Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 dicembre 2020| n. 34981.
La scriminante della legittima difesa presunta, disciplinata dall’art. 52 cod. pen., come modificato dalla legge 26 aprile 2019 n. 36, non consente un’indiscriminata reazione contro colui che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma postula che l’intrusione sia avvenuta con violenza o con minaccia dell’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica, così da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumità, atteso che solo quando l’azione sia connotata da tali note modali può presumersi il rapporto di proporzione con la reazione.
Sentenza|9 dicembre 2020| n. 34981
Data udienza 18 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Omicidio preterintenzionale – Esclusione della legittima difesa – Mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione – Sproporzione dell’azione compiuta dall’imputato rispetto all’azione della vittima – Congruità della motivazione – Inammissibilità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUNO Paolo A. – Presidente
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovan – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/11/2018 della CORTE DI ASSISE DI APPELLO;
DI NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCOLINI GIOVANNI;
uditi in pubblica udienza il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. LORI PERLA, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, e per il ricorrente;
l’avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del giorno 18 novembre 2018 (dep. il 6 febbraio 2019), la Corte di Assise di Appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia in data 31 maggio 2017 (dep. il 28 giugno 2017) resa dal G.i.p. del Tribunale di Nola all’esito di giudizio abbreviato, ha ridotto ad anni dieci di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS) per l’omicidio preterintenzionale di (OMISSIS), con l’aggravante della minorata difesa (articolo 61 c.p., n. 5 e articolo 584 c.p.), commesso il (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo sono state denunciate, in relazione al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa:
– l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 52 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b));
– la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto ravvisare nel caso di specie i presupposti della legittima difesa, poiche’ (OMISSIS) non si sarebbe reso autore di un’azione gratuitamente violenta, bensi’ sarebbe stato costretto a una reazione per fronteggiare il pericolo attuale e ingiusto di una seconda violazione del proprio domicilio da parte di (OMISSIS), alla quale fino a poco tempo prima del fatto l’imputato aveva offerto aiuto e generosita’. Piu’ in particolare, nell’occorso, la (OMISSIS) avrebbe fatto nuovamente ingresso nell’abitazione dell’imputato che gia’ le aveva manifestato (resistendo alle spinte impresse all’uscio dalla donna) la propria volonta’ contraria, cosi’ provocando la reazione del (OMISSIS) che, seppur limitata a una spinta finalizzata ad allontanare la donna, ne ha cagionato la caduta all’indietro rivelatasi fatale. La Corte di assise di appello, invece, avrebbe escluso in maniera palesemente illogica la sussistenza dei presupposti della causa di giustificazione, poiche’:
– ha negato l’illiceita’ della condotta della (OMISSIS), che ha tentato di rientrare e rimanere invito domino nella casa del (OMISSIS) (fatto questo non disconosciuto dalla sentenza impugnata);
– ha escluso che, allorche’ quest’ultimo ha spinto la donna, fosse in atto un litigio (giunto alla contrapposizione fisica tra i due ed avvenuto tra le 02:20 e 03:00 del (OMISSIS)), evenienza che: avrebbe dovuto trarsi dai forti rumori imputabili allo spostamento di mobili e alla caduta di oggetti sul pavimento, riferiti dalle donne che abitavano lo stesso edificio, e’ stata confermata da (OMISSIS), madre del (OMISSIS) (il cui narrato sarebbe stato travisato), e non potrebbe dirsi smentita da un’annotazione di polizia giudiziaria relativa a un intervento in loco precedente di tre ore;
– ha ritenuto non necessitata la reazione del (OMISSIS), volta alla tutela dell’inviolabilita’ del proprio domicilio, qualificandola come uno “spintone violento e brutale” quantunque non vi sia alcun elemento in atti (non potendosi ritenere tale neppure il narrato di (OMISSIS), che ha fatto riferimento solo a una spinta senza dar conto della intensita’ di essa) dal quale desumere l’intensita’ dell’azione dell’imputato, ritenuta dai Giudici di secondo grado, per l’appunto violenta e brutale solo perche’ ne e’ scaturita la morte della donna.
