La sdemanializzazione tacita

Consiglio di Stato, Sentenza|3 novembre 2021| n. 7365.

La sdemanializzazione tacita.

La cosiddetta “sdemanializzazione” tacita è ravvisabile solo in presenza di atti e/o fatti che mostrino inequivocabilmente la perdita di destinazione ad uso pubblico del bene, non potendosi desumere tale conseguenza dalla mera circostanza che il medesimo non sia più adibito, anche per lungo tempo, all’uso pubblico. Si ammette che possa verificarsi la sdemanializzazione per facta concludentia di un bene pubblico allorquando si sia in presenza di circostanze significative, non equivoche, che attestino la rinuncia dell’amministrazione al ripristino dell’uso pubblico del bene, potendosi così verificare la mutata destinazione dello stesso anche senza l’adozione di un provvedimento espresso. Il disuso prolungato di una strada vicinale da parte della collettività e l’inerzia della Pa nella cura della stessa e/o nell’intervento riguardo ad occupazioni o usi da parte di privati incompatibili con la destinazione pubblica, non bastano a comprovare inequivocamente la cessata destinazione del bene (anche solo potenziale) all’uso pubblico (cosiddetta “sdemanializzazíone tacita”).

Sentenza|3 novembre 2021| n. 7365. La sdemanializzazione tacita

Data udienza 27 maggio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Demanio pubblico – Occupazione abusiva – Esercizio del potere di autotutela possessoria – Art. 823 comma 2, cc – Presupposti applicativi – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7382 del 2020, proposto dalla società Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Gu. e Do. Si., domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo dei suindicati difensori in Roma, via (…);
contro
– l’Agenzia del demanio e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, nella cui sede domiciliano per legge in Roma, via dei (…);
– il Comune di Verona, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
e con l’intervento di
con l’intervento ad opponendum
del Comitato contro le antenne sulle (omissis), in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Eu. Le., domiciliato presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 18 marzo 2020 n. 268, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Agenzia del demanio e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e i documenti allegati;
Visto l’intervento ad opponendum spiegato dal Comitato contro le antenne sulle (omissis) e i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza della Sezione 14 dicembre 2020 n. 7183 con la quale è stata accolta la domanda cautelare proposta dalla parte appellante;
Esaminate le memorie difensive, anche di replica e le note depositate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 27 maggio 2021 (svolta nel rispetto del Protocollo d’intesa sottoscritto in data 15 settembre 2020 tra il Presidente del Consiglio di Stato e le rappresentanze delle Avvocature avvalendosi di collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello, rubricato al n. R.g. 7382/2020, la società Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C. ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 18 marzo 2020 n. 268, con la quale è stato respinto il ricorso introduttivo (R.g. n. 675/2018) nonché i due ricorsi recanti motivi aggiunti proposti dalla suddetta società ai fini dell’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti: a) (con il ricorso introduttivo) dell’ordinanza prot. n. 2018/3951/DR-VE del 16 marzo 2018, con la quale il direttore dell’Agenzia del demanio regionale Veneto ha disposto il rilascio del compendio demaniale denominato “II To. Ma.” sito in Verona alla via (omissis); b) (con il primo ricorso recante motivi aggiunti), del provvedimento prot. 2018/10310 del 3 luglio 2018, con il quale l’Agenzia del demanio, all’esito dell’indetta conferenza dei servizi, riattivava i termini dell’ordinanza di rilascio n. 3951/2018, concedendo 240 giorni di termine per liberare l’area di (omissis) da tutti gli impianti della predetta società ivi presenti; c) (con il secondo ricorso recante motivi aggiunti) del provvedimento prot. n. 2019/1290 del 23 gennaio 2019, con il quale l’Agenzia del demanio, facendo seguito all’ordinanza di sgombero emessa ai sensi dell’art. 823 c.c., ha convocato la predetta società per accertare l’avvenuto rilascio del bene, con avvertimento che “in caso di accertato mancato rilascio del sito libero e sgombero da cose e persone, si darà seguito all’esecuzione dello sgombero in via amministrativa con l’ausilio della Forza Pubblica a spese e carico di Codeste Ditte per ogni attività conseguente e connessa”.
