La regola di non discriminazione enunciata nell’articolo 3 Cost. comma 1

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 marzo 2021| n. 10335.

La regola di non discriminazione enunciata nell’articolo 3 Cost., comma 1, ha lo scopo di assicurare il livello più alto di attuazione del principio di uguaglianza, da intendere come parificazione di tutti gli esseri umani, in guisa da bandire ogni pulsione che alimenti la disuguaglianza e il razzismo (come discriminazione e diniego di diritti e facoltà su sola base etnico-razziale). Nel caso in esame, relativo ad ordinanza emessa dal sindaco per motivi sanitari nei confronti di immigrati africani, i giudici hanno ritenuto realizzata una forma di discriminazione, attraverso un atto amministrativo, emanato su pura base razziale, non indicante la ragione per la quale i soli soggetti appartenenti ad una determinata etnia dovessero essere ritenuti “pericolosi” per la salute pubblica.

Sentenza|17 marzo 2021| n. 10335

Data udienza 4 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Reati contro la persona – Istigazione all’odio razziale – Reato ex articolo 3 della legge 654/1975 – Sindaco – Ordinanza giustificata da motivi sanitari non documentati contro l’ingresso di africani e sudamericani

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Presidente

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – rel. Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/04/2019 della CORTE APPELLO di GENOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo;
Si procede nelle forme della trattazione scritta e in presenza;
Letta la requisitoria della Dott.ssa Giuseppina Casella, sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione che ha chiesto il rigetto del ricorso;
vista l’impugnazione presentata dalla difesa nell’interesse di (OMISSIS) che ha insistito per l’annullamento della decisione impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 8/4/2019, la Corte d’appello di Genova confermava la decisione del Tribunale di Savona del 19/1/2019 che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del delitto di cui alla L. 13 ottobre 1975, n. 654, articolo 3.
A (OMISSIS), in qualita’ di sindaco del Comune di Alassio, si addebitava di aver diffuso, mediante un’ordinanza in data 1.7.2015, idee fondate sulla superiorita’ razziale o di aver compiuto atti di discriminazione razziale. Il contenuto del provvedimento faceva divieto a persone prive di fissa dimora provenienti dall’area africana o sudamericana -se non in possesso di certificazione sanitaria attestante l’esenzione da malattie trasmissibili- di insediarsi sul territorio del comune di Alassio.
Il giudice di merito aveva escluso, a giustificazione, che l’atto si fondasse sulla preoccupazione per notizie derivanti da altre parti del territorio, avendo gia’ il giudice di primo grado valutato la possibilita’ anzidetta, ritenendo che non vi fossero i presupposti legittimanti l’emissione dell’ordinanza. Nel Comune di Alassio erano, invero, inesistenti le condizioni di emergenza sanitaria e risultava l’incoerenza della limitazione di accesso ai soli stranieri provenienti dall’area africana e dal sud (OMISSIS). Cosi’ l’ordinanza in esame aveva determinato una discriminazione nei confronti dei soggetti privi di fissa dimora e che non risultavano assistiti dal servizio sanitario nazionale, soggetti a cui era riservato un trattamento deteriore e di fatto “un’esclusione”, rispetto ad altri soggetti, in violazione del principio di eguaglianza.
Anche il richiamo al teste (OMISSIS) non si rivelava decisivo, essendo costui stato investito dell’incarico presso la Asl competente dopo l’emissione dell’ordinanza e avendo egli ammesso di non aver svolto nel comune di Alassio nessuna attivita’.
Lo stesso contenuto delle dichiarazioni, essenzialmente generiche, non documentava l’esistenza di una situazione di pericolo per la pubblica incolumita’ sul piano igienico-sanitario. Era, egualmente, da escludere un possibile fine preventivo, posto che il pericolo della diffusione di eventuali malattie non si sarebbe in ogni caso scongiurato ricorrendo all’ordinanza in questione, ne’ inibendo a cittadini africani o sudamericani di insediarsi sul territorio piuttosto che ad altri cittadini italiani o stranieri, in transito nel medesimo spazio geografico.
Infine, si riteneva esistente l’elemento psicologico, anche alla luce della palese illegittimita’ dell’ordinanza. Essa invero non si fondava su condizioni specifiche o su comportamenti dei soggetti anzidetti, ma sulla sola condizione di stranieri (africani o sudamericani) e dunque sulla mera nazionalita’, associata alla mancanza di fissa dimora e alla precarieta’ delle condizioni dei destinatari.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), con il ministero del difensore di fiducia e deduce quanto segue.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione di norme stabilite a pena di nullita’. Afferma che la notifica del decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte d’appello non era stata correttamente operata, essendo stata eseguita nei confronti di (OMISSIS) e non di (OMISSIS). Senza procedere a ulteriori ricerche l’atto era stato notificato al difensore ex articolo 161 c.p.p., comma 4. Il domicilio era stato correttamente indicato in via (OMISSIS) e il mancato perfezionamento era stato dovuto a un errore non imputabile all’imputato.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’inosservanza della legge penale e l’assenza dell’elemento oggettivo della fattispecie.
