La repressione degli illeciti urbanistico-edilizi

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1088.

La massima estrapolata:

La repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisce attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e dell’accessiva immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è sempre prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1088

Data udienza 28 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 308 del 2011, proposto da
Co. An. e Gh. Di., rappresentati e difesi dall’avv. Ga. Vi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Tu., in Roma, (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi. Ba. e Gi. Pi., elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione III n. 6650 del 26 novembre 2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Roberto Politi e uditi per le parti gli avvocati Ga. Vi. e Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Espongono gli odierni appellanti di essere proprietari, in Comune di (omissis), di un immobile posto alla via (omissis), distinto in Catasto fabbricati al foglio (omissis), part. (omissis), sub. (omissis).
Rilasciata nel 1979 autorizzazione edilizia per la realizzazione di un muro di recinzione, nel 1987 veniva effettuata comunicazione di modifiche interne, riguardanti ampliamento del bagno al primo piano, rifacimento dei solai di calpestio e dei controsoffitti al primo piano.
Autorizzata nel 1987 la sostituzione della copertura, veniva eseguito, in data 13 novembre 1987, accertamento ispettivo, dal quale emergevano le seguenti difformità rispetto ai rilasciati titoli autorizzativi:
“Piano terreno:(cucina, tinello, soggiorno, studio e ripostiglio):
demolizione della scala nel locale tinello;
spostamento di circa mt. 1,30 della porta comunicante tra il locale soggiorno e tinello, aperta sulla parete, di cm. 60 di spessore. L’originale apertura è stata tamponata con muratura in mattoni pieni ad una testa (cm. 12) per ricavarne una nicchia verso la parte del locale soggiorno profonda la differenza dello spessore delle due murature;
ispessimento di alcune pareti interne per circa 10 cm. effettuato con foratini posti in foglio, allo scopo, secondo l’affermazione del proprietario, di eliminare l’umidità e compensare leggere rotazioni delle pareti;
Primo Piano (quattro camere, una cucina e due W.C):
Chiusura della porta della Camera a Nord lato strada. L’accesso alla medesima è stato realizzato, in difformità, nella nuova tramezzatura del locale antibagno;
demolizione della piccola tramezzatura diagonale che permetteva l’accesso alla camera sud, lato interno dell’immobile (cucina difforme) senza accedere direttamente nella camera attigua e conseguente chiusura del vano d’accesso. L’ingresso a quest’ultima è stato ricavato nella parete adiacente, lato strada, dal quale si comunica nel locale antibagno costruito le difformità (bagno e antibagno) nella camera a sud, lato strada. La camera interna che si apre sulla parete tergale dell’immobile presenta altre difficoltà ; il vano in questione, indicato come camera nella pianta presentata per la richiesta dell’autorizzazione n. 99, presenta in realtà lavori di allestimento che lo indicano come destinato a cucina. Nel medesimo locale, dall’originaria finestra è stata ricavata una porta che, tramite una scala metallica costruita in aderenza alla parete esterna, comunica con il piano di campagna tergale. Per questa difformità il proprietario dichiarava di aver presentato il condono edilizio;
per le rimanenti due camere, quella centrale e quella attigua, lato Sud filo strada, le difformità rilevate sono le seguenti:
l’originaria apertura della porta che metteva in comunicazione diretta le due camere è stata chiusa. La nuova apertura è stata effettuata a margine della stessa parete, piano tergale, la quale mette in comunicazione il vano scale con il locale antibagno difforme e tramite questo si accede nella camera in questione. Ovvero: con due nuove aperture sulle murature esistenti (tra nuova cucina e antibagno e vano scala e camera) ed una terza realizzata nella nuova tramezzatura dell’antibagno, sono state messe in comunicazione le due camere e la cucina, indicata nelle tavole di progetto come camera.
I locali del 1° piano sono stati controsoffittati con solaio portante costituito con travicelli in legno e pianelle a vista all’altezza di m. 2,80 dal piano di calpestio costituendo in tal modo un soppalco nel corpo di fabbrica a filo di strada che, nella parte più alta, al culmine delle due falde, dovrebbe avere un’altezza di circa 2 metri. Nella controsoffittatura non sono visibili vani di accesso né sono presenti scale per accedervi.
Per la falda di copertura a cartella del corpo di fabbrica interno, in aderenza al primo e assai più basso, la controsoffittatura, costruita con le stesse caratteristiche, non presenta invece possibilità di soppalco praticabile.
Sulla parte interna, poco distante dal fabbricato, sono presenti alcune baracche fatiscenti per le quali il proprietario dichiarava di non aver presentato domanda di condono”.
In data 7 novembre 2002, a seguito della domanda di condono edilizio presentata dagli appellanti il 27 settembre 1986 (prot. n. 001276), veniva rilasciata autorizzazione edilizia in sanatoria n. 14148, con la quale veniva assentito il cambio di destinazione d’uso dell’immobile, adibito a fienile, da rurale a civile abitazione (per mq. 332,73).
Gli interessati, in data 28 novembre 2005, con richiesta prot. n. 1153/2005, presentavano al Comune, per il medesimo immobile, istanza di attestazione di conformità in sanatoria, ex art. 140 della legge regionale della Toscana n. 1/2005, per opere realizzate in difformità con la suddetta concessione edilizia in sanatoria n. 14148/2002, ovvero per “modifiche interne con realizzazione di soffitta”.
Favorevolmente espressisi la Commissione Comunale per il Paesaggio e la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, interveniva parere negativo da parte della Commissione Edilizia Comunale, così motivato:
“… gli interventi realizzati hanno comportato variazioni delle quote d’imposta dei solai e variazione della sagoma del fabbricato determinata dal lieve rialzamento della copertura. Gli interventi eccedono, quindi, la categoria della ristrutturazione Ed. R1 ammessa per la classe di edificio (T6) e si pongono in contrasto con l’art. 25 p.to 6 delle N.T.A”.
Il Comune di (omissis), sulla base del parere da ultimo indicato, con provvedimento prot. 10391 del 12 marzo 2007, comunicava ai ricorrenti (previo preavviso di diniego prot. n. 35680 del 8 agosto 2006) il rigetto dell’istanza di attestazione di conformità in sanatoria e la trasmissione della pratica all’Ufficio Infrazioni Edilizie “per l’applicazione delle sanzioni previste dalla normative vigente in materia di repressione degli abusi edilizi”.
Con ordinanza n. 780 del 10 novembre 2008, notificata in data 19 e 20 novembre 2008, veniva irrogata sanzione pecuniaria per complessivi Euro 180.059,09, così ripartita:
– Euro 163.024,00, come sanzione edilizia ai sensi dell’art. 134 L.R. Toscana n. 1/2005;
– Euro 8.884,09, come pagamento di oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e costo di costruzione ai sensi dell’art. 134, comma 5, L.R. Toscana n. 1/2005;
– Euro 8.151,00, come sanzione paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio approvato con D.Lgs. n. 42/2004.
2. Con ricorso n. 196 del 2009, proposto innanzi al T.A.R. Toscana, gli odierni appellanti hanno chiesto l’annullamento, della predetta ordinanza n. 780 del 10 novembre 2008, con cui veniva irrogata la sanzione pecuniaria di complessivi Euro 180.059,09.
Con tale ricorso, i ricorrenti deducevano due distinti profili di illegittimità dell’ordinanza de qua.
Con il primo, lamentavano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 4 della 28 febbraio 1985, n. 47, dell’art. 27 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dell’art. 129 della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1; la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, in tema di efficacia dell’azione amministrativa e dell’art. 2, in tema di conclusione del procedimento entro termine determinato, della legge 7 agosto 1990, n. 241; l’eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento.
L’irrogazione, da parte del Comune, della sanzione pecuniaria a 21 anni di distanza dal sopralluogo effettuato sull’immobile ritenuto abusivo da parte degli Agenti di Polizia Municipale si sarebbe posta in contrasto con le prime tre norme citate che, in caso di constatazione dell’esistenza di una irregolarità, obbligano il Comune a ordinare l’immediata sospensione dei lavori; e con l’art. 2 della legge 241/1990 che obbliga l’Amministrazione a concludere i procedimenti amministrativi entro termini definiti.
Con il secondo motivo di diritto, i ricorrenti deducevano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dell’art. 167 del D.Lgs. 42/2004, dell’art. 134 della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 e l’eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento.
Il Comune, anziché applicare le sanzioni edilizie previste dall’art. 9 della legge 47/1985 (norma vigente al momento dell’accertamento dell’abuso), ha applicato quelle, più sfavorevoli, di cui all’art. 134 L.R. Toscana n. 1/2005.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso con sentenza n. 6650/2010, pronunciata nella Camera di Consiglio dell’11 marzo 2010.
Non accoglieva, il giudice di prime cure, la prima censura, in quanto i ricorrenti avrebbero mosso “dall’erroneo presupposto che in occasione dell’accertamento effettuato dal Comune nell’anno 1987, mentre erano in corso i lavori di cui all’autorizzazione n. 445 del 16 maggio 1987, fossero già emerse tutte le opere abusive che hanno portato poi al diniego di sanatoria dell’anno 2007”.
Nella sentenza appellata, è stato ritenuto che le opere per le quali era stata richiesta la sanatoria (modifiche interne con realizzazione di soffitta) e quelle accertate dalla Commissione Edilizia Comunale nella seduta del 25 luglio 2006 non sarebbero “affatto coincidenti con quelle risultanti dal verbale dei Vigili Urbani del 5 dicembre 1987, di cui è stato integralmente riportato il contenuto nella esposizione in fatto”.
Conseguentemente, considerata la “diversità tra le opere accertate nell’anno 1987 e quelle per le quali è stata domandata la sanatoria ex art. 140 L.R.T. n. 1/2005 nell’anno 2005”, è stata ritenuta insussistente la violazione, da parte dell’Amministrazione comunale, della normativa statale e regionale per non aver represso l’abuso edilizio tempestivamente, “essendo quest’ultimo risultato così rilevante e grave soltanto nell’anno 2006”.
È stato, peraltro, ritenuto dal Giudice toscano infondato anche il secondo motivo di ricorso dinanzi ad esso dedotto, “alla luce delle medesime considerazioni sviluppate con riferimento al motivo di ricorso precedente”.
4. Avverso tale pronuncia i signori Co. e Gh. hanno interposto appello, notificato il 14 gennaio 2011 e depositato il successivo 17 gennaio, riproducendo le medesime doglianze articolate in primo grado; ed assumendo, conseguentemente, l’erroneità delle valutazioni che hanno condotto il T.A.R. Toscana a respingerle.
4.1 Quanto alla prima doglianza, avrebbe errato il Tribunale nel valutare il presupposto fattuale posto alla base della decisione gravata, atteso che gli odierni appellanti assumono di aver fornito prova della perfetta coincidenza tra le opere accertate nell’anno 1987 e quelle per le quali è stata irrogata, con l’ordinanza dirigenziale n. 780/2008, la sanzione pecuniaria impugnata in primo grado.
Secondo la prospettazione di parte, le difformità accertate dalla Commissione edilizia del 25 luglio 2006 avevano già formato specifico oggetto di accertamento da parte dei Vigili Urbani nel verbale del 5 dicembre 1987.
Se, come rilevato dalla Commissione Edilizia nella seduta del 25 luglio 2006, “gli interventi realizzati hanno comportato variazioni delle quote d’imposta dei solai e variazioni della sagoma del fabbricato determinata dal lieve rialzamento della copertura”, siffatte variazioni avevano già formato oggetto di puntuale accertamento nel 1987.
Non sarebbe, quindi, condivisibile quanto dall’Ente affermato con memoria depositata in giudizio, nella quale si sostiene che nell’accertamento del 1987 non venivano riscontrate opere che avrebbero determinato lo spostamento dei piani di imposta dei solai, posto che nel verbale viene affermato che le opere in contestazione avevano ad oggetto la realizzazione di controsoffitti del piano primo mediante la realizzazione di solaio portante nel corpo di fabbrica a filo strada che nella parte più alta, al culmine delle due falde, superano l’altezza consentita ed indicata in metri 2.
Alle considerazioni come sopra svolte in punto di fatto, consegue che:
– se è vero che l’esercizio del potere sanzionatorio non è soggetto a prescrizione o decadenza, per cui l’accertamento dell’illecito amministrativo e l’applicazione della relativa sanzione può intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, senza che il ritardo nell’adozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate
– è altrettanto vero che l’ordine di demolizione di opere abusive deve essere suffragato da adeguata motivazione, ove sia trascorso un lungo lasso di tempo dall’epoca cui risale l’abuso stesso, tale da ingenerare un affidamento del privato circa il mancato esercizio del potere sanzionatorio.
4.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, se l’Amministrazione avesse tempestivamente represso l’abuso, come previsto dall’art. 4 della legge n. 47/85 (e, quindi subito dopo l’accertamento dello stesso, avvenuto in data 13 novembre 1987), essa avrebbe dovuto fare applicazione del regime sanzionatorio previsto dall’allora vigente art. 9 della legge n. 47/1985, nettamente più favorevole per i ricorrenti di quello previsto dall’art. 134 della L.R. n. 1/2005.
Dal momento che l’abuso è stato accertato nell’anno 1987, la disciplina di riferimento per sanzionare il medesimo non poteva che essere quella prevista dall’art. 9, della legge del 28.02.1985 n. 47, allora vigente, atteso che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio generale tempus regit actum, quello vigente al momento dell’irrogazione della sanzione e non quello in vigore all’epoca di realizzazione dell’abuso.
5. In data 15 febbraio 2011, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio.
6. In vista della trattazione nel merito del ricorso entrambe le parti hanno svolto difese scritte (con memorie depositate in data 18 e 23 dicembre 2019), insistendo nelle già svolte argomentazioni difensive.
7. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 28 gennaio 2020.

DIRITTO

L’appello è infondato.
1. A sostegno del primo dei dedotti argomenti di gravame, parte appellante assume – omogeneamente rispetto a quanto argomentato dinanzi al giudice di prime cure – che le opere in cui si è sostanziato l’abuso accertato dalla procedente Amministrazione comunale di (omissis) nel 2006 (in ordine al quale è stata irrogata l’avversata sanzione pecuniaria) sarebbero affatto sovrapponibili a quelle realizzate in conseguenza dell’intervento effettuato nel 1987, per come analiticamente descritto nel verbale di sopralluogo formato in data 5 dicembre 1987.
Sulla base di tale assunto, gli appellanti sostengono la grave tardività dell’intervento repressivo gravato (occorso ad oltre 21 anni di distanza dall’accertamento degli interventi edilizi non assistiti da tiolo), con riveniente illegittimità (come si avrà modo di esaminare al successivo punto 2.) della commisurazione della sanzione applicata, riguardata sub specie della normativa ratione temporis operante.
1.1 Nel richiamare quanto in narrativa riportato sub 1. (con riferimento alla puntuale descrizione degli interventi accertati con verbale della fine del 1987, che parte appellante sostiene coincidere con le opere oggetto di esame, da parte della Commissione edilizia, nel 2006; poi, assunte a fondamento dell’irrogata sanzione amministrativa pecuniaria), si osserva che fondatamente il giudice di primo grado ha ritenuto “le opere per le quali è stata richiesta la sanatoria (modifiche interne con realizzazione di soffitta) e quelle accertate dalla Commissione Edilizia Comunale nella seduta del 25 luglio 2006” non coincidenti “con quelle risultanti dal verbale dei Vigili Urbani del 5 dicembre 1987”; per l’effetto, escludendo, “data… la diversità tra le opere accertate nell’anno 1987 e quelle per le quali è stata domandata la sanatoria ex art. 140 L.R.T. n. 1/2005 nell’anno 2005… la presunta violazione da parte dell’Amministrazione comunale della normativa statale e regionale per non aver represso l’abuso edilizio tempestivamente essendo quest’ultimo risultato così rilevante e grave soltanto nell’anno 2006”.
Va osservato, in proposito, come la Commissione Edilizia Comunale in data 25 luglio 2006, abbia espresso parere contrario alla domanda di autorizzazione in sanatoria, “in quanto gli interventi realizzati hanno comportato variazioni delle quote di imposta dei solai e variazioni della sagoma del fabbricato determinata dal lieve rialzamento della copertura. Gli interventi eccedono quindi la categoria della ristrutturazione edilizia R1 ammessa per la classe di edificio T6 e si pongono in contrasto con l’art. 25, punto 6, N.T.A.”.
Se tale parere ha, poi, integrato fondamento giustificativo del provvedimento – in data 12 marzo 2007 – con il quale l’appellata Amministrazione comunale ha denegato il rilascio della sanatoria (atto, è opportuno osservare, dagli odierni appellanti non gravato in sede giurisdizionale), va rilevato, in punto di fatto, come l’accertamento occorso nel 1987 (i cui esiti sono rappresentati nel sopra riportato verbale) rappresenti l’esistenza di (seppur incisive) opere edilizie, però aventi carattere meramente interno, con realizzazione, e/o spostamento, e/o diversa conformazione degli spazi.
Conseguentemente, dal verbale in esame non emergono variazioni di quota, ovvero alterazione della sagoma dell’immobile dall’esterni percepibili in conseguenza dell’effettuato innalzamento della copertura del manufatto: per l’effetto dovendo escludersi, con ogni evidenza, la coincidenza delle opere più recentemente accertate, con quelle di più risalente effettuazione.
1.2 Se, alla stregua di quanto osservato, l’appellata sentenza merita, sul punto, integrale conferma, non può peraltro omettere il Collegio di soffermarsi sul profilo della esercitabilità del potere repressivo, in materia edilizia, per come coordinabile alla variabile temporale (ovvero, con riferimento alla prossimità, ratione temporis, dell’adozione di misure sanzionatorie rispetto all’accertamento di un abuso).
Va, in proposito, rammentato come, in linea generale, la repressione degli illeciti urbanistico-edilizi costituisca attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e dell’accessiva immanenza dell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è sempre prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera.