Piuttosto, secondo il ricorrente:
a. la spinta era atto necessario, poiche’ il (OMISSIS) non poteva che allontanare con forza la (OMISSIS), dato che poco prima l’aveva condotta all’esterno dell’appartamento (impiegando la propria forza fisica in misura inferiore) senza sortire l’effetto di dissuaderla e, percio’, l’imputato non avrebbe potuto fare ricorso a una condotta meno lesiva con pari efficacia difensiva; e la Corte di assise di appello di Napoli si sarebbe espressa in senso contrario mediante un ragionamento ex post, erroneo in diritto, che non ha considerato, proprio sotto il profilo della necessita’ della difesa, gli elementi fattuali precedenti alla reazione del (OMISSIS) (ossia le modalita’ concrete dell’aggressione subita, la durata e intensita’ di essa, la dimostrata inadeguatezza di altri rimedi);
b. la difesa e’ stata proporzionata all’offesa e la Corte territoriale – contrariamente alle consolidate indicazioni giurisprudenziali e in maniera contraddittoria e illogica – avrebbe limitato la portata del fatto illecito della (OMISSIS) (definito soltanto “un nuovo ingresso nell’appartamento” e una “presunta offesa”) ed enfatizzato il fatto dell’imputato, attribuendovi una vis (“una forza esorbitante”) in maniera apodittica e disancorata dalla risultanze probatorie, non potendo valere in tal senso lo stato di ubriachezza e il sesso della (OMISSIS);
c. sotto tale ultimo profilo, erroneamente sarebbero stati esclusi i presupposti della presunzione posta dall’articolo 52 c.p., comma 2, in materia di legittima difesa domiciliare, negati dal Giudice di secondo grado perche’ l’ulteriore violazione del domicilio del (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) sarebbe avvenuta senza minaccia o violenza (dato che la porta in ingresso non aveva una serratura che ne consentisse la chiusura); difatti:
quel che rileva perche’ l’invocata presunzione operi e’ il solo pericolo di aggressione, ossia la rilevante probabilita’ che l’intruso possa aggredire la persona che legittimamente si trova all’interno del luogo de quo;
– nel caso in esame, la (OMISSIS) era riuscita a fare nuovamente ingresso nella
casa del (OMISSIS), approfittando del temporaneo allontanamento di lui e dimostrando – dopo che gia’ l’imputato le aveva espresso l’intenzione di non consentirle l’ingresso – di non accettare passivamente di essere messa alla porta, al punto di tentare di rientrarvi con la forza;
– se si pone mente all’alterazione psicofisica di lei, il suo agire ben puo’ essere ritenuto idoneo a integrare il pericolo richiesto dalla norma citata, poiche’ e’ altamente probabile che chi non si arresta nemmeno innanzi a un’opposizione ferma manifestata con la resistenza fisica, e in precedenza e’ gia’ andato in escandescenze perche’ in stato di forte agitazione, possa attentare all’incolumita’ di colui che prova a fermarne l’intrusione;
d. i presupposti della legittima difesa domiciliare non potrebbero escludersi neppure sulla base dell’asserito squilibrio tra il bene dell’aggredito, esposto a pericolo, e il bene dell’aggressore sacrificato mediante la condotta difensiva, perche’:
– la lesione del bene vita della (OMISSIS) e’ stata una conseguenza non voluta ne’ prevista dal (OMISSIS);
– come gia’ addotto, nessun elemento deporrebbe per una condotta brutale e violenta dell’imputato, tanto che l’esame autoptico non ha evidenziato segni riconducibili a una spinta o a ulteriori e diverse percosse e la copiosa macchia ematica rinvenuta nel battiscopa di fronte alla porta di ingresso della casa del (OMISSIS) dimostra che la caduta avvenne sul pianerottolo e non per le scale;
– e, contrariamente a quanto assunto dal medico legale, la donna dopo la spinta non e’ caduta per le scale ma ha volontariamente disceso due rampe per poi risalire fino all’abitazione del (OMISSIS) (cosi’ procurandosi le riscontrate ecchimosi alle ginocchia e ai gomiti).
2.2. Con il secondo motivo sono state addotte, in relazione al mancato riconoscimento dei presupposti dell’eccesso colposo nella legittimita’ difesa:
– l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale dell’articolo 55 c.p. (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).