La L. n. 654 del 1975, articolo 3, prevede la diffusione o la propaganda di idee fondate sulla superiorita’ razziale ovvero il compimento di atti di discriminazione. Nella sentenza impugnata era stato erroneamente ritenuto il compimento di atti discriminatori. La Corte d’appello aveva ritenuto non fondata la tesi secondo cui il sindaco del Comune di Alassio avesse emesso l’ordinanza per motivi di tutela sanitaria. Il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 50, prevede, invero, l’emissione dell’ordinanza non solo nei casi in cui si siano verificate problematiche sanitarie, ma anche a fronte della necessita’ di prevenirle.
L’ordinanza era stata emessa per la tutela delle esigenze sanitarie e non per fini discriminatori.
2.3 Con il terzo motivo si deduce l’inosservanza della legge penale e l’assenza dell’elemento soggettivo.
Il reato in esame e’ a dolo specifico. L’ufficio di Procura aveva l’onere di provarlo a fronte della protesta d’innocenza e dell’emissione dell’ordinanza con il solo fine di assicurare tutela alle esigenze di igiene. Il provvedimento era stato emesso con l’appoggio della maggioranza e dopo aver sentito il comandante della polizia municipale e il segretario comunale. Si trattava, dunque, di un provvedimento assunto per le specifiche ragioni di sanita’ e di sicurezza pubblica.
2.4. Con il quarto motivo si deduce ancora il vizio di motivazione sull’elemento psicologico del reato. La Corte di merito aveva indicato nella parte finale del suo ragionamento che non era necessario che l’imputato avesse perseguito finalita’ razziste in modo esclusivo. Il reato si sarebbe verificato anche nel caso in cui si fosse perseguito il fine pubblico. Il ragionamento risultava illogico.
Non si era, infatti, dimostrata la sussistenza del dolo specifico, ne’ si sarebbe potuto prefigurare; non sarebbe, peraltro, valsa a ritenere l’anzidetta finalita’ razzista un’azione genericamente protesa a conseguire l’interesse pubblico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.
1. Va, innanzitutto, respinto il primo motivo di ricorso con cui (OMISSIS) lamenta l’erronea notificazione del decreto di citazione per il giudizio d’appello, eseguita nei confronti di (OMISSIS) e non del ricorrente. Si era operato, richiamando l’impossibilita’ di essa notificazione e applicando l’articolo 161 c.p.p., comma 4, a fronte di un quadro in cui facevano difetto i presupposti normativi per procedere alla notificazione presso il difensore.
Questa Corte ha affermato che integra una nullita’ di ordine generale a regime intermedio, la notifica del decreto di citazione a giudizio effettuata, anziche’ al domicilio dichiarato dall’imputato, al suo difensore di fiducia, in quanto, seppur irritualmente eseguita, essa non e’ inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (Sez. 1, n. 17123 del 07/01/2016, Fenyves, Rv. 266613; Sez. 2, n. 48260 del 23/09/2016, Zinzi, Rv. 268431).
In questo caso la parte avrebbe avuto onere di eccepire la nullita’ (v. Sez. 2, n. 50839 del 27/09/2019, Rv. 277808, che ne qualifica la natura come nullita’ relativa con la conseguenza della sua sanatoria la’ dove non sia stata eccepita, dopo aver compiuto per la prima volta l’accertamento sulla costituzione delle parti articolo 491 c.p.p., secondo il disposto dell’articolo 181 c.p.p., comma 3).
Ebbene cosi’ delineato il quadro giurisprudenziale la nullita’ formatasi risulta superata, poiche’ non e’ stata eccepita dal difensore di fiducia subito dopo il compimento, per la prima volta, degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti.
2. Il secondo motivo e’, al pari, infondato.
Si afferma che nella sentenza impugnata era stato erroneamente ritenuto il compimento di atti discriminatori. La Corte d’appello non avrebbe in sostanza considerato che il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 50, prevede l’emissione dell’ordinanza per motivi sanitari anche a fronte della necessita’ di prevenire le esigenze anzidette.
2.1 La L. 13 ottobre 1975, n. 654, articolo 3, punisce: a) chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorita’ o sull’odio razziale; o b) chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza, nei confronti di persone perche’ appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale.
Ai fini della configurabilita’ del reato previsto dalla L. 13 ottobre 1975, n. 654, articolo 3, comma 1, lettera a), prima parte, e successive modifiche, la “propaganda di idee” consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni. L’odio razziale o etnico” e’ integrato non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalita’ o alla religione, ma solo a un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori. La “discriminazione per motivi razziali” e’ quella, al contrario, fondata sulla qualita’ personale del soggetto e non sui suoi comportamenti.
