La presentazione dell’istanza di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001

Consiglio di Stato, Sentenza|22 marzo 2021| n. 2446.

La presentazione dell’istanza di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 determina la mera sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione e non il suo definitivo arresto. Segnatamente si verifica un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione al fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, potrebbe essere conforme alla strumentazione urbanistica vigente ; tuttavia si tratta di una sospensione dell’efficacia dell’atto sanzionatorio, che è posto in uno stato di temporanea quiescenza e che, in caso di rigetto dell’istanza, riacquisterà la sua efficacia, con la precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza degli interessati.

Sentenza|22 marzo 2021| n. 2446

Data udienza 29 settembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Domanda di accertamento di conformità urbanistica – Art. 36, D.P.R. n. 380/2001 – Silenzio rigetto – Acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva – Natura vincolata del provvedimento – Valutazione oggettiva sottratta ad apprezzamenti discrezionali – Sospensione dell’ordine di demolizione – Esecuzione spontanea – Termine

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1825 del 2011, proposto dai signori An. Ap. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. S., Gi. Tr. e Pa. Fo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Al. Ma. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Pi. in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, n. 16689/2010, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
visti tutti gli atti della causa;
relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020, il consigliere Francesco Frigida;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La prima degli odierni appellanti e il de cuius degli altri due odierni appellanti hanno proposto il ricorso di primo grado n. 7944 del 2006 dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, avverso del silenzio rigetto sulla domanda di accertamento di conformità urbanistica ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 presentata dagli interessati al Comune di (omissis) in data 21 luglio 2006, in relazione ad un fabbricato di loro proprietà .
1.1. Con successivi motivi aggiunti le parti private hanno impugnato l’ordinanza n. 22 del 28 febbraio 2007, con cui il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di (omissis) ha dichiarato l’acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva.
1.2. Mediante secondi motivi aggiunti gli interessati hanno impugnato il provvedimento prot. 5884 del 12 aprile 2007, con cui il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di (omissis) ha espressamente negato l’accertamento in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001.
1.3. A seguito di morte di uno dei due originari ricorrenti, il processo è stato dichiarato interrotto dal T.a.r. e poi è stato riassunto da tutti gli odierni appellanti (l’altra originaria ricorrente i due eredi del defunto originario ricorrente).
1.4. Il Comune di (omissis) si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso e ai motivi aggiunti.
2. Con l’impugnata sentenza n. 16689 del 13 luglio 2010, il T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, sezione terza, ha dichiarato improcedibile il ricorso originario (proposto contro il silenzio rigetto della domanda di accertamento in conformità, stante il sopravvenire del suo diniego espresso, avverso cui sono stati proposti i secondi motivi aggiunti), ha respinto i due motivi aggiunti e ha condannato i ricorrenti al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese di lite, liquidate in euro 1.500, oltre agli accessori.
3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 14 febbraio 2011 e in data 10 marzo 2011 – le parti private hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando tre motivi.
4. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, resistendo al gravame.
5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 29 settembre 2020.
6. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
7. Tramite il primo motivo d’impugnazione, gli appellanti hanno censurato la sentenza impugnata laddove il T.a.r. ha respinto la prima censura dei secondi motivi aggiunti, inerente alla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 per omesso invio, da parte dell’amministrazione comunale, del preavviso di rigetto prima dell’emanazione del rigetto della domanda di accertamento di conformità .
Siffatta doglianza è infondata, poiché, come correttamente chiarito dal collegio di primo grado, “il provvedimento di accertamento di conformità si caratterizza per la sua connotazione oggettiva e vincolata in quanto l’amministrazione si limita a effettuare una valutazione sulla conformità alla disciplina urbanistica senza svolgere apprezzamenti discrezionali. Alla fattispecie, pertanto, è applicabile l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990”.
Al riguardo si osserva il provvedimento di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 – e dunque anche il suo diniego – hanno senza dubbio natura vincolata, sicché la mancata comunicazione del preavviso di diniego non produce, in base al principio di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 (nella versione vigente ratione temporis e, quindi precedente alla modificazione introdotta dal decreto-legge n. 76/2020 convertito in legge n. 120/2020), effetti vizianti, ove il Comune non avrebbe potuto emanare provvedimenti diversi (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 25 settembre 2014, n. 4809, e 10 maggio 2012, n. 2714).
8. Attraverso il secondo motivo di gravame, le parti private hanno contestato in sostanza il rigetto da parte del T.a.r. della seconda doglianza dei secondi motivi aggiunti, con cui era stata dedotta la violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 nonché l’eccesso di potere in relazione all’ordinanza comunale n. 22 del 28 febbraio 2007, con cui era stata dichiarata l’acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva. Segnatamente, secondo gli appellanti, a seguito della presentazione della domanda di accertamento in conformità presentata il 21 luglio 2006, l’ordinanza di demolizione n. 28 dell’8 aprile 2014 avrebbe perso definitivamente efficacia e, pertanto, l’amministrazione comunale non avrebbe legittimamente potuto emettere l’ordinanza n. 22 del 28 febbraio 2007 di acquisizione del manufatto, che si basa sulla prodromica ordinanza di demolizione.
La suddetta censura è infondata, in quanto, come correttamente affermato dal collegio di primo grado, la presentazione dell’istanza di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 determina la mera sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione e non il suo definitivo arresto. Segnatamente si verifica un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione al fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, potrebbe essere conforme alla strumentazione urbanistica vigente (il che comunque non è stato ritenuto nel caso di specie); tuttavia si tratta di una sospensione dell’efficacia dell’atto sanzionatorio, che è posto in uno stato di temporanea quiescenza e che, in caso di rigetto dell’istanza (come nella fattispecie de qua), riacquisterà la sua efficacia, con la precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza degli interessati.
In tal senso si è espressa, con orientamento ormai consolidato, la giurisprudenza amministrativa, secondo cui “la proposizione della domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001, priva temporaneamente, (id est, per il tempo legalmente stabilito di definizione della relativa procedura) di efficacia l’ordinanza di demolizione; tale efficacia, spirato il termine legale di definizione dell’istanza, che opera in termini sospensivi, viene riacquistata successivamente all’eventuale rigetto, espresso o tacito, della suddetta domanda” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 luglio 2017, n. 3308; negli stessi termini, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 6 luglio 2020, n. 4320; in tal senso, cfr. anche Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 2 febbraio 2015, n. 466), sicché “la presentazione della richiesta di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali e non determina, pertanto, alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell’ingiunzione di demolizione, comportando unicamente la temporanea sospensione della sua esecuzione” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 13 maggio 2020, n. 3036; in questo senso cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 28 aprile 2020, n. 2718, e 5 dicembre 2019, n. 8319), con la conseguenza che non occorre l’emanazione di alcun ulteriore atto sanzionatorio in caso di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità .
9. Con il terzo motivo d’impugnazione, gli appellanti hanno dedotto che il T.a.r. avrebbe errato nel respingere la terza censura dei secondi motivi aggiunti, considerando adeguatamente motivato il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità .
Tale contestazione è infondata, poiché nel provvedimento di rigetto sono indicate le ragioni ostative all’accoglimento della domanda delle parti private, con specifico riferimento al contrasto tra l’intervento edilizio e le note tecniche di attuazione al piano regolatore generale e alla legge regionale della Campania n. 21/2003, con la conseguenza che lo specifico obbligo motivazionale recato dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 è stato rispettato, essendo possibile per gli interessati, pur a fronte di una motivazione sintetica, comprendere compiutamente le ragioni del rigetto della loro istanza.
10. In conclusione l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
11. In applicazione del principio della soccombenza, al rigetto dell’appello segue la condanna degli appellanti, in solido, al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese di lite del presente grado di giudizio, che, tenuto conto dei parametri stabiliti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 e dall’art. 26, comma 1, del codice del processo amministrativo, si liquidano in euro 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1825 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; condanna gli appellanti, in solido, al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in euro 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali), se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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