2. – Dalla documentazione versata dalle parti qui in controversia nei due gradi di giudizio con riferimento al contenzioso in decisione nonché dalla lettura della sentenza qui fatta oggetto di gravame, si può ricostruire la vicenda contenziosa che ha condotto a questo giudizio in sede di appello come segue:
– la Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C. è una società concessionaria del servizio di radiodiffusione sonora a carattere locale su frequenze terrestri in tecnica analogica e trasmette attraverso un impianto posto su un traliccio sito all’esterno della II To. Ma. in Verona in rapporto di collaborazione-ospitalità con la società Te. S.p.a.;
– riferisce l’odierna società appellante che, dalla metà degli anni settanta del secolo appena trascorso l’Unione nazionale antigrandine (UNA), detentrice all’epoca del compendio della II To. Ma. in Verona (alla via (omissis) – località (omissis)), concedeva ad alcuni operatori radiotelevisivi, tra i quali la società Te. S.p.a., la possibilità di posizionare in tale sito gli apparati di trasmissione necessari alla diffusione dei programmi irradiati, collocandoli sia nell’edificio che nella adiacente area scoperta;
– successivamente, nel 2010, l’Agenzia del demanio contattava la società Te. S.p.a. chiedendo il pagamento di un indennizzo per il posizionamento abusivo di antenne nella proprietà demaniale;
– da tale richiesta Te. S.p.a., insieme ad altre emittenti televisive e radiofoniche i cui apparati erano ospitati nel medesimo sito, avviava una trattativa con l’Agenzia del demanio al fine di addivenire ad una soluzione bonaria e definitiva all’annosa questione, nondimeno contestando l’entità, a loro dire, sproporzionata, della pretesa economica avanzata dall’Agenzia;
– in epoca ancora più successiva, nel 2017, la Procura della Repubblica di Verona organizzava un tavolo di trattativa con le varie amministrazioni interessate alla soluzione del problema, nel corso del quale le società emittenti formulavano una proposta all’Agenzia del demanio, che la rifiutava, riferendo l’Agenzia di avere affidato ad un consulente esterno (dell’Università di Padova) la determinazione dell’indennizzo con i relativi criteri di calcolo di talché, acquisita la relazione commissionata all’Università di Padova, l’Agenzia del demanio formalizzava una richiesta transattiva recante l’importo, complessivamente, di Euro 991.121,41 da ripartirsi tra tutte le emittenti interessate e coinvolte nella procedura;
– riferisce ancora la società appellante che, nel corso degli incontri in Procura della Repubblica (ella richiama, in particolare, un incontro avvenuto il 19 settembre 2017), si era immaginato di seguire un percorso finalizzato alla rimozione di tutti gli apparati di trasmissione e delle relative infrastrutture, posizionati all’interno e sull’edificio demaniale, collocandoli sul traliccio esterno principale e su altri due più piccoli, al fine di recuperare, in tal modo, l’area monumentale divenuta protetta con DM del 1997;
– va in proposito precisato (come ha avuto modo di chiarire anche il giudice di prime cure) che l’area monumentale, sita nel Comune di Verona e alla quale si fa qui riferimento, è costituita dal bene demaniale denominato “seconda To. Ma.” che, a propria volta, è parte di un complesso di quattro (omissis) realizzate nella prima metà del diciannovesimo secolo, vincolato dal punto di vista storico ed artistico, in un contesto collinare, a sua volta vincolato dal punto di vista ambientale e paesaggistico. In particolare, il contesto collinare in cui è sito l’intero complesso delle quattro (omissis) è stato sottoposto a vincolo paesaggistico con decreto ministeriale in data 30 gennaio 1956 e, quindi, a vincolo storico e artistico con decreto ministeriale in data 18 agosto 1997. L’area in cui sorgono le (omissis) è quindi ora sottoposta alle disposizioni di tutela di cui alla parte seconda (Beni culturali) e alla parte terza (Beni paesaggistici) del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”;
– sul sito demaniale, per come sopra sinteticamente descritto, da molti anni insistono tre tralicci – di cui uno alto 70 metri e due alti 25 metri – e antenne radiotelevisive, utilizzati dalla società odierna appellante e da altre emittenti radiotelevisive per l’esercizio delle connesse attività ;