L’interpretazione di tali elementi normativi deve essere compiuta dal giudice tenendo conto del contesto in cui si colloca la singola condotta, in modo da assicurare il contemperamento dei principi di pari dignita’ e di non discriminazione con quello di liberta’ di espressione onde valorizzare percio’ l’esigenza di accertare la concreta pericolosita’ del fatto (Sez. 3, n. 36906 del 23/06/2015, Salme’, Rv. 264376; Sez. 5,. n. 32862 del 07/05/2019, Borghezio, Rv. 276857).
La regola di non – discriminazione scritta nell’articolo 3 Cost., comma 1, ha, dunque, lo scopo di assicurare il livello piu’ alto di attuazione del principio di uguaglianza, da intendere come parificazione di tutti gli esseri umani, in guisa da bandire ogni pulsione che alimenti la disuguaglianza e il razzismo (come discriminazione e diniego di diritti e facolta’ su sola base etnico – razziale).
Cio’ posto si deve osservare che la Corte d’appello non ha affermato che l’articolo 50, Decreto Legislativo cit. non consente ai sindaci di emettere ordinanze per motivi sanitari anche per finalita’ preventive, ma ha ritenuto che il ricorso al potere d’ordinanza d’urgenza, nel caso di specie, non fosse legittimo, non ricorrendo i presupposti di legge per il suo esercizio. Con giudizio di fatto, insindacabile in questa sede, ha, poi, concluso per l’inesistenza di un pericolo per la salute pubblica che si collegasse a soggetti di etnia diversa da quella italiana. Ha cosi’ condiviso il convincimento del primo giudice del difetto delle sue condizioni e del carattere discriminatorio di essa.
La finalita’ discriminatoria e’ stata dunque collegata, richiamando un insussistente pericolo sanitario e un rischio specifico, ai soli soggetti provenienti dalle zone geografiche delimitate ((OMISSIS) e (OMISSIS)). A costoro, se privi di fissa dimora, era, infatti, inibito di stazionare sul territorio del Comune in mancanza di un’attestazione della Asl che ne certificasse le condizioni di salute. I soggetti anzidetti, tuttavia, non avrebbero potuto conseguire quella certificazione non godendo, tra l’altro, dei servizi erogati dal Servizio sanitario nazionale.
Si e’, pertanto, realizzata una forma di discriminazione, attraverso un atto amministrativo, su pura base razziale, senza spiegare, ne’ indicare la ragione per la quale i soli soggetti aventi quell’etnia dovessero essere “pericolosi” per la salute pubblica e si e’ richiesta per il superamento una prova irrealizzabile per la ragione indicata, non potendo le Asl rilasciare certificazioni aventi quel contenuto.
Si intende, dunque, il motivo per il quale l’atto amministrativo abbia deviato dalla sua finalita’ tipica, imponendo una prescrizione inesigibile, e quella per cui sia stato emesso in assenza del concorso dei suoi presupposti che avrebbero autorizzato in concreto l’esercizio del potere relativo.
Le ordinanze d’urgenza per ragioni sanitarie, invero, postulano una condizione di emergenza cui si debba far fronte (qui non sussistente) e devono essere adeguate razionalmente allo scopo (cura dell’interesse e del fine pubblico che ne concretizza l’oggetto).
Nella vicenda oggetto d’esame si e’ correttamente ritenuto che, da un lato, essa non fosse assunta nel concorso del presupposto d’urgenia (facendo riferimento a una situazione non riscontrata nella realta’) e, dall’altro, che non fosse conforme e congruente con la tipica finalita’ provvedimentale. Cosi’ operando e individuando una categoria di soggetti, selezionati solo con riguardo alla razza si e’ concretizzato un atto di pura discriminazione dei soggetti stessi, rispetto a tutti gli altri soggetti che, in astratto, sarebbero potuti essere potenzialmente veicoli di lesione per il bene della salute pubblica (cittadini e non) ammesso che vi fosse un rischio concreto.
3. Il terzo e il quarto motivo affrontano aspetti differenti che si collegano all’elemento psicologico del reato e, per le ragioni che li avvincono, possono essere trattati unitariamente.
Il primo aspetto riguarda l’affermata insussistenza del dolo specifico.
Questa Corte ha spiegato che in tema di atti di discriminazione razziale o etnica, mentre le condotte consistenti nel propagandare idee fondate sulla superiorita’ o sull’odio razziale o etnico ovvero nell’istigare a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi configurano ipotesi di reato a dolo generico, quelle consistenti nel commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o nel commettere violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi configurano, invece, reati a dolo specifico, in quanto in tali ultime ipotesi il motivo ispiratore eccede la condotta discriminatoria o violenta, mentre nel caso della propaganda o dell’istigazione tale motivo e’ incluso nelle idee propagandate o negli atti discriminatori istigati (Sez. 3, n. 37581 del 07/05/2008, Mereu, Rv. 241074).
