Consiglio di Stato, Sentenza|14 aprile 2021| n. 3079.
Ai sensi dell’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 la possibilità di risarcimento del danno da ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non è effetto del ritardo in sé e per sé, ma del fatto che la condotta inerte o tardiva sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato; il danno, del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione, e ciò sempre che la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo.
Sentenza|14 aprile 2021| n. 3079
Data udienza 18 febbraio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Magistratura – Valutazione di professionalità – Procedimento – Possibilità di risarcimento del danno da ritardo dell’amministrazione – Art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 – Presupposti applicativi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 980 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Bi., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
C.S.M. – Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del C.S.M. – Consiglio Superiore della Magistratura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2021 il Cons. Stefano Fantini; preso atto delle note d’udienza, depositate dall’avvocato Biamonte ai sensi del d.l. n. 137 del 2020, convertito nella legge n. 176 del 2020, e del d.l. n. 183 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-La dott.ssa -OMISSIS- ha interposto appello nei confronti della sentenza 5 luglio 2019, n. 8863 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, che ha respinto il suo ricorso finalizzato all’accertamento del diritto al risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito del negligente comportamento del CSM, caratterizzato anche dall’adozione di provvedimenti illegittimi, con conseguente condanna dell’amministrazione.
L’appellante, già magistrato ordinario (in quiescenza dal marzo 2017), espone che il CSM ha introdotto il procedimento inteso ad accertare la sua idoneità al conferimento della settima valutazione di professionalità in data 13 maggio 2008, essendo oggetto di valutazione il periodo lavorativo compreso tra il 13 maggio 2000 ed il 13 maggio 2008, durante il quale ha prestato servizio presso la Procura della Repubblica di Roma (dal 13 maggio 2000 all’1 febbraio 2004), presso la Procura della Repubblica di Napoli (dal 2 febbraio 2004 al 3 febbraio 2008) ed infine presso la Sezione GIP/GUP del Tribunale di Venezia (dal 4 febbraio 2008 al 13 maggio 2008).
Precisa che detto procedimento valutativo, in ragione della instaurazione nei suoi confronti dì un procedimento disciplinare nel giugno 2009 (conclusosi il 13 maggio 2011 con l’irrogazione della sanzione della censura per l’addebito di ingiustificato rimprovero di tre dipendenti in servizio presso il Tribunale di Venezia), è stato sospeso dapprima sino alla definizione del procedimento disciplinare e poi di nuovo in data 15 dicembre 2011 e sino al 9 gennaio 2013.
In data 9 gennaio 2013 è stata dichiarata non idonea al conseguimento della settima valutazione e la relativa delibera è stata impugnata dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che ha accolto il ricorso per difetto di motivazione e di istruttoria con sentenza 13 febbraio 2014, n. 1801, ordinando al CSM di ripronunciarsi sulla valutazione di professionalità ; la dott.ssa -OMISSIS- ha dunque esperito ricorso per l’ottemperanza di tale sentenza, accolto dallo stesso Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con la sentenza 3 maggio 2016, n. 5057, che ha nominato anche un commissario ad acta, mediante il quale è stato portato a compimento il procedimento di valutazione con la delibera in data 31 ottobre 2016 che le ha conferito la settima valutazione di professionalità .
2. – Nel frattempo la dott.ssa -OMISSIS-, con il ricorso in primo grado, aveva chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la condanna del CSM al risarcimento dei danni, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2043 Cod. civ. e dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, quantificati in euro 150.000,00 per danno biologico, per lesione del diritto alla reputazione e per l’ingiustificata durata del procedimento valutativo, oltre che a titolo di interessi e rivalutazione; a seguito della delibera di conferimento della settima valutazione di professionalità e della liquidazione, in suo favore, in data 23 febbraio 2017, delle differenze retributive conseguenti al riconoscimento della settima valutazione di professionalità (pari ad euro 178.512,39), con memoria notificata ai sensi dell’art. 73 Cod. proc. amm., ha chiesto la condanna del CSM al pagamento dell’ulteriore somma di euro 100.000,00 a titolo di perdita di chance conseguente all’esclusione automatica per oltre sette anni dalle procedure concorsuali implicanti il conseguimento della settima valutazione.
