La previsione dell’art. 73 c.p.a.

Consiglio di Stato, sezione quinta, sezione terza, Sentenza 21 novembre 2019, n. 7932.

La massima estrapolata:

La previsione dell’art. 73 c.p.a. (“le parti possono… presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi”) implica il corollario che l’oggetto della replica debba rimanere contenuto nei limiti della funzione di contrasto alle difese svolte nella memoria conclusionale avversaria, onde evitare che il diritto di controdedurre si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali.

Sentenza 21 novembre 2019, n. 7932

Data udienza 17 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2899 del 2019, proposto da
Comune della Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Ca., Et. Fu., Ma. Pu., Gi. Co., Fa. De., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia Roma e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Co. in Roma, via (…);
contro
Commissione Albo Odontoiatri – Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia della Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
nei confronti
Ir. Co. Od. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);

sul ricorso numero di registro generale 2920 del 2019, proposto da
Ir. Co. Od. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
contro
Commissione Albo Odontoiatri – Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia della Spezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
nei confronti
Comune della Spezia – non costituito in giudizio;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 2899 e 2920 del 2019:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00173/2019, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento della nota 30/7/2018, con la quale il Comune della Spezia ha comunicato di non dover provvedere all’assunzione, nei confronti del Centro Odontoiatrico “Ir.” sito in via (omissis), del provvedimento sanzionatorio della sospensione previsto dagli artt. 4 comma 2 e 5 comma 5 della legge n. 175/1992 e s.m.i., a fronte della pubblicazione di annunci pubblicitari privi dell’indicazione del nominativo e dei titoli professionali del Direttore Sanitario del Centro stesso;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Commissione Albo Odontoiatri – Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia della Spezia e di Ir. Co. Od. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2019 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti gli avvocati Ma. Pu., Gi. Co., Ma. Pe. su delega di Ma. Cr. e Al. Ru. su delega di Lu. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con nota 8/6/2018 prot. n. 1357, la Commissione Albo Odontoiatri – Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia della Spezia, ha segnalato al Comune della Spezia, ai fini dell’assunzione dei provvedimenti sanzionatori di competenza, che Ir. Co. Od. S.r.l. aveva effettuato su alcuni quotidiani, tra i mesi di ottobre 2017 e maggio 2018, pubblicità del proprio Centro Dentistico con sede alla Spezia, via (omissis), senza indicare il nominativo e i titoli professionali del Direttore Sanitario della struttura, quindi in asserita violazione dell’obbligo previsto dagli artt. 4 comma 2 e 5 comma 5 della legge n. 175/1992 e s.m.i..
2. Il Comune della Spezia, dapprima, con nota 13/7/2018, ha notiziato la Commissione di aver rimesso la definizione della questione all’Avvocatura Civica; quindi, con nota del 30/7/2018, le ha comunicato – in dichiarata adesione alle indicazioni contenute nel parere dell’Avvocatura Civica acquisito in pari data – che il potere comunale di irrogare la sanzione ex artt. 4 comma 2 e 5 comma 5 della legge n. 175/1992 presuppone il previo accertamento, da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dell’effettiva sussistenza di una pubblicità scorretta, accertamento che sarebbe onere dell’Ordine dei Medici richiedere.
3. Con istanza 1/8/2018 prot. n. 2092, la Commissione ha invitato il Comune a riesaminare l’erronea decisione assunta, chiarendo che gli artt. 4 e 5 della legge n. 175/1992 non subordinano l’obbligo sanzionatorio ivi previsto alla previa pronuncia dell’AGCM circa l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, ma impongono al Comune di (avviare il procedimento sanzionatorio ed) emanare la sanzione a fronte dell’effettivo riscontro dell’assenza, nel messaggio pubblicitario, del nominativo e dei titoli professionali del Direttore Sanitario del Centro Dentistico.
4. In riscontro alla suddetta istanza di riesame, il Comune, con nota 10/8/2018, ha comunicato di restare in attesa di ulteriori acquisizioni onde valutare “.. gli eventuali adempimenti successivi da adottare”.
5. In assenza di ulteriori iniziative da parte dell’amministrazione compulsata, la Commissione ha proposto ricorso al Tar Liguria al fine di ottenere l’annullamento della nota comunale 30/7/2018 e degli atti correlati nonché l’accertamento e la declaratoria dell’obbligo del Comune medesimo di provvedere nei confronti di Ir. S.r.l. alla vincolata assunzione del provvedimento sanzionatorio di che trattasi e alla conseguente condanna dello stesso Comune a provvedere in tal senso.
6. L’impugnativa è stata affidata a due motivi, come segue.
– Quanto alla domanda di annullamento (I° motivo), è stato in sintesi contrastato l’assunto secondo il quale il Comune potrebbe applicare la sanzione soltanto dopo che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “abbia accertato”, su sollecitazione dell’Ordine dei Medici, “la violazione del rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario”.
– Quanto alla domanda di accertamento, declaratoria e condanna (II° motivo) è stato evidenziato che la sanzione della sospensione prevista dagli artt. 4 comma 2 e 5 comma 5 della legge n. 175/1992 costituisce provvedimento vincolato (nell’an), che il Comune della Spezia avrebbe dovuto adottare, dato che si è verificato il presupposto tipizzato dalla legge per l’emanazione dello stesso (vale a dire, la dimostrata esistenza di una pubblicità priva dell’indicazione del Direttore Sanitario).
7. Con sentenza n. 173/2019, il T.A.R. Liguria, dopo aver respinto le preliminari eccezioni di rito sollevate dalle resistenti, ha accolto il ricorso, per l’effetto ordinando al Comune di avviare nei confronti di Ir. S.r.l., entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza stessa, il procedimento sanzionatorio ex art. 5 legge n. 175/1992.
8. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello, con due distinti ricorsi, il Comune della Spezia (R.G. 2899/2019) e Ir. (R.G. 2920/2019).
9. In entrambi i procedimenti il contraddittorio si è svolto mediante la costituzione delle parti intimate (come indicate in epigrafe), le quali hanno preso posizioni sulle questioni dedotte, argomentando in replica agli assunti avversari.
10. L’istanza cautelare è stata rinviata al merito.
11. Nel corso dello scambio delle memorie ex art. 73 c.p.a., il Comune appellante (nel procedimento n. 2899/2019) ha depositato in data 25.9.2019 una memoria di “replica”, della quale la Commissione d’Albo ha eccepito la irritualità, sostenendo che non erano state svolte deduzioni, ulteriori e diverse da quella già formulate in risposta all’atto di appello, che giustificassero l’esercizio del diritto di “replica”.
12. Le due cause sono state discusse e poste in decisione all’udienza pubblica del 17 ottobre 2019.

DIRITTO

1. I profili di connessione soggettiva e oggettiva che legano i due procedimenti, convergenti sui medesimi atti ed accomunati da una base deduttiva coincidente, ne suggeriscono la trattazione unitaria, ai sensi dell’art. 70 c.p.a..
2. Sempre in via preliminare ed in adesione ai rilievi sollevati dalla parte eccipiente, deve procedersi allo stralcio dal fascicolo n. 2899/2019 della memoria di “replica” depositata dal Comune appellante in data 25.9.2019, a fronte di deduzioni della controparte appellata che si erano ripetute invariate nella memoria del 6.5.2019, depositata in vista della camera di consiglio, e nella successiva memoria ex art. 73 c.p.a., datata 13.9.2019.
Essendo rimasto invariato l’assetto della prospettazione introduttiva della parte appellata – contrastabile dalla parte appellante con la prima memoria ex art. 73 c.p.a. – non è sorto alcun diritto di replica, in capo a quest’ultima, che potesse abilitarla al deposito di una seconda memoria ex art. 73 c.p.a..
2.1. Nel processo amministrativo non è infatti consentito utilizzare la memoria di replica ove quella conclusionale della controparte (nel caso de quo la memoria della Commissione d’Albo depositata il 13.9.2019) non contenga effettive nuove deduzioni ma solo la riproposizione di argomenti già in precedenza svolti.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha infatti chiarito che la previsione dell’art. 73 c.p.a. (“le parti possono… presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi”) implica il corollario che l’oggetto della replica debba rimanere contenuto nei limiti della funzione di contrasto alle difese svolte nella memoria conclusionale avversaria, onde evitare che il diritto di controdedurre si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali (Cons. Stato, sez. IV, n. 6251/2018 e sez. II, n. 6534/2019).
2.2. La logica di tale soluzione si rinviene innanzitutto nel dato testuale dell’art. 73 c.p.a., nella parte in cui qualifica come “nuove” le deduzioni meritevoli di replica e accomuna sotto l’egida di questa comune qualificazione tanto i “nuovi documenti” quanto le “nuove memorie”. Dunque, il dettato normativo pare correlare l’esercizio del diritto di replica alla sussistenza di elementi di “novità ” portati dalle allegazioni – argomentative o documentali – della parte prima deducente.
2.3. Conduce alla medesima conclusione la ratio del citato art. 73 c.p.a., che è quella di impedire la proliferazione degli atti difensivi ed, al contempo, di garantire la par condicio delle parti, evitando elusioni dei termini deputati alla presentazione delle memorie. A tale finalità è funzionale un’interpretazione di contrasto all’espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica, in quanto non giustificato da reali necessità o utilità difensive e tale, invece, da precludere, alla parte che subisca la tardiva replica avversaria, la possibilità di controdedurre per iscritto (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sez. I, n. 66/2016; T.A.R. Lazio, sez. I, n. 7494/2016; T.A.R. Toscana, sez. II, nn. 171 e 491/2019).
2.4. In un’ottica di inquadramento sistematico dei ruoli processuali, la lettura che si propone è dunque solo apparentemente restrittiva dell’esercizio del diritto di difesa. Ciò non solo in quanto il diritto di replica non viene a subire in realtà, per effetto di tale contingentamento temporale, alcuna sostanziale limitazione, conservando ciascuno dei contendenti la possibilità di controdedurre alle prime difese avversarie entro il termine per il deposito della memoria cautelare o della prima memoria ex art. 73 c.p.a.; ma anche in quanto non è possibile ravvisare alcun apprezzabile aggravio di oneri processuali che gli stessi deducenti siano costretti a subire per il fatto di dover anticipare alla prima occasione utile le proprie argomentazioni in replica.
2.5. Di più, sul piano della funzionalità del giudizio, la corretta osservanza dei termini ex art. 73 c.p.a. determina un potenziamento del contraddittorio, poiché consente allo stesso di svilupparsi nel modo più esteso possibile; ed in proposito è il caso di considerare che l’interesse al suo corretto svolgimento trascende la mera utilità delle parti ed impone che il pieno spiegamento delle loro facoltà difensive si coniughi con l’esigenza del più compiuto e ordinato sviluppo della dialettica processuale, a garanzia di un esito decisionale qualitativamente soddisfacente. Sempre in quest’ottica, merita osservare che l’anticipazione al primo momento utile delle deduzioni difensive di replica arricchisce la base argomentativa della controversia; pone l’altra parte nella condizione di contro-replicare per iscritto (con la seconda memoria ex art. 73 c.p.a.) ed impedisce che lo scambio deduttivo, per effetto dell’introduzione tardiva (cioè solo con la seconda memoria ex art 73 c.p.a.) di argomenti già in precedenza deducibili, venga “strozzato” in vista della conclusione del giudizio, ovvero posposto alla fase orale della udienza di discussione, rendendone poi necessario, ove non altrimenti ovviabile, il differimento ad altra data.
2.6. Infine, a favore della soluzione qui perorata militano almeno tre ulteriori principi di carattere generale.
i) Innanzitutto, il principio della “ragionevole durata del processo” (art. 111 Cost.), il quale osta ad un impiego immotivatamente dilatorio e strumentale dei tempi processuali (non a caso, in tema di equa riparazione del danno ex l. n. 88/2001, nel conteggio della “ragionevole durata” del processo non si tiene conto degli immotivati ritardi imputabili alla parte).
ii) Principio di orientamento coincidente è quello che fa divieto di utilizzo abusivo dei mezzi processuali. Si tratta di una regola di condotta – frutto di una elaborazione che si riallaccia al canone costituzionale di solidarietà e a quello civilistico di correttezza e buona fede – che impone ad ogni soggetto processuale, pur nella libera opzione delle più convenienti strategie di difesa, di non esercitare un’azione o una facoltà di rito con modalità tali da implicare un aggravio della sfera della controparte e senza ricavarne un vantaggio compensativo di ana peso e meritevole di tutela (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 656/2012). Esattamente questa condizione di ragionevole ed equilibrata proporzione non pare verificarsi nel caso in esame, in quanto il sacrificio imposto ad uno dei due contendenti non è bilanciato da nessuna apprezzabile e meritevole utilità per l’altra parte, come tale non potendosi certamente intendere l’eventuale intento – meramente speculativo e strumentale – di limitare le “controrepliche” scritte avversarie. Nel concetto di “esercizio abusivo” sta quindi la finalità di impedire che possano essere conseguiti vantaggi attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da violare le regole di correttezza e alterare la funzione propria dello strumento impiegato.
iii) Nel medesimo senso qui caldeggiato milita, infine, il principio di “effettività ” della tutela processuale, il quale, lungi dal potersi risolvere in un canone interpretativo o conformativo di esclusivo e unilaterale favore per la parte che agisce in giudizio (quindi come garanzia di una tutela effettiva delle sue posizioni giuridiche), si ritiene debba essere inteso anche come clausola di garanzia dell’utilità e dell’efficacia della funzione giurisdizionale in quanto tale; sicché, venendo al caso, se lo svolgimento ordinato e fruttuoso della dialettica processuale richiede una sollecita cooperazione delle parti, questa è dovuta anche in ragione del soddisfacente e proficuo perseguimento dello scopo istituzionale dell’attività giudiziale unitariamente intesa.
2.7. Portando a conclusione le considerazioni sin qui esposte occorre ribadire che nel caso di specie è pacifica, oltre che testuale, l’identità delle deduzioni contenute nella prima memoria ex art. 73 c.p.a. della Commissione d’Albo, datata 13.9.2019, rispetto a quelle introdotte nella precedente memoria del 6.5.2019, depositata in vista della camera di consiglio.
Il dato non è contestato dalla difesa comunale ed, in combinato disposto con le motivazioni sin qui illustrate, induce a concludere che la memoria comunale depositata il 25.9.2019 esula dai limiti di un tempestivo (e quindi ammissibile) esercizio del diritto di replica.
2.8. La stessa memoria non può neppure essere considerata come “prima memoria” ex art. 73 c.p.a. ed essere ammessa, per tale via, agli atti del giudizio, essendo stata depositata oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 73 c.p.a. (Cons. Stato, sez. III, n. 2855/2019).
2.9. Per tutto quanto esposto, in accoglimento dell’eccezione preliminare sollevata in tal senso dalla parte appellata, occorre disporne lo stralcio dal fascicolo n. 2899/2019.
3. Nel merito, il primo motivo d’appello (riferito, in particolare alla asserita violazione degli artt. 2, III comma; 3, II comma e 4 del d.lgs 233/46; dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 7 d.lgs 104/2010), investe il tema della legittimazione e dell’interesse a ricorrere della Commissione d’Albo (COA).
Sul punto il primo giudice ha statuito che:
– “ai sensi dell’art. 3 comma 2 lett. e) del D.Lgs. C.P.S. 13.9.1946, n. 233, alle commissioni di albo spetta, tra l’altro, di dare il proprio concorso alle autorità locali nell’attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione.
– Ne consegue che la commissione ricorrente, quale organo dell’ordine (art. 2 comma 1 lett. c D.Lgs. n. 233/1946) cui spetta la rappresentanza esponenziale della professione odontoiatrica (art. 3 comma 2 lett. b D.Lgs. n. 233/1946), è titolare di una specifica posizione qualificata – differenziata rispetto all’interesse alla legalità che fa capo a quivis de populo all’attuazione dei provvedimenti, sicché appare senz’altro legittimata per un verso a segnalare – a tutela dell’intera categoria rappresentata – gli illeciti professionali e a sollecitare alle autorità locali l’adozione dei relativi provvedimenti sanzionatori; e, per altro verso, ad agire ex art. 7 commi 1 e 4 c.p.a. per l’accertamento dell’obbligo di provvedere, in caso di diniego e/o di omissione dell’esercizio del corrispondente potere amministrativo.
– Per il resto, il dott. Sa. Sa., quale presidente della Commissione Albo Odontoiatri (doc. 2 delle produzioni 23.11.2018 di parte controinteressata), ha la rappresentanza del relativo albo (art. 2 comma 10 D. Lgs. n. 233/1946), e dunque riveste senz’altro la connessa legittimazione processuale”.
3.1. Secondo le parti appellanti, il primo giudice avrebbe omesso di considerare che né il decreto “Bersani”, né altra norma ha mai attribuito alla Commissione d’Albo il potere di accertamento della sanzione accessoria della sospensione dell’attività medica irrogabile dal Comune; e che, di fronte ad un procedimento dal carattere afflittivo/sanzionatorio, unico soggetto legittimato a dolersene è la parte sanzionata, mentre alcun interesse qualificato può profilarsi in capo alla Commissione, neppure in relazione alla sua funzione di “rappresentanza esponenziale” degli esercenti la professione medica/odontoiatrica.
Risulterebbe quindi irrilevante il riferimento alla capacità della Commissione d’Albo di dare il proprio concorso alle autorità locali nell’attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione, in quanto tale funzione non può certo estendersi fino a riconoscere in capo alla stessa il potere di accertamento di violazioni amministrative, sì da imporre al Comune l’irrogazione di provvedimenti sanzionatori che comunque coinvolgano i propri associati.
L’interesse generale all’applicazione delle misure meramente afflittive è proprio in via esclusiva dell’ordinamento e l’unica situazione giuridica soggettiva da esse direttamente incisa è quella del soggetto sanzionato, non potendosi intravedere altro bene della vita, rientrante nella sfera giuridica della CAO, in qualche modo negato o impedito dal provvedimento impugnato.
Inoltre, il potere di segnalazione al Comune delle violazioni in tema di pubblicità sanitaria, riconosciuto in sentenza alla stessa CAO, non è previsto da alcuna disposizione normativa e, comunque, non può implicare la legittimazione ad agire contro i provvedimenti adottati in esito alla segnalazione, in quanto, sempre a detta delle parti appellanti, esso non si differenzierebbe dal generale potere di esposto del singolo (sanitario, cittadino, utente, consumatore) portatore di un generico interesse alla legalità, non tutelabile giudizialmente.
Ne consegue che, ad avviso delle parti appellanti, l’eventuale ricorso – considerato quanto previsto dalla disciplina organizzativa dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri anche dopo la c.d. “riforma Lorenzin” (L. n. 3/2018) – avrebbe semmai dovuto essere proposto dall’Ordine, per il tramite del Presidente di quest’ultimo, non dalla CAO, che ne costituisce solo un’articolazione organizzativa, priva di capacità processuale autonoma.
3.2. Con un ulteriore motivo (sempre per violazione degli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs 233/46; dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 7 d.lgs 104/2010), strettamente consequenziale al primo, si sostiene l’erroneità della sentenza per aver ritenuto la Commissione d’Albo titolare di capacità processuale autonoma rispetto a quella facente senz’altro capo all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, e ciò per il solo fatto che essa è abilitata a “dare il proprio concorso alle autorità locali nello studio e nella attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione”.
Al contrario, secondo le parti qui ricorrenti, il conferimento di una capacità di intervento, peraltro circoscritto ad una partecipazione meramente collaborativa alle fasi di studio ed esecutive di provvedimenti di interesse per la professione, è cosa ben diversa dal riconoscimento di una autonoma e indipendente capacità processuale, da esercitarsi prescindendo dalla struttura unitaria dell’ente associativo professionale e dall’esigenza, pure affermata dal legislatore, di mantenimento dell’unità funzionale di questo rispetto alle distinte Commissioni d’Albo.
In altri termini, la Commissione Albo Odontoiatri costituisce, al pari delle varie commissioni d’albo presenti all’interno dei diversi ordini professionali, un’articolazione interna all’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri, unica entità legittimata, attraverso il proprio legale rappresentante debitamente autorizzato dal Consiglio, ad agire processualmente per la tutela delle situazioni soggettive facenti capo all’Ordine professionale nel suo complesso.
In tal senso dispone il nono comma dell’art. 2 della d.lgs 233/46, non derogato – diversamente da quanto ritenuto dal Tar – dal successivo art. 3, comma 2.
3.3. A parer del Collegio, le censure sin qui riepilogate possono essere raccolte a fattor comune ed esaminate unitariamente, in quanto poggianti su una comune trama logica.
Le stesse trovano soluzione normativa in una lettura sistematica delle previsioni del d.lgs. 233/1946 (come innovato dall’art. 4 della legge n. 3/2018 – recante “Riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie”) ed, in particolare, degli artt. 2 comma 1 lett. “c” e 3 comma 2 lett. “b” ed “e”.
Dette disposizioni tracciano un quadro regolativo nel quale la COA figura quale organo autonomo dell’Ordine professionale (art. 2 comma 1 lett. “c”), abilitato ad “assumere, nel rispetto dell’integrità funzionale dell’Ordine, la rappresentanza esponenziale della professione” (art. 3 comma 2 lett. “b”) e chiamato a “dare il proprio concorso alle autorità locali… nell’attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessar(la)” (art. 3 comma 2 lett. “e”).
Le stesse disposizioni delineano, pertanto, in capo alla COA una posizione giuridica “qualificata” e “differenziata” rispetto a quella della generalità dei consociati, facendone il tutore degli interessi della categoria professionale di cui essa è esponente.
3.3.1. L’illecito professionale, in quanto conseguente ad un esercizio della professione non conforme alle regole, è evenienza che la Commissione ha evidente interesse a segnalare alle autorità competenti, potendone sortire un intervento repressivo volto a ristabilire la regola violata e a ricondurre ad essa il contravventore, nell’interesse dell’intera categoria professionale.
Nel caso di specie, la COA ha per l’appunto agito a vantaggio della intera categoria e nei confronti di una società operante in regime di concorrenza nel settore odontoiatrico, invocando il rispetto, da parte della stessa, come di tutti gli operatori nel settore sanitario, degli obblighi in tema di pubblicità, in quanto strumentali ad un corretto esercizio della concorrenza.
Può dunque affermarsi che nella materia in esame, innervata da legittime aspettative riferibili alla categoria professionale odontoiatrica nel suo insieme, la posizione di organo esponenziale di tali interessi è propria della COA e la abilita ad attivarsi affinché le regole che governano l’esercizio della professione vengano garantite, nel rispetto, da parte di tutti gli operatori, del prestigio della professione, oltre che delle regole di par condicio e di leale concorrenza.
3.3.2. D’altra parte, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 10/2011, ha riconosciuto che è interesse istituzionale dell’Ordine professionale (munito quindi dei necessari caratteri di omogeneità, unitarietà e diretta riferibilità all’intera categoria professionale rappresentata) “quello di assicurare il pieno rispetto della par condicio nell’esercizio dell’attività professionale”, sicché “non può negarsi la legittimazione a far valere in giudizio tale interesse anche nei confronti di iscritti che, rivestendo ruoli particolari (pubblici dipendenti o – come nel caso – docenti), si ritiene possano operare professionalmente in dispregio di tale principio di parità “.
3.3.3. Nello sesso senso si consideri, ancora, che tra le attribuzioni che la legge conferisce alla Commissione di Albo rientra anche quella di “adottare e dare esecuzione” oltre che “ai provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti gli iscritti all’albo”, anche “a tutte le altre disposizioni di ordine disciplinare e sanzionatorio contenute nelle leggi e nei regolamenti in vigore” (art. 3 comma 2, lett. “c”).
3.3.4. Se anche fosse vero, poi – come sostiene l’appellante Ir. – che la disposizione che secondo la CAO sarebbe stata violata (art. 4 della L. n. 175/1992) non è applicabile al caso di specie (in quanto riferita solo a ” le case di cura private e i gabinetti e ambulatori mono o polispecialistici soggetti alle autorizzazioni di legge “, e quindi non ai professionisti del settore sanitario che operano in forma individuale al di fuori di strutture complesse soggette al regime autorizzatorio – v. pag. 21), ciò non comprometterebbe l’interesse della COA ad ottenere un pronunciamento del Comune accertativo dell’eventuale limite applicativo della disposizione.
In altri termini, non pare corretto circoscrivere l’interesse della COA ad uno specifico ed predeterminato (ancorché non prevedibile) esito della sua iniziativa giurisdizionale.
3.3.5. Appare opportuno intendersi, invece, sul significato e sulla portata dei poteri riconosciuti alla Commissione, tra i quali non è certo ricompreso quello di accertare comportamenti illeciti o proporre sanzioni, ma, al più, quello di sollecitare gli organi a ciò preposti affinché esaminino situazioni potenzialmente lesive dell’interesse di categoria.
E’ dunque erronea e fuorviante l’affermazione svolta in appello secondo la quale il Tar avrebbe riconosciuto “in capo alla CAO il potere di accertamento di violazioni amministrative, sì da imporre al Comune l’irrogazione di provvedimenti sanzionatori che comunque coinvolgano i propri associati” (punto 1.12 nonché, similmente, punti 1.3, 1.18, 1.19, 1.22 e 1.23 dell’appello).
Al contrario, il Tar non si è spinto sino ad attribuire alla CAO il potere di accertamento dell’illecito amministrativo da sanzionare, posto che lo stesso spetta alle “autorità locali”; né ha affermato il diritto dell’Ordine o di suoi organi di pretendere, proponendo allo scopo azione giudiziale, che tale Amministrazione irroghi effettivamente la sanzione auspicata, ovvero la emani nei termini e con il contenuto “graditi” alla parte richiedente. Al contrario, il Tar si è limitato a riconoscere in capo alla CAO il potere di insorgere giudizialmente avverso il mancato esercizio di tale potere di accertamento da parte delle “autorità locali”. Come si è detto, si tratta di un interesse all’accertamento in quanto tale, non ad un suo specifico esito.
3.3.6. La facoltà di concorrere “..nell’attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione” intercetta, a ben vedere, l’esatta dimensione del potere azionato, essendo questo, come opportunamente segnalato dalla parte appellata, qualcosa di più di un semplice interesse partecipativo a meri fini di “collaborazione” non azionabile in giudizio (si consideri, in tal senso, la differenza che intercorre tra “concorso” e “collaborazione”); e qualcosa di meno “di un potere di accertamento della condotta sanzionabile”, che il Tar non ha attribuito alla CAO, ma al Comune, garantendo le rispettive competenze individuate dalla legge.
L’azionabilità in sede processuale della descritta posizione sostanziale – oltre a trovare conferma nella ampia latitudine dei poteri “esponenziali” disciplinati dal d.lgs. 233/1946 e non circoscritti ad un ambito “extra processuale” (per quanto si dirà nel prosieguo) – è conseguente al generale principio che associa la funzione istituzionale di ente rappresentativo di una determinata categoria di interessi collettivi alla legittimazione ad agire contro gli atti suscettibili di recare pregiudizio agli stessi interessi. D’altra parte, se tale potere di segnalazione non fosse “giustiziabile”, ovvero presidiato dalla garanzia di poter agire in giudizio avverso i conseguenti atti dell’ente comunale reputati illegittimi, esso si ridurrebbe ad un vuoto simulacro, di fatto equiparandosi la posizione della COA a quella (pur non qualificata, né differenziata) del quivis de populo.
3.3.7. L’interesse ad agire della COA non potrebbe essere sterilizzato neppure dal potenziale conflitto che venisse a determinarsi all’interno della categoria rappresentata tra il soggetto potenziale destinatario della sanzione e gli altri appartenenti all’albo.
Di recente questa stessa sezione ha affermato, sul tema in oggetto, che “l’interesse dell’ordine professionale (e lo stesso è a dirsi, come nel caso di specie, di più albi nello stesso Ordine) va riconosciuto anche nell’ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto di interessi tra ordine professionale e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell’atto impugnato, che l’ordine assuma invece essere lesivo dell’interesse istituzionalizzato della categoria (cfr. Consiglio di Stato ad. Plen. n. 10 del 4.1.2011; Consiglio di Stato sez. V, 09/03/2015, n. 1193). L’interesse collettivo, vieppiù se definito in ambito normativo, non s’identifica, infatti, nella sommatoria degli interessi individuali degli associati ma si compendia nella sintesi degli stessi in un interesse qualitativamente diverso da quelli dei singoli e che vive di vita propria. Ne deriva l’insussistenza di alcuna incompatibilità, logica e giuridica, tra lesione dell’interesse astratto della collettività e beneficio arrecato all’interesse individuale” (Cons. Stato. Sez. III, n. 5605/2019).
3.3.8. Per tutto quanto esposto, il primo motivo va respinto.
3.4. Nell’esaminare il secondo mezzo di impugnazione, che segue in stretta e logica connessione al precedente, è utile dare conto della complessiva riconfigurazione delle competenze delle Commissioni dei Medici e degli Odontoiatri, operata dall’art. 4 comma 1 della citata legge n. 3/2018, il quale:
– modificando l’art. 2 comma 1 del d.lgs. n. 233/1946 ha previsto che, negli Ordini comprendenti più professioni, come l’OMCeO (e a differenza di quelli monoprofessionali) la “commissione di albo” è un “organo” dell’Ordine, alla pari del “Consiglio direttivo”: donde, all’evidenza, il definitivo superamento dell’art. 6 comma 8 della legge n. 409/1985 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria) secondo il quale le commissioni erano costituite “in seno ai Consigli direttivi”, e della correlata affermazione di parte appellante secondo la quale la Commissione costituirebbe una mera “articolazione interna” all’Ordine. Appare altresì inconferente l’assai risalente sentenza della Cassazione Sez. Un. n. 8480/1990 (richiamata da Ir. a pag. 14 dell’appello) che su tale art. 6 comma 8 legge 409/1985 esplicitamente si fondava;
– all’art. 2 comma 10 ha previsto che il Presidente della Commissione di Albo è eletto a maggioranza assoluta dei componenti e sfiduciabile con la maggioranza dei due terzi e “ha la rappresentanza dell’albo, di cui convoca e presiede la Commissione” stessa, così come il Presidente del Consiglio Direttivo, eletto e sfiduciabile con le stesse maggioranze, “ha la rappresentanza dell’Ordine, di cui convoca e presiede il Consiglio” medesimo (art. 2 cit., commi 8 e 9). Si noti che la legge utilizza, in relazione a tali “organi”, le stesse espressioni, segnatamente quanto a modalità di elezione e prerogative del Presidente (cfr. art. 2 commi 8, 9 e 10), ed esplicita un potere di “rappresentanza” che nel previgente testo normativo non figurava con uguale nettezza;
– all’art. 3 comma 2 ha stabilito, come si è già esposto, che alla Commissione di Albo spettano, tra le altre, le attribuzioni di “assumere, nel rispetto dell’integrità funzionale dell’Ordine, la rappresentanza esponenziale della professione” (lett. b); di “adottare e dare esecuzione [senza passare per il tramite dell’Ordine e senza che questi vi si possa opporre] ai provvedimenti disciplinari nei confronti di tutti gli iscritti all’albo e a tutte le altre disposizioni di Ordine disciplinare e sanzionatorio contenute nelle leggi e nei regolamenti in vigore” (lett. “c”); nonché di “dare il proprio concorso alle autorità locali nello studio e nell’attuazione dei provvedimento che comunque possono interessare la professione” (lett. “e”);
– all’art. 3 comma 3 ha stabilito che soltanto “per gli Ordini che comprendono un’unica professione”, tra i quali l’OMCeO come detto non rientra, “le funzioni e i compiti della commissione di albo spettano al Consiglio direttivo”;
– all’art. 4 comma 9 ha stabilito che il “rappresentante legale dell’albo”, nel caso in cui “il numero degli iscritti all’albo medesimo sia superiore a cinquantamila unità “, “può richiedere al Ministero della salute l’istituzione di un nuovo Ordine che assuma la denominazione corrispondente alla professione svolta” (art. 4 comma 9 lett. “d” legge n. 3/2018).
3.4.1. Alla luce delle richiamate disposizioni e contrariamente a quanto affermato da parte appellante (v. pag. 15 dell’atto di appello), il riconoscimento, da parte del Tar, della legittimazione processuale dell’esponente CAO, trova giustificazione non soltanto nel potere della medesima di “dare il proprio concorso alle autorità locali nello studio e nella attuazione dei provvedimenti che comunque possano interessare la professione” di cui all’art. 3 comma 2 lett. “e” del novellato d.lgs. n. 233/1946 – disposizione che pure ha un suo “peso”, esattamente rilevato dal Tar, nella giustificazione dell’attribuzione di che trattasi – ma in una lettura sistematica e unitaria delle nuove norme introdotte dalla Riforma Lorenzin ed, in particolare: i) nella qualificazione della CAO quale organo, distinto e autonomo dal Consiglio Direttivo, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. “c”, al quale spetta la rappresentanza esponenziale della professione odontoiatrica ai sensi dell’art. 3 comma 2 lett. “b”; ii) nonché nel potere di rappresentanza dell’albo Odontoiatri in capo al suo Presidente, ex art. 2 comma 10.
3.4.2. Ciò posto, l’inciso dell’art. 3 comma 2 lett. “b”, secondo il quale la COA può “assumere.. la rappresentanza esponenziale della professione” purché “nel rispetto dell’integrità funzionale dell’Ordine”, non può davvero implicare (come pretenderebbe la parte appellante) che soltanto il Presidente dell’Ordine avrebbe poteri di rappresentanza anche processuale, perché – in tal caso – rimarrebbero prive di senso le plurime disposizioni sopra richiamate, che hanno attribuito poteri di “rappresentanza” in capo alla Commissione, in persona del suo presidente.
La previsione, piuttosto, appare espressiva di un limite ai suddetti poteri di rappresentanza, per effetto del quale questi vanno esercitati in modo tale da non mettere a repentaglio l’integrità funzionale dell’Ordine, vale a dire il perseguimento in modo armonico e non conflittuale, da parte di Ordine e Commissioni, delle funzioni istituzionali elencate all’art. 1 comma 3 del d.lgs. CPS n. 233/1946 e s.m.i.; e ciò soprattutto nelle materie “trasversali”, che riguardano temi e casi di interesse comune alle professioni in esso comprese.
3.4.3. Diversamente, se il legislatore avesse inteso conservare la sola rappresentanza processuale in capo all’Ordine, avrebbe dovuto “ritagliare” in modo espresso questa “riserva” di potere nell’ambito del generale conferimento del ruolo di “rappresentanza” in capo alla Commissione.
Nella medesima ipotesi in cui si intendesse l’Ordine quale depositario del potere di rappresentanza processuale e, quindi, sostanzialmente depotenziata la funzione “esponenziale” della COA, risulterebbe pressoché ingiustificato e pleonastico il precetto (a quel punto privo di oggetto) del doveroso “rispetto dell’integrità funzionale dell’Ordine”.
3.4.4. Se poi ci si sofferma sul tenore letterale delle disposizioni in commento, non può passare inosservato il fatto che il legislatore ha inteso connotare la funzione della COA in termini netti di “rappresentanza esponenziale della professione odontoiatrica”, impiegando quindi un’enfasi accrescitiva (“esponenziale”) che sembra incompatibile con una lettura restrittiva del medesimo potere, come circoscritto ad una area di esercizio meramente “extraprocessuale”.
3.4.5. Neppure appare dirimente, in senso contrario a quanto sin qui esposto, il rilievo di Ir. S.r.l. secondo il quale nel d.lgs. C.P.S. n. 233/1946, così come novellato dalla legge n. 3/2018, non vi è un’esplicita attribuzione alla Commissione della capacità “processuale” (pag. 7, dell’appello).
E’ il caso di osservare, innanzitutto, che tale esplicita attribuzione non sussiste nemmeno con riferimento all’Ordine.
Inoltre, detto d.lgs., con i citati commi 9 e 10 dell’art. 2 novellato, conferisce a entrambi i Presidenti (dell’Ordine e della Commissione) poteri di “rappresentanza”, senza specificazioni circa l’estensione o meno di tale rappresentanza all’ambito “processuale” e sulla base, pertanto, di un parallelismo disciplinare ed espressivo che non consente, in assenza di chiari spunti ermeneutici, interventi di ortopedia interpretativa quale quello perorato dalla parte appellante.
Ed infatti, così come, ai sensi dell’art. 2 comma 9, “Il presidente ha la rappresentanza dell’Ordine, di cui convoca e presiede il Consiglio direttivo”, del pari, ai sensi dell’art. 2 comma 10, “Il presidente ha la rappresentanza dell’albo, di cui convoca e presiede la commissione”.
La specularità con la quale vengono istituti i due poteri di rappresentanza sembra suggerire, pertanto, che così come il Presidente dell’Ordine può “rappresentare l’Ordine in giudizio” e “impegnare lo stesso tramite la proposizione di azioni giurisdizionali” (v. pag. 6, dell’appello Ir.), allo stesso modo possa agire il Presidente della Commissione per le questioni riguardanti gli appartenenti alla professione di riferimento.
3.4.6. D’altra parte, come condivisibilmente posto in rilievo dalla difesa della COA, nel settore delle professioni sanitarie la riforma Lorenzin ha istituito Ordini composti da un elevatissimo numero di professioni differenti (è il caso dell'”Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione)” – il che rende del tutto ragionevole la necessità di attribuire la rappresentanza esponenziale della singola professione a ciascuna commissione di albo, accanto alla rappresentanza dell’Ordine per le questioni di interesse comune ai vari albi. Diversamente, verrebbe immotivatamente sacrificato ogni grado di autonomia dei singoli ambiti professionali e sostanzialmente vanificato il sistema “multilivello” con il quale il legislatore ha disegnato l’integrata coesistenza degli Albi all’interno dell’Ordine, secondo un criterio di “sussidarietà verticale” che consente l’intervento del secondo nelle ipotesi di impossibilità o di inidoneità dell’azione dei primi.
3.4.7. Venendo alla ricaduta applicativa delle disposizioni in esame può certamente dirsi che, nel caso di specie, la Commissione, tramite il suo Presidente, ha esercitato la rappresentanza esponenziale della professione odontoiatrica “nel rispetto dell’integrità funzionale dell’Ordine”, in quanto il Consiglio Direttivo, pur essendone stato informato, non ha manifestato alcuna opposizione né prima né dopo l’effettiva instaurazione del giudizio.
3.4.8. Sotto altro profilo, essendo Ir. s.r.l. autorizzata allo svolgimento di prestazioni riconducibili alla sola professione odontoiatrica (non anche a quella medico – chirurgica), è parso logico che il caso segnalato rientrasse – ratione materiae – nell’ambito della competenza esclusiva della Commissione Albo Odontoiatrico e fosse da questa esaminato. Risulta quindi superabile il dato argomentativo (pure richiamato da parte di Ir.) riferito al fatto che la legge n. 175/1992 riguarda, in astratto, la pubblicità sanitaria tout court (non solo odontoiatrica ma anche medica). Convince infatti la tesi per cui, non venendo in rilievo questioni in grado di mettere a repentaglio l’integrità funzionale dell’Ordine, non fosse necessaria l’attrazione della competenza al Consiglio dell’Ordine.
In altri termini, è ragionevole che la COA sia competente su vicende che riguardino i suoi appartenenti e non pongano esigenze di coordinamento o problemi di confliggenza con gli interessi di altre categorie professionali; e ciò proprio in applicazione del cennato criterio di sussidiarietà verticale, il quale restringe nei limiti della stretta necessità l’attivazione dell’organo sovraordinato (Consiglio dell’Ordine).
3.4.9. Per tutto quanto sin qui esposto, anche il secondo motivo di appello non può trovare accoglimento.
4. Con un ulteriore motivo (il 2° nell’ordine espositivo del relativo atto di appello), Ir. ha lamentato la mancanza dell’autorizzazione a promuovere la lite – o comunque di un atto validamente integrante la stessa – rilasciata dalla Commissione d’Albo al suo presidente Dr. Sa..
L’eccezione era stata sollevata nel giudizio di primo grado e superata dal Tar a seguito della produzione, avvenuta nel corso della discussione orale in udienza (del 20.2.2019), di un documento (non precedentemente depositato agli atti del giudizio nei termini di cui all’art. 73 c.p.a.), costituito da una copia di un verbale della C.A.O. di La Spezia (n. 9 del 15.10.2018) comprovante la deliberazione della stessa C.A.O. di autorizzazione, rilasciata al suo Presidente (Dr. Sa.), alla proposizione del ricorso.
Il Tar Liguria ha ammesso il documento in applicazione dell’art. 182 c.p.c. (ai sensi del quale la prova dell’autorizzazione a stare in giudizio può essere validamente data in ogni stato e grado del processo, fino al passaggio della causa in decisione).
4.1. In dissenso da tale statuizione, Ir. sostiene che:
– l’art. 182 c.p.c. non è applicabile al caso in questione, in quanto non espressivo di un principio generale compatibile con la struttura impugnatoria del processo amministrativo;
– in ogni caso, il verbale della C.A.O. prodotto in udienza non presenta affatto le caratteristiche di specificità necessarie per poter integrare una valida autorizzazione a promuovere il giudizio di cui trattasi, in quanto non contiene riferimenti all’atto impugnato, né altri dettagli che individuino (anche mediante indicazione delle parti) la vicenda di interesse.
4.2. La statuizione del primo giudice appare correttamente argomentata e meritevole di conferma.
Sotto il primo profilo, l’orientamento giurisprudenziale prevalente e già condiviso da questa sezione ammette l’applicabilità dell’art. 182 c.p.c. al giudizio amministrativo (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, nn. 1613/2019 e 283/2019; sez. III, n. 2606/2018) e questa sezione non rinviene ragione per discostarsi da tale indirizzo, già avallato con proprie precedenti pronunce.
Sotto il secondo profilo, va affermata l’idoneità del contenuto del verbale del 15.10.2018 a costituire una consapevole e valida autorizzazione da parte della Commissione alla promozione del ricorso giudiziale. A tanto induce la considerazione sia della congruenza temporale della delibera, intervenuta prima del conferimento della procura (avvenuto il 24/10/2018) e della notifica del ricorso (avvenuta il 29/10/2018); sia la ponderazione della sua concludenza contenutistica rispetto al fine perseguito, in quanto dal testo del documento emerge distintamente la volontà della Commissione di dare “mandato al Presidente di procedere anche in sede giudiziale e far applicare la normativa vigente” in relazione alla circostanza che “il Comune della Spezia.. non intende dare luogo all’apertura del procedimento amministrativo volto alla sospensione dell’autorizzazione sanitaria ai centri odontoiatri che hanno violato la normativa pubblicitaria”.
Tra i centri ai quali la delibera fa implicito riferimento va inclusa anche Ir. S.r.l., non sussistendo e, comunque, non essendo stati addotti dalla parte appellante, motivi che possano differenziare la posizione di quest’ultima da quella di altri centri interessati da analoga vicenda, sì da far sorgere ragionevoli motivi di dubbio in ordine alla diretta riferibilità dell’autorizzazione anche al suo caso.
5. Nel merito delle questioni poste con riguardo alla sussistenza in capo all’ente comunale del potere sanzionatorio (fatte oggetto dell’ultimo motivo di appello), il TAR Liguria ha argomentato che:
– dal momento che in Liguria “l’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività sanitaria è di competenza del Comune” (art. 5 L.R. 11.5.2017, n. 9), al Comune stesso “spetta la competenza in ordine all’adozione del provvedimento di sospensione di cui all’art. 5 comma 5 L. n. 175/1992.
– Si tratta – come chiaramente affermato dalla sentenza Cons. di St., III, 8.6.2018, n. 3467, impropriamente citata dal comune – di un autonomo potere di sospensione dell’autorizzazione sanitaria stabilito dalla legge n. 175/1992, potere che non è stato affatto eliminato dal D.L. n. 223/2006 (così detto decreto Bersani), e che coesiste con il diverso e generale (nel senso che non è limitato al campo della pubblicità sanitaria) potere dell’AGCOM di accertamento e repressione delle pubblicità e delle pratiche commerciali scorrette.
– Dunque, sussistendo un generale dovere di iniziativa officiosa, deve ritenersi come, viepiù a fronte della qualificata segnalazione ad opera della competente Commissione Albo Odontoiatri, gravasse sul comune l’obbligo di avviare il procedimento sanzionatorio ex art. 5 comma 5 della legge n. 175/1992.
– Ovviamente, trattandosi di attività (sanzionatoria) discrezionale – quantomeno nel quid, posto che l’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività sanitaria può essere sospesa – l’accoglimento del ricorso deve limitarsi all’annullamento della nota 30.7.2018, ed all’accertamento dell’obbligo del comune della Spezia di provvedere, entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza, ad avviare il procedimento sanzionatorio ex art. 5 L. 175/1992”.
5.1. Detta decisione viene contestata per asserita “Erroneità e violazione di legge con riferimento all’articolo art. 4 L. 175/1992, art. 49, u.c. e 50 della Carta dei Diritti Fondamentali UE”.
Dopo aver premesso che con l’avvento della L. 234/2006 l’attività promozionale non risulta più rigidamente tipizzata e che la lesività del messaggio promozionale non deriva più semplicemente dal suo fuoriuscire dai limitatissimi ambiti già consentiti, ma consiste nella violazione di “valori” o “interessi” pubblici (la correttezza e la veridicità del messaggio diffuso e delle informazioni scientifiche con esso trasmesse) il cui accertamento è rimesso all’Autorità garante delle comunicazioni – le ricorrenti sostengono che il residuale potere sanzionatorio del Comune appare del tutto inadeguato e sproporzionato rispetto al rivisitato sistema delle sanzioni, oltre che di dubbia legittimità alla luce del principio, fatto proprio dalla dichiarazione europea dei diritti dell’uomo, che vieta – anche sul piano sostanziale – il bis in idem.
Di contro, una lettura costituzionalmente orientata della disposizione imporrebbe che la sanzione in argomento fosse applicabile solo in presenza di una effettiva scorrettezza del messaggio pubblicitario, ergo solo a seguito della sua censura da parte dell’Autorità Garante, così come affermato dal Comune della Spezia nella nota impugnata.
5.2. Il motivo è infondato, oltre che sostanzialmente ripetitivo delle affermazioni già svolte in primo grado e alle quali ben poche integrazioni risultano aggiunte in questa sede.
5.3. La legge n. 175/1992 (“Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie”) dispone che nella pubblicità sanitaria delle strutture soggette ad autorizzazione “è in ogni caso obbligatoria l’indicazione del nome, cognome e titoli professionali del medico responsabile della direzione sanitaria” (art. 4 comma 2); “qualora l’annuncio pubblicitario contenga indicazioni false sulle attività o prestazioni che la struttura è abilitata a svolgere o non contenga l’indicazione del direttore sanitario, l’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività sanitaria è sospesa per un periodo da sei mesi ad un anno” (art. 5, comma 5).
5.4. La lettura sistematica del quadro ordinamentale di riferimento nel quale si inseriscono tali previsioni è già stata svolta da questa sezione nella decisione n. 3467/2018 e ha consentito di pervenire alla condivisibile conclusione secondo la quale gli artt. 4 e 5 della legge n. 175/1992 continuano ad essere vigenti pur dopo l’intervento liberalizzatore di cui al D.L. n. 223/2006.
Questo il tenore della pronuncia di questa sezione n. 3467/2018: “La norma del d.l. n. 223 del 2006 fa salvo il controllo da parte dell’Ordine del rispetto dei criteri “di trasparenza e veridicità del messaggio”, con la conseguenza che non viene eliminato né il potere di segnalazione da parte dell’ordine professionale all’autorità competente, né il potere di sospensione dell’autorizzazione da parte dell’amministrazione. Resta ferma, poi, la previsione di cui all’art. 4, comma 2, secondo cui “È in ogni caso obbligatoria l’indicazione di nome, cognome e titoli professionali del medico responsabile della direzione sanitaria”. Tale disposizione, infatti, non contrasta affatto con i principi di liberalizzazione introdotti dalla normativa del 2006, ma intende definire alcuni contenuti minimi del messaggio pubblicitario, finalizzati a tutelare gli utenti finali e la trasparenza del mercato, in un settore, come quello delle prestazioni professionali, caratterizzato dal persistente rilievo dei soggetti posti al vertice dell’organizzazione che offre i servizi sanitari”. Questa prescrizione non impedisce ai soggetti interessati di promuovere la propria attività economica e professionale mediante moderni strumenti pubblicitari, purché rispettosi di questa semplice garanzia di trasparenza e conoscibilità della struttura”.
5.5. Coerentemente con tale conclusione, il Tar ha riconosciuto – come detto – che il potere sanzionatorio comunale ex lege n. 175/1992 e il potere dell’AGCM di accertamento e repressione delle pubblicità e delle pratiche commerciali scorrette sono autonomi, coesistenti e diversi.
Più precisamente, diverso è l’ambito di azione perimetrabile in capo ad AGCM e all’Ordine dei Medici: la prima ha il compito di sanzionare la pubblicità scorretta che implichi la violazione del principio di libera concorrenza; il secondo ha il compito di vigilare sulla veridicità e sulla trasparenza della pubblicità sanitaria e di sanzionare, sul piano disciplinare, il Direttore Sanitario che si renda responsabile di eventuali violazioni.
5.6. In dissenso da tale tesi, sostengono le parti appellanti che la pubblicità negli ambiti propri delle professioni è assoggettata alla regola generale del rispetto dei criteri “trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario”; e che di tali principi è espressione anche la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, della “vecchia” L. n. 175/1992.
Sicché, dal momento che il controllo sul rispetto dei criteri di “trasparenza” e “veridicità ” compete ad AGCM (in quanto autorità abilitata ad accertare e reprimere le pubblicità e le pratiche commerciali scorrette), ergo, anche l’eventuale applicazione della sanzione di cui all’art. 5 della L. n. 175/1992 da parte dell’Amministrazione comunale dovrebbe essere preceduta dall’accertamento (da parte della stessa AGCM) del fatto che il messaggio pubblicitario “incriminato” sia “in concreto”, ed in ragione delle sue complessive caratteristiche, inficiato da un “difetto di trasparenza” per il solo fatto di non aver direttamente indicato i dati del Direttore sanitario.
5.7. L’argomento non persuade.
E’ chiaro che le clausole generali di “trasparenza” e “veridicità del messaggio” necessitano di una declinazione applicativa necessariamente mediata da una disamina puntuale del singolo caso esaminato.
E’ altresì evidente che il presupposto applicativo della sanzione prevista dagli artt. 4 comma 2 e 5 comma 5 della legge n. 175/1992 (vale a dire, la dimostrata esistenza di una pubblicità priva dell’indicazione del Direttore Sanitario), è tipizzato dalla legge in termini univoci ed esaustivi.
Dunque, pur costituendo una espressione specifica del criterio di “trasparenza” sotteso a tutto il sistema pubblicitario, il parametro in questione non postula alcuna accertamento, in concreto, che non possa essere effettuato in autonomia dall’ente comunale.
Tanto basta a giustificare il diverso assetto di competenze disegnato dal legislatore in ordine all’accertamento delle violazioni dei due distinti dispositivi normativi.
5.8. Sui rimanenti profili di proporzionalità della sanzione non è possibile soffermarsi, perché la pronuncia di primo grado non ha investito tali tematiche, né ha conformato l’esito dell’esercizio del potere da parte del Comune, prefigurandone lo sbocco conclusivo.
Il Tar ha infatti riconosciuto il carattere discrezionale del potere e si è limitato ad accertare l’obbligo del comune della Spezia di avviare il procedimento sanzionatorio ex art. 5 L.175/1992.
Vale dunque la regola ostativa secondo la quale “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34 comma 2 c.p.a.).
6. Per quanto esposto i due appelli devono essere entrambi respinti, pur potendosi disporre la compensazione delle spese di lite in considerazione della oggettiva peculiarità e complessità delle questioni trattate.
7. Va infine respinta la richiesta, formulata da COA ai sensi dell’art. 89 c.p.c., di cancellazione dall’atto di appello Ir. delle espressioni riportate alle pagg. 22-24, ritenute sconvenienti ed offensive, in quanto asseritamente intese ad attribuire alla iniziativa processuale un intento distorsivo della concorrenza disallineato dalle sue funzioni istituzionali e pubblicistiche proprie dell’Ordine professionale (si veda pag. 23 della memoria COA del 6 maggio 2019).
Come chiarito dalla difesa Ir. nella memoria del 16.9.2019 (pag.12), l’argomentazione alla quale si attribuisce il carattere sconveniente trae spunto, in modo sostanzialmente consequenziale e senza alcuna impropria addizione travisante, da un passaggio testuale contenuto nella memoria conclusionale della COA (pag. 8), presentata nel primo grado di giudizio.
Difettano quindi i presupposti per attribuire alla stessa ogni carattere di pretesa offensività conseguente alla sua estraneità all’oggetto della lite e ad una sua supposta e prioritaria finalità lesiva del prestigio e del decoro della parte che se ne duole.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti,
li riunisce e li respinge entrambi, compensando le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
Giovanni Tulumello – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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