La tipicita’ del fatto recupera alla discriminazione il dolo della condotta, connotandolo anche della sua specificita’ proprio in ragione dell’atteggiarsi dell’esercizio del, potere provvedimentale.
Del resto si deve ribadire che il dolo specifico, necessario per configurare il fatto tipico non determina la necessita’ del raggiungimento del fine perseguito perche’ esista la consumazione.
Dolo specifico e’ un fine particolare per il cui conseguimento l’autore agisce ed e’ necessario che costui sia spinto da quell’obiettivo, che, tuttavia, non deve realizzarsi per la consumazione del fatto.
Il ragionamento svolto dal giudice di merito e’ corretto. Il compimento degli atti discriminatori per fini razziali integra un’ipotesi di dolo specifico, fine che si abbraccia alla condotta e che connota la tipicita’ dell’intero paradigma normativo. Non occorre che quel fine sia concretamente conseguito per aversi consumazione e basta la semplice azione sorretta da quella peculiarita’.
Il ricorso non si confronta con detto aspetto e collegandosi ad una impostazione in chiave essenzialmente psicologica della colpevolezza ritiene non sussistente il fine di discriminazione razziale.
Contrariamente, la sentenza impugnata ha esattamente individuato l’aspetto in esame e ha chiarito che l’intera valutazione degli elementi di fatto delineati dalla condotta rivelassero il dolo della fattispecie e il fine specifico dell’azione. Primo fra tutti, appunto, il contenuto di macroscopica illegittimita’ dell’ordinanza emessa che, unito ai tratti specializzanti della obiettiva discriminazione, in concreto, connotava il fine razzista caratterizzante l’atto amministrativo.
In questa logica sono state richiamate le etnie escluse dalla possibilita’ di transitare e permanere sul territorio e la necessita’ di una autorizzazione della Asl solo in apparenza rilasciabile, secondo quanto gia’ esplicitato.
Ne’ vale il richiamo alla finalita’ principale dell’ordinanza in funzione dell’esclusione del fine anzidetto, collegato ai rischi per l’igiene e la salute pubblica.
La sentenza impugnata ha spiegato che non v’era rischio concreto per i beni indicati (fl. 3 della sentenza e fl. 4 della decisione di secondo grado), giungendo ad una conclusione di assoluta genericita’ delle dichiarazioni testimoniali rese sul tema sanitario e sulle potenziali finalita’ preventive (fl. 5).
Si intende allora come, a prescindere dalla prova che l’ordinanza fosse stata emessa con il supporto della maggioranza politica e con l’assenso del segretario comunale, dopo aver, tra l’altro, sentito il comandante la polizia municipale, anche acquisizioni siffatte in aperta assenza del presupposto di specie (ragioni igienico-sanitarie) non avrebbero avuto effetto esimente ne’ avrebbero eliso il profilo dell’antigiuridicita’.
Infine privo di correlazione e’ l’argomento su una possibile lettura alternativa della fattispecie nell’ottica colposa.
La’ dove l’ordinanza avesse assunto anche quel tipo di fine, essa, si e’ accertato nella decisione impugnata, era stata resa non con lo scopo anzidetto (tutela di un interesse pubblico), ma per un fine diverso di esclusione di determinate categorie di soggetti (individuati sulla scorta della razza) dalla possibilita’ di permanere sul territorio comunale. La mancanza della condizione di esercizio del potere e della situazione di rischio per l’igiene e la sanita’, pertanto, escludevano anche la possibilita’ di emissione dell’ordinanza d’urgenza con quella finalita’.
Deve sul punto osservarsi che il dolo e’ coscienza e volonta’ del fatto tipico e il dolo specifico, nell’accezione delineata, non e’ escluso dall’esistenza di finalita’ concorrenti, che connotano l’agire dell’autore del fatto.
L’ultima critica affrontata sul tema del dolo e’ inammissibile. Con essa si tende a ottenere da questa Corte un giudizio di fatto sulla finalita’ dell’ordinanza e sul fine razzista. Il giudizio, essenzialmente di fatto e’ stato gia’ ampiamente svolto dai giudici di merito e il risultato della prova acquisita e’ immune dalle censure rivolte.
Nel motivo di ricorso si insiste, invero, sul dato per cui ricorre nella specie il perseguimento di un fine pubblico, contrariamente escluso da una serie di elementi gia’ richiamati a proposito del fine che ha connotato il dolo specifico, fine che ex se ha escluso nel giudizio di merito il concreto e reale perseguimento della finalita’ pubblicistica a tutela della salute, condizione non sussistente.
Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *