La presentazione di un’istanza di condono edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|16 aprile 2021| n. 3124.

La presentazione di un’istanza di condono edilizio successivamente all’emanazione dell’ordinanza di demolizione del manufatto abusivo, e di eventuali atti repressivi consequenziali, rileva sul piano processuale, quale conseguenza dei suoi effetti sostanziali, e rende inefficace tali provvedimenti e, quindi, improcedibile l’impugnazione proposta avverso gli stessi per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione. Ciò si giustifica in quanto una nuova valutazione provocata dall’istanza di condono comporta comunque la necessaria formazione di un nuovo provvedimento di accoglimento o di rigetto che varrà in ogni caso a superare il provvedimento oggetto di impugnativa, in tal modo spostandosi l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato all’eventuale annullamento del provvedimento di reiezione dell’istanza di sanatoria.

Sentenza|16 aprile 2021| n. 3124

Data udienza 8 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Condono edilizio – Ordinanza di demolizione – Impugnazione – Improcedibilità – Ratio – Legge 28 febbraio 1985, n. 47

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7636 del 2020, proposto da
COMUNE DI (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Ma. Ro. in Roma, via (…);
contro
CA. PO. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Fe. Sc., Ma. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
VI. PO. ed altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 3352 del 2020;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ca. Po. ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2021 il Consigliere Dario Simeoli;
L’udienza si svolge ai sensi degli artt. 4, comma 1 del decreto-legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del decreto-legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
– gli odierni appellati adivano il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, esponendo di avere realizzato un intervento edilizio abusivo (su di un immobile sito nel Comune di (omissis), alla via (omissis), distinto in catasto al foglio (omissis), particelle (omissis)), in relazione al quale avevano inoltrato varie istanze di condono edilizio, ai sensi della legge n. 724 del 1995 (acquisite al protocollo comunale con i numeri: 5062/95, 5063/95, 5064/95, 5065/95, 5066/95, 5067/95, 5068/95, 5069/95, 11302/95,11303/95);
– lamentando di non avere ricevuto notifica dei provvedimenti prodromici, gli istanti chiedevano l’annullamento dell’atto con il quale l’Amministrazione comunale aveva inteso formalizzare l’acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile, ai fini della successiva trascrizione presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari (avvenuta in data 5 dicembre 2001, con successiva rettifica in data 19 ottobre 2017), unitamente ad altri atti presupposti pure mai notificati (ovvero: l’intimazione ai residenti nell’immobile di lasciare lo stesso libero da persone e cose; la deliberazione di destinazione dell’immobile ad edilizia residenziale pubblica del 24 ottobre 2017; l’accertamento di inottemperanza prot. 165/92 del 18 settembre 1992 dell’ordine di demolizione n. 14/92);
– il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 3352 del 2020, ha disposto l’annullamento degli atti impugnati, motivando che il Comune non aveva offerto alcuna prova della notifica dell’ordinanza di demolizione;
– avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), sostenendo che la sentenza di primo grado sarebbe erronea per i seguenti motivi:
i) l’ordinanza di demolizione e la successiva ordinanza di acquisizione n. 165/92 del 18 settembre 1992, risulterebbero regolarmente notificate, ai sensi dell’art. 139, comma 2, del c.p.a., al signor Po. Be., fratello del destinatario di Po. Vi. nonché, all’epoca dei fatti, con lui convivente;
ii) non sarebbe corretto affermare che la presentazione delle istanze di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994 avrebbe avuto effetto sospensivo sull’ordinanza di demolizione n. 14/1992 e su tutta la successiva attività amministrativa comunale repressiva dell’abuso, in quanto: in primo luogo, stante la piena efficacia dell’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale, la domanda di condono, intervenuta tre anni dopo tale provvedimento, sarebbe stata avanzata da soggetti non più legittimati a proporla perché non più proprietari del bene; l’orientamento giurisprudenziale, relativo all’inefficacia dell’ordinanza di demolizione quale conseguenza della presentazione di istanza di sanatoria, sarebbe comunque riconducibile solo alle domande di condono edilizio presentate a norma della legge 28 febbraio 1985, n. 47; in ogni caso, il presunto effetto sospensivo andrebbe circoscritto sino al 2016 (data dei provvedimenti di rigetto dell’istanza di condono);
– si sono costituiti in giudizio gli odierni appellati, insistendo perché il gravame venga respinto;
Considerato in diritto che:
– la sentenza di primo grado va integralmente confermata;
– va preliminarmente ripercorsa la tempistica procedimentale per cui è causa: i) con ordinanza n. 74/92 del 5 maggio 1992, il Comune ingiungeva la demolizione del manufatto; ii) con ordinanza n. 165 del 1992, il Comune accertava l’inottemperanza all’ordine di demolizione; iii) nel 1995, gli odierni appellati presentavano istanze di condono edilizio; iv) nel novembre 2016 tali istanze venivano rigettate; v) l’immobile è stato adibito dal Comune a edilizia residenziale pubblica mediante deliberazione del Consiglio Comunale n. 134 del 24 ottobre 2017;
– ebbene, gli odierni appellati hanno dedotto di non avere mai avuto formale notificazione, né della citata ordinanza di demolizione, né della successiva ordinanza di accertamento dell’inottemperanza;
– nel corso del processo di primo grado, il Comune di (omissis) non ha depositato alcuna documentazione utile a contraddire tale censura;
– solo nel corso del giudizio di appello, l’Amministrazione comunale – per la prima volta e senza neppure dedurre la causa ad essa non imputabile del ritardo – ha depositato la relata di notifica del messo comunale da cui risulterebbe che l’ordine di demolizione sarebbe stato consegnato nelle mani di una persona di famiglia in (omissis) alla via (omissis) , producendo altresì i certificati di residenza di Po. Be. e Po. Vi.;
– rileva il Collegio che tale produzione, oltre che tardiva, non è comunque idonea a provare l’avvenuta notificazione al destinatario dell’ordine di demolizione;
– gli appellati hanno infatti replicato (senza specifica contestazione di controparte) che lo stabile all’indirizzo indicato (via (omissis) Pianura n. 134) è composto da plurime unità immobiliari ed è abitato da numerose famiglie;
– la presunzione prevista dall’art. 139, comma 2, c.p.c. – secondo cui in assenza del destinatario nella casa di abitazione nel Comune di sua residenza, la consegna effettuata ad una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, deve ritenersi sufficiente, presuntivamente, ad integrare l’avvenuta consegna dell’atto – presuppone che la notifica sia stata richiesta ed effettuata presso l’abitazione del destinatario (circostanza che per l’appunto è rimasta prima di dimostrazione);
– l’ipotizzata convivenza con il signor Be. Po. sembra poi contraddetta dal certificato di stato di famiglia depositato in atti;
– dalla mancata (prova della) notificazione della presupposta ordinanza di demolizione discende il mancato perfezionamento della fattispecie acquisitiva ex lege dell’immobile abusivo, la quale sanziona l’inottemperanza volontaria e inescusabile dell’ordine di riduzione in pristino;
– al di là della questione relativa alla notificazione dell’ordine di demolizione, è comunque dirimente osservare che, secondo un indirizzo costante del Consiglio di Stato, “[l]a presentazione di un’istanza di condono edilizio successivamente all’emanazione delle ordinanze di demolizione e di eventuali atti repressivi consequenziali rileva sul piano processuale, quale conseguenza dei suoi effetti sostanziali, e rende inefficace tali provvedimenti e, quindi, improcedibile l’impugnazione proposta avverso gli stessi per sopravvenuto difetto di interesse alla sua decisione: e ciò in quanto una nuova valutazione provocata dall’istanza di condono comporterà comunque la necessaria formazione di un nuovo provvedimento di accoglimento o di rigetto che varrà in ogni caso a superare il provvedimento oggetto di impugnativa, in tal modo spostandosi l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato all’eventuale annullamento del provvedimento di reiezione dell’istanza di sanatoria” (cfr. ex multis: Consiglio Stato, sez. II, 13 settembre 2019, n. 6162; sez. II, 14 gennaio 2020, n. 340);
– la tesi del Comune – secondo cui le successive istanze di condono edilizio sarebbero state presentate da soggetti privi di legittimazione in quanto non più proprietari degli immobili in parola – è infondata (oltre che in ragione del rilevato mancato perfezionamento della fattispecie acquisitiva al patrimonio comunale) in quanto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere non preclude affatto la sanatoria edilizia laddove, prima della presentazione della domanda di definizione degli illeciti edilizi, non vi sia stata destinazione dell’immobile a fini pubblici;
– in particolare, ai sensi dell’art. 39, comma 19, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, “Per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l’annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell’area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data del 1° dicembre 1994”;
– nel caso di specie, al momento della presentazione della richiesta di condono, l’immobile – di cui non era stata ancora eseguita la trascrizione nei pubblici registri dell’immobile -non era stato ancora destinato ad attività di pubblica utilità ;
– da ultimo, al fine di corroborare il mancato perfezionamento della fattispecie acquisitiva al patrimonio comunale, è importante osservare che, nel corso del presente giudizio di appello, il medesimo Tribunale Amministrativo Regionale, con sentenza n. 584 del 27 gennaio 2021 (che allo stato non risulta appellata), in accoglimento dei ricorsi proposti dai signori An. Po. ed altri, ha annullato anche i dinieghi di condono edilizio, motivando che gli stessi erano stai emessi quando si era già formato il silenzio assenso, per effetto del decorso di 24 mesi (ai sensi dell’art. 35, della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994) dal completamento della documentazione necessaria;
– l’affermazione dell’Amministrazione di avere intenzione di avviare un procedimento di ritiro in autotutela del titolo edilizio così tacitamente formatosi (sul presupposto che uno degli appellati risulta attualmente detenuto per gravi reati risalenti alla domanda di condono), non esime comunque la stessa Amministrazione dalla necessità di attivare un nuovo procedimento sanzionatorio;
– per le ragioni che precedono, l’appello è infondato e va quindi respinto;
– le spese di lite del secondo grado di giudizio vanno compensate in ragione della particolarità della fattispecie;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7636 del 2020, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del secondo grado di lite nei confronti del Comune appellato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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