza, ha respinto il ricorso proposto dal militare avverso il detto provvedimento disciplinare di perdita del grado per rimozione.
Di talché, l’interessato ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi di impugnativa:
Erroneità dell’impugnata sentenza, illogicità e carenza di motivazione. Illegittimità per violazione dell’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010.
La sanzione disciplinare costituirebbe un tipico atto recettizio, per il quale rileverebbe il momento della notifica all’interessato, nel caso di specie in data 26 ottobre 2011, e non, come sostenuto dalla sentenza di primo grado, quello della sua adozione, per cui risulterebbe violato l’art. 1392, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2010 in riferimento al decorso di un tempo superiore ai 90 giorni dalla data di riunione della Commissione di disciplina, avvenuta il 25 luglio 2011, nonché il terzo comma dello stesso articolo, in relazione al decorso del termine di 270 giorni per la conclusione del procedimento.
Erroneità dell’impugnata sentenza, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta, carenza di motivazione. Violazione dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990. Disparità di trattamento. Violazione dell’art. 3 Cost.; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio di proporzionalità, di giustizia sostanziale, di ragionevolezza; violazione del principio di gradualità delle sanzioni.
La sentenza di primo grado non avrebbe tenuto in considerazione l’effettiva rilevanza della condotta, peraltro non ascrivibile alla volontà dell’appellante, in quanto non era suo compito quello di riscontrare la veridicità delle targhe dei mezzi dei quali aveva assistito alla pesatura e che erano poi riportate sulle bollette che lo stesso doveva controllare, sicché non si sarebbe proceduto sulla base di un’autonoma valutazione dei fatti, bensì solo sulla base di una vicenda penale conclusasi con la prescrizione del reato nel giudizio di appello. In altri termini, non vi sarebbe prova del fatto reato contestato all’appellante, né tale prova sarebbe stata raggiunta in sede disciplinare o in sede penale.
Il Tar avrebbe violato anche il principio della gradualità delle sanzioni laddove non si sarebbe considerata l’effettiva entità (due soli episodi in contestazione su migliaia di “pesature” controllate) della vicenda ascritta al Sottufficiale ed i suoi precedenti di servizio.
A fronte di condotte sostanzialmente identiche, l’Amministrazione non avrebbe irrogato alcuna sanzione disciplinare verso due militari, mentre avrebbe inflitto la più grave delle sanzioni all’appellante.
La massima sanzione di stato irrogata all’appellante sarebbe sproporzionata, irragionevole, ingiusta, illogica nonché carente di motivazione, in quanto il comportamento addebitato all’appellante non sarebbe di una gravità tale da far venire meno, in modo insanabile, il rapporto di fiducia tra l’Amministrazione e il dipendente militare.
Erroneità dell’impugnata sentenza, difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta, carenza di motivazione. Violazione dell’art. 3 Cost.: disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.
Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 carenza di motivazione e di istruttoria.
Violazione del principio di proporzionalità, di giustizia sostanziale, di ragionevolezza, violazione del principio di gradualità delle sanzioni.
La sentenza appellata non avrebbe considerato la sproporzionalità della sanzione irrogata all’appellante rispetto al trattamento riservato agli altri due colleghi per i quali non è stato adottato alcun provvedimento disciplinare, nonostante il fatto penalmente contestato e l’azione fosse stata la medesima.
Erroneità della sentenza. Illegittimità per violazione dell’art. 97, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957.
La sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS-, del 25 settembre 2009, è stata emessa prima del 9 ottobre 2010, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 66 del 2010.
In virtù del favor rei, la procedura disciplinare conseguente alla detta sentenza avrebbe dovuto soggiacere alla precedente disciplina di cui alla legge n. 3 del 1957 e non alle nuove disposizioni del codice dell’ordinamento militare, con la conseguenza che, dovendo applicarsi l’art. 97, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957, il termine perentorio previsto per la contestazione disciplinare sarebbe di 180 giorni decorrenti dalla irrevocabilità della sentenza e non dalla sua conoscenza.
La contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre il centottantesimo giorno successivo alla data di irrevocabilità della sentenza, con conseguente estinzione della procedura.
Le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio per resistere al gravame.
L’appellante ha depositato altra memoria a sostegno delle proprie ragioni.
All’udienza pubblica del 6 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’Amministrazione, ricostruiti analiticamente gli elementi fattuali della vicenda, ha irrogato la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione in ragione del seguente iter logico-giuridico:
“- procedendo ad un’autonoma e doverosa valutazione disciplinare dei fatti ascritti ed accertati nell’ambito del presente procedimento amministrativo, l’inquisito – con le proprie condotte, indubbiamente gravi per il negativo riverbero sull’immagine e il prestigio del Corpo – ha:
* dimostrato la propria propensione a piegare, a vantaggio privato, il pubblico interesse, pregiudicando fortemente l’imparzialità e la correttezza del Corpo della Guardia di Finanza, chiamato ad operare, in seno alle commissioni di controllo istituite presso i centri A.I.M.A., per tutelare il corretto svolgimento delle operazioni di conferimento dei prodotti ortofrutticoli destinati al macero e la legittimità dell’attribuzione dei corrispondenti contributi comunitari;
* denotato indubbiamente rilevanti carenze di qualità morali e di carattere, tenuto conto che, al momento degli accadimenti, alla luce delle già rivestite qualifiche di p.g. e p.t. nonché di p.s., doveva essere, senza dubbio, in grado di percepire il carattere antigiuridico dei fatti commessi e ben consapevole che agevolare le attività truffaldine di un’associazione camorristica avrebbe costituito una gravissima violazione dei doveri derivanti dal giuramento prestato ed insiti nello status di militare della Guardia di Finanza;
* ingenerato dubbi sull’operato degli appartenenti al Corpo e recato sicuro nocumento al superiore interesse pubblico, non essendo, infatti, ammissibile che l’Amministrazione, avente precipue funzioni di polizia giudiziaria e tributaria, mantenga tra le proprie file un militare che – ancorché ora in congedo assoluto – al momento in cui era in servizio, ha posto in essere tali esecrabili condotte;
– la gravità dei comportamenti tenuti dall’inquisito ed innanzi delineati configura un’assoluta incompatibilità di status tale da imporre l’adozione di un provvedimento di natura espulsiva, non ravvisandosi la possibilità di esaminare positivamente alcun’attenuante nella valutazione del tipo di sanzione da applicare, data la palese e piena violazione del giuramento”.
Pertanto, l’Autorità militare, alla luce di quanto esposto, ha maturato “il convincimento che sia, quindi, doveroso assumere nei confronti dell’inquisito la sanzione della perdita del grado per rimozione, considerandola:
– equa e proporzionata alla gravità della condotta sopra stigmatizzata e posta in essere dal militare;
– idonea a tutelare e a garantire l’imparzialità dell’Istituzione, nonché essenziale al fine di assicurare il legittimo esercizio del potere disciplinare dell’Amministrazione, che costituisce una delle forme più pregnanti per affermare concretamente il principio del buon andamento della medesima.
3. La parte appellante ha dedotto motivi di carattere procedimentale, relativi alla tardività del provvedimento conclusivo del procedimento e della contestazione degli addebiti e motivi di ordine sostanziale, relativi alla sproporzione e all’illogicità del provvedimento adottato nonché alla carenza di motivazione e di istruttoria ed alla disparità di trattamento.
3.1. Le censure di carattere procedimentale sono infondate.
3.1.1. Il procedimento deve ritenersi concluso con la tempestiva adozione del provvedimento in data 4 ottobre 2011 e non con la sua notificazione, successivamente intervenuta.
Il provvedimento di destituzione (così come il provvedimento di perdita del grado per rimozione), infatti, non è recettizio, in quanto la volontà del destinatario non rileva ai fini della produzione degli effetti tipici dell’atto, per cui il dies ad quem del procedimento deve individuarsi nel giorno della sua emanazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, IV, 1° ottobre 2019, n. 6562; Cons. Stato, IV, 28 marzo 2019, n. 2050; Cons. Stato, IV, 1 giugno 2018, n. 3318).
La neutralità della notifica ai fini del perfezionamento dell’atto non è incisa nemmeno dal disposto dell’art. 21 bis della L. n. 241 del 1990, introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, che ha disciplinato in modo espresso il regime dell’efficacia dei provvedimenti amministrativi, chiarendo quali devono essere comunicati ai destinatari affinché possano divenire operativi e produrre i loro effetti tipici, e ciò in quanto, per i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari, la comunicazione condiziona l’efficacia dell’atto, ma non il suo perfezionamento o la sua validità, purché esso sia completo in ogni sua parte.
3.1.2. L’art. 97, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957 dispone che il procedimento disciplinare deve avere inizio, con la contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento o entro 40 giorni dalla data in cui l’impiegato abbia notificato all’amministrazione la sentenza stessa.
L’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010 (codice dell’ordinamento militare) stabilisce che il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’impiegato, entro 90 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione.
Di talché, con l’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, il dies a quo per la contestazione degli addebiti non è più individuabile nella data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale da cui origina il procedimento disciplinare, ma è fissato alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza, vale a dire in cui ha avuto conoscenza non solo del dispositivo ma anche delle motivazioni della pronuncia, solo sulla cui base può valutare se avviare il procedimento e quali addebiti contestare.
L’applicazione del principio tempus regit actum determina, nel caso di specie, che il dies a quo per l’avvio del procedimento debba essere individuato nella conoscenza integrale della sentenza e cioè nella compiuta conoscenza delle motivazioni della stessa e non, come prospettato dalla parte, onde dedurne il tardivo esercizio del potere, nella pubblicazione della sentenza divenuta irrevocabile.
Il codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010) è entrato in vigore il 9 ottobre 2010, la sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS- del 25 settembre 2009 è stata portata a conoscenza della competente Autorità militare in data 1° febbraio 2011, ed il procedimento disciplinare di stato è stato avviato con comunicazione degli addebiti in data 7 aprile 2011.
L’art. 2187 del d.lgs. n. 66 del 2010 prevede che i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice e del regolamento rimangono disciplinati dalla precedente normativa.
Di conseguenza, poiché alla data di entrata del codice, il procedimento disciplinare non era stato avviato, lo stesso è attratto dalla nuova normativa.
Pertanto, alla data dell’avvio del procedimento (7 aprile 2011) era in vigore l’art. 1392 del d.lgs. n. 66 del 2010 che, come visto, ancora il termine per l’avvio del procedimento non più, come in precedenza, alla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (art. 97, comma 3, del d.P.R. n. 3 del 1957), ma alla integrale conoscenza della stessa da parte dell’Autorità .
Di qui, la tempestività dell’azione amministrativa, essendo stato rispettato il termine perentorio di 90 giorni previsto dalla norma di legge.
3.2. I motivi di carattere sostanziale, che possono ritenersi il “cuore” della presente controversia, sono parimenti infondati.
Il Tribunale di -OMISSIS-, con la sentenza n. 1689/03, depositata in data 14 giugno 2004, ha condannato l’odierno appellante alla pena di anni tre mesi due e giorni quindici di reclusione (pena base anni tre di reclusione in riferimento al reato di falso di cui al capo 470, aumentata ex art. 81 cpv c.p. di quindici giorni di reclusione per ciascuno dei cinque reati posti in continuazione).
La Corte di Appello di -OMISSIS-, con sentenza del 25 settembre 2009, ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale nei confronti dell’odierno appellante, in ordine ai reati di cui alla sentenza di condanna di primo grado, perché estinti per prescrizione.
La sentenza che dichiara l’improcedibilità dell’azione penale per prescrizione, come può evincersi dall’art. 653, comma 1, c.p.p., non ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso.
Di talché, non sussiste dubbio sul fatto che la sentenza penale definitiva di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione non osta all’avvio del procedimento disciplinare, né osta all’applicazione di una sanzione disciplinare, poiché tale preclusione sussiste nella sola ipotesi di identità materiale tra fatto penale e fatto disciplinare sanzionato, quando la sentenza di proscioglimento sia emessa perché il fatto non sussiste ovvero l’imputato non lo ha commesso.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la pubblica amministrazione può legittimamente promuovere un procedimento disciplinare contestando al pubblico dipendente la condotta fatta oggetto dell’imputazione nel processo penale conclusosi con sentenza irrevocabile di non luogo a procedere in ordine al reato ascritto, perché estinto per prescrizione, e applicare la sanzione disciplinare sulla base di autonomi elementi di valutazione tratti da tutti gli atti formati ed acquisiti nell’ambito del procedimento penale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4381).
Pertanto, gli accertamenti effettuati in sede di procedimento penale sfociato nel proscioglimento dell’imputato per prescrizione del reato possono senz’altro essere utilizzati in sede disciplinare, fermo restando che l’Amministrazione procedente è tenuta a procedere ad una autonoma valutazione degli stessi.
In altri termini, in tali casi, la sanzione disciplinare è legittimamente irrogata all’esito di una autonoma e necessaria rivalutazione, al fine di accertarne il rilievo disciplinare, dei fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale.
La sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS- del 25 settembre 2009, che ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale perché i reati si sono estinti per prescrizione, nella parte motiva, ha rappresentato che
“i rilievi difensivi a sostegno della richiesta di assoluzione nel merito dell’imputato non sono condivisibili alla luce dei plurimi elementi probatori, documentali e dichiarativi, evidenziati in maniera puntuale e precisa nella sentenza impugnata alla quale, per evitare inutili ripetizioni si rinvia.
Ed invero la sussistenza delle condotte criminose contestate e la penale responsabilità di… emergono in maniera univoca e certa dalle risultanze processuali esposte in maniera esauriente nella sentenza impugnata, e correttamente valutate dal giudice di prime cure con motivazione logica ed adeguata”.
3.2.1. Sulla base di tali chiare ed inequivocabili affermazioni rese dal giudice penale, emerge la totale correttezza con cui l’Amministrazione ha ricostruito i fatti, pervenendo ad evidenziare che l’inquisito, attraverso la propria attività, ha indotto in errore l’A.I.M.A., la quale indebitamente erogava i contributi comunitari all’associazione criminale – ideatrice del sistema truffaldino – composta anche da appartenenti al clan camorristico “dei casalesi”.
Nel provvedimento sanzionatorio è ancora dato atto che la responsabilità del militare in ordine ai fatti contestati emerge, in maniera oggettiva ed incontrovertibile:
– dalle dichiarazioni rese dai vari collaboratori di giustizia, che hanno riferito circostanziate notizie in merito al sistema truffaldino e corruttivo ideato dall’associazione criminale per percepire indebitamente i contributi comunitari;
– dagli accertamenti di polizia giudiziaria effettuati, che hanno permesso di appurare che i numeri di targa trascritti nelle bolle di conferimento non erano veritieri, in quanto non corrispondenti ai mezzi che effettivamente accedevano al centro di raccolta, bensì ad altri autoveicoli non idonei al trasporto;
– dai plurimi elementi probatori documentali e dichiarativi, evidenziati in maniera puntuale e precisa nella sentenza di condanna emessa dal Tribunale di -OMISSIS-.
L’Amministrazione, pertanto, ha posto a base della propria determinazione una serie di atti accertativi dell’accaduto e dai quali emerge la responsabilità dell’inquisito, senza che possa assumere alcun rilievo – considerato che la sussistenza delle condotte imputate all’appellante è stata ritenuta altresì dal giudice di appello, che ha rinviato alle valutazioni del giudice di prime cure – la circostanza dedotta dall’interessato, secondo cui non era suo compito quello di riscontrare la veridicità delle targhe dei mezzi dei quali aveva assistito alla pesatura e che erano poi riportate sulle bollette che lo stesso doveva controllare.
L’azione amministrativa, quindi, è stata posta in essere al fine di valutare il rilievo disciplinare di tali circostanze fattuali ed è stata preceduta da un’istruttoria che, inevitabilmente, ha riguardato gli elementi di fatto già oggetto del procedimento penale.
In altri termini, la considerazione che la sentenza emessa dalla Corte di Appello di -OMISSIS- in data 25 settembre 2009 abbia dichiarato improcedibile l’azione penale per prescrizione dei reati, non esclude, ma, anzi, nel caso di un pubblico dipendente, postula che le condotte oggetto di imputazione debbano essere valutate a fini disciplinari, sicché dalle stesse ben possono essere tratti argomenti rilevanti, ed anche dirimenti, circa la responsabilità disciplinare del dipendente.
Pertanto, non può ritenersi che, attraverso il riferimento, nella motivazione del provvedimento impugnato, anche alle sentenze penali, l’Autorità abbia fatto discendere automaticamente da queste l’applicazione della sanzione, ma tale riferimento può ritenersi compiuto per evidenziare come le condotte accertate in sede istruttoria ben possano reputarsi disciplinarmente rilevanti in quanto l’offensività delle stesse e la loro riconducibilità all’interessato non sono state escluse, ma sono state in certa misura evidenziate nel giudizio penale.
3.2.2. Il Collegio, inoltre, ritiene che la valutazione dell’Autorità procedente – secondo cui la gravità dei comportamenti tenuti dall’inquisito configura un’assoluta incompatibilità di status, tale da imporre l’adozione di un provvedimento di natura espulsiva – si presenta non manifestamente illogica, ma, anzi, è ragionevole, è ampiamente ed esaustivamente motivata ed è basata su fatti oggettivamente gravi, compiuti da un militare nello svolgimento delle proprie funzioni, di cui non è stato provato alcun travisamento.
L’assenza di irragionevolezza nell’applicazione della sanzione espulsiva, insomma, come condivisibilmente ritenuto dal giudice di primo grado, è individuabile nella gravità della condotta posta in essere, che è consistita nel consentire una truffa volta all’indebito conseguimento di erogazioni pubbliche, ordita anche da soggetti appartenenti ad una famigerata organizzazione criminale.
3.2.3. Il vizio di disparità di trattamento, infine, non sussiste sia perché le situazioni poste a raffronto non sono identiche, in quanto le condotte poste in essere dagli altri militari sono state caratterizzate da minore offensività, tanto che agli stessi era stata inflitta in primo grado una sanzione penale inferiore alla metà di quella inflitta all’appellante, sia e soprattutto perché la sanzione irrogata si presenta nel caso di specie non sproporzionata ed il diverso esito di altri procedimenti disciplinari non è neanche astrattamente idoneo a generare di per sé una violazione del principio di proporzionalità o comunque un vizio legittimità, ove detti vizi siano insussistenti in relazione alla gravità dei fatti accertati.
4. In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore delle Amministrazioni appellate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello in epigrafe (R.G. n. 10507 del 2014).
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore delle Amministrazioni appellate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato, giuridico o fattuale, idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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