– la mancanza, la contraddittorieta’ e l’illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e);
Il difensore dell’imputato ha richiamato le argomentazioni gia’ addotte con il primo motivo di ricorso in relazione alla necessita’ dell’azione difensiva del (OMISSIS) (osservando che la sentenza impugnata avrebbe impiegato sul punto le medesime argomentazioni gia’ espresse per escludere la legittima difesa). E, quanto all’eccesso modale nella reazione difensiva, pure negato dalla Corte territoriale, ha allegato che:
– all’imputato potrebbe al piu’ ascriversi il colposo superamento del limite di proporzionalita’ della sua azione, per imprudenza o imperizia nel calcolo del pericolo e dei mezzi di salvezza;
– il (OMISSIS), difatti, avrebbe percepito una situazione scriminante realmente esistente ma ne avrebbe valutato in maniera inesatta l’effettiva portata, cosi’ determinandosi per una condotta che ha cagionato un risultato piu’ grave di quello imposto dalla necessita’;
– d’altra parte, il (OMISSIS) ha posto in essere la propria reazione solo dopo molte ore, durante le quali si era prodigato per aiutare la (OMISSIS) e contenerne l’agitazione senza mai eccedere in condotte rimproverabili.
2.3. Con il terzo motivo sono state addotte, in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione:
– l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 62 c.p., n. 2, – pur indicandosi erroneamente il n. 4 dello stesso articolo – (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b);
– la mancanza, la contraddittorieta’ e l’illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
In proposito, si e’ assunto che la Corte partenopea avrebbe erroneamente negato la sussistenza della circostanza attenuante:
– anzitutto, assumendo la natura non ingiusta del fatto della (OMISSIS), il cui agire a dire della Corte, giustificato dalla mancanza di un riparo per la notte e sostanziatosi nella insistente richiesta all’imputato di aiutarla a recuperare la proprie valigie – non avrebbe costituito motivo di provocazione; in tal modo, pur avendo correttamente ricordato che il fatto ingiusto altrui puo’ essere integrato non solo da un comportamento antigiuridico ma anche dall’inosservanza di norme sociali o di costume, il Giudice di secondo grado non avrebbe tenuto conto del fatto che, a monte della reazione del (OMISSIS), vi era una duplice violazione di domicilio commessa dalla donna, la quale comunque ha avanzato le proprie richieste con modalita’ aggressive e scorrette dovute alla propria alterazione per l’assunzione di alcool, e le ha reiterate per ore; e che, dunque, l’imputato ha agito a causa del fortissimo turbamento emotivo provocato dall’intensita’ e dalla durata dell’aggressione subita;
– in secondo luogo, in ragione della evidente sproporzione della reazione dell’imputato, ritenuta in mancanza di elementi in tal senso (ed anzi smentita dalle prove di cui si da’ conto nella sentenza), e comunque in maniera illogica, apodittica ed erronea, nonche’ in contrasto con il disposto normativo, che non richiede tale proporzione in relazione alla circostanza attenuante in discorso, e con il comune senso logico secondo cui occorrerebbe solo che la reazione sia “in qualche modo adeguata all’offesa”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perche’ i motivi formulati risultano manifestamente infondati, non consentiti dalla legge e nel resto generici.
1. Al fine di provvedere, e’ utile anzitutto dare conto della consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dei limiti del sindacato di legittimita’ sulla motivazione dei provvedimenti resi nei gradi di merito.
Invero, l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), contempla tra i motivi di ricorso per cassazione la “mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
1.1. Sul punto si e’ rilevato che la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione, come vizi addotti nel giudizio di legittimita’, devono essere “di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici” (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, che rimanda a Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Ancora, in piu’ occasioni si e’ osservato che l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non attribuisce al giudice della legittimita’ un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella gia’ effettuata nei gradi di merito – valutazione, per vero, preclusa alla Corte di cassazione, innanzi alla quale non puo’ utilmente dedursi il travisamento del fatto -, dovendo essa piuttosto “limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per giustificare il suo convincimento” (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01, che richiama Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; conf. Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 – 01). Difatti, in tema di vizi della motivazione “il controllo di legittimita’ operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento” (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745 – 01; conf. Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).
La mancata rispondenza alle acquisizioni processuali delle argomentazioni con le quali il giudice di merito ha motivato il proprio convincimento puo’ essere dedotta nel giudizio di legittimita’ qualora si sostanzi nel “c.d. “travisamento della prova” (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita’ che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita’ nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purche’ siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita’ di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato” (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.). Difatti, deve tuttora escludersi la possibilita’, per il giudice di legittimita’, di procedere ad un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonche’ i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi (Sez. 2, n. 7667/2015, cit.; cfr. pure Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621).
Inoltre, il ricorso che denunci tale vizio, a pena di inammissibilita’, deve:
“(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verita’ dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche’ dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato” (Sez. 2, n. 46288/2016, cit., che richiama Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006, Salaj, Rv. 234115; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
1.2. Nella medesima prospettiva, deve poi ribadirsi che anche in sede penale opera il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte anzitutto con riguardo al procedimento civile, in relazione al disposto di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5). Difatti, alla luce della funzione propria del giudizio di legittimita’ e dei principi cui esso si uniforma, “quando si lamenti la omessa o travisata valutazione di specifici atti del processo penale, e’ onere del ricorrente suffragare la validita’ del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita’ il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso” (Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008, Falcone, Rv. 240123; conf. Sez. 2, n. 7667/2015, cit.; Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Bouyahia, Rv. 243225). Tale onere non puo’ dirsi adempiuto neppure allorche’ il ricorso, pur richiamando atti specificamente indicati, non ne contenga l’integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto (Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552), poiche’ “il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilita’ e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non puo’ limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto e’ alla stessa precluso” (Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Cavanna, Rv. 248192; conf. Sez. 2, n. 7667/2015, cit.).
2. In secondo luogo, si osserva che il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), riguarda l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza) ovvero l’erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta), e va tenuto distinto dalla deduzione di un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 47575 del 07/10/2016, Altoe’, Rv. 268404 – 01).
3. Tenendo conto dei principi esposti, devono allora esaminarsi i motivi di ricorso.
Con il primo motivo si sono assunte la violazione dell’articolo 52 c.p. e il vizio di motivazione, in ragione dell’esclusione della causa di giustificazione della legittima difesa.
Il ricorrente:
– ha evidenziato che (OMISSIS) non avrebbe posto in essere un’azione gratuitamente violenta in pregiudizio di (OMISSIS), ma avrebbe reagito con una spinta (a seguito della quale ella e’ caduta e deceduta) all’ulteriore ingresso della donna nella propria abitazione, avvenuto dopo che il (OMISSIS) le aveva gia’ manifestato la volonta’ di non accoglierla ancora in casa e l’aveva accompagnata fuori;
– ha rimarcato l’illogica negazione nella specie dei presupposti della scriminante, cui la Corte territoriale sarebbe giunta:
– escludendo l’illiceita’ della condotta della (OMISSIS);
– non ritenendo che la spinta dell’imputato sia intervenuta nel corso di un litigio con l’offesa, giunto alla contrapposizione fisica tra i due;
– qualificando la condotta del (OMISSIS) come uno “spintone violento e brutale” in difetto di elementi in tal senso, e quindi considerando il suo fatto una reazione non necessaria e non proporzionata all’offesa, senza invece considerare che l’imputato non avrebbe potuto escludere altrimenti dalla propria abitazione la (OMISSIS) che poco prima aveva condotto all’esterno dell’unita’ immobiliare invano;
– ha denunciato l’erronea esclusione dei presupposti della presunzione prevista nei casi di legittima difesa domiciliare (articolo 52 c.p., comma 2), per il cui riconoscimento sarebbe sufficiente il solo pericolo di aggressione, da ravvisarsi nella specie in quanto la (OMISSIS) aveva dimostrato di non accettare di essere messa alla porta, si trovava in uno stato di alterazione psicofisica e in precedenza era andata in escandescenze;
– ha affermato che i presupposti della legittima difesa domiciliare non potrebbero escludersi neppure sulla base dell’asserito squilibrio tra il bene dell’aggredito e il bene dell’aggressore, giacche’ la lesione del bene vita della (OMISSIS) e’ stata una conseguenza non voluta ne’ prevista dal (OMISSIS), nessun elemento deporrebbe per una condotta brutale dell’imputato.
La prospettazione difensiva non merita condivisione.
