Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 dicembre 2019, n. 49136
Massima estrapolata:
La restituzione ai soci dei versamenti in conto capitale integra la bancarotta fraudolenta per distrazione mentre, al contrario, il prelievo di somme a restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la bancarotta preferenziale. Questo in quanto i versamenti in conto capitale effettuati dai soci, confluendo in un’apposita riserva, non incrementano immediatamente il capitale sociale e diversamente dai conferimenti, non attribuiscono alle somme che ne formano oggetto lo statuto penalistico proprio del capitale sociale. Per contro il prelievo di somme a titolo di mutuo determina l’insorgenza di un debito puro nei confronti della società.
Sentenza 3 dicembre 2019, n. 49136
Data udienza 16 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICHELI Paolo – Presidente
Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere
Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/05/2018 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FILIPPI PAOLA, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso, salvo annullamento con rinvio relativamente alle pene accessorie.
udito il difensore presente, Avv. (OMISSIS), si riporta ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 28 maggio 2018, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale in sede del 6 febbraio 2017, con la quale e’ stata affermata la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per i reati di bancarotta impropria, patrimoniale e documentale, e per aggravamento del dissesto di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato con atto a firma del difensore, Avv. (OMISSIS), articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce vizio della motivazione, sub specie di travisamento della prova, in riferimento agli elementi costitutivi del reato di cui al capo a), per avere la corte territoriale omesso di considerare le dichiarazioni rese dal consulente tecnico del Pubblico ministero riguardo la mancanza di spese estranee all’attivita’ d’impresa, presumendo la distrazione di crediti alla stregua della mancata annotazione nella contabilita’ e trascurando di conferire rilievo alle ammissioni al passivo. Analoghe censure attingono la fattispecie dissipativa, risultando la stima effettuata non coerente con il costo storico originario.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e correlato vizio di motivazione per il reato di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, ritenuto sussistente alla stregua della violazione di cui all’articolo 2467 c.c., non richiamata dalla norma incriminatrice.
2.3. Il terzo motivo configura il vizio della motivazione con riferimento al dolo del reato di bancarotta documentale, tanto genericamente valutato da non consentire di ritenere quale, tra le due ipotesi previste dalla L. Fall., articolo 216, sia stata effettivamente ritenuta sussistente.
2.4. Con il quarto motivo, deduce analoga censura in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
3. Con motivi nuovi, depositati in Cancelleria il 10 luglio 2019, il ricorrente deduce l’illegalita’ delle pene accessorie nella misura predeterminata prevista dalla L. Fall., articolo 216, u.c., incostituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato solo in parte.
1. Sono inconducenti i rilievi articolati nel primo e nel terzo motivo di ricorso.
1.1.1. Le censure rivolte alla motivazione relativa alla ricostruzione delle condotte distrattive sub a) non si confrontano con la stessa ammissione del ricorrente (riportata a f. 5 della sentenza impugnata) riguardo l’esazione di crediti, la cui provvista non risulta rinvenuta e della cui destinazione il fallito non ha offerto alcuna utile dimostrazione, ne’ con il principio di diritto secondo cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita puo’ essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Zanettin, Rv. 255385), in quanto le condotte descritte alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 1, hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito, nel contesto della garanzia che sul medesimo grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie.
Ed e’ in funzione di siffatta garanzia che si spiega l’onere dimostrativo, posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura.
Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato perche’ fornisca la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che e’ (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, puo’ rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Butitta, Rv. 249715, in motivazione).
In altri termini, a fronte del sicuro ingresso nel patrimonio dell’imprenditore di componenti attive e dell’assoluta impossibilita’ di ricostruire la destinazione delle stesse, del tutto ragionevolmente si puo’ desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosita’ di tali condotte in vista del soddisfacimento delle loro pretese.
1.1.2. Deve, infatti, ribadirsi come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita possa essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore (sia egli di fatto o di diritto), della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411), principio che la costante elaborazione giurisprudenziale di legittimita’ ancora alla peculiarita’ della normativa concorsuale. In tal senso, va pertanto riaffermato che l’imprenditore e’ posto dall’ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, con conseguente responsabilita’ del gestore per la conservazione delle risorse e dei beni sociali, in ragione dell’integrita’ della garanzia stessa. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta.
Nello statuto dei reati fallimentari, dunque, l’apporto conoscitivo proveniente dall’imputato si declina peculiarmente, ponendo a carico dello stesso uno specifico onere di collaborazione con gli organi della curatela e di giustificazione riguardo l’adempimento degli obblighi che gravano sull’imprenditore. La responsabilita’ dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verita’, penalmente sanzionato, gravante ex L. Fall., articolo 87, sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa giustificano, dunque, una inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della societa’ fallita solo apparente, che ripete il suo fondamento dal complesso degli obblighi di fonte normativa che gravano sull’imprenditore, e che non consentono, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, di ritenere sufficienti generiche asserzioni, soprattutto ove non riscontrate dall’esistenza di idonea documentazione contabile.
1.1.3. Nel quadro cosi’ delineato, il ricorrente pretende di ravvisare – in presenza di generiche asserzioni di reimpiego a fini sociali – un insanabile profilo di contraddittorieta’, in punto di dimostrazione della disponibilita’ delle risorse non rinvenute, con la contestuale contestazione di bancarotta documentale, omettendo di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che, con articolata e razionale cadenza argomentativa, evidenzia puntualmente le fonti documentali che, in un piu’ ampio contesto di fraudolenta cessazione delle annotazioni, dimostrano l’esistenza dei cespiti e delle risorse non rinvenute dagli organi della curatela.
1.1.4. La sentenza impugnata non e’ censurabile neppure in riferimento alla motivazione con la quale e’ stato respinto l’argomento difensivo che, alla stregua delle (limitate) insinuazioni al passivo, ne ha inferito la soddisfazione dei relativi crediti, in presenza di una abnorme sproporzione tra disavanzo fallimentare (per oltre due milioni di Euro) ed attivo (pari a soli 82.000,00), che rende del tutto logico ritenere la plausibilita’ di valutazioni di convenienza, tali da determinare – come ritenuto dai giudici di merito – la desistenza dei creditori nella procedura concorsuale.
1.1.5. Sono, del pari, inconducenti i rilievi in punto di condotta dissipativa.
Il ricorrente postula la sopravvalutazione dei mezzi aziendali, trascurando del tutto di confrontarsi con la sentenza impugnata che ha, sul punto, opportunamente valorizzato come i beni di cui trattasi fossero stati ceduti a societa’ della quale il medesimo ricorrente effettuava, a distanza di una settimana dalla cessione – vantaggiosa per l’avente causa e dissipatoria per l’alienante – l’acquisto delle quote, sostanziando un adeguato interesse alla svendita dei veicoli della societa’ avviata al dissesto.
1.2. Sono, invece, aspecifiche le censure rivolte all’elemento soggettivo della fattispecie documentale.
Tanto la contestazione, che le conformi sentenze di merito, declinano il fatto sotto forma di bancarotta documentale per inattendibile tenuta delle scritture; fattispecie punita a titolo di dolo generico (Sez. 5, n. 17084 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271753, N. 21075 del 2004 Rv. 229321, N. 1137 del 2009 Rv. 242550, N. 21872 del 2010 Rv. 247444, N. 5264 del 2014 Rv. 258881), consistente nella coscienza della lacunosita’ delle annotazioni in scritture, gia’ istituite, e della idoneita’ della irregolare tenuta ad ostacolare la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, mentre la sentenza impugnata da’ conto, con argomentazione incensurabile nella presente sede, del fraudolento ricorso ad espedienti contabili atti a dissimulare le dismissioni e ad ostacolare la ricostruzione della destinazione delle risorse finanziarie, delineando – almeno – l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
Sono, pertanto, complessivamente inconducenti le censure in punto di responsabilita’ per il capo a).
2. Sono, invece, fondati i rilievi articolati nel secondo motivo.
2.1. La questione, (ri)proposta nel ricorso di legittimita’, involge, prioritariamente, la necessaria distinzione tra versamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo, onde verificare la diversa incidenza delle restituzioni sulle fattispecie fallimentari.
2.1.1. Questa Sezione si e’, invero, gia’ pronunciata al riguardo, delineando la ricostruzione sistematica dei reati coinvolti e risolvendo i profili di interferenza delle fattispecie, alla luce delle norme extrapenali integratrici del precetto.
E’ stato, difatti, esaustivamente affermato come la restituzione ai soci dei versamenti in conto capitale (o “in conto futuro aumento di capitale”) integra la bancarotta fraudolenta per distrazione, ai sensi della L. Fall., articolo 223, comma 1 e articolo 216, comma 1, n. 1 e non il delitto di bancarotta fraudolenta da reato societario, previsto dal combinato disposto della L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 1 e articolo 2626 c.c. (indebita restituzione dei conferimenti), in quanto detti versamenti, confluendo in un’apposita riserva, non incrementano immediatamente il capitale sociale e, diversamente dai conferimenti, non attribuiscono alle somme che ne formano oggetto lo statuto penalistico proprio del capitale sociale (Sez. 5, n. 8431 del 01/02/2019, Vesprini, Rv. 276031), con l’ulteriore precisazione per cui, al contrario, il prelievo di somme, quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo, integra la fattispecie di bancarotta preferenziale (ibidem, Sez. 5, n. 8431 del 2019, Rv. 276031).
2.1.2. Siffatto assetto fonda sull’analisi della consolidata giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, rassegnata nella sentenza Vesprini richiamala, che ha evidenziato come “i versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, e’ diversa da quella del mutuo ed e’ assimilabile a quella del capitale di rischio, sicche’ non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della societa’, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della societa’, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la societa’ ed i soci puo’ viceversa essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziche’ di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della societa’ a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della societa’ (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; conf., ex plus imis, Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810; Sez. civ. 1, n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560; Sez. civ. 1, n 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073): pertanto, l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle societa’ da loro partecipate puo’ avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la societa’ di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili denominazioni), versamento, quest’ultimo, che non da’ luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della societa’ e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed e’ piu’ simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimam (Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899)”.
2.1.3. Se ne e’ tratto il rilievo per cui “nella materia penal-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della societa’; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale (in questo senso, Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, Rv. 239487, che ha qualificato in termini di bancarotta preferenziale la restituzione di finanziamenti che, non avendo “natura di conferimenti di capitale di rischio”, “rappresentano il sorgere di un effettivo ed esigibile credito (chirografario) in capo ai soci, senza che da cio’ consegua effettivo depauperamento dell’asse patrimoniale”; nella stessa prospettiva, Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254985)”.
E’ stato, in particolare, evidenziato – con argomentazione rilevante nel caso in disamina – come, al fine di escludere la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale, si sia richiamata la fattispecie di cui all’articolo 2626 c.c., ritenuta applicabile anche ai finanziamenti in conto capitale effettuati durante la vita della societa’ alla stregua di una un’interpretazione estensiva della nozione di “conferimento” di cui all’indicata disposizione, interpretazione resa possibile con la conseguente sussumibilita’ del caso in esame nella figura della bancarotta “da reato societario” ex articolo 223, comma 2, n. 1), L.F. e, appunto, articolo 2626 c.c. – dal “fatto che la postergazione – sebbene non comporti una riqualificazione ope legis dei crediti – ne assimila in tutto e per tutto la disciplina ai conferimenti in conto capitale, non incidendo semplicemente sulla loro graduazione” (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, Esposito, sostanzialmente in linea con Sez. 5, n. 11210 del 15/11/1993, Callegaro, Rv. 196458, secondo cui integra il delitto di illegittima restituzione di conferimenti, previsto – nella disciplina all’epoca vigente – dall’articolo 2623 c.c., n. 2, la condotta dell’amministratore della societa’ che restituisca somme di danaro ai soci che le abbiano versate in conto capitale, in seguito ad una deliberazione dell’assemblea, in assenza dei presupposti dell’esuberanza in riferimento al conseguimento dell’oggetto sociale e del rispetto delle garanzie previste dall’articolo 2445 c.c.).
E siffatta opzione ermeneutica e’ stata argomentativamente esclusa, ritenendo come l’interpretazione estensiva dell’articolo 2626 c.c. si risolva in un’analogia in malam partem, valorizzando il regime giuridico dei versamenti in conto capitale, non imputati a capitale ma confluiti in un’apposita riserva, con conseguente “esclusione della riferibilita’ anche ai versamenti in esame dello statuto penalistico a tutela del capitale sociale”, alla luce della giurisprudenza civile che valorizza come i versamenti dei soci in conto capitale abbiano, di regola, causa diversa da quella del mutuo e assimilabile a quella del capitale di rischio, escludendo l’insorgenza di crediti esigibili nel corso della vita della societa’, con conseguente non configurabilita’ della bancarotta preferenziale in riferimento ai prelievi volti alla loro restituzione.
Di guisa che “la – mera – “assimilabilita’” al capitale di rischio dei versamenti in conto capitale conduce, sul terreno penalistico, ad escludere che essi possano essere ricondotti nella nozione di “conferimento” a norma dell’articolo 2626 c.c. e che, dunque, la loro restituzione possa integrare la fattispecie di indebita restituzione dei conferimenti e quella di bancarotta “da reato societario”, mentre il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale deve essere qualificato in termini di distrazione, nell’ampia definizione della condotta materiale declinata dalle massime di orientamento di questa Corte (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Quattrocchi, Rv. 241830; ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, Di Febo, Rv. 260486) e nella prospettiva che assegna alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale” (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, Fabbri, Rv. 179047; coni. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, Pompeo, Rv. 165673).
2.1.4. In riferimento agli indicatori rilevanti al fine di distinguere le due diverse tipologie di versamenti, se a titolo di mutuo ovvero di apporto al patrimonio dell’impresa collettiva, la sentenza Vesprini richiama all’interpretazione della volonta’ delle parti, secondo i criteri enunciati dalla giurisprudenza civile (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, cit.; Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557), ribadendo la necessaria ricostruzione della natura del versamento il cui prelievo si contesta, al fine della corretta qualificazione del fatto.
2.2. A siffatti principi non risultano essersi conformate le sentenze di merito.
Gia’ con l’atto di appello, l’imputato aveva dedotto come l’operazione contestata sub b) fosse stata qualificata a termini dell’articolo 2497 c.c. (restituzione finanziamento soci), norma non evocata dal disposto della L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 1; rilievo al quale la Corte, a fonte di una contestazione esplicitamente riferita a “operazioni di restituzione di conferimenti”, ha replicato mediante l’improprio – ed anodino quanto all’argomentazione – richiamo all’articolo 2626 c.c., omettendo di affrontare il tema, potenzialmente idoneo, alla luce della giurisprudenza richiamata, ad attribuire alle erogazioni dei soci natura di mutuo e non di conferimenti in conto capitale e, in questa prospettiva, al prelievo operato dall’imputato (ovvero a una parte di esso) natura di bancarotta preferenziale.
Con conseguente sussistenza del vizio denunciato.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio affinche’ il giudice di merito, alla luce dei principi richiamati, proceda a nuovo esame sul punto, con assorbimento delle censure relative al complessivo trattamento sanzionatorio e sulle pene accessorie relative al capo B).
3. La sentenza impugnata deve essere, altresi’, annullata con rinvio in riferimento alla determinazione della durata delle pene accessorie, applicate all’imputato quanto al reato sub a).
3.1. Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone che “la condanna per uno dei delitti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa” e siffatta declaratoria avente efficacia ex tunc ai sensi della L. costituzionale n. 87 del 1953, articolo 30 – trova applicazione nell’ambito del presente procedimento in quanto, sebbene questione non investita dal ricorso, la durata delle sanzioni accessorie come determinata nella sentenza impugnata si qualifica in termini di (sopravvenuta) illegalita’ della pena, apprezzabile ex officio in sede di legittimita’ (S.U. n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264207).
Nella sentenza additiva richiamata, la Consulta ha esplicitamente escluso l’applicabilita’ dello strumento di commisurazione (cor)relativa declinato dall’articolo 37 c.p. che, in ipotesi di pena accessoria indeterminata, ne determina la durata nella stessa misura della pena principale, ritenendo il relativo meccanismo non adeguato ad assicurare la necessaria autonoma quantificazione in considerazione della specifica e non sovrapponibile funzione de: diverso ordine di pene sia in relazione al diverso carico di afflittivita’ rispetti – ai diritti fondamentali della persona, che della diversa finalita’.
Siffatta interpretazione non e’ stata ritenuta vincolante in una prima applicazione giurisprudenziale (Sez. 5, 7 dicembre 2018 in proc. 23648/2016, Piermartiri, informazione provvisoria n. 16/2018), mentre altro orientamento (Sez. 5, 13 dicembre 2018 in proc. 3703/2018, Retrosi; Sez. 5, n. 5882 del 6 febbraio 2019, Rv. 274413) si e’ determinato nel senso di dover rimettere al giudice del merito la determinazione discrezionale dell’entita’ delle pene accessorie ex articolo 216 u.c..
3.2. Alla stregua del contrasto, manifestatosi nell’immediatezza della pronuncia della Consulta. stata rimessa alle Sezioni Unite la questione “se le pena accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dalla L. Fall., articolo 216, u.c., come riformulato ad opera della sentenza n. 222 del 5/12/2018 della Corte costituzionale con sentenza dichiarativa di illegittimita’ costituzionale, mediante l’introduzione della previsione della sola durata massima “fino a dieci anni” debbano considerarsi pena con durata non predeterminata e quindi ricadere nella regola generale di computo di cui all’articolo 37 c.p. (che prevede la commisurazione della pena accessoria non predeterminata alla pena principale inflitta), con la conseguenza che e’ la stessa Cassazione a poter operare la detta commisurazione con riferimento ai processi pendenti; ovvero se, per effetto, della nuova formulazione, la durata delle pene accessorie debba invece considerarsi predeterminata entro la forbice data, con la conseguenza che non trova appiicdzione l’articolo 31 c.p. ma, di regola, la rideterminazione involge un giudizio di fatto di competenza del giudice del merito, da effettuarsi facendo ricorso ai parametri di cui all’articolo 133 c.p.”.
Con sentenza n. 28910 del 28 febbraio 2019, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito come “le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 della Corte costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.
In applicazione dell’enunciato principio di diritto, la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, in riferimento al carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona (liberta’ di iniziativa economica) ed alla finalita’ (non (solo) rieducativa) della medesima, resta assegnata alla discrezionalita’ del giudice del merito.
3.3. Nel caso in esame, la durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, e’ stata determinata dal giudice di merito in conformita’ alla disposizione normativa.
Di guisa che, in applicazione dell’enunciato principio di diritto, che assegna alla discrezionalita’ del giudice del merito la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, in riferimento al carico di afflittivita’ rispetto ai diritti fondamentali della persona (liberta’ di iniziativa economica) ed alla finalita’ (non (solo) rieducativa) della medesima, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della durata delle sanzioni accessorie di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall., irrogate agli imputati nella misura di dieci anni, con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
Annulla lo sentenza impugnata limitatamente al reato sub b) ed alle statuizioni sulla durata delle le pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., con rinvio per nuovo esame su detti punti – nonche’ per l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio – alla Corte d’appello di Lecce.
Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply