La presentazione di un’istanza di sanatoria

Consiglio di Stato, Sentenza|23 marzo 2022| n. 2124.

La presentazione di un’istanza di sanatoria, qualora sia già stato instaurato un procedimento sanzionatorio, che si sia concretizzato nell’adozione di un’ingiunzione a demolire, comporta la perdita d’efficacia temporanea del procedimento sanzionatorio; di conseguenza, qualora questa non venga accolta, il procedimento sanzionatorio riacquista efficacia.

Sentenza|23 marzo 2022| n. 2124. La presentazione di un’istanza di sanatoria

Data udienza 17 marzo 2022

Integrale
Tag- parola chiave: Abusi edilizi – Zona vincolata – Presentazione istanza di sanatoria – Pendenza di un procedimento sanzionatorio – Effetti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4038 del 2021, proposto da
Soc. Si. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Di Lu., Gi. Fr. Ni., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Di Lu. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 00326/2021, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 marzo 2022 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Ma. Bi. e Gi. Fr. Ni.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

La presentazione di un’istanza di sanatoria

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 326 del 2021, del Tar Basilicata, recante rigetto dell’originario gravame, proposto dalla medesima Si. S.r.l. al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento prot. n. 4481 del 10 luglio 2020, con il quale il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di (omissis) ha respinto la domanda di sanatoria edilizia e paesaggistica della società datata 17 giugno 2020.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava, avverso la sentenza di rigetto, i seguenti motivi di appello:
– violazione degli artt. 24 Cost. 1 e 3 cod proc amm, erroneità e carenza dei presupposti, violazione degli artt. 3 co. 1 lett. e, 31, 36 e 37 dPR n. 380 del 2001, difetto di motivazione, genericità, omessa pronuncia, contraddittorietà, per una ricostruzione della vicenda estranea alla fattispecie per cui è causa poiché enumera fatti e circostanze in alcun modo menzionate nel provvedimento comunale impugnato in primo grado e poi perché irrilevanti ai fini del presente giudizio in quanto superate con l’ordinanza n. 30/2018 adottata dal Comune per sanzionare l’esistenza, sul fondo della ricorrente, di due condotte di derivazione dall’impianto idrico regionale, ritenute prive del necessario titolo edilizio, oltre ad ignorare il contenuto delle due ordinanze rese in proposito da da questa sezione (n. 47/2021 e n. 1330/2021);
– violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa;
– riproposizione dei motivi non esaminati in primo grado, violazione degli artt. 10 bis e 19 co. 3 l. n. 241/1990, violazione degli art. 97 Cost. 1 co. 1 l. n. 241 cit, 37 co. 4 dPR 380 cit., d.lgs. n. 222/2016, 167 co. 4 d.lgs. n. 42/2004, eccesso di potere per carenza ed erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, in quanto i due braccetti interrati danno luogo ad un intervento qualificabile come pertinenza minore, violazione dell’art. 3 l. 241 cit., difetto di istruttoria e sviamento di potere.
La parte appellata si costituiva in giudizio, chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 3480 del 2021 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata; la successiva fase esecutiva della decisione cautelare si chiudeva in termini di improcedibilità .
Alla pubblica udienza del 17 marzo 2022 la causa passava in decisione.

 

La presentazione di un’istanza di sanatoria

DIRITTO

1. L’analisi delle eccezioni e dei motivi di appello impone un preliminare excursus della fattispecie, risultante dalla documentazione in atti.
1.1 La Soc. Si. a r.l, agisce quale proprietaria di una centrale idroelettrica collocata su di un’area sita nel Comune di (omissis) (loc. (omissis)), compresa nella Variante al piano territoriale di coordinamento (PTC), “Piano territoriale di area vasta del Pollino” approvata dalla Regione Basilicata con l. reg. n. 24/2002, con destinazione (omissis) – “paesaggi di rilevante interesse”. La stessa è, poi, inclusa nel Parco del Pollino previsto dall’art. 18 l. n. 67/88 ed istituito con successivo d.P.R. 15.11.1993; con destinazione “zona (omissis) – di valore naturalistico, paesaggistico e culturale con maggior grado di antropizzazione”; è altresì gravata da vincolo paesaggistico ex DM 18.4.1985.
1.2 La centrale idroelettrica di proprietà dell’appellante è ubicata al piano seminterrato di un fabbricato legittimamente realizzato ed è alimentata da due bracci di derivazione costituiti da tubi d’acciaio della seguente consistenza: una lunghezza di m. 6,5 e 11; un diametro di mm. 500; realizzati ad una profondità di circa 60 cm. dal piano di campagna.
1.3 Tali bracci si allacciano alla vicina condotta principale dell’impianto di irrigazione territoriale di proprietà della Regione Basilicata, in base ad una concessione regionale di prelievo acque pubbliche, mentre per l’utilizzo delle opere relative alle derivazioni irrigue (opere prese, condotte e camere di manovra) dal Fosso Sa. e dai Fossi Ia. – Ac. Ne. sussiste apposita Convenzione con il Consorzio di Bonifica dell’A. Va. D’A. al quale è poi subentrato il Consorzio di Bonifica della Ba..
1.4 Con ordinanza n. 30 del 2 maggio 2018, il Responsabile del Settore Tecnico del Comune di (omissis) ha rilevato la mancanza di un apposito titolo edilizio per i suddetti bracci. Nella predetta ordinanza, nella prospettazione ricorrente, il Comune non avrebbe individuato correttamente i menzionati bracci, né per dimensioni, né per allocazione.
L’ordinanza veniva impugnata dinanzi al Tar Basilicata, che respingeva il ricorso con sentenza n. 868 del 2019.
1.5 La Società, pertanto, intendendo regolarizzare la presenza dei menzionati bracci, anche se non corrispondenti a quelli indicati nell’ordinanza di demolizione, ha depositato presso il competente Ufficio comunale una segnalazione certificata di inizio attività, cd. S.C.I.A. in sanatoria, ai sensi dell’art. 37 d.P.R. 380 cit., relativa ai bracci esistenti.
1.6 Con provvedimento prot. n. 4481 del 10 luglio 2020 il Comune ha “respinto” la predetta S.C.I.A. sulla scorta di due presupposti: il decorso dei termini di cui all’art. 31 comma 3; l’irrevocabilità della sentenza del Tar n° 868/2019.

 

