Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 marzo 2022| n. 7731.

La revisione dell’assegno divorzile di cui all’articolo 9 della legge n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata. In particolare, nel sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali delle parti, il giudice procederà al giudizio di revisione dell’assegno in applicazione dei principi attuali, nella funzione che una diversa interpretazione delle norme applicabili assolve, che è di mera ricognizione della esistente regula iuris e non di creazione della stessa.

Ordinanza|9 marzo 2022| n. 7731. La revisione dell’assegno divorzile

Data udienza 2 marzo 2022

Integrale

Tag/parola chiave: FAMIGLIA MATERNITA’ ED INFANZIA – DIVORZIO – ASSEGNO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 30470/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto n. 1754/2018 della Corte d’Appello di Roma, depositato il 16/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/03/2022 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

La revisione dell’assegno divorzile

FATTI DI CAUSA

1. La signora (OMISSIS) ricorre ex articolo 111 Cost., comma 7, con un unico motivo, per la cassazione del decreto in epigrafe indicato, con cui la Corte d’Appello di Roma, decidendo in sede di reclamo sul provvedimento adottato dal locale tribunale – che, previa riunione dei giudizi separatamente introdotti, rispettivamente, per la revoca e la modifica migliorativa, aveva ridotto la misura dell’assegno, gia’ riconosciuto a (OMISSIS) in sede di giudizio divorzile, in Euro 450,00 mensili -, in accoglimento del reclamo incidentale proposto dall’ex marito, (OMISSIS), ha revocato l’assegno in seguito all’accertata convivenza di fatto instaurata dalla signora (OMISSIS) con un terzo, il tutto a far data dal primo giorno del mese successivo alla domanda di revoca.
La corte di merito nell’accogliere il reclamo incidentale dell’ex marito, (OMISSIS), ha ritenuto provata l’esistenza di una famiglia di fatto da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno e, quindi, venuto meno, per intervenuta rescissione con il tenore ed il modello di vita propri della pregressa fase di convivenza matrimoniale, il presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge la cui contraria domanda, di modifica in incremento della medesima posta, ha, per l’effetto, respinto.
I giudici del reclamo hanno poi rigettato l’ulteriore domanda di riconoscimento del TFR in ragione della intervenuta revoca dell’assegno divorzile, che della prima costituiva il presupposto, in tal senso pure argomentando dalla rilevata diversita’ dei riti comunque applicabili alle due domande.
2. Resiste con controricorso (OMISSIS).

 

La revisione dell’assegno divorzile

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in cui era incorsa la corte territoriale per avere qualificato la relazione instaurata con il professor (OMISSIS) in termini di convivenza more uxorio, pur mancando dei caratteri della stabilita’ e durata.
Il rapporto era infatti giustificato da ragioni lavorative per avere entrambi i conviventi concorso alla costituzione di una cooperativa che si occupava della gestione di un asilo nido e, per l’indicata ragione, nella precarieta’ del nuovo vincolo, non era venuta meno la solidarieta’ post-matrimoniale con (OMISSIS).
La signora (OMISSIS), a sostegno del reclamo proposto in via principale per ottenere l’incremento dell’assegno divorzile, ha poi dedotto di non avere immobili di proprieta’, di non godere di pensione, per avere seguito all’estero il marito – in tal modo contribuendo alla sua carriera diplomatica con rinuncia ad un posto di lavoro pubblico ed alla possibilita’ di essere titolare di pensione -, non potendo, a quasi settant’anni di eta’, essere utilmente ricollocata nel mercato del lavoro.
Il presupposto dell’assegno di divorzio, da identificarsi nella mancanza di redditi idonei non al raggiungimento dell’autosufficienza economica, ma al mantenimento del tenore analogo a quello matrimoniale, sarebbe risultato pertanto integrato e cio’ anche ove si fosse seguita la giurisprudenza piu’ restrittiva sull’autosufficienza economica, in ragione della funzione assistenziale pure riconosciuta alla reclamata posta, denunciata dalla mancanza di redditi adeguati e dalla impossibilita’ della ricorrente di procurarseli per ragioni oggettive (Cass. 11504 del 2017).
L’applicazione dei principi sulla natura perequativo-compensativa dell’assegno divorzile di cui alla successiva sentenza delle SU n. 18287 del 2018 – esclusa, quale ragione ostativa, la convivenza di fatto more uxorio – avrebbe sostenuto il diritto della ricorrente a percepire l’assegno divorzile e tanto in ragione: della durata ventennale del matrimonio; degli assunti oneri di accudimento e cura del figlio; dell’eta’ della ricorrente e delle sue precarie condizioni di salute; delle costose cure mediche e del pagamento di un canone mensile di locazione; dell’assenza di redditi e di un trattamento pensionistico.
Il mancato riconoscimento del TFR era intervenuto, poi, in violazione della L. n. 898 del 1970, articolo 12-bis.
2. Il motivo di ricorso presenta contenuti che sono nel contempo di inammissibilita’ e di infondatezza per le ragioni ed i contenuti di seguito precisati.
3. Occorre muovere dalla struttura del provvedimento impugnato in cui trovano composizione e definizione le ragioni dei distinti reclami, in via principale ed incidentale, proposti dagli ex coniugi, (OMISSIS) e (OMISSIS).
La corte romana anticipa, nella trattazione, il ricorso incidentale promosso dall’ex marito, il signor (OMISSIS), per poi ritenere, nell’accertata sopravvenuta convivenza more uxorio tra l’ex coniuge ed un terzo, la revoca dell’assegno divorzile in applicazione dei principi gia’ affermati da questa Corte sulla convivenza di fatto quale ragione di rescissione di ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale con l’ex coniuge (cfr. Cass. n. 6855 del 2015).
La domanda in via principale coltivata dalla signora (OMISSIS) per ottenere l’aumento dell’assegno divorzile e’ rimasta, in tal modo, non scrutinata dai giudici del reclamo e tanto nel ritenuto suo assorbimento nell’accertamento della situazione fattuale, dedotta da (OMISSIS), preclusiva del godimento dell’indicata posta.
4. A fronte dei contenuti del decreto impugnato, il ricorso per cassazione dapprima contesta l’esistenza della convivenza di fatto, in quanto preclusiva del diritto all’assegno divorzile per, poi, invocare i principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte (SU n. 18287 del 2018) e mancati nell’applicazione, sui parametri dell’assegno divorzile, sul cui incremento la ricorrente insiste.

 

La revisione dell’assegno divorzile

5. Le censure, per entrambi gli indicati profili, sono inammissibili.
5.1. L’introdotta critica manca di una efficace contestazione sul fatto sopravvenuto ritenuto nell’impugnato provvedimento in accoglimento del reclamo incidentale ed integrato dalla convivenza legittimante la revoca dell’assegno.
Fermo il carattere assorbente del primo rilievo, in ogni caso, in sequenza, il ricorso manca della deduzione di quelle evidenze in fatto che, sopravvenute, sosterrebbero in senso peggiorativo il mutamento delle condizioni reddituali della richiedente e, quindi, la domanda di incremento dell’assegno divorzile, oggetto del reclamo in via principale proposto.
Segnatamente.
5.2. La proposta critica e’ inammissibile per genericita’ la’ dove censura per violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il decreto impugnato in punto di ritenuta “convivenza di fatto” senza riportare, nei termini di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, insieme ai contenuti della norma violata quella parte della motivazione che dei primi integrerebbe una errata applicazione.
In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificita’ dei motivi, sancito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. SU 28/10/2020, n. 23745).
Il ricorso enuncia in modo assertivo (pp. 5 e 6) i principi formatisi nella giurisprudenza di legittimita’ a definizione della convivenza more uxorio e non dialoga con il provvedimento impugnato e con le evidenze ivi valorizzate ad integrazione di una convivenza stabile, nel dettato della norma all’epoca in applicazione.
Nell’impugnato provvedimento si valorizza l’ammissione ad opera della reclamante di aver instaurato, per anni, una convivenza more uxorio, e tanto sia nel giudizio ex articolo 9 L. cit., in cui la cessazione di quella convivenza era evenienza addotta a sostegno della richiesta di incremento dell’assegno divorzile che, prima ancora, nel giudizio divorzile in cui l’esistenza di quella convivenza era dato incontestato fin dal 1998.
La corte di merito provvede, altresi’, ad apprezzare la comunanza dell’attivita’ imprenditoriale in essere tra la ricorrente ed il convivente quale elemento che afferma e rinsalda il ritenuto vincolo per contenuti che restano estranei alla struttura della portata critica.
5.3. L’inammissibilita’ del motivo, nella sua inconcludenza e non idoneita’ ad attaccare il provvedimento impugnato sulla convivenza di fatto ed il rilievo ostativo assolto rispetto al riconoscimento dell’assegno divorzile, lascia non applicabile la nuova lettura che della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 10, hanno recentemente dato le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 32198 del 05/11/2021.
6. Ferma l’indicata inconcludenza sulla ragione ostativa al riconoscimento dell’assegno di divorzio ed il carattere assorbente del conseguente rilievo di inammissibilita’, vero e’ poi che il motivo si denuncia come ancora inammissibile la’ dove passa a contestare (pp. 6-10) i criteri che “in prima applicazione” presiedono al riconoscimento dell’assegno divorzile ex SU n. 18287/2018 nel dedotto carattere perequativo-retributivo dell’indicata posta da parametrarsi su durata del matrimonio, contribuzione alla vita matrimoniale della richiedente, eta’ e conseguente incapacita’ della beneficiaria di ricollocarsi nel mercato del lavoro.
6.1. Ed, infatti, quanto viene fatto valere in ricorso non vale ad integrare evidenze in fatto che, sopravvenute, sostengano un nuovo giudizio guidato dall’applicazione delle nuove regole di diritto sulla natura perequativo-compensativa del titolo, ma deduzioni volte a rimettere in discussione “ora per allora” i presupposti fattuali di riconoscimento dell’assegno divorzile adducendo, in modo inammissibile, i mutati orientamenti interpretativi di questa Corte.
In sede di revisione il giudice di merito non puo’ procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entita’ dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti gia’ compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio cosi’ raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. 13/01/2017, n. 787).
Nel sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali delle parti il giudice procedera’ al giudizio di revisione dell’assegno in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali, nella funzione che una diversa interpretazione delle norme applicabili assolve, che e’ di mera ricognizione dell’esistente “regula iuris” e non di creazione della stessa (in termini: cfr. Cass. 20/01/2020, n. 1119).
6.2. La’ dove la sentenza di merito, nel caso di specie la n. 4141 del 2012 della Corte d’Appello di Roma, che ha riconosciuto e quantificato l’assegno divorzile, e’ intervenuta prima della formazione dei principi di diritto sul carattere perequativo-compensativo della posta reclamata nel suo combinarsi con il principio di autoresponsabilita’ (cfr. Cass. n. 11504/2017 e Sez. U., n. 18287/2018), vero e’ che la parte non puo’ chiedere di questi stessi principi l’applicazione per la prima volta, in difetto di sopravvenienze fattuali, in sede di modifica dell’assegno.
7. E’, infine, ancora del tutto generica, ed incapace di ogni confronto con il provvedimento impugnato – ritenuto il preliminare rilievo avuto dalla deduzione nel giudizio di legittimita’ sulla convivenza di fatto – quella parte del ricorso in cui si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, articolo 12-bis, in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel denegare alla ricorrente il diritto ad una quota del TFR maturato dall’ex coniuge.
La contestazione e’ assertiva ed in alcun modo raccordata con la duplice ratio decidendi del provvedimento impugnato in cui figura sia l’intervenuta revoca dell’assegno – e con esso il venir meno del presupposto applicativo dell’invocato istituto – che la necessita’ di osservare sulla distinta domanda sul TFR un differente rito.
8. Il ricorso e’, conclusivamente, inammissibile.
Spese di lite liquidate secondo soccombenza come in dispositivo indicato.
Doppio contributo.
Oscuramento.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e condanna la prima a rifondere al secondo le spese di lite che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfetario sul compenso ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
Si dispone che ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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