La Corte di assise di appello ha escluso che, allorche’ il (OMISSIS) ha allontanato la (OMISSIS) con una spinta, fosse in corso un litigio tra i due non solo sulla base della narrazione delle altre persone che abitavano lo stabile (le quali hanno dato conto di aver sentito unicamente rumori e non grida tra le ore 2:30 e le 3:00 del giorno (OMISSIS), ossia in orario compatibile con l’evento delittuoso) e del fatto che neppure i Carabinieri nel corso dell’intervento delle ore 23:00 del giorno precedente avevano constatato che vi fosse una lite tra gli stessi soggetti. Piuttosto, il Giudice di secondo ha argomentato anche sulla base:
– del narrato della madre dell’imputato (la quale – come riportato nella sentenza impugnata – ha riferito di aver appreso dal figlio che tra lui e la (OMISSIS) c’ere stata solo una “discussione” e che l’uomo, dopo aver tentato “tutta la sera” di non farla entrare, “in uno scatto d’ira” le “aveva dato una spinta (…) facendola cadere a terra battendo la testa”), il cui travisamento e’ stato asserito dal ricorrente in maniera del tutto generica, mediante la riproduzione di una sola delle frasi da lei pronunciata (cfr. ricorso, p. 5);
– e della prima narrazione dello stesso (OMISSIS) (il quale non ha in alcun modo dato conto di un agire violento della donna ma ha rassegnato che ella aveva “aperto la porta”, che aveva la serratura rotta e non rimaneva chiusa, tanto da richiedere che l’imputato la tenesse ferma o la bloccasse con un mobile), esponendo le ragioni per cui ha ritenuto credibile tale versione dei fatti (cfr. sentenza impugnata, p. 6 s. e 10 s.).
Tale ricostruzione – che non presenta alcuna illogicita’ o contraddittorieta’ manifesta – non puo’ essere sostituita con un diverso apprezzamento in fatto da parte di questa Corte di legittimita’.
Parimenti, il percorso motivazionale seguito della Corte territoriale e’ congruo nella parte in cui:
– ha escluso la necessita’ in capo all’imputato di impiegare una spinta quale mezzo per reagire al fatto della donna e di difendere un diritto proprio (l’inviolabilita’ del domicilio) dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, atteso che – come esposto – la Corte ha ritenuto provato, dandone conto in maniera logica e non contraddittoria, proprio sulla base della narrazione dell’imputato piu’ prossima al fatto, che la (OMISSIS) avesse aperto la porta, avesse mosso solo un passo e si fosse pero’ arrestata sull’uscio; e sul punto ha rilevato come il (OMISSIS) avrebbe potuto accompagnare nuovamente fuori la (OMISSIS) ed eventualmente contattare di nuovo i Carabinieri, senza pero’ spingerla;
– ha escluso che nella specie vi fosse un pericolo di aggressione dell’imputato da parte della donna, poiche’ quest’ultima non disponeva di mezzi utili a tal fine, la stessa fino ad allora era stata solo insistente e versava in condizioni fisiche precarie, l’uomo aveva una preponderante forza fisica (ivi, p. 12 s.).
Anche sotto tale profilo il ricorrente ha soltanto prospettato una mera ipotesi di diversa lettura dei fatti che in questa sede di legittimita’ non puo’ compiersi.
Poiche’ con una motivazione congrua si e’ escluso che l’imputato potesse legittimamente spingere la persona offesa, non e’ neppure decisivo il tema della forza impiegata da lui. Purtuttavia, la Corte di assise di appello ha esplicitato le ragioni per cui ha escluso comunque la proporzione dell’azione compiuta dall’imputato, sempre argomentando in maniera logica sulla scorta delle precarie condizioni di stabilita’ della donna e della conseguente limitata capacita’ di resistere di lei, del luogo dell’azione (in prossimita’ di una rampa di scale), del fatto che le dichiarazioni dell’imputato alla madre dimostrassero come egli con la spinta non volesse fronteggiare un’ulteriore invasione del domicilio, ma al fine di non vederla piu’ in casa abbia posto in essere una vera e propria azione aggressiva che ha attentato alla vita e all’incolumita’ personale della donna (ivi, p. 13 s.). Inoltre, a proposito dell’impatto violento del capo dell’offesa a cagione della spinta, la sentenza impugnata ha richiamato in maniera puntuale, e non certo contraddittoria o illogica, gli esiti della consulenza medico-legale (ivi, p. 14 s.), chiarendo le ragioni per cui non ha ritenuto condivisibile la prospettazione difensiva volta a confutarla, prospettazione qui riproposta ma non ammissibile trattandosi di una ricostruzione alternativa in fatto.
Da quanto sopra esposto, deriva pure che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione della legge penale, allorche’ – sulla base della ricostruzione dell’occorso compiuta con motivazione immune da censure, che ha dato conto puntualmente degli elementi di prova e ne ha reso una logica valutazione e, come detto, e’ insindacabile in questa sede (Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Di Domenico, Rv. 279344 – 02; Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, Perrone, Rv. 273401 – 01; Sez. 1, n. 3148 del 19/02/2013, dep. 2014, Mariani, Rv. 258408) ha escluso i presupposti della legittima difesa. Difatti, per giurisprudenza consolidata:
la legittima difesa, ammessa nei confronti di tutti i diritti, personali e patrimoniali (Sez. 1, n. 6979 del 20/06/1997, Sergi, Rv. 208256 – 01), “presuppone un’aggressione ingiusta ed una reazione legittima; la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione del diritto, la seconda comporta l’inevitabilita’ del pericolo, la necessita’ della difesa e la proporzione tra questa e l’offesa” (Sez. 1, n. 9695 del 15/04/1999, De Rosa, Rv. 214936 – 01);
– “non puo’ ritenersi legittimo l’uso di mezzi che non siano gli unici nella circostanza disponibili, perche’ non sostituibili con altri ugualmente idonei ad assicurare la tutela del diritto aggredito e meno lesivi per l’aggressore” (ivi);
– l’accertamento relativo alla sussistenza dei presupposti della legittima difesa (e, per vero, anche di quella putativa e – puo’ dirsi sin d’ora, tenuto conto del secondo motivo di ricorso, che verra’ esaminato infra – dell’eccesso colposo) “deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalita’ del singolo episodio in se’ considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere se’ o altri da un’ingiusta aggressione” (Sez. 5, n. 19065/2020, cit.).
Ne’ nella specie, contrariamente a quanto addotto dal ricorrente, e sempre sulla scorta della congrua ricostruzione del fatto compiuta dalla Corte territoriale di cui sopra si e’ dato conto, potrebbe rilevare alcuna presunzione di proporzione, in quanto “la scriminante della legittima difesa presunta, disciplinata dall’articolo 52 c.p., come modificato dalla L. 26 aprile 2019, n. 36, non consente un’indiscriminata reazione contro colui che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma postula che l’intrusione sia avvenuta con violenza o con minaccia dell’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica, cosi’ da essere percepita dall’agente come un’aggressione, anche solo potenziale, alla propria o altrui incolumita’, atteso che solo quando l’azione sia connotata da tali note modali puo’ presumersi il rapporto di proporzione con la reazione” (cfr. Sez. 5, n. 40414 del 13/06/2019, Gueye, Rv. 277122 – 01).
Ne discende che il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato e versato in fatto e, dunque, inammissibile.
4. Con il secondo motivo sono state denunciate la violazione dell’articolo 55 c.p. e il vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento dei presupposti dell’eccesso colposo nella legittimita’ difesa.
Il ricorrente, richiamando le argomentazioni gia’ svolte con il primo motivo di ricorso a proposito della necessita’ dell’azione difensiva del (OMISSIS), ha dedotto che l’imputato al piu’ avrebbe superato il limite di proporzionalita’ della sua azione, per imprudenza o imperizia nel calcolo del pericolo e dei mezzi di salvezza, poiche’ avrebbe percepito una situazione scriminante realmente esistente, valutandone in maniera erronea l’effettiva portata e ponendo percio’ in essere una condotta che ha causato un risultato piu’ grave di quello imposto dalla necessita’.
Anche la prospettazione in discorso e’ manifestamente infondata.
Invero, “il presupposto su cui si fondano sia l’esimente della legittima difesa che l’eccesso colposo e’ costituito dall’esigenza di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, cosicche’ l’eccesso colposo si distingue per un’erronea valutazione”, a cagione di una dispercezione della realta’ “del pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati”; dunque, “l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, in specie della necessita’ di contrastare il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata ed adeguata, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo nella medesima scriminante”; ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante (…) non vi e’ alcun obbligo per il giudice di una specifica motivazione in ordine ad un eccesso colposo in tale scriminante, pur se espressamente prospettato dalla parte interessata” (Sez. 5, n. 19065/2020, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010, P., Rv. 247898; Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008, dep. 2009, Olari, Rv. 242349, Sez. 1, n. 740 del 04/12/1997, dep. 1998, Mendicino, Rv. 209452).
La Corte di assise di appello, alla luce della ricostruzione del fatto gia’ riportata, come detto immune da censure e non sindacabile in questa sede, ha escluso l’asserito eccesso colposo in maniera conforme ai principi giurisprudenziali appena esposti, rilevando l’assenza dei presupposti previsti dall’articolo 52 c.p.. Per vero, i Giudici di secondo grado hanno pure soggiunto che nessuno degli elementi in atti depone per l’erronea valutazione del pericolo da parte dell’imputato ovvero per un’erronea stima da parte sua dei mezzi da utilizzare per difendersi, asserto questo con il quale il ricorso non si e’ confrontato, assumendo in maniera apodittica l’erronea valutazione dell’imputato e suffragando l’asserto con la considerazione che la sua reazione ha avuto luogo solo dopo molte ore nelle quali egli si era prodigato per aiutare la donna e contenerne l’agitazione, profilo non inerente all’asserito errore e percio’ non idoneo ad escludere la logica argomentazione della Corte di assise di appello.
5. Con il terzo motivo sono state addotte la violazione dell’articolo 62, n. 2 e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di assise di appello avrebbe fondato in parte qua la propria statuizione:
– escludendo erroneamente l’ingiustizia del fatto della (OMISSIS), senza considerare che la reazione del (OMISSIS) ha fatto seguito a una duplice violazione di domicilio commessa dalla donna, le modalita’ aggressive e scorrette dell’agire di lei, reiterato per ore;
– sulla scorta della sproporzione della reazione dell’imputato, non provata ed anzi smentita dagli elementi in atti.
In tal modo, la decisione si sarebbe posta in contrasto con il disposto dell’articolo 62, n. 2, cit., che non richiede alcuna proporzione in relazione alla circostanza attenuante in discorso.
Anche il motivo qui in esame e’ inammissibile, poiche’ manifestamente infondato e versato in fatto.
La sentenza impugnata – correggendo sul punto l’iter seguito dalla decisione di primo grado – in maniera conforme alla costante giurisprudenza di legittimita’ ha premesso che, al fine della sussistenza dell’attenuante della provocazione, sebbene non occorra una vera e propria proporzione tra offesa e reazione, e’ comunque necessario che la risposta sia adeguata alla gravita’ del fatto ingiusto, in quanto avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, M., Rv. 271799 01). Difatti, “la circostanza attenuante della provocazione di cui all’articolo 62 c.p., n. 2 non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato della circostanza attenuante medesima” (Sez. 1, n. 30469 del 15/07/2010, Luciano’, Rv. 248375 – 01); essa puo’ essere ravvisata sempre che “non vi sia una reazione smisurata perche’, in tale ipotesi, essa non puo’ ritenersi casualmente dipendente dallo stato d’ira insorto a cagione del fatto ingiusto altrui” (Sez. 1,n. 6913 del 29/04/1992, Terrazzino, Rv.190558 – 01).
A tale corretto presupposto in diritto, la pronuncia della Corte di assise di appello ha fatto seguire una motivazione in fatto che:
– anche sotto tale profilo ha evidenziato come il (OMISSIS) abbia dato alla (OMISSIS) una violenta spinta in risposta alla petulanza della donna – che quella notte gli aveva chiesto ripetutamente aiuto per recuperare le proprie valigie ovvero di riammetterla in casa (dove per diversi giorni aveva convissuto con lui) – e, pur facendo riferimento al “tentativo della stessa vittima” di rientrare in casa, sulla base della piu’ volte richiamata ricostruzione in fatto ha ribadito – e tale aspetto e’ qui dirimente – che l’azione offensiva del (OMISSIS) ha avuto luogo “senza che dalla donna fossero state commesse azioni violente, aggressive o persecutorie contro l’imputato stesso o i suoi beni” e senza porre in essere condotte “per lui assolutamente intollerabili”;
– ha valutato del tutto esorbitante l’azione lesiva dell’imputato, compiuta con soverchiante forza tenuto conto pure delle precarie condizioni psicofisiche della donna, a lui ben note;
– ed ha percio’ considerato grave e macroscopica la condotta del (OMISSIS) rispetto all’azione compiuta dalla vittima (cfr. sentenza impugnata, p. 17 s.).
Tale apprezzamento, qui compendiato e congruamente motivato, non puo’ essere sindacato nel giudizio di legittimita’.
Ragion per cui anche il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
6. All’inammissibilita’ consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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