La presentazione di un’istanza di sanatoria

1.7 Avverso il menzionato provvedimento la Società ha proposto ricorso dinanzi al Tar Basilicata; il rigetto della domanda cautelare in prime cure è stato ribaltato in appello da questa sezione, che con con ordinanza n. 47 del 2021 ha ritenuto il ricorso “fornito di fumus boni iuris” poiché la deduzione dell’appellante secondo cui l’ordinanza di demolizione n. 30/2018 non ha ad oggetto le opere descritte nella S.C.I.A.
1.8 All’esito del giudizio di merito il Tar ha respinto il gravame con la sentenza qui impugnata.
2. Così ricostruita la fattispecie, è possibile passare all’esame delle opposte deduzioni.
3. In via preliminare, risultano infondate le eccezioni formulate da parte appellata.
4. Con la prima eccezione di inammissibilità parte appellata contesta che nessuno dei motivi di ricorso in appello impugna e contesta specificamente i capi della sentenza, con la conseguenza che il ricorso in appello di Si. sarebbe inammissibile in quanto non vi è alcuna critica alla sentenza in relazione ai motivi della decisione, non essendo ammessa la mera riproposizione dei motivi di primo grado senza che sia sviluppata alcuna specifica confutazione della statuizione del primo giudice.
4.1 In linea generale, ai sensi dell’art. 101 cod.proc.amm., il ricorrente ha l’onere di specificare i motivi di appello, non potendo limitarsi a un generico richiamo delle ragioni già presentate dinanzi al giudice di primo grado, dovendo contestare specificamente sul punto la sentenza impugnata. Il fatto che l’appello sia un mezzo di gravame ad effetto devolutivo, non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell’atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e, inoltre, i motivi per i quali le conclusioni del primo giudice non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado
L’appello deve essere ritenuto ammissibile qualora dallo stesso sia possibile desumere le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione, in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata; peraltro, il grado di specificità dei motivi di appello deve essere parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 febbraio 2020, n. 857).
4.2 Nel caso di specie l’atto d’appello è pienamente conforme ai parametri richiamati.
In termini formali contiene una chiara specificazione dei motivi dedotti (cfr. pagg. 8 ss. dell’atto di appello); in termini sostanziali contiene una puntuale critica alle argomentazioni svolte dal Tar, in ordine ai motivi dedotti. In particolare, se per un verso l’appello critica le argomentazioni dei Giudici di prime cure, svolgendo due articolate censure (pagg 8 – 22), per un altro verso lo stesso gravame ripropone compiutamente i motivi di prime cure all’evidenza non affrontati dal Tar, come emerge dall’esame di una sentenza in cui la parte motiva di esame dei vizi dedotti si compone di due sole pagine (7 e 8) su nove.
5. Con la seconda eccezione parte appellata ribadisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione alla presentazione dell’istanza di sanatoria, in quanto le opere sarebbero ormai acquisite al patrimonio comunale.
5.1 Anche tale eccezione è infondata. Se la evocata avvenuta acquisizione dei manufatti costituisce elemento dedotto nel merito ed oggetto di una specifica contestazione, in termini processuali sussiste all’evidenza l’interesse concreto, diretto ed attuale in capo alla società destinataria di un provvedimento negativo – recante oggetto di una propria specifica istanza – di impugnare lo stesso, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 24 e 113 Cost. Infatti, la sopravvenuta acquisizione costituisce uno dei motivi di diniego, oggetto di contestazione e conseguente doveroso esame di merito, non potendo quindi assurgere alcun rilievo processuale in termini di carenza di legittimazione.
6. Passando all’esame del merito, i motivi di appello concernenti il difetto di istruttoria e di motivazione nonché la consistenza e conseguente qualificazione delle opere contestate sono fondati, con carattere assorbente.
6.1 Il provvedimento di diniego impugnato, oggetto principale dell’odierno contenzioso, si fonda su due elementi: il decorso del termine di cui all’art. 31 comma 3 t.u. edilizia e l’irrevocabilità della sentenza del Tar che ha riconosciuto la necessità di un titolo edilizio per i bracci in contestazione.

 

La presentazione di un’istanza di sanatoria

6.2 Dall’esame della documentazione in atti emerge che, proprio in conseguenza della statuizione del 2018 – non a caso non impugnata – parte appellante ha presentato una istanza di sanatoria.
Come noto, la presentazione di un’istanza di sanatoria, qualora sia già stato instaurato un procedimento sanzionatorio, che si sia concretizzato nell’adozione di un’ingiunzione a demolire, comporta la perdita d’efficacia temporanea del procedimento sanzionatorio; di conseguenza, qualora questa non venga accolta, il procedimento sanzionatorio riacquista efficacia (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/08/2021, n. 5921).
6.3 Sempre in linea generale, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva non è una misura strumentale per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, bensì costituisce una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, poste in essere da chi, dapprima, esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla. Ne deriva che l’esistenza di un ordine di demolizione efficace costituisce effettivamente uno dei presupposti, ma non l’unico, per la produzione dell’effetto acquisitivo al patrimonio comunale regolato dall’art. 31 cit. (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 1 settembre 2021, n. 6190).
6.4 Nel caso di specie, per un verso la società odierna appellante, proprio in adesione alla statuizione giurisdizionale invocata dal Comune, ha presentata una istanza di sanatoria ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 dPR 380 cit.; e sul punto carente appare l’istruttoria e la motivazione del provvedimento impugnato, laddove invoca il diverso art. 36.
Invero, lungi dal richiamare la diversa forma di accertamento di conformità, il Comune avrebbe dovuto preliminarmente motivare in merito alla sussistenza o meno dei presupposti per la richiesta regolarizzazione. In proposito, come noto, ai sensi dell’art. 37 cit. in relazione agli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità, ove l’intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 24 gennaio 2017, n. 281).
6.5 Per un altro verso, in assenza di qualsiasi atto conseguente alla originaria ordinanza di demolizione, le carenze istruttorie e motivazionali dedotte appaiono confermate sotto due profili: da un lato, preliminare, attraverso la necessaria verifica della dichiarata differenza fra i due bracci originariamente contestati e quelli oggetto di sanatoria; dall’altro lato, in termini di sostanza della questione controversa, attraverso l’esplicazione dei presupposti di qualificazione delle opere, tali da giustificare il richiamo all’art. 36 piuttosto che alla norma posta a base della istanza presentata dalla società .

 

La presentazione di un’istanza di sanatoria

Nulla di ciò è ricavabile dal provvedimento stesso e dagli atti procedimentali connessi.
6.6 A quest’ultimo proposito, parimenti fondati appaiono i motivi dedotti in ordine alla qualificazione delle opere, anche alla luce della contraddittoria motivazione posta a base della sentenza impugnata, laddove, dopo che l’intervento viene reputato di nuova costruzione (cfr. pag. 7), la stessa pronuncia conclude – erroneamente indicando l’ordinanza del 2018 come successiva a quella del 2021 – che “trattandosi di opere, che, essendo interamente sotterranee (i due bracci di derivazione in questione si trovano 60 cm. al di sotto del terreno), non hanno creato superfici e/o volumi utili, possono ritenersi conformi sia all’art. 167, comma 4, lett. a), D.Lg.vo n. 42/2004, sia alla disciplina urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’abuso edilizio ed anche quella tuttora vigente”.
6.7 Invero, la statuizione impugnata – la cui motivazione, per principio consolidato, non è integrabile in sede giurisdizionale da parte della difesa dell’amministrazione – non ha svolto il necessario approfondimento in merito agli elementi evocati circa la corretta qualificazione delle opere in contestazione, consistenti nei due tubi interrati, a servizio tecnico del legittimo impianto esistente ed operante in loco.
6.8 Premesso che sarebbe ben curiosa la situazione di un impianto idrico legittimamente edificato ma che non potrebbe operare per l’assenza dei bracci di induzione e conduzione, nel caso di specie emergono le seguenti considerazioni prioritarie.
6.8.1 Sul versante edilizio, l’alternativa invocata da parte appellante in termini di “pertinenza urbanistica”, va verificata in quanto si possa ritenere che l’opera abbia una modesta entità e sia accessoria rispetto all’opera principale (cfr. in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 04/10/2021, n. 6613); se nel caso di specie l’accessorietà non è in discussione, resta da verificare la consistenza volumetrica dei bracci.
Piuttosto, la limitata rilevanza consente la qualificazione in termini di volume tecnico, trovandocisi dinanzi ad un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, in quanto destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, un impianto servente di una costruzione principale (la centrale idroelettrica) per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7584); nel caso di specie i due tubi in questione necessitano al fine di condurre l’acqua alla centrale idroelettrica a servizio della quale risultano destinati.
6.8.2 Sul versante paesaggistico, la relativa irrilevanza paesaggistica deriva dalla constatazione che gli stessi bracci sono interrati ad una certa profondità, quindi senza alcun impatto sul paesaggio e la visuale relativa. Diversa è la questione di impatto ambientale, che peraltro fuoriesce dal perimetro coinvolto dagli atti impugnati e dai motivi dedotti.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto accolto, sotto i plurimi ed assorbenti (rispetto alle censure procedimentali) profili indicati; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con l’annullamento del provvedimento di diniego impugnato.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Silvestro Maria Russo – Presidente FF
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore
Thomas Mathà – Consigliere

 

 

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