I provvedimenti sanzionatori si dimostrano, per l’effetto, sufficientemente motivati con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività dell’intervento ed alla sicura assoggettabilità di esso al regime dei titoli abilitativi: l’ordine di demolizione di opere edilizie illecitamente eseguite integrando la presenza di un atto dovuto e rigorosamente vincolato, in ordine al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario.
Né, fermo quanto come sopra riportato, colui che abbia realizzato un abuso edilizio può ammissibilmente dolersi del fatto che l’Amministrazione, ricusando di attivare tempestivamente le prerogative di ordine repressive di cui è attributaria, abbia al medesimo arrecato un (temporaneo) vantaggio, atteso che l’ordinamento tutela il solo affidamento incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore “contra legem” (Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 2016 n. 5256).
Non può peraltro omettersi, in materia, di dare conto del noto arresto giurisprudenziale di cui alla pronunzia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, 17 ottobre 2017 n. 9.
Con essa, in particolare, viene ribadito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
La stessa Adunanza Plenaria ha, peraltro distinto:
– l’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia, a distanza di tempo dal rilascio, disposto l’annullamento del titolo edilizio illegittimamente adottato, ovvero del provvedimento di sanatoria rilasciato in assenza dei necessari presupposti legittimanti
– dalla (diversa) fattispecie, in cui l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un titolo legittimante: laddove, tuttavia, l’Amministrazione abbia provveduto solo a distanza di un considerevole lasso di tempo all’adozione dell’ingiunzione di demolizione.
A tale proposito, l’A.P. ha precisato che:
– se “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione e ciò giustifica una scelta normativa (quale quella trasfusa nell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990) volta a rafforzare l’onere motivazionale gravante in capo all’amministrazione. Si tratta di stabilire sino a che punto e in che termini l’ordinamento si debba far carico di tutelare un siffatto stato di legittimo affidamento”;
– “al contrario, nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.
Diversamente opinando, come soggiunto dalla stessa sentenza 9/2017, si verrebbe a “connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero [a] legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem”.
Ciò osservato, la fattispecie all’esame è caratterizzata da significativa prossimità temporale fra l’accertamento dell’abuso (dovendosi, sotto tale aspetto, operare esclusivo riferimento alla constatazione del 2006; e non alle – diverse – opere di cui al verbale ispettivo del 1987), sì da consentire di escludere che la condotta dell’appellato Comune sia connotata dal protrarsi di un atteggiamento inerte, suscettibile di ingenerare, nel privato, una posizione di legittimo affidamento.
2. Quanto sopra posto, l’ulteriore critica dagli appellanti mossa alla pronunzia di prime cure – relativa al rigetto del motivo di ricorso con il quale si invocava l’operatività del più favorevole regime sanzionatorio vigente nel 1987 – può essere agevolmente disattesa proprio in virtù del richiamo (dalla stessa parte appellante effettuato) al principio del tempus regit actum.
Come in giurisprudenza reiteratamente affermato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2019 n. 1892), allorquando il Comune eserciti il potere repressivo a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, la disciplina sanzionatoria applicabile è quella vigente al momento dell’esercizio del potere sanzionatorio.
Ciò in quanto l’abuso edilizio, rivestendo i caratteri dell’illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme tese al governo del territorio sino al momento in cui non venga ripristinata la situazione preesistente; l’illecito sussistendo anche quando il potere repressivo si fondi su di una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è stato compiuto.
Da ciò discende che, ai fini della repressione dell’illecito edilizio, è comunque applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione dispone la sanzione, in quanto, attesa la natura permanente dell’illecito edilizio, colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera illecita, onde il potere di repressione può essere esercitato retroattivamente, anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere.
Alla natura di illecito permanente dell’abuso edilizio consegue l’applicazione del regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’Amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa, senza che sia ravvisabile la violazione del principio di irretroattività .
Questo stesso Consiglio (cfr. Sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4943) ha avuto modo di affermare che il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è, in conformità al principio del tempus regit actum, quello vigente al momento della sanzione, non già quello in vigore all’epoca di consumazione dell’abuso; e la natura della sanzione demolitoria, finalizzata a riportare in pristino la situazione esistente e ad eliminare opere abusive in contrasto con l’ordinato assetto del territorio, impedisce di ascrivere la stessa al genus delle pene afflittive, cui propriamente si attaglia il divieto di retroattività .
3. Alla riscontrata infondatezza delle censure declinate con il presente mezzo di tutela, accede il rigetto dell’appello all’esame, con integrale conferma della pronunzia resa in prime cure.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna, in solido, gli appellanti sigg.ri Co. An. e Gh. Di., al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidate nella misura di Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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