– tornando agli incontri tra i soggetti, pubblici e privati, interessati al sito, essi proseguirono anche dopo l’ordine di sequestro dell’area da parte della Procura, poi non convalidato, presso l’Agenzia del demanio fino a quando quest’ultima, in data 1 febbraio 2018, annunciava alla odierna società appellante la comunicazione di avvio del procedimento di rilascio del sito demaniale seguita, in data 21 febbraio 2018, da una nuova richiesta di indennizzo di pagamento per l’occupazione del sito (ora rideterminato secondo la relazione dell’Università degli Studi di Padova);
– nel corso del procedimento l’Agenzia indicava una possibile soluzione comunicando che, “A fronte dell’avvenuto pagamento dell’importo totale o della sottoscrizione dell’atto di dilazione, la scrivente potrà disporre la sospensione del provvedimento di rilascio già avviato, al fine di dare corso all’iter per l’eventuale regolarizzazione dell’utilizzo del sito che prevede l’acquisizione dei necessari nulla osta e pareri di altri Enti e Amministrazioni competenti a vario titolo”. Da qui, dopo il pagamento e al cospetto di una sospensione temporanea degli effetti dell’ordinanza di rilascio, si avviava un ulteriore procedimento teso a rendere possibile la permanenza delle infrastrutture nel sito con indizione di una conferenza di servizi;
– nel frattempo l’ordinanza di rilascio veniva impugnata dinanzi al TAR per il Veneto con ricorso nel quale si sottolineava il contraddittorio comportamento dell’Agenzia, irragionevolmente caratterizzato dall’interesse ad un introito economico più che alla tutela del sito, oltre alla inadeguatezza dello strumento di ingiunzione allo sgombero di impianti di trasmissione radiotelevisiva senza un piano di trasferimento concertato con le Autorità competenti (quali il MISE e l’AGCOM);
– nel corso del procedimento l’Agenzia, sulla scorta di pareri non favorevoli al progetto sottoposto alla conferenza di servizi, concludeva il procedimento in corso adottando, in data 3 luglio 2018, un provvedimento con il quale, revocando la sospensione dell’ordinanza di rilascio, disponeva la rimozione di tutte le apparecchiature utilizzate dalla odierna società appellante che, nei confronti di tale nuovo provvedimento, proponeva al TAR per il Veneto ricorso recante motivi aggiunti;
– al suindicato provvedimento ne seguiva uno ulteriore dell’Agenzia, in data 23 gennaio 2019, con il quale era stabilito che in data 6 marzo 2019 sarebbe stato eseguito il sopralluogo per verificare l’intervenuto rilascio del compendio immobiliare. Detto provvedimento veniva impugnato con un secondo ricorso recante motivi aggiunti.
3. – Il TAR per il Veneto respingeva, con la sentenza n. 268/2020, il ricorso proposto dalla società oggi appellante sulla scorta delle seguenti considerazioni:
a) la contestazione circa l’assenza dei presupposti di cui all’art. 823 c.c. riferita al primo dei tre provvedimenti impugnati è priva di consistenza, in quanto non coglie nel segno la prospettazione secondo la quale la seconda To. Ma. dovrebbe essere qualificata come bene appartenente al patrimonio disponibile dello Stato, giacché il bene e l’area sulla quale lo stesso insiste, fin dagli anni 1970, non sarebbero stati utilizzati per fini di servizio pubblico, ma solo a fini di sfruttamento economico, concedendone l’uso a soggetti diversi, dietro corresponsione di canoni, atteso che, per tabulas, la seconda To. Ma. appartiene al demanio dello Stato, ramo storico artistico e – per effetto del vincolo storico-artistico imposto con il decreto ministeriale 18 agosto 1997 – è sottoposta alle disposizioni di tutela dei beni culturali, di cui alla parte seconda del d.lgs. 42/2004, tenuto conto anche che, sotto altro versante, per effetto del vincolo paesaggistico imposto con il decreto ministeriale 30 gennaio 1956, l’intero complesso delle quattro (omissis), collocato in un contesto collinare di pregio, è sottoposto alle disposizioni di tutela dei beni paesaggistici di cui alla parte terza del predetto decreto legislativo;
b) posto che deve giuridicamente escludersi un effetto di c.d. “sdemanializzazione tacita” della seconda To., che sarebbe passata (tacitamente, per quanto sostiene la società interessata) dal demanio pubblico al patrimonio indisponibile dello Stato, per effetto dell’uso che del bene è stato fatto nel corso degli anni, non rilevando a tal fine né la mera tolleranza dell’occupazione da parte dell’ente proprietario né la richiesta di pagamento delle indennità per l’occupazione sine titulo del bene, va parimenti escluso che il comportamento posto in essere dall’Agenzia del demanio per accertare la possibilità di sanare le infrastrutture esistenti sul bene demaniale costituisca espressione della volontà dell’amministrazione di rinunciare in via definitiva alla destinazione ad uso pubblico del compendio delle (omissis) e di sfruttare il bene a fini esclusivamente economici, tenuto anche conto della decisiva circostanza che l’Agenzia non ha mai autorizzato l’occupazione del bene da parte della società e delle altre emittenti, con un valido titolo formale. Dal che consegue che l’amministrazione poteva senz’altro avvalersi degli strumenti di autotutela esecutiva di cui all’art. 823 c.c. per rientrare nel possesso del bene demaniale;
c) nessuna contraddittorietà può rilevarsi nel comportamento tenuto dall’Agenzia del demanio in ragione di un asserito legittimo affidamento ingenerato in capo alla società ed alle altre emittenti circa la possibilità di continuare ad occupare e utilizzare il bene, sanando e conservando le infrastrutture per la radiotrasmissione presenti sul sito, sia perché dalla documentazione versata in atti non risulta l’assunzione di un formale, definitivo e vincolante, impegno da parte dell’Agenzia volto a consentire alla società e alle altre emittenti la regolarizzazione dell’occupazione del sito e la prosecuzione delle attività di radiotrasmissione ivi svolte sia perché il comportamento assunto dall’Agenzia nei confronti delle società interessate si è limitato ad accertare la sussistenza o meno delle condizioni di fatto e di diritto esistenti, al fine di ricercare la soluzione più idonea a tutelare gli interessi pubblici primari coinvolti bilanciandoli con gli interessi privati delle emittenti occupanti il bene in questione. Nel caso in esame l’oggettiva impossibilità di regolarizzare le infrastrutture necessarie per le attività di radiotrasmissione, accertata e dichiarata dalle competenti amministrazioni, sia sotto il profilo urbanistico ed edilizio sia sotto il profilo ambientale e paesaggistico, ha reso obiettivamente impossibile far luogo al preteso bilanciamento dell’interesse pubblico con l’interesse privato all’uso del bene demaniale per l’esercizio delle attività collegate alla radiodiffusione;
d) né può ritenersi violata la previsione dell’art. 87 d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, sul presupposto che l’amministrazione avrebbe illegittimamente dato avvio alla conferenza di servizi, ex art. 14 l. 7 agosto 1990, n. 241, anziché attenersi alla procedura semplificata prevista dalla normativa speciale di settore per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione e all’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, sia perché la disciplina di cui sopra si riferisce al procedimento per il rilascio delle autorizzazioni relative agli impianti ivi previsti ancora da eseguire, mentre lo stesso meccanismo non può essere utilizzato (come si pretenderebbe nel caso di specie) per ottenere la sanatoria di un’opera già realizzata, sia perché l’autorizzazione rilasciata ai sensi del citato art. 87 sostituisce il solo titolo edilizio, ma non ricomprende le valutazioni rimesse all’autorità paesaggistica che, nel caso di specie, ha espresso avviso negativo alla sanatoria nel corso della citata conferenza di servizi (come, del resto, le altre amministrazioni coinvolte);
e) quanto all’impugnazione dell’ultimo provvedimento, la cui legittimità è stata contestata con il secondo ricorso recante motivi aggiunti, nessun comportamento illegittimo può essere riferito all’amministrazione che, con detto atto, ha solo inteso verificare lo stato dei luoghi e le condizioni giuridiche dei beni in seguito all’esecuzione dell’ordine di ripristino, anche per accertare che il ripristino fosse effettivamente avvenuto, manifestandosi irrilevante, essendo quelli sopra richiamati gli scopi dell’atto impugnato, che quest’ultimo non sia stato comunicato ai proprietari, dovendosi ritenere sufficiente la convocazione delle (sole) emittenti destinatarie dei provvedimenti di rilascio.