3. – La sentenza appellata ha respinto il ricorso nell’assunto che il giudicato di annullamento del giudizio di inidoneità espresso nei confronti della ricorrente è fondato sul vizio di difetto di motivazione e di istruttoria, e comunque su vizi procedimentali; non ha dunque accertato il futuro esito della rinnovanda valutazione, la quale, peraltro, è espressione di un potere discrezionale estremamente lato riservato all’organo di governo autonomo della magistratura. Più precisamente, la sentenza ha rilevato come “il vizio che ha condotto all’annullamento del diniego di conferimento della settima valutazione non sia ascrivibile a colpa del Consiglio Superiore della Magistratura, sia in ragione della natura procedimentale dei vizi che hanno determinato l’accoglimento sia in considerazione dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale per il quale la motivazione di tale tipologia di atti ben poteva essere focalizzata in via preponderante sull’evento ostativo all’attribuzione della nuova qualifica e sulla legittimità di una valutazione che avesse ad oggetto qualsiasi elemento ritenuto rilevante e sintomatico ai fini della valutazione medesima”. La sentenza ha infine escluso anche la prova della sussistenza della colpa in relazione al danno da ritardo, ravvisato nel fatto che la determinazione conclusiva del procedimento di valutazione della settima professionalità è stata adottata dal commissario ad acta dopo bene otto anni dall’inizio del relativo procedimento.
4.- Con il ricorso in appello la dott.ssa -OMISSIS- ha dedotto l’erroneità della sentenza riproponendo, alla stregua di motivi di critica, le censure di primo grado ed anzitutto il danno da ritardo connesso all’inosservanza colposa o dolosa del termine di conclusione del procedimento di valutazione, per il quale il Capo XIII, par. 3, della circolare del CSM n. 17716/12 prevede mesi otto dalla scadenza del quadriennio. In ogni caso, la colpa del CSM, per l’appellante, è evincibile dal fatto che sono stati omessi atti dovuti, tra cui la richiesta del parere del Consiglio giudiziario di Roma, e sono state reiteratamente disattese le prescrizioni contenute nei provvedimenti del giudice amministrativo intervenuti nel corso del procedimento di valutazione. Lamenta ancora il vizio motivazionale della sentenza, asseritamente inidonea a spiegare la ratio decidendi del giudice di primo grado, sia in tema di colpa dell’apparato a fronte di un potere discrezionale, sia di prova del danno, come pure l’omessa pronuncia sulla domanda intesa ad ottenere la condanna del CSM al pagamento delle somme richieste a titolo di interessi e rivalutazione.
5. – Si è costituito in resistenza il CSM controdeducendo, all’esito di ampia disamina di portata generale, ai motivi di ricorso e chiedendone la reiezione.
6. – Con ordinanza 19 agosto 2020, n. 5142 la Sezione ha chiesto documentati chiarimenti in ordine alla tempistica della pubblicazione sul Co. della delibera del CSM 9 gennaio 2013 ed al pagamento degli importi dovuti a titolo di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme tardivamente corrisposte a titolo di differenze retributive.
All’incombente istruttorio ha provveduto il Ministero della giustizia con relazione in data 14 ottobre 2020.
7. – All’udienza pubblica dell’18 febbraio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Il primo motivo di appello censura la sentenza che non ha riconosciuto il danno da ritardo a fronte di un procedimento valutativo (della durata prevista di otto mesi dalla scadenza del periodo di valutazione) iniziato in data 13 maggio 2008 e conclusosi solamente il 31 ottobre 2016, precisando che la pretesa risarcitoria a tale titolo non si fonda sulla sopravvenuta dichiarazione di illegittimità del provvedimento (risalente al 9 gennaio 2013) di non idoneità, ma sull’abnorme durata del procedimento già alla data di notifica (23 gennaio del 2015) del ricorso contenente l’azione di risarcimento. Allega, a dimostrazione della colpa dell’amministrazione, che il CSM ha omesso atti dovuti, tra cui l’acquisizione del parere (prescritto dalla legge n. 11 del 2007) del Consiglio giudiziario di Roma per il periodo di servizio prestato presso la Procura della Repubblica di Roma, richiesto solamente in data 6 maggio 2014 e ha reiteratamente ed ingiustificatamente disatteso le prescrizioni contenute nei provvedimenti emessi dal giudice amministrativo in ordine al procedimento valutativo.
Il motivo, specificamente incentrato sul danno da ritardo, è infondato.
Non viene qui in rilievo il problema della illegittimità provvedimentale, ovvero della mera scorrettezza procedimentale, traducentesi nell’inadempimento dell’obbligo di provvedere, ma quello del danno da ritardo.