4. – La sentenza del TAR per il Veneto n. 268/2020 viene ora fatta oggetto di ricorso in appello da parte della società Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C., nei confronti della quale (quest’ultima) muove le seguenti contestazioni:
1) contestazione circa la (disposta) inutilizzabilità delle ultime produzioni documentali oltre il termine orario. Il giudice di primo grado ha disposto che non potessero essere utilizzabili alcuni documenti (indicati con i numeri da 22 a 25) in quanto tardivamente prodotti in data 28 novembre 2019 perché depositati oltre le ore 12 e quindi fuori termine per orario. Tale decisione è legata ad un orientamento non unanimemente condiviso e quindi da ritenersi superato dalla giurisprudenza più recente, incline ad affermare che la possibilità di depositare atti e documenti con modalità telematica è assicurata fino alle 24 dell’ultimo giorno consentito secondo i termini perentori e cioè quindi fino allo spirare dell’ultimo giorno, di tal che il deposito si considera perfezionato e tempestivo con riguardo al giorno, senza rilevanza preclusiva con riguardo all’ora di effettivo deposito;
2) illegittimità dell’ordinanza emessa dall’Agenzia del demanio ex art. 823 c.c. in ragione dei motivi di impugnazione a vario titolo sollevati. Insufficiente e inesatta motivazione della sentenza, erronea determinazione dei presupposti, omessa valutazione della documentazione probatoria con conseguente illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti. Ciò in quanto, ad avviso della società appellante, nel corso del giudizio di primo grado era stata offerta ampia e completa dimostrazione di come l’amministrazione avesse sostanzialmente inteso proseguire nella destinazione ad uso non pubblico del bene, mantenendo nel sito, dopo il periodo di occupazione da parte dell’Unione nazionale antigrandine, le infrastrutture atte a consentire l’attività di diffusione radioelettrica, tenuto anche conto che la proprietà demaniale non risulta che abbia mai avuto una utilizzazione pubblica (e ciò certamente, quanto meno, da oltre cinquantasei anni);
3) illegittimità dell’ordinanza ex art. 823 c.c. nella comparazione degli interessi di carattere pubblico e carenza di motivazione nella sentenza. Si denuncia, in sostanza, che, nella contrapposta valutazione degli interessi pubblici, non sarebbe ammissibile lo strumento dell’autotutela adottato dall’Agenzia del demanio con il provvedimento impugnato e che, in assenza di siti alternativi immediatamente fruibili, se ne dovrebbe comunque individuare uno, dove potere realizzare le infrastrutture e trasferire gli impianti con una tempistica tale da garantire continuità all’emittente nell’irradiazione dei propri programmi;
4) illegittimità del provvedimento prot. n. 2018/10310 del 3 luglio 2018, emesso dall’Agenzia del demanio all’esito dell’indetta conferenza di servizi, di riattivazione dei termini dell’ordinanza di rilascio emessa ex art. 823 c.c.. Insufficiente e inesatta motivazione della sentenza, erronea determinazione dei presupposti di fatto e normativi, omessa, insufficiente valutazione della documentazione probatoria, illogicità e irragionevolezza. Il giudice di primo grado ha ritenuto che l’Agenzia del demanio avesse legittimamente esercitato la facoltà riconosciutale dall’art. 14 l. 241/90 di indire una conferenza di servizi per l’analisi condivisa delle problematiche relative all’occupazione della Seconda To. e dell’area circostante per l’esercizio di attività di radiotrasmissione attuata per mezzo delle peculiari infrastrutture ivi collocate, al fine di acquisire l’avviso degli enti competenti in merito alla possibilità di sanatoria edilizia delle infrastrutture esistenti. Tuttavia il percorso corretto per procedere alla sanatoria delle strutture esistenti sarebbe stato quello relativo all’attivazione della procedura di cui all’art. 87 d.lgs. 259/2003 che comunque prevede l’indizione della conferenza dei servizi laddove ne ricorrano i presupposti, giammai, al di fuori del descritto procedimento speciale, l’Agenzia avrebbe avuto necessità di acquisire i pareri di altre amministrazioni, in quanto gestore di un sito appartenente allo Stato, oltre alla evidente circostanza in virtù della quale l’attivazione di un procedimento avente principalmente natura edilizia, oltre che radioelettrica, non poteva che essere di esclusiva competenza di un ente locale e, nella specie, del Comune di Verona (come peraltro quest’ultimo ente suggerisce all’Agenzia, secondo la prospettazione della società appellante, con nota del 13 giugno 2018).
Da qui la richiesta di riforma della sentenza oggetto di appello, con accoglimento dei ricorsi (introduttivo e recanti motivi aggiunti) respinti in primo grado.
5. – Si sono costituiti in giudizio l’Agenzia del demanio e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. E’ quindi intervenuto, ad opponendum, il Comitato contro le antenne sulle (omissis).
Le amministrazioni appellate hanno contestato analiticamente le avverse prospettazioni, sostenendo la legittimità degli atti impugnati in primo grado e la correttezza delle osservazioni espresse dal TAR per il Veneto nella sentenza qui fatta oggetto di appello, di talché chiedevano la reiezione del gravame proposto.
Il Comitato ribadiva, in particolare, la sussistenza dei presupposti per l’intervento ad opponendum nel presente processo.
Con ordinanza 14 dicembre 2020 n. 7183, la Sezione ha accolto la domanda cautelare sul presupposto della sussistenza del requisito del periculum in mora, rendendosi necessario mantenere la res adhuc integra fino all’esito, nel merito, del giudizio di appello.
Tutte le parti in giudizio hanno prodotto memorie conclusive e di replica nonché note d’udienza, confermando le conclusioni già rassegnate nei precedenti atti processuali.
6. – Occorre premettere, allo scrutinio dei motivi di appello proposti dalla società appellante e sopra sinteticamente elencati, che ad avviso del Collegio la controversia va esaminata con rigoroso riferimento agli atti ed ai documenti che hanno caratterizzato la vicenda oggetto di contenzioso e che sono confluiti nel fascicolo digitale del processo, senza che possano validamente costituire elemento di scrutinio da parte del giudice situazioni puramente fattuali che non hanno alcuna rispondenza giuridica in istituti riconosciuti dall’ordinamento.
Sulla scorta, pertanto, della documentazione prodotta dalle parti in giudizio, nel corso dei due gradi nei quali si è sviluppato il presente processo, è possibile esaminare la controversia sia nelle questioni preliminari che nel merito.
7. – Il primo motivo di appello, con il quale è stata contestata la scelta del giudice di primo grado di ritenere inutilizzabili alcuni documenti prodotti dalla società appellante a causa del loro deposito tardivo, in quanto avvenuto l’ultimo giorno utile ma dopo le ore 12.00, attesa la prevalenza (ad avviso della parte appellante) di un orientamento giurisprudenziale incline a ritenere tempestivo il deposito, con modalità telematiche nel fascicolo digitale del processo, entro le ore 24.00 dell’ultimo giorno utile, non può essere ritenuto fondato.
Infatti, l’apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell’art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un’udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell’ultimo giorno utile è inammissibile (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2021 n. 961; Sez. IV, 13 febbraio 2020 n. 1137, Sez. VI 18 maggio 2020 n. 3149 e 7 maggio 2019 n. 2921; Cons. giust. amm. sic., Sez. giurisdiz., 7 giugno 2018 n. 344 e Cons. Stato, Sez. III, 24 maggio 2018, n. 3136).
8. – Può ora passarsi allo scrutinio dei tre complessi motivi di appello proposti dalla società appellante che attengono al merito della controversia.
Il primo motivo di appello ripropone, in buona parte, le censure dedotte in primo grado avverso il provvedimento di autotutela possessoria adottato, ai sensi dell’art. 823 c.c., dall’Agenzia del demanio il 15 marzo 2018.
In argomento vale la pena di ricordare, in punto di diritto, che:
– per giurisprudenza consolidata (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2017 n. 18) quando l’amministrazione, ai sensi dell’art. 823, comma 2, c.c. ritenga di esercitare il potere di autotutela possessoria, adottando un’ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che l’occupazione sia abusiva;
– a ciò si aggiunga che, all’opposto, in presenza di beni appartenenti al patrimonio indisponibile, non vi è possibilità per l’amministrazione proprietaria di recuperarne il possesso in regime di autotutela esecutiva, di cui all’art. 823, comma 2, c.c., perché qualora il bene appartenga al patrimonio indisponibile, l’amministrazione è tenuta ad avvalersi dei mezzi ordinari di tutela previsti dal codice civile con l’obbligo di motivare, in modo specifico e articolato, le ragioni della scelta della sua pretesa (cfr., sul punto specifico, Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2015 n. 4554).
Orbene, ad avviso della società appellante, nel caso di specie, per effetto di un processo di c.d. sdemanializzazione tacita provocata da un lunghissimo tempo di tolleranza durante il quale l’Agenzia non ha preteso la restituzione del bene al fine dello sfruttamento dello stesso per scopi o interessi pubblici, poi culminato nella mera richiesta di pagamento di una indennità quale “canone” di occupazione, il bene in questione non può dirsi più appartenente alla categoria dei beni demaniali ma a quella dei beni patrimoniali a vocazione ed utilizzo economico, con la conseguenza che detto ente non aveva il potere di utilizzare l’istituto dell’autotutela restitutoria di cui all’art. 823, comma 2, c.c..
Come è noto, la c.d. sdemanializzazione tacita è ravvisabile solo in presenza di atti e/o fatti che mostrino inequivocabilmente la perdita di destinazione ad uso pubblico del bene, non potendosi desumere tale conseguenza dalla mera circostanza che il medesimo non sia più adibito, anche per lungo tempo, all’uso pubblico (cfr. Cass. civ. Sez. un., 7 aprile 2020 n. 7739 nonché Cons. Stato, Sez. IV, 25 maggio 2018 n. 3143).
Il Collegio non ignora, dunque, che in argomento, al ricorrere di determinati ed inequivocabili presupposti di fatto, si ammetta (da parte della giurisprudenza) che possa verificarsi la sdemanializzazione per facta concludentia di un bene pubblico: allorquando si sia in presenza di circostanze significative non equivoche che attestino la rinuncia dell’amministrazione al ripristino dell’uso pubblico del bene, si può verificare la mutata destinazione dello stesso anche senza l’adozione di un provvedimento espresso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 giugno 2020 n. 3908).
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, tali circostanze non è dimostrato che si siano verificate, ma al contrario:
– lo Stato ha dimostrato di tenere in particolare cura il bene sotto due distinti, seppur convergenti profili, poiché l’intero complesso delle quattro (omissis) è stato sottoposto a vincolo paesaggistico con decreto ministeriale in data 30 gennaio 1956 e, quindi, a vincolo storico e artistico con decreto ministeriale in data 18 agosto 1997;
– l’Agenzia del demanio non ha preteso una indennità quale canone di occupazione della Seconda To., ma ha richiesto il pagamento dell’indennizzo per occupazione abusiva del bene demaniale e quindi sine titulo;
– la predetta Agenzia, dopo avere verificato, vanamente, se le opere realizzate nell’area (vale a dire le infrastrutture per gli impianti di diffusione) avrebbero potuto essere sanate dal punto di vista edilizio-urbanistico, al fine di verificare se potesse essere formalizzato il rilascio di una concessione demaniale per lo sfruttamento del bene, mai rilasciata alle società interessate, ha inequivocabilmente attivato ogni strumento possibile, consentito dall’ordinamento (tra cui l’esercizio del potere di autotutela su beni demaniali di cui all’art. 823, secondo comma, c.c.) per tornare nella disponibilità del bene demaniale detenuto sine titulo dalle società .
Tutto quanto sopra esclude, in radice, che possa essere intervenuto un processo di c.d. sdemanializzazione tacita del bene demaniale oggetto di controversia e conduce alla reiezione del primo motivo di appello.
Da ultimo, con riferimento alla contestata scelta di percorrere la strada dell’autotutela amministrativa ex art. 823 c.c., va solo precisato che, anche in ragione di quanto si è sopra esposto, appare evidente la prevalenza dell’interesse pubblico alla rimozione delle infrastrutture collocate in assenza di titolo edilizio, non costituendo, sotto tale profilo, un impedimento all’esercizio di tale potere la necessità di garantire continuità all’emittente nell’irradiazione dei propri programmi, atteso che tale profilo avrebbe fatto oggetto della fase di esecuzione del provvedimento assunto in autotutela, senza condizionare, però, l’esercizio del potere di intervento ripristinatorio da parte dell’amministrazione.
9. – Il terzo motivo di appello attiene, principalmente, alla contestazione rivolta all’Agenzia del demanio di aver convocato una conferenza di servizi per verificare la sussistenza dei presupposti al fine di procedere alla sanatoria delle opere abusive, piuttosto che avere avviato un procedimento ai sensi dell’art. 87 d.lgs. 259/2003.
Confermando la giurisprudenza di questa Sezione (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 6 novembre 2020 n. 6840) si deve ribadire che il favor assicurato alla diffusione dell’infrastruttura a rete della comunicazione elettronica, espresso anche dal d.lgs. 259/2003, pur comportando una compressione dei poteri urbanistici conformativi ordinariamente spettanti all’amministrazione competente, non consente di derogare alle discipline poste a tutela degli interessi differenziati, come quello naturalistico-ambientale, in quanto espressione dei principi fondamentali della Costituzione né tantomeno consente la compressione di interessi paesaggistici presidiati da idonei vincoli.
L’unanime giurisprudenza, con riferimento all’applicazione della procedura semplificata di cui all’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche, ne esclude l’operatività nelle ipotesi in cui l’immobile, in ordine al quale si chiede il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, ricada in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, anche perché in siffatte ipotesi, come è noto, non potrebbe operare l’istituto del silenzio-assenso, per come previsto dal richiamato art. 87 (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015 n. 4749, 8 agosto 2014 n. 4226 e 2 maggio 2013 n. 2395).
D’altronde, l’autorizzazione di cui agli artt. 86 e 87 d.lgs. 259/2003 sostituisce a tutti gli effetti il solo titolo edilizio, ferme restando le valutazioni rimesse all’autorità paesaggistica, come si ricava inequivocabilmente dall’art. 86, comma 4, del medesimo decreto legislativo (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. III, 19 marzo 2014 n. 1361 e 15 gennaio 2014 n. 119).
Né, contrariamente a quanto dall’appellante viene sostenuto, nella fattispecie era applicabile il procedimento di cui all’art. 87 più volte sopra richiamato con la necessità di indire apposita conferenza di servizi nell’ambito della quale, poi, il motivato dissenso dell’autorità paesaggistica poteva essere superato dall’eventuale decisione positiva del Consiglio dei Ministri. Come emerge inequivocabilmente dal tenore del citato art. 87, quest’ultimo disciplina il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni relative agli impianti ivi contemplati ancora da eseguire, mentre nel caso di specie è incontestato che la vicenda riguardasse il mantenimento di impianti già allocati e, quindi, la sanatoria di un’opera già realizzata, situazione alla quale non trova applicazione la richiamata previsione normativa (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 5 luglio 2019 n. 4686).
10. – Sotto una diversa prospettiva, poi, nel caso qui in esame, non può contestarsi, in quanto illegittima, la scelta fatta propria dall’Agenzia del demanio di avere attivato una procedura, culminata nella convocazione di una conferenza di servizi nel corso della quale le amministrazioni coinvolte, preposte alla tutela dei vincoli incidenti sull’area (nella specie il Comune di Verona, la Regione Veneto e la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza), hanno espresso parere sfavorevole al mantenimento delle installazioni sul bene demaniale in questione, in quanto la stessa era semplicemente volta a perlustrare la percorribilità di un percorso di sanatoria onde garantire il mantenimento, lecito e in iure, dello sfruttamento del bene demaniale da parte delle società coinvolte; sicché le contestazioni circa la correttezza della procedura seguita e la competenza dell’Agenzia a svolgerla recedono dinanzi alla non “sanabilità “, di diritto e obiettiva, della posizione della società oggi appellante (e delle altre società interessate alla questione), né quest’ultima può far discendere dal complessivo comportamento assunto nella specie dall’Agenzia alcuna spia idonea a dimostrare la formazione, in capo alla medesima società, di un affidamento incolpevole circa la intenzione dell’amministrazione di sfruttare economicamente l’area e dunque di continuare a mantenervi le installazioni presenti.
La tolleranza più volte richiamata dalla società appellante a sicuro indice dell’intendimento dell’Agenzia del demanio di “tollerare” e “sanare” la presenza degli impianti è esclusa in radice dalla richiesta, reiterata, rivolta alle società occupanti, di corrispondere una somma per la perdurante occupazione illegittima, perché sine titulo.
D’altronde, come è noto, facendo richiamo alle statuizioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017 n. 9, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (nella specie l’occupazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo e allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo a colui che aspira di essere destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.
Ciò conduce alla reiezione dei motivi di appello proposti, apparendo scevri da illegittimità i provvedimenti impugnati in primo grado, sia con il ricorso introduttivo che con i due ricorsi recanti motivi aggiunti.
11. – La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all’ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
12. – In conclusione l’infondatezza di tutti i motivi di appello dedotti nel ricorso proposto dalla società Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C., conduce alla conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, Sez. I, 18 marzo 2020 n. 268, con la quale è stato respinto il ricorso introduttivo (R.g. n. 675/2018) nonché i due ricorsi recanti motivi aggiunti proposti in primo grado dalla suddetta società .
Le spese del giudizio di appello, per il principio della soccombenza processuale di cui all’art. 91 c.p.c., per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., vanno imputate a carico della società appellante e in favore dell’Agenzia del demanio, della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza e del Comitato contro le antenne sulle (omissis), liquidandosi complessivamente le stesse nella misura di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) in ragione di Euro 1.000,00 (euro mille/00) per ciascuna delle tre suindicate parti, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 7382/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge.
Condanna la società Tr. S.a.s. di De Ro. Fe. e Da. & C., in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del grado di appello in favore dell’Agenzia del demanio, della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza e del Comitato contro le antenne sulle (omissis), in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, liquidando complessivamente le stesse nella misura di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) in ragione di Euro 1.000,00 (euro mille/00) per ciascuna delle tre suindicate parti, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 27 maggio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

 

 

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