Al riguardo, giova ricordare che ai sensi dell’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 la possibilità di risarcimento del danno da ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non è effetto del ritardo in sé e per sé, ma del fatto che la condotta inerte o tardiva sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato; il danno, del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione, e ciò sempre che la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo (Cons. Stato, IV, 20 ottobre 2020, n. 6351; 23 agosto 2019, n. 5810).
Il danno da ritardo non può, di regola, prescindere dalla spettanza del bene della vita, atteso che è solo la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione, quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende risarcibile. L’ingiustizia del danno e dunque la sua risarcibilità per il ritardo dell’azione amministrativa è configurabile solo ove il provvedimento favorevole sia stato adottato, sia pure in ritardo, dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di un provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al procedimento (Cons. Stato, IV, 27 febbraio 2020, n. 1437).
Nella fattispecie in esame è provato che l’aspirazione al provvedimento era destinata ad esito favorevole (spettava il bene della vita, che è stato infatti riconosciuto, seppure in sede di ottemperanza al giudicato), e può anche ammettersi raggiunta la prova della condotta non diligente dell’amministrazione (per la presenza di omissioni e condotte dilatorie nell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali intervenuti), ma difetta la prova del danno da ritardo, e cioè che sussista un danno conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’amministrazione.
Infatti, come bene evidenziato dalla sentenza appellata, la determinazione conclusiva del procedimento del commissario ad acta è stata adottata “ora per allora”; inoltre, salvo quanto meglio si dirà al successivo punto sub 3), dall’eseguita istruttoria è emerso che con provvedimento del febbraio 2020 sono stati liquidati in favore dell’appellante gli accessori relativi alle differenze retributive calcolati con decorrenza dal 9 gennaio 2013 (data del provvedimento negativo del CSM), in conformità di quanto richiesto, sia pure in via subordinata, dalla stessa dott.ssa -OMISSIS- con istanza del 10 gennaio 2020.
Non è dunque ravvisabile un danno patrimoniale da ritardo, inteso quale pregiudizio prodottosi nella sfera giuridica del privato per effetto della condotta inerte o tardiva dell’amministrazione.
2. – Il secondo motivo deduce il vizio motivazionale della sentenza con riferimento alla discrezionalità amministrativa di cui il CSM gode nella valutazione professionale dei magistrati, nella considerazione che nella fattispecie, diversa da quella della nomina ad un incarico direttivo, la discrezionalità esercitata è tecnica. In ogni caso l’appellante deduce la ravvisabilità della colpa nell’esercizio del potere discrezionale e contesta le statuizioni che hanno ritenuto non provato il danno biologico (a fronte delle risultanze della consulenza tecnica di parte), come pure il danno conseguente alla lesione del diritto alla reputazione della ricorrente in relazione alla pubblicazione su Co., sito accessibile a tutti i magistrati italiani, della delibera in data 9 gennaio 2013, nella quale si faceva riferimento a fatti, alla stessa riferibili, aventi rilevanza penale (minacce al personale) e comunque effettuata una valutazione caratteriale del magistrato, non consentita dalla legge n. 111 del 2007, definendosi la dott.ssa -OMISSIS- incapace di organizzare il suo lavoro e l’attività di udienza a causa della sua “intuibile concitazione”; censura altresì la statuizione che ha disatteso la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, collegato all’esclusione da tutte le procedure concorsuali presupponenti il conseguimento della settima valutazione.
Anche tale motivo è infondato.
A prescindere dal profilo della colpa, ritenuta dal Collegio configurabile (con la conseguenza che può essere assorbito il terzo motivo di appello), occorre escludere che sia configurabile il danno biologico, il danno da perdita della reputazione, come pure il danno da perdita di chance.
Procedendo per ordine, l’allegazione del danno biologico risulta sprovvista di prova, ravvisandosi una generica indicazione delle patologie sofferte dall’appellante (ipertensione e diabete), ma non la dimostrazione del loro aggravamento in ragione ed in funzione della durata eccessiva del procedimento.
Per quanto riguarda poi il danno alla reputazione, connesso alla pubblicazione sul sito Co. della delibera del 2013, osserva il Collegio che si tratta di danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori e categorie di essi con le quali il danneggiato abbia ad interagire; si tratta di un pregiudizio non in re ipsa, ma che costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (Cons. Stato, III, 3 novembre 2016, n. 4615). Nel caso di specie l’appellante ha affermato di avere subito un danno alla reputazione, anche in relazione ad un’indebita valutazione caratteriale, ma non ha dimostrato i pregiudizi ricollegabili all’attività professionale svolta.
Occorre in ogni caso considerare che le delibere del CSM sono pubbliche, e pertanto, allo stesso modo di quella del 2013, risulta pubblicata sul sito Co. la delibera del commissario ad acta che ne ha riconosciuto l’illegittimità, attribuendo all’appellante la settima valutazione di professionalità .
Quanto, poi, alla perdita di chance, ravvisata nell’impossibilità di partecipare ai concorsi banditi dal CSM prevedenti il possesso della settima valutazione di professionalità, la domanda è infondata in quanto priva di ogni allegazione in ordine ai concorsi banditi che sarebbero stati di interesse per l’appellante. E’ noto come la tecnica risarcitoria della perdita di chance garantisca l’accesso al risarcimento per equivalente solamente se la chance abbia effettivamente raggiunto un’apprezzabile consistenza, di solito indicata con le formule “probabilità seria e concreta” od anche “elevata probabilità ” di conseguire il bene della vita sperato, sì che in caso di mera “possibilità ” vi è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione, perché non distinguibile da una mera aspettativa di fatto (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 15 novembre 2019, n. 7845). Se il danno da perdita di chance richiede la prova di una perdita attuale di un esito favorevole probabile, evidentemente la mancata indicazione dei concorsi cui l’appellante non ha potuto partecipare per esserle stata tardivamente riconosciuta la settima valutazione di professionalità impedisce la valutazione, anche in astratto, di tale probabilità . Si consideri che la giurisprudenza ha escluso la responsabilità risarcitoria per perdita di chance anche con riguardo al magistrato ordinario che, non essendo stato destinatario da parte della competente Commissione consiliare di proposta, non è stato conseguentemente scrutinato dal Plenum (Cons. Stato, V, 12 marzo 2020, n. 1780).
3. – Può infine essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse in relazione al quarto motivo, con cui si lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda intesa ad ottenere la condanna del CSM al pagamento delle ulteriori somme dovute a titolo di interessi e/o rivalutazione, in quanto, come già ricordato, dall’esperita istruttoria è emerso l’intervenuto adempimento da parte dell’amministrazione, sia pure con decorrenza dal 9 gennaio 2013. Ora, nell’istanza del 10 maggio 2020, l’appellante aveva rinunciato ad agire, per tale titolo, nei confronti del Ministero della giustizia, ma non anche nei confronti del CSM. Sennonchè l’assunto della spettanza degli interessi sin dal 13 maggio 2008 appare infondata, in quanto la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, I, 3 maggio 2016, n. 5057, in sede di ottemperanza della sentenza 13 febbraio 2014, n. 1801, si è limitata ad assegnare un termine al CSM per il completamento della procedura di rivalutazione della professionalità della dott.ssa -OMISSIS- e per la comunicazione delle proprie determinazioni (favorevoli ovvero sfavorevoli) in ordine al riconoscimento della settima valutazione di professionalità ed inoltre per la liquidazione degli importi dovuti, senza stabilire dunque la data del nuovo inquadramento.
Al riguardo occorre ricordare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la rivalutazione monetaria e gli interessi legali spettanti sulle somme erogate con ritardo ai dipendenti pubblici, nel caso in cui il diritto patrimoniale trovi fonte direttamente in un provvedimento amministrativo, decorrono dalla data di quest’ultimo, quand’anche questo abbia efficacia retroattiva; ciò deriva dalla peculiare natura degli atti di ricostruzione della carriera o di reinquadramento, i quali producono gli accessori sul capitale a partire dalla data della loro emanazione; una diversa decorrenza di tali accessori, in ragione del diverso momento perfezionativo della fattispecie, può ammettersi solo allorquando l’atto di inquadramento o reinquadramento sia meramente dichiarativo, ovvero attuativo di un giudicato che specificamente abbia fissato la decorrenza degli accessori stessi (in termini Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3735; V, 28 febbraio 2013, n. 1216; III, 13 settembre 2012, n. 4854).
4. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello va complessivamente respinto.
La complessità della controversia integra i motivi previsti dalla legge per la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2021, tenuta con le modalità di cui al combinato disposto